TQ, fenomenologia di una generazione allo specchio : Andrea Cortellessa
Sognai che ero una farfalla
che d’esser me sognava
guardava in uno specchio
ma nulla ci trovava
-Tu menti-
gridai
si svegliò
morii.
R.D. Laing
di
Andrea Cortellessa 1
Segnavento:
Una politica per individualisti?
La convention nella storica sede della Laterza, a Roma lo scorso 29 aprile, s’è aperta con un invito, anzi un’intimazione: per favore, solo pars construens. La «generazione TQ», com’è stata griffata (dalle età dei partecipanti, trentenni e quarantenni) dai promotori (gli scrittori Mario Desiati, Nicola Lagioia e Giorgio Vasta, il critico Giuseppe Antonelli e Alessandro Grazioli di minimum fax), s’è presentata con un documento pubblicato il 18 aprile dal Sole 24 ore (che ha poi continuato a promuovere l’iniziativa in modo tambureggiante – del resto molti promotori e partecipanti sono suoi collaboratori abituali), che prendeva le mosse da una descrizione parodica dell’intellettuale vieux jeu e delle sue pratiche, appunto, alquanto destruentes («Gli intellettuali, si sa, amano piangersi addosso. Se la prendono con la cultura di massa, con lo strapotere della televisione, con i bestseller facili che dominano le classifiche di vendita»).
Il 29 aprile, poi, i lavori sono stati aperti da Antonio Scurati e Federica Manzon. Proprio quest’ultima s’era distinta, giusto un anno fa, con un ineffabile articolo pubblicato su Nuovi Argomenti, storica rivista della sinistra italiana, nell’occasione dedicata a parole e concetti Tabù della nostra cultura. Tabù da sfatare per Manzon (narratrice a sua volta nonché editor Mondadori, che fra l’altro pubblica anche Nuovi Argomenti…) era quello del Mercato: «non un’entità astratta che preesiste all’uomo e che impone a esso le proprie regole (disumane)» quanto un luogo di incontri, scambi e relazioni, simile insomma al «grande spazio del bazar», frequentato da individui «tesi a comprendere e interpretare ogni elemento nuovo». Chissà quanto consapevolmente Manzon ricalcava un passo di Voltaire (nel quale si descrivono la Borsa di Londra e le «riunioni pacifiche e libere» di maomettani e cristiani, presbiteriani e anabattisti), a proposito del quale più di sessant’anni fa aveva avuto buon gioco Erich Auerbach – in un celebre inciso di Mimesis – a mostrare la «tecnica del riflettore» del discorso di «propaganda»: che illumina un solo aspetto del problema per oscurarne il contesto.
Di questi discorsi ideologici – nella più schietta accezione marxiana – se ne sono ascoltati molti, il 29 aprile e dopo (nel corso d’una schermaglia telematica che dovrebbe preludere a nuovi incontri). S’è sentito dire che interrogarsi sulla libertà del mercato – per esempio nella filiera del libro e della comunicazione – sarebbe «un falso problema»; si sono messi a tacere coloro che tentavano appunto di articolare analisi delle strutture economiche che condizionano il lavoro intellettuale (analisi definite «vecchie», nel lessico e dunque nell’attrezzatura concettuale: non abbastanza TQ, insomma); s’è dileggiato chi chiedeva se, da parte di questa generazione, l’intervento intellettuale – per esempio su un giornale o una rivista – fosse necessariamente condizionato dalla corresponsione di un compenso (se così avessero ragionato gli scrittori e gli intellettuali delle generazioni che ci hanno preceduto, avremmo mai avuto i libri le collane le riviste su cui ci siamo formati?).
Ce n’è in abbondanza, insomma, da giustificare la reazione di Goffredo Fofi il quale senza nominarli (diversi sono stati, e forse ancora si considerano, suoi discepoli) si riferiva con tutta evidenza ai TQ, su l’Unità il 7 maggio: «I giovani con ambizioni di scrittori sono oggi […] corteggiati e corrotti dal mercato […] il risultato è l’invasione di merci ripetitive, scadenti, conformiste […], e possiamo tranquillamente considerare i giovani scrittori come un altro dei tanti fenomeni “di destra” di questa Italia, visto che accettano questo stato delle cose e vi cercano il loro bene, il loro posto al sole […] c’è oggi una gioventù scrivente e servile che è, benché perlopiù fatta da ignavi, perfettamente “di destra”». Colpisce in effetti come ogni tentativo di discorso politico venga tacciato di vecchiume marxistoide e/o fumisteria astratta. Colpisce come l’unica forma di «impegno» accettato sia quello praticistico e individuale, nella forma «umanitaria» che qualcuno ha potuto accostare allo spirito di «Medici senza frontiere» (volontariato nelle scuole disagiate, nelle librerie periferiche, nelle carceri ecc.).
Eppure un fatto nuovo l’iniziativa TQ lo ha proposto. Le retoriche e le ideologie che vi si sono ascoltate hanno sempre fatto appello, nel ventennio berlusconiano che abbiamo alle spalle, al più sfrenato individualismo. Nel corso della discussione TQ quelle retoriche invece sono emerse, sì, ma come un rigurgito retrovirale: all’interno di un consesso di persone che – individualiste e narcisiste sino alle midolla – sia pure con la massima confusione avvertono, e affermano, che è tempo di darci un taglio. Di elaborare nuove pratiche comuni fondate – se possibile – su una concettualizzazione che si traduca in un’assunzione di responsabilità collettiva, comune. Dunque politica. Questo, e non altro, è il fatto nuovo. Il resto è nuovismo fine a se stesso: che, se non individua contenuti nuovi e dunque pratiche nuove, non è che la maschera della più proterva volontà di potenza. Davanti a TQ si apre un bivio decisivo: istituzionalizzare l’individualismo liberista come propria ideologia generazionale, oppure metterlo in crisi dalle fondamenta – così aprendo una fase davvero nuova.
Per caso in questi giorni mi sono imbattuto in un documento UNESCO, datato 1997, che recita: «le generazioni presenti dovranno assicurare la preservazione della diversità culturale dell’umanità. Le generazioni presenti hanno la responsabilità di identificare, di proteggere e di conservare il patrimonio culturale, materiale e immateriale e di trasmettere tale patrimonio comune alle generazioni future». Se, malgrado tutto, TQ conserva un confuso ricordo di qualcosa che trascenda aspirazioni e bisogni dei propri singoli componenti, lo deve essenzialmente al «patrimonio» che a TQ è stato trasmesso dai Sessantenni, dai Settantenni e dagli Ottantenni; badi dunque TQ a trasmettere qualcosa di sensato a chi oggi di anni ne ha Venti, o Dieci. Per fare solo un piccolissimo esempio: eviti che il suo prossimo incontro assomigli – di nuovo – più a una convention che a un’assemblea.
pubblicato su Alfalibri di questo mese
Taglio Medio
PROVOCAZIONI
Poesie all’asta per riflettere sui «valori» letterari
La poesia, si sa, non serve a nessuno. Non solo non è utile: è anche dannosa (come recita il post-scriptum «SEGRETISSIMO» della Piccola lode al pubblico della poesia di Nanni Balestrini: «LA POESIA FA MALE / MA PER NOSTRA FORTUNA / NESSUNO CI VORRÀ CREDERE MAI»). E questa sua sovrana inutilità, questa sua marginalità sofferta e goduta, rifulge come non mai oggi: nel tempo del pensiero-unico mercatista. Un esempio flagrante, l’anno scorso, fu il documento dei sedicenti «autori Einaudi» contro la «legge bavaglio» sulle intercettazioni. Tutto molto bello, ma un dettaglio strideva: tra quelle firme, più o meno illustri, neppure una era di un poeta. E sì che Einaudi parte non esigua del suo prestigio lo deve alla gloriosa «collana bianca», i cui autori – in qualità di consulenti e traduttori – hanno contribuito a formare il suo vero patrimonio, il catalogo storico. Altro esempio: nella convocazione degli «autori TQ», lo scorso 29 aprile, neppure un poeta è stato invitato (se non in qualità di «altro»: dirigente editoriale, giornalista e soprattutto, beninteso, narratore).
Si vede che la vecchia etimologia del termine autore – da augeo: «colui che aumenta» – s’è tacitamente rideclinata, dall’ambito retorico e idealistico che l’aveva ideata, in termini ben più concretamente economicistici: autore è colui che aumenta – in atto o in potenza – il fatturato di chi lo pubblica. Gli altri, come disse papale papale una dirigente editoriale sul numero del «verri» dedicato nel 2007 alla Bibliodiversità, sono da considerarsi «dilettanti». Sicché forse è vicino il tempo in cui verrà meno anche ufficialmente (oltre che de facto – come oggi in libreria) l’equivoca coesistenza di autori professionisti (i recordman delle classifiche di vendita) e non professionisti (poeti, appunto, e altri sciamannati): la letteratura non sarà più open – pratica rivoluzionaria che nello sport introdusse il tennis nel ’68 – ma tornerà a circuiti separati fondati sulla classe e sul censo. Auguri.
In questo contesto suona ironicamente provocatoria la formula dell’asta poetica inventata da Michele Fianco e che stasera, a Roma, farà la sua prima uscita al circolo autogestito ESC di Via dei Volsci 159 (a partire dalle 19, con conclusione musicale del gruppo jazz A24). I poeti del gruppo ESCargot-Scrivere con lentezza, integrati da altri invitati (Maria Grazia Calandrone, Beppe Sebaste, Mario Lunetta, Lidia Riviello, Marco Giovenale, Vincenzo Ostuni, Gilda Policastro e tanti altri), venderanno i propri manoscritti appunto al miglior offerente (il quale avrà anche diritto a farsi fotografare accanto al poeta preferito ecc.). Il ricavato andrà al Comitato 3e32, che nella serata verrà rappresentato da Sara Vegni e Anna Maria Giancarli e che sta tentando di ricostruire un tessuto culturale a L’Aquila (dove probabilmente la formula verrà presto riproposta). Dunque l’iniziativa ha anche fini concreti, e ben commendevoli, ma serve in primo luogo a farci riflettere su cos’è il valore in letteratura: su come lo si produce, come lo si riconosce – e come (in vari sensi) lo si vende. Perché la poesia, ha scritto una volta Andrea Zanzotto, «per lunghi capziosi viziosi (anche giri) arriverà ad essere “utile”, a servire a tutti nel modo più incerto ma fraterno, nel modo più dimesso ma vero, senza aver servito nessuno».
Pubblicato sul Manifesto del 26 Maggio
- Dopo Andrea Libero Carbone e Simone Barillari ho chiesto ad Andrea Cortellessa l’autorizzazione a pubblicare due distinti interventi usciti, il primo, su Alfalibri di questo mese e il secondo sul Manifesto del 26 maggio. Articoli che aveva condiviso nella discussione in atto dei TQ effeffe↩
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“all’interno di un consesso di persone che – individualiste e narcisiste sino alle midolla – sia pure con la massima confusione avvertono, e affermano, che è tempo di darci un taglio. Di elaborare nuove pratiche comuni fondate – se possibile – su una concettualizzazione che si traduca in un’assunzione di responsabilità collettiva, comune. Dunque politica. Questo, e non altro, è il fatto nuovo. Il resto è nuovismo fine a se stesso”.
Individualismo di destra, “responsabilità collettiva” o “comune” di sinistra?
Ma non siamo mica ancora al ’68!
Non hanno dimostrato “i capitalisti «disinvolti», vestiti alla buona, come Bill Gates e i fondatori del gelato «Ben and Jerry»”(Zizek) di saper “mettere al lavoro” sia i narcisisti-individualisti sia i narcisisti-benecomunisti ( non comunisti, per carità, quella è roba da Novecento e da gulag!)?
Che fatica erigere sempre un finto muro tra intellettuali “di destra” e intellettuali “di sinistra”!
E la guerra in Libia prosegue, olè!
E i palestinesi crepano con pallottole dell’esercito israeliano, alè!
E noi facciamo la battaglietta tra “sinistri” e “destri” nella storica sede della Laterza, alé!
E noi non firmiamo (mica siamo matti!) la petizione ” Contro la kermesse di Israele a Milano”, alé!
Probabilmente per Fofi anche Lenin era di destra. Perchè il meglio delle argomentazioni che a volte si riescono a utilizzare sono delle apodittiche tiritere. ; ; . Certo perchè il mercato è di destra e corrompe i giovani come una meretrice da suburra.
Beato Fofi, uomo che non si mai lasciato lusingare dalle sirene del mercato (di destra) nonostante lavori per … …
[è chiaramente un commento scemo, ma non poteva essere diversamente]
Ma abbiamo bisogno di Fofi? Per non parlare del resto.
@ Luciano,
si è un commento proprio sgradevole, soprattutto perché esprime un giudizio su Fofi dimostrando di ignorare in maniera quasi totale il suo pensiero. La frase “probabilmente per Fofi anche Lenin era di destra” è la spia di questa ignoranza. Perché chiunque abbia anche solo un po’ seguito Fofi sa che per lui il terzinternazionalismo fu sempre un obiettivo polemico, del quale non condivide i mezzi e neppure i fini,e quindi non si puó prenderlo como termine di paragone; la sua polemica con il terzinternazionalismo è stata coerente e costante e anche se non la condivido del tutto, credo che si debba riconoscerne la coerenza e la costanza. Fofi non merita di essere liquidato con una frasetta supponente da qualcuno che non si è mani nemmeno preso la briga di leggerlo con attenzione. Certo lei si è sforzato di autocriticare il suo commento, ma non è stato abbastanza severo con sé stesso.
E la NATO bombarda il centro di Tripoli, alé (per continuare la trenodia di Abate.
genseki
“Eppure un fatto nuovo l’iniziativa TQ lo ha proposto. Le retoriche e le ideologie che vi si sono ascoltate hanno sempre fatto appello, nel ventennio berlusconiano che abbiamo alle spalle, al più sfrenato individualismo. Nel corso della discussione TQ quelle retoriche invece sono emerse, sì, ma come un rigurgito retrovirale: all’interno di un consesso di persone che – individualiste e narcisiste sino alle midolla – sia pure con la massima confusione avvertono, e affermano, che è tempo di darci un taglio. Di elaborare nuove pratiche comuni fondate – se possibile – su una concettualizzazione che si traduca in un’assunzione di responsabilità collettiva, comune.”
Questo mi pare il vero merito di TQ, la sua occasione che ho condiviso fin dall’inizio. Vedremo come procederà.
p.s., un piccolo appunto affettuoso ad Andrea, almeno un poetastro era stato invitato, ma viveva a Città del Messico :)
Forse è sul concetto di “collettività” che qua non ci s’intende; ovvero: da quali pratiche proviene questa necessità di fare gruppo? In soldoni: qual è il confine che tiene dentro o fuori? Non s’è ancora sentito nulla in proposito…
Son felice e son contento che finalmente si inizi a parlare anche su NI di questa scandalosa YTAGLIA (anzi YTAGLIETTA) ROMANZOCENTRICA e che infine qualcuno inizi anche qui abbia l’acume di rilevare che esso è problema tanto ‘politico’, quanto ‘formale’ e non pettegolezzo pseudoletterario.
L’YTAGLIA ‘senza poesia’ è stata ed è, dagli 80 in avanti, l’Ytaglia senza utopie, senza sogni, senza lingua, quella che sa solo ‘raccontar storie’… Come il suo Presidente del…. Coniglio
lv
Helas!
Errata : c’è un “inizi” in più, ovviamente, fretta malnata..
leggasi:
“e che infine qualcuno anche qui abbia l’acume di rilevare…”
Posso solo dire, molto semplicemente, che l’intervento di Cortellessa mi sembra molto sensato e utile anche in senso, come dire?, politico? Il nodo è il mercato (e la voglia, un po’ in falsa coscienza, di ‘contare’): il resto è autogiustificazione fumosa da anime belle e segreta fascinazione del …. Potere. Poi viene anche il dubbio che a certe “convention” sia molto meglio non andarci proprio e fare, scrivere, pensare agire, sempre in “situazione”, sapendo bene con chi si ha a che fare.
Fofi è un vecchio arnese, sarà almeno un ON (ottanta novanta), ma ne dimostra CC (cento centonovanta, indistintamente): non ha certo partecipato all’adunata. Quindi immagino abbia letto le dichiarazioni d’intenti contenute in numerose interviste rilasciate ai giornali padronali da alcuni importanti camerati TQ, all’insegna del (D)Io), (Letteratura) Patria e (reddito di capo) Famiglia! Oppure: Scrivere, Asserire, Dibattere!
Fofi fa certo parte di un manipolo di disfattisti che secondo sacrosante logiche cameratesche va annientato, quantomeno sottoposto a cura rieducativa a base di colpi di Manganelli.
Rimane che le dichiarazioni di intenti dei TQ (Tali e Quali quelli della generazione precedente) non siano state altro che patetiche rivendicazioni di superiorità scrittoria sui PQ (Para Quli) della generazione precedente, o penose rivendicazione di maggiori spazi, invocanti maggiore attenzione nei propri confronti da parte di programmi televisivi e istituzioni politiche come i pessimi assessorati alla cultura.
Comunque, nel linguaggio politico, quando le rivendicazioni sono fatte per migliorare la condizione lavorativa e sociale di tutti i soggetti in campo, sacrificando anche un po’ dei propri eventuali privilegi, si tratta di qualcosa di sinistra. Quando, invece, si fanno battaglie minoritarie per migliorare la propria condizione lavorativa o sociale, a danno di quella di qualcun altro, allora si tratta di qualcosa di destra. Più o meno. Si tratta di ABC. Il movimento intellettuale letterario TQ, esprimendosi come si è espresso, c’è poco da fare, è un movimento culturale di destra. Non a caso è cooptativo e impoetico, non a caso le prime dichiarazioni di intenti partirono dalle colonne del giornale di Confindustria.
Noto anche la limitazione geografica: trattasi di TQ romani, per di più Roma centro. Bisognerebbe almeno allargare a TQ Roma Garbatella, TQ Roma Tartufello, TQ Roma Dragona, TQ Roma Settebagni ecc Ma alla fine allargare all’inverosimile le cellule TQ alle province, alle regioni e alle macroregioni, che poi si dividerebbero in microcellule TQ di paese, di quartiere, di condominio, di cortile e di corte. Dimodoché, se per esempio la Tv dovesse dare spazio a uno qualsiasi dei TQ, mettersi tutti a far caciara, attaccarsi alla par condicio, pretendere uguale spazio per tutti, che un’intervista da Marzullo non sia negata più a nessuno. Dacché ancora in democrazia siamo, e la democrazia ci ha questo di bello, che è stronza alla pari con tutti quanti.
con fermo
“Di elaborare nuove pratiche comuni fondate – se possibile – su una concettualizzazione che si traduca in un’assunzione di responsabilità collettiva, comune”.
Per come la penso, è un simile lessico critico (indeterminato, involuto, inutilmente complesso) la spia più evidente della confusione e dell’incertezza con cui i TQ si muovono. Come se i TQ stessero camminando sulle uova. Cambiare il mercato, ma contro il mercato. Siamo individui ma dobbiamo muoverci come lobby (di ciò, in sostanza, si sta parlando: e le lobby ci sono sia di destra che di sinistra, sono trasversali, ahinoi…).
Il problema fondamentale è che i TQ hanno accettato come punto di partenza pacifico, acclarato, che le opere e la scrittura non contano più nulla, ma che oggi servano strategie di potere differenti.
Manca, insomma, la carne e il sangue del lavoro: di cosa stiamo parlando? quale letteratura avremo fra vent’anni?
Niente, tutto ciò è ormai sparito dal campo critico. L’ultimo tentativo, per quanto autopromozionale, è stato del New Italian Epic. Oggi, davanti ai TQ, mi ritrovo a sentire nostalgia del saggio di Wu Ming. Almeno lì c’era una visione letteraria forte. Oggi, i TQ non offrono nulla se non la loro carriera brillante. Ma allora, dico io, prendetevi un buon ufficio stampa…
Almeno lì c’era una visione letteraria forte
Ma stai dando i numeri?
La cosa più interessante dell’articolo di cortellessa è la genialata di aver riportato il documento dell’unesco del 1997.
Tale documento non solo andrebbe distribuito ai TQ ma a tutte le scuole e anche a quelli che laserta vede come portatori di una visione forte. Io ora come ora spero solo nei dieci-venti-trentenni, anche se temo che se le cose continueranno ad andare avanti come ora, loro si dovranno improvvisare archeologi e fare scavi per riuscire a trovare tracce, sotto strati di calcare, della cultura del passato, ad ogni modo sono sicura che ce la faranno: ai giovani piacciono sempre le cose difficili.
PS.
Io personalmente preferisco i TQ (tali e quali?) come sono adesso che molti di quelli del passato (cinquanta sessanta) spacconi e smargiassi che credevano che tutto sarebbe sempre andato a migliorare e soprattutto senza la loro partecipazione e responsabilità e che loro potevano allegramente fregarsene di ogni apporto culturale che non fosse il loro … insomma questi almeno per un motivo o per l’altro (anche di sopravvivenza) il problema se lo pongono e non solo ideologicamente, ma umilmente proprio come responsabilità personale … poi se fra i TQ non ci fosse nessun grande, amen non in tutte le epoche ci sono i grandi ;-). L’importante è resistere e tenere sempre i macchinari ben oliati. I tempi sono parecchio bui.
GEorgia come scriveva Guy Debord, “sì gruosse” (trad. la penso esattamente come te) effeffe
perdonami, Georgia, non vorrei essere frainteso.
citavo il NIE, dagli esiti modestissimi, come un movimento letterario titanico rispetto alle fievoli volontà lobbistiche dei TQ.
Perchè, secondo me, c’è solo la volontà di sostituirsi alla generazione dei padri (ma quali?), all’interno dell’industria culturale.
ecco, mi sembra un programmino piuttosto misero. al cui confronto, la spocchia dei wu ming svetta per acume culturale (ecco, era un’affermazione paradossale, georgia).
io credo si debba partire dal proprio mestiere/vocazione: la scrittura. come movimento e come singoli.
altrimenti, si partoriscono cose misere come queste riunioni scombiccherate e i poveri interventi che stanno seguendo in questi mesi…
Lello, scusa, ma io questa battaglia non l’ho mai condivisa e mai lo farò, da quello che dici tu sembra addirittura che il male provenga dai libri, quando siamo al contrario uno dei popoli più vergognosamente ignoranti che esistono, quindi non capisco dove sarebbe il male a desiderare più spazio per i libri e a volerne infilare un po’ dappertutto. E ancora, da poeta a poeta, dico solo: meno male che ci sono mutismi che costringono alla riflessione o sai che inferno di pappagalli e cicale e preghiere e filastrocche che di poesia scadente ce n’è pure in abbondanza a far danni e non è il romanzo a togliere spazio alla poesia, cosa che riesce a fare benissimo da sola, quando si mette in posa, con la sua ingiustificata presunzione di superiorità e l’eterno lamento di vittima negletta, poi, è anche vero che è un elemento in più a spingere alla fuga. Nè ruolo ancillare, né ieratico, per carità, io sono per una poesia autonoma, che vada per la sua strada, senza dover sgomitare con chi sta al fianco, percorrendo un’altra, la propria, di strada.
Di Lello Voce, però, se posso concedermi una digressione fuori tema, (e neanche tanto perché è sempre della controversa questione del pubblico che si tratta), condivido invece un’altra contesa, quella contro i cattivi performer: ci sono poeti che si professano antiperformativi e non di meno si ritrovano spesso su un palco, al contrario dei romanzi che ognuno si legge da sé, per lo più. Io ho assistito personalmente alla lettura di una poetessa molto apprezzata che sarebbe eufemistico definire ignobile: quest’altra posa mi risulta molto indigesta, come si può ricercare, nello stesso tempo, il consenso, l’apprezzamento del pubblico verso il quale si mostra totale disprezzo e noncuranza? Allora qui c’è una contraddizione: lo snobismo del poeta che non scende dal piedistallo, che non si concede, ma che lamenta la scarsa attenzione che suscita. Allora, invece di scaricare su altri le proprie resposabilità, perché non si interroga sulle proprie contraddizioni, perché non si fa un esame di coscienza e non comprende la più banale delle verità, e cioè che è noioso, irritante, presuntuoso (altra cosa è che io possa pure finire per trovare in qualche modo attraente la sua scostante presunzione, la sua posizione indifendibile, il suo totale disprezzo nei mie confronti e possano piacermi pure i tipi noiosi) e che deve ritenersi fin troppo fortunato a trovarsi di fronte un pubblico talmente educato che non si presta al tiro all’ortaggio. Perché un cantante, il più stupido che sale su un palco, mostra un rispetto e ottiene gradimento mille volte superiore? perché sa che deve concedersi senza risparmio. Questa poesia non prende neanche in considerazione l’ambizioso progetto di crearselo un pubblico, è senza pubblico e basta perché si presume autosufficiente. C’è il performer che ricerca l’applauso e quello che ricerca lo sputo e ci marcia, 2 forme complementari di narcisismo. Dopo di che, è vero che non tutta la poesia deve assecondare o blandire o stordire o divertire o bastonare e scuotere il pubblico, ma allora non lamenti l’esclusione dal circuito che si è dettata consapevolmente con metodo.
maria, certi scienziati sono bravi divulgatori e altri no, certi accademici sono bravi a tenere seminari e altri no, ma non si può usare questo criterio per giudicare la qualità del loro lavoro scientifico. anche in campo musicale non c’è necessaria coincidenza tra autore e performer. il performer che sale sul palco non è l’autore o se lo è, lo è soltanto per accidens.
ciao,
lorenzo
No, Lorenzo, non mi sono spiegata: non è la voce naturale di un poeta che legge, incerta, balbuziente, timida…a respingermi, anzi trovo commoventi certe polverose registrazioni da collezione. Quello che mi urta è questa posa innaturale, tutta impostata, accuratamente predisposta per non orientare, (ma lasciata alla totale e deplorevole imperizia tecnica di chi attore non è ) questa lectio da rigor mortis che mi si infligge come liberatoria, questo dilettantismo che dovrei accogliere addirittura con gratitudine
insomma, un bambino delle elementari legge meglio e che insegnamento dovrei trarne?
@ Larry Massino
Attento a non liquidare sbrigativamente Fofi, sa’? Ce sta de mezzo la coerente posizzione sur terzinternazzionalismo … estica…
PS Ma nun ce sta la sezzione TQ Nuova Salaria?
ah beh caspita maria, su questo sono assai d’accordo :)
“POESIA IN PòSA”, I would say.
lorenzo
[…] nel migliore dei casi, a rendere possibili. Dopo Andrea Libero Carbone , Simone Barillari e Andrea Cortellessa, ho chiesto ad Andrea Inglese di intervenire con una sua nota condivisa nella discussione in atto […]