L’impasse liberale
Ci sono economisti di destra e di sinistra che oggi assistono con lo stesso entusiasmo infantile alle peripezie di un uomo sprovvisto di ogni ideologia, desideroso solo di fare i propri interessi e allo stesso tempo in corsa, armato di scarpe da ginnastica e skateboard, verso una vertiginosa e permanente emancipazione dei costumi. Va da sé che per gli uni e per gli altri non esiste più nessuna alternativa al mercato. Per dirla con il mio amico filosofo Jean-Claude Michéa (L’insegnamento dell’ignoranza, Metauro, 2004, L’impero del male minore, Scheiwiller, 2008), il modus vivendi degli individui del nostro mondo liberale si è pian piano ridotto a quello di particelle elementari in perpetua fluttuazione preoccupate solo di limitare al massimo i rischi di una collisione. L’imperativo è sbarazzarsi di tutto ciò che garantisce un «legame di reciprocità» tra gli uomini. Bene, questo uomo, che alcuni chiamano già «post-storico», non ha neppure più bisogno del pensiero. Come afferma un altro filosofo francese, Dany-Robert Dufour (Le divin marché. La révolution culturelle libérale, Denoel 2007, La Cité perverse. Libéralisme et pronographie, Denoel 2009), egli ha completamente rinunciato al nous, a quella parte di anima attiva che regola le passioni o, con un linguaggio più vicino a noi, le pulsioni. Si è arreso all’epithumia, che Platone situava nel basso ventre. Da qui si comprende la sua passività, il suo desiderio galoppante di godimento materiale, il suo percepire le leggi del mercato come leggi di natura. Cornelius Castoriadis (1922-1997), uno dei filosofi più originali della seconda metà del XX secolo e troppo poco conosciuto in Italia, a chi lo accusava di essere ellenocentrico, rispondeva che nell’Atene del V secolo si trova il germe di qualcosa. Di che cosa? Della messa in discussione di se stessi (Relativismo e democrazia. Dibattito con il MAUSS, Elèuthera, 2010). La filosofia, la democrazia, l’arte sono tutte creazioni nate da questo germe. L’uomo delle nostre società liberali di destra e di sinistra, per il quale arricchirsi è il solo scopo, oggi confonde non solo il “politico” (ciò che concerne il potere in una società) con la “politica” (ciò che mette in discussione le istituzioni esistenti di una società), non solo il senso della misura con il moralismo, ma soprattutto la libertà con la liberazione: è l’uomo che gode come un infante nel liberarsi del peso del passato. Non gli passa neppure per il cervello che la libertà è un’attività che implica sforzo e immaginazione. Ogni divieto alla sua liberazione viene sentito come un sopruso. Nel libro di Michéa ho letto che in Germania, ad esempio, i difensori del liberalismo di sinistra si sono già messi a discutere sul diritto di avere rapporti cannibali tra adulti consenzienti e giudicano l’incesto come un residuo folkloristico della Storia. I liberali di destra non sanno cosa fare. Da buoni liberali, infatti, sensibili ad ogni zavorra ideologica – ad esempio quella fondata sulla critica della mercificazione del corpo femminile – si sono visti costretti ad accettare la prostituzione sotto la categoria economicamente utile di «servizio alla persona». Se il liberalismo di destra è messo in croce dalle sue stesse premesse – come impedire la prostituzione senza nuocere all’esercizio della libertà di qualcuno? – il liberalismo di sinistra cerca di ampliare illimitatamente i confini del diritto chiamando questa sua azione «lotta contro tutte le discriminazioni». Destra e sinistra non fanno così che perpetuare un movimento senza fine che coincide, come ci ricordano Michéa e Dufour, riprendendo Hobbes e Sade, con il «diritto di tutti su tutto», che niente ha a che fare, come direbbe Castoriadis, con quel germe sbocciato nel V secolo ad Atene. La stessa natura umana è sentita ormai come un residuo del passato. Ciò significa molte cose, tutte sotto i nostri occhi: esplosione dei legami comunitari, assenza di frontiere tra le diverse età dell’uomo, fine della morte concepita come attesa e destino comune, sconvolgimento di ogni differenza sessuale. Mi auguro che il vecchio uomo, l’uomo storico, non finisca di finire, visto che dalla nascita è un essere incompleto, come lo Svevo, lettore originale di Darwin, aveva ben compreso. Certo è che se i suoi «ordigni», per restare al vocabolario sveviano, saranno soltanto tecnologici, «l’anima» – cioè quell’ordigno che da Platone in poi ci permette fin dalla nascita di sentirci sempre incompleti – sarà totalmente corrotta. Abbiamo bisogno di rigenerazione, non di un secondo uomo post-umano. Abbiamo bisogno di una critica della ragion scientifica. Abbiamo bisogno di ricordare che questa tecnoscienza a cui ci inchiniamo ogni giorno riposa e sogna come un roseo infante (“Little boy”) su una grande nube a forma di fungo che è il vero peccato originale su cui si fonda la sola religione della nostra civiltà occidentale contemporanea.
è un piacere leggerti.
Brillante! Complimenti!
ecco.
ci voleva
mi fa piacere, anzi mi conforta, che Rizzante abbia usato la parola epithumia (che io non conoscevo).
E’ proprio così, il basso ventre, ormai, è il criterio che regola le nostre passioni trasformando il desiderio in perversione e riducendo i nostri comportamenti a meri riflessi dell’istinto.
E invece le passioni devono abitare la nostra anima per scompaginare la scala di valori che passivamente diamo per “naturale”.
La liberazione richiede sforzo (studio, tolelranza, ascolto, riflessione) e immaginazione, si, certo, ma forse richiede anche un metodo e prima ancora un sentimento: il sentimento del bene comune.
Mi trovo in grande sintonia con l’articolo che Rizzante c’ha proposto.
Mi pare che dobbiamo convenire che delle tre parole guida della rivoluzione francese, due siano troppo cariche di ambiguità per essere utili nel concreto operare politico, la libertà intesa come qualcosa che abbiamo dalla nascita e non come conquista personale da perseguire nella propria vita, uguaglianza che rischia sempre di confondersi con uniformità.
L’unica che davvero dovrebbe salvarsi, la fratellanza, come sappiamo, è la più trascurata ed andrebbe invece valorizzata.
È vero: abbiamo bisogno di una “rigenerazione” … Ma per andare verso dove?
Qual è l’alternativa al mercato? Cosa può riportare in primo piano il “comune”, il “noi”, il “legame di reciprocità”?
Dalla parte finale, parrebbe che ci sia “bisogno di una critica della ragion scientifica” … Ma cosa vuol dire? E quali sono le forme concrete di questa “ragion scientifica”? E qual è l’alternativa alla “ragion scientifica”? La conoscenza non ha forse bisogno della “ragion scientifica”? E noi, abbiamo ancora bisogno di conoscenza?
La “ragion scientifica” non è anche quell’immenso patrimonio conoscitivo che ha permesso all’umanità, tramite continui ripensamenti e messe a punto, di accrescere le proprie potenzialità? Non è forse, la “ragion scientifica”, anche quel bagaglio di teorie, di tecniche, di invenzioni, di linguaggi che hanno permesso all’umanità di trasformarsi in qualcosa di meglio?
Certo, la “ragion scientifica” ha anche permesso Hiroscima e Nagasaki e Cernobil … Ma ha permesso solo questo? E poi: la “grande nube a forma di fungo” è davvero il peccato originale? E chi l’ha creato, questo “peccato” sotto forma di fungo? Dove risiedono le sue basi (economiche, militari, scientifiche, politiche)?
L’uomo “storico”, quell’uomo che ci si augura che “non finisca di finire”, cosa può fare per fare valere le sue istanze nel tempo dell’alienazione? Se si vuole evitare di darla vinta al pensiero “liberale”, cosa deve fare l’uomo che si riconosce diverso dal solo arricchirsi? Quali sono le basi della sua realizzazione in quanto “uomo totale” e non in quanto essere limitato al gretto “basso ventre”? Basta davvero richiamare “il germe dell’ellenismo”?
Il “godimento materiale” è solo una prerogativa dell’uomo “liberale”? L’arte non è anche un godimento materiale? E la fame che viene soddisfatta? E la sessualità? E la politica che mira a redistribuire le ricchezze non cerca forse di collettivizzare un godimento materiale? Il godimento in sé, il desiderio, gli impulsi del basso ventre, non sono il negativo: negativa è la loro privazione (o privatizzazione). Il diritto al godimento è rivoluzionario.
Il “diritto di tutti su tutto”, qui giustamente stigmatizzato, è il diritto liberale (un tempo si diceva “borghese”). Allora riprendiamo a cercare la “diseguaglianza del diritto” (Marx)?
Ma non era, il pensiero “liberale”, “l’anima” del capitalismo? E la “democrazia” non è diventata parte integrante di quell’anima, la sua realizzazione nell’ambito della forma di governo? Gli “economisti di destra e di sinistra”, al pari degli uomini “delle nostre società liberali”, sono i portatori sani del liberalismo; la “democrazia” è la sua compiuta affermazione pubblica. L’individuo può solo omologarsi a quell’inesorabile patto. A meno che … A meno che non riprenda a pensare l’uscita dal capitalismo … Che nome diamo alla forma di questa uscita? E quali sono le strade concrete da prendere? Quale pensiero può prepararla e farla diventare un’uscita praticabile per molti?
E se, molto semplicemente, cominciassimo a chiamare le cose col loro nome? Se ci dicessimo, così, tra di noi, molto chiaramente, che l’anima non è corrotta da “ordigni tecnologici” o da una perversa “ragion scientifica”, ma dal ciclo D-M-D (dal capitale, insomma), e che quindi il problema non è “l’impasse liberale” ma ciò che gli sta dietro? Non sarebbe tutto meno ambiguo?
NeGa
Se l’uomo avesse rinunciato completamente al simpatico Nous e vivesse solo di Epithumia non si spiegherebbe perché milioni di persone si sveglino tutte le mattine e vadano a prendere treni simil carro bestiame per recarsi a lavorare per un salario rattrappito e contratti biodegradabili con la rugiada o al tramonto, invece di assaltare banche, violentare prostitute e assassinare i datori di lavoro arroganti.
In realtá a me pare che mai come oggi l’uomo (detesto scrivere questa parola) sia sottomesso a un controllo razionale, abbia accettato fine nella sua piú intima struttura il controllo razionale nella sua forma piú meccanica quella tecnologica. A volte, per esempio, guardando il barista alla mattina che prepara caffé e capuccini, a colazioni senza fermnarsi con una serie di gesti ripetuti e stereotipati mi viene da pensare all’enorme forza di coercizione storica e sociale che puó spingere un corpo a negare il suo essere organismo biologico nello spazio con una tale schiacciante violenza.
Non so ma a me pare piuttosto che mai i processi di socializzazione siano giunti a un livello tale di integrazione. Qualsiasi cosa ci circonda è il prodotto di una massa enorme di lavoro socializatto ferreamente coordinato da una necesstá razionale.
“Il diritto di tutti su tutto” è concepito al rovescio, basta solo metterlo ben dritto con i piedi in terra e la testa in alto: Ognuno come parte della specie umana ha diritto a tutto ció di cui ha bisogno per una vita umana. Cioè il diritto a tutto è il diritto della comunitá del collettivo.
Nel quinto secolo la societá greca era una societá schiavista! E da li non si sarebbe mossa senza venire in contatto con un altro germe beduino sorto nel deserto della Palestina con buona pace di Castoriadis.
`genseki
@genseki
Ma no, anche la cieca obbedienza è un istinto del tutto naturale, come è facile riscontrare in società animali, ad esempio nei branchi di lupi, dove si osserva chiaramente la sottomissione al lupo capobranco, senza che si ammazzino tra loro.
Eppoi, la razionalità oggi latita: dove starebbe questa razionalità? Vogliamo definire razionali i comportamenti dei banchieri che mettono perfino a repentaglio la stessa sopravvivenza delle loro banche per potersi concedere stipendi illimitati? Nella loro mente c’è la pretesa di accedere a qualsiasi loro desiderio, ed è proprio nei potenti che vediamo agire questa cieca ricerca di ogni privilegio, dell’incapacità di imporsi limiti di qualsiasi natura, proprio a livello della loro stessa individualità.
Io non vedo alcuna razionalità, vedo soltanto una certa abilità tecnologica che però anch’essa mostra i suoi gravi limiti nelle situazioni di emergenza, come nel caso del disastro nel golfo del Messico dell’anno passato. Direi piuttosto che qui si tratta di comportamenti da apprendisti stregoni che pretendono di maneggiare situazioni che in realtà non sono in grado di maneggiare.
Così, se vogliamo adottare, come lei e me, una logica collettiva, dobbiamo per sempre abbandonare la retorica dei diritti, che finiscono per essere sempre i diritti dei pochi potenti a spese di tutti gli altri.
Forse, l’unico diritto che tutti gli uomini hanno è quello di condividere quelle opportunità che esistono. Voglio cioè dire che bisogna partire dalle disponibilità e non da ciò che l’individuo pretende per sè.
@genseki
..violentare prostitute ?
l’impasse liberale ha causato il nero-fuori (o il fuori nero!) (o anche il comunissimo black-out) delle poste italiane… mi sono arrecato cinque volte negli uccisi postali… ho ratto due file… e ora si so che cosa è l’impasse liberale… eccome ha detto un vecchio che avrebbe desiderato rimanere coricare e che un po’ coricava sulla panchetta, rivolto all’impiegato sbraitente: “wè dottò almeno non facite arrumore che qua tenimm sonn eddurmire”… ecco allora che da questo sonno tanto da dormire avrei voluto abbricciare il vechietto alla cintola e farlo volare volare volare… ma quello, capite le mie intenzioni, s’ha ritratto (col fotocellulare) e ho capito che gl’interessava solo dormire e prendere quel po’ di paga schifosa del governo…
e io pago l’impasse… pass pass
@ng
Il diritto al godimento è rivoluzionario???
A me pare solo istintivo, o se preferisce spontaneo.
E quindi cosa vogliamo il godimento di tutti garantito dallo stato?
Non so, credo di non avere capito.
@ Vincenzo Cucinotta
Il godimento materiale è la base di ogni movere umano, di quello politico compreso.
Io godo dell’arte: godo nel farla e nel fruirla. Godo della sua materialità artistica.
Io godo del cibo: nel prepararlo, nell’offrirlo, nell’assaggiarlo. Godo della sua materialità nutritivo-alimentare.
Io godo del sesso: nel farlo. Godo della materialità corporea.
Io godo di un paesaggio: nel viverlo, nell’osservarlo, nel difenderlo. Godo della sua materialità terrestre.
Io godo dell’altro: nell’aiutarlo, nell’ascoltarlo, nel rispettarlo. Godo della sua materialità umana.
Etc., etc..
Prova a mettere vicino, a ogni tipo di godimento, la sua privazione.
Chi può godere dell’arte?
Quanti, nel mondo, non possono godere del cibo?
Com’è vissuta la sessualità?
I paesaggi subiscono violenza?
L’Altro, il diverso da noi, come se la passa?
Sì, il diritto al godimento è rivoluzionario.
“Lacan propone di individuare nel godimento la “cosa stessa” indefinibile e denegata, l’elemento chiave del nostro essere soggetti politici […] Fare i conti con i fantasmi del godimento che strutturano il nostro sguardo sul mondo”.
Zizek, “Il godimento come fattore politico” (Cortina Editore)
per Ares,
e che ne so? Non sono epithuimico io! Pensavo che potesse essere una cosa molto epithumica, cercavo di immaginare un epithumico nel pieno della sua corrispondenza al suo concetto, un epithumico an und für sich per dirla come il mio amico Ramón el charcutero, in un treno pieno di pendolari e nigeriane come quelli che ricordo io tanti anni fa nella brumosa Padania in piena azione senza nous. Uno strosscan su trenitalia insomma.
ok, genseki però prima di tutto le pendolari nigeriane nel treno non è scontato che fossero tutte prostitute (certo nella brumosa padania lo avranno pensato, ma solo i razzisti generalizzano) e poi cavolo un epithuimico che ha appena rapinato una banca la prostituta se la può tranquillamente pagare o no? Okkei essersi perduti la nous, ma insomma anche gli epithuimici (anzi soprattutto loro) cercano istintivamente la via più breve e più semplice:-) è un legge naturale evoluzionista.
Georgia,
Non so, sai, quando sono tornato dall’Africa, dopo tanti anni, ho preso un treno pendolari nella brumosa padania, ed era pieno di nigeriane, cioè di ragazze africane, ma a me pareva naturale che un treno fosse pieno di ragaze africane, il solo treno camerunese era sempre pieno di reagazze africane e cosí sono andato a sedermi il mezzo a loro e mi sono messo a leggere il giornale. Solo che tutti i pendolari e le pendolaresse mi guardavano come fossi un strosscan epithumico e ci ho messo un bel po’ a capire il perché, anche le africane mi guardavano strano ma ero cosí strianito che non mi sarebbe mai passato per la testa che fossero prostutute ero fermamente convinto che fossero studentesse. Qui a Al-andalus, la maggior parte delle ragazze africane lavorano coñe commesse e nelle imprese di pulizia. Non piaccione le africane, ma le cinesi, qui, che negli annunci chiamano giapponesine, come dice il mio amico charcutero (non tutti abbiamo la fortuna di avere un amico filosofo) Ramón agitando un chorrizo di Jaén. con movimento inequivocabile da iperepitumico nato.
genseki
ma che scamosciamiento di uallera
Da quando, in Nazind, si sono attivati i Maestri di Dottrina NG e Genseki non me ne perdo una. Il movimento per i diritti dei cavolfiori ha finalmente due teste di ponte di tutto rispetto.
Finalmente, da oggi, chi gode è un materialista; gli altri, non essendo materialisti, col piffero che godono (o fanno finta, come certe donne). Leggasi qui:
“Io godo dell’arte: godo nel farla e nel fruirla. Godo della sua materialità artistica.
Io godo del cibo: nel prepararlo, nell’offrirlo, nell’assaggiarlo. Godo della sua materialità nutritivo-alimentare.
Io godo del sesso: nel farlo. Godo della materialità corporea.
Io godo di un paesaggio: nel viverlo, nell’osservarlo, nel difenderlo. Godo della sua materialità terrestre.
Io godo dell’altro: nell’aiutarlo, nell’ascoltarlo, nel rispettarlo. Godo della sua materialità umana”
(Da “Lezioni di un godurione materialista e storico”, tomo II, glossa 45)
@ Tricorno & Bombacci
sei un mito!
“Lezioni di un godurione materialista e storico” mi piace un casino!
ah, dimenticavo …
ci aggiungerei “dialettico”, così, per la precisione …
Non sono sicurissimo che il godimento (materiale o no) sia il principale movente umano.
Bloch parlava della fame …
Per non parlare della piramide di Maslow…
Un bel nous-nous al bar di Ephitumia metterebbe a posto tutto…