Tutte le poesie di Anna Cascella Luciani
di Biagio Cepollaro
[dato che l’editore Gaffi mi ha cortesemente inviato il volume Tutte le poesie, di Anna Cascella Luciani, ho chiesto a Biagio di scriverne una recensione da poeta, e questo è quello che mi scrive., a.s.]
Caro Antonello,
mi chiedi di scrivere qualcosa su Tutte le poesie di Anna Cascella Luciani. Un volume di 800 pagine che raccoglie le poesie scritte tra il 1973 e il 2009 e pubblicate dall’editore Gaffi di Roma, con introduzione di Massimo Onofri.
Dunque la prima cosa che mi salta agli occhi è la fedeltà, la continuità della postura attraverso i decenni. Lo stile, pur conoscendo delle variazioni episodiche significative, fondamentalmente resta lo stesso come una sorta di ‘sostituto’ dei fatti. Uso quest’ultima espressione perché credo sia proprio la relazione tra la parola poetica e i fatti della vita ordinaria una delle questioni affrontate. Certo, la tradizione classica, latina e greca, certo la nostra tradizione che va da Penna, Saba, a Cardarelli, a Caproni … Giustamente viene subito rilevato. Ma quel che conta, a mio avviso, non è quanto di già visto si torni qui a vedere, ma un discorso sotterraneo che, a dispetto di una dichiarata assenza di metapoesia, in fondo poi è metapoetico. Quel discorso sotterraneo ci dice che la vita, tutta la sua vita con i suoi lutti, i suoi innamoramenti, le sue banalità, i suoi contrattempi, richiede una certa distanza di percezione. Questo spazio guadagnato dalla percezione (e quindi sottratto all’emozione e alla passione e, a maggior ragione, all’utilità) è esattamente lo spazio che sarà riempito dalla parola poetica che sovverte le gerarchie, lenisce o esaspera il dettaglio, connette nel discontinuo, spezza ogni prevedibile uniformità. E’ quel sapere del ‘privato’ contro ogni ideologia, è quel portato inizialmente femminile del radicamento ottenuto senza fondamento, per pura adesione alla vita per quel che nella vita appare. E di queste apparizioni il volume pullula: attraverso i decenni tracce di passaggi, frammenti di esperienze costellano un’archeologia di incontri. Discorsi come sentieri interrotti. Ma sempre poi ripresi da un’altra parte e sempre in fondo privi di conclusione.
Mi pare di non vedere reali e consistenti sviluppi stilistici. Deviazioni temporanee, sì: talvolta il verso si allunga e si complica venendo meno alla sua ideale paratassi ma non giunge mai alla vera e propria riflessività. Il dire subito viene ripreso e moltiplicato da un tema marginale, un colore, una nota, un dettaglio rievocato. Digressione orizzontale del sensoriale: da sensazione a sensibilità sempre acuminata , tendenzialmente festosa e quindi ironica nel dolore, ironica e a suo modo spietata. I versi che si potrebbero prelevare a mo’ di esempio sono tanti e in una quantità così elevata scegliere è inevitabilmente fare torto. Potrei citare come suo stilema, come cifra di brevità, ironia, spregiudicata classicità e leggerezza maliziosa una poesia che, tra le prime, compare a pag. 67 : ‘Cosa fai con quella faccia d’angelo / seduto ad un bar marino / di provincia, / gli stivaletti / nel caldo dell’agosto / ti consumano i piedi / delicati / sembri cercare / a chi cavare il cuore / con la punta di dita / generose, / hai la camicia aperta / fin sul petto, / e questo / è quanto basta ad un mio amore.//.
Da notare la situazione come viene immediatamente mitologizzata dall’aggettivo ‘marino’ non senza il taglio ironico che prepara la descrizione della figura seduta che ha il sapore pasoliniano del marginale, dell’erotico connesso al degrado. Dove la ‘faccia d’angelo’ viene subito rintuzzata dall’informazione circa la pericolosità sentimentale del soggetto in questione. Ma tant’è, la camicia aperta chiude ogni discorso e supera ogni inutile difesa dal desiderio. La classicità qui è anche assoluzione del corpo che desidera e dei suoi travagli. Vi è in fondo una resa alla durezza della vita che in cambio vuole solo la sua risposta estetica, la bellezza. Il libro riecheggia continuamente di fiori, colori, spezie, sensualità diffusa che impedisce la verticalizzazione del pensiero ma anche la sua ideologia, appunto.
Una delle ultime poesie, dal caratteristico aspetto di notazione a margine, di riflessione puntuale e improvvisa a partire da qualcosa di osservato nel quotidiano e immediatamente trasfigurato in segno del destino o sintomo di condizione, si presta a mostrare la tipica leggerezza dell’autrice che si rispecchia fedelmente nel volo delle migrazioni. Non a caso tra parentesi compare come titolo la parola ‘vita’, a pag. 717:
‘mi conquistano le date / migratorie – quel partire / in volo degli uccelli- / quei viaggi celesti- / sortilegio resistente- / istintivo – sapiente / del dirigersi-andare- / quel venirci a trovare / pur senza conoscerci- / miracolata specie immune / dalla certezza fatale / del tracciato.’ E di fatto pare che tutta la sua la poesia sia un continuo deragliamento rispetto ad un possibile tracciato: una sorta di strutturale digressione che permette al desiderio di essere il motore del gioco e alla poesia di cantarlo.
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Il ritratto di Anna Cascella è del supersaccheggiato (anche da me) fotografo Dino Ignani. Ho scoperto i versi di Anna Cascella sul n. 59-60 (luglio-dicembre 1978) di “Nuovi Argomenti” e da allora ho inseguito le tracce (rare) di questo poeta essenziale e prezioso, appartato e discreto. Mi procurerò subito l’antologia (che verrà presentata a Roma, il prossimo 7 giugno, da Elio Pecora).
molto interessante.