Verifica dei poteri 2.0: Matteo Di Gesù
[Matteo Di Gesù risponde alle Cinque domande su critica e militanza letteraria in Internet a proposito di Verifica dei poteri 2.0; qui le risposte precedenti.]
1. Le linee fondamentali di questa ricostruzione ti sembrano plausibili?
Sì: il saggio offre una ricostruzione esauriente, si fonda su presupposti adeguati e condivisibili ed è criticamente incisivo.
2. Quando e perché hai pensato che Internet potesse essere un luogo adeguato per “prendere la parola” o pubblicare le tue cose? E poi: è un “luogo come un altro” (ad esempio giornali, riviste, presentazioni o conferenze…) in cui far circolare le tue parole o ha delle caratteristiche tali da spingerti ad adottare delle diverse strategie retoriche, linguistiche, stilistiche?
Non sono stato né un pioniere né un apocalittico: ho cominciato a pubblicare su internet quando se ne è presentata l’occasione, all’inizio anche con una dose di curiosità per il nuovo “luogo” di pubblicazione e soprattutto per il tipo di ricezione che poteva determinare (e parlo di tipologie di testi piuttosto diversi: saggi accademici, recensioni, articoli). Certamente è un mezzo diverso da quelli, per così dire, tradizionali, ma non mi pare che tale consapevolezza (posto che la mia consapevolezza del mezzo sia davvero adeguata) mi abbia indotto a modificare drasticamente il modo in cui scrivo. Considero internet un supporto e un veicolo con caratteristiche proprie e affatto diverse, senza dubbio, ma in svariate occasioni (per esempio quando mi viene chiesto un “pezzo” per un portale o una rivista web) temo di scrivere senza badare troppo alla sede di destinazione: il mezzo non è il messaggio, per me (quantomeno non del tutto), ma certo so bene che il mezzo, questo mezzo, il messaggio lo condiziona assai. Diverso è il discorso per un intervento estemporaneo su un blog, o in un dibattito in rete: in quel caso le mie “strategie retoriche” sono assai vincolate alla sede e al contesto.
3. A tuo giudizio, sempre riguardo alla discussione letteraria, la critica o la militanza, cos’ha Internet di particolare, di specifico e caratterizzante, se ce l’ha, rispetto ad altri mezzi di comunicazione?
La rapidità, forse a discapito dell’esattezza e della persistenza. E poi la grande disponibilità di “spazio” libero, in ogni senso: rispetto alla possibilità di scrivere di cose che in alti luoghi non avrebbero cittadinanza (e in modi, linguaggi, forme che in altri luoghi non avrebbero cittadinanza), rispetto alla quantità di battute che puoi permetterti di usare, rispetto agli interventi che un dibattito può ospitare. Chi scrive anche sui giornali credo che abbia una consapevolezza smagliante, empirica di questa differenza. In questo senso mi pare calzante l’allegoria della “nuova frontiera”: ciascuno può allestire il proprio carro, partire verso l’ovest e trovare il suo posto nella sconfinata prateria virtuale. Si tratterebbe semmai di capire quali sono gli indiani e soprattutto se l’esercizio di questa libertà non comporti il loro genocidio. Parlo dei costi sociali, evidentemente. Ma anche di quelli culturali. Produrre energia per tenere acceso tutto il giorno il pc e scrivere scemenze sui blog o sui social network avrà pure qualche conseguenza. E poi mi chiedo quanto e come internet non rischi, subdolamente, di estendere e consolidare sistemi economici, modelli sociali culturali e di consumo già egemonici (oltre ad avere, di contro, il merito indubbio di facilitare i tentativi di sabotaggio di questi e di altri sistemi di dominio).
4. Ti sembra che la discussione letteraria in rete oggi sia diversa da quella di qualche anno fa? Credi inoltre che la discussione letteraria fuori dalla rete sia stata in qualche modo influenzata da ciò che si è prodotto sul web o è rimasta tutto sommato indifferente?
Mi pare che per un verso sia cresciuta la consapevolezza di chi discute: chi interviene in una discussione in rete di solito lo fa con competenza e coerenza rispetto all’argomento. D’altro canto ho l’impressione che sia salito il livello generale di violenza argomentativa (la possibilità dell’anonimato e la scarsa persistenza di cui dicevo mi pare che la agevolino): spesso trovo insopportabile il livore isterico di certi interventi.
Con tutti i rischi delle generalizzazioni: la cesura tra le generazioni, rispetto al web, è lampante; buona parte dei critici sopra i sessant’anni, rispetto a ciò che avviene in rete, è algidamente indifferente quando non apertamente sprezzante. Di conseguenza di ciò che si è prodotto in rete non resta traccia nei loro interventi cartacei (o quantomeno questo è ciò che loro credono: nessuno può dirsi davvero estraneo alla società digitale). E dato che non mi pare che le pagine culturali e le riviste più autorevoli siano presidiate dai trentenni, le conseguenze sono ovvie. Diverso è il discorso per chi è nato un ventennio dopo. Mi permetto di riferirmi a un caso personale, solo perché mi sembra esemplare: io e gli altri cinque responsabili della neonata collana di critica letteraria “Posizioni” (Giancarlo Alfano, Andrea Cortellessa, Davide Dalmas, Stefano Jossa, Domenico Scarpa) nonché i nostri editori (i tre :duepunti) abbiamo un’età compresa all’incirca tra i 35 e i 45 anni. Facciamo libri cartacei e abbiamo intenzione di farne in futuro; tuttavia, per tutti noi è del tutto scontato considerare anche il web come spazio di informazione, discussione e intervento: il saggio di Domenico Scarpa compreso nel volume inaugurale della collana, Dove siamo?, tanto per dire, è stato pubblicato su “Nazione indiana” nei giorni in cui usciva il libro.
5. Nel saggio abbiamo lasciato fuori qualsiasi considerazione su come la rete stia o meno contribuendo a erodere i tradizionali processi di legittimazione letteraria. Pensi, ad esempio, che la possibilità offerta ad ogni lettore di dare diffusione a un proprio giudizio di gusto su un libro (siti come aNobii, le recensioni su Amazon, blog personali ecc.) metta in qualche misura in discussione il ruolo e la funzione del critico, oppure sono due ambiti diversi che non si intersecano (o non dovrebbero essere confusi)?
Mi è capitato di scrivere che lamentare la scomparsa degli intellettuali dalla scena pubblica senza considerare le trasformazioni del discorso pubblico, della sua nuova dislocazione, dei mezzi della sua diffusione è come rammaricarsi della scomparsa dei portinai ignorando l’avvento dei citofoni. Credo che valga lo stesso per la critica letteraria. Ad ogni modo dare la colpa al web per la perdita di rilevanza della critica letteraria nel consesso civile mi appare pretestuoso e fuorviante (ma è a monte, che questo mantra della crisi della critica mi sembra mal posto: non mi pare, per dirne una, che l’unico ambito del discorso pubblico a essersi degradato e impoverito, in questi anni in Italia, sia quello letterario). Per certi aspetti, oltretutto, la critica si è delegittimata da sé: arroccandosi nell’accademia o intonando epicedi sempre sullo stesso motivetto.
Ma, detto questo, trovo che la riscossa dei critici da tastiera, che scalzano dal piedistallo l’autoritario e pedante critico di professione, in nome della presunta democrazia del web e di una fraintesa libertà di giudizio, sia un’altra falsa credenza. Qualcuno dovrebbe avvisarli che sul piedistallo da tempo non c’è più rimasto nessuno: sembrano quelli che hanno cominciato a professare anticomunismo solo dopo la caduta del muro di Berlino. Credo piuttosto che stiamo attraversando una fase, confusa e incerta ma anche potenzialmente feconda, di profonda ridefinizione e ridislocazione di molte funzioni che ruotano intorno alla letteratura, compresa quella critica. Temo tuttavia che, anche nell’era digitale, a dettare legge saranno i grandi gruppi editoriali, la grande distribuzione e le logiche di mercato, magari blandendo proprio la critica dei blog.
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molto interessante