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The bomb

La Bomba
di
Simon Lane
traduzione di Anna Costalonga

La bomba esplose proprio accanto a me. Non ne sapevo niente, o quasi.
Era una bomba potente e ne rimasi disintegrato.
Non c’è niente come la morte, a farti vedere le cose in prospettiva. Se avessi saputo allora ciò che so ora, mi sarei concesso il lusso di un taxi, ma si sa, l’accortezza è sempre una dote effimera.
A quanto pare, riuscirono a ritrovare i miei denti. Avevo intenzione di andare per un po’ dal dentista, da quando un amico mi aveva fatto notare le macchie di tabacco sullo smalto dei miei incisivi inferiori. Buffo, che solo i miei denti fossero rimasti alla posterità. Quello che accadde al resto del mio corpo rimane un mistero.
Sparii in mille pezzi che volarono dappertutto. A esser franco, non mi va neanche di pensarci.

Non mi interessa per niente la politica e mi hanno insegnato fin da piccolo a non discutere di queste banalità – e neppure di quelle della religione – soprattutto mai con nessuno a pranzo, una regola a cui aderivo con grande consistenza e che io estesi di mia volontà a tutta la mia vita sonnolente e sonnambula. Per cui, non ho la più pallida idea di chi mise quella bomba lì o del perché l’avrebbe dovuto fare.

E comunque, non mi interessa, devo dire. Il tizio che lascia una buccia di banana sul pavimento, o che permette al suo cane incontinente di bagnarla con le sue schifezze, non è per forza la parte colpevole e mi potrei anche immaginare uno scenario come questo, benché esagerato: cioè uno lascia la bomba in un sacchetto di plastica perché se l’è dimenticata, tutto qui.
Sì, anche gli attentatori sono umani e nella loro trista confederazione non c’è motivo di sospettare che non ci sia anche uno imbranato, forse un novizio con tutta la volontà di questo mondo, ma con uno scarso punteggio in quanto a efficienza. Uno così verrebbe silurato, chiaro, e si manderebbero pure le scuse alle organizzazioni coinvolte.

Immagino che ci siano donne terroriste, almeno, posso immaginare donne che hanno voglia di mettere bombe, tanto quanto gli uomini, eppure ho ancora difficoltà a raffigurarmi il colpevole come diverso da un uomo.
Sarebbe un po’ una delusione venir disintegrati da una donna, e soprattutto quando ho sempre tenuto in grandissimo conto il gentil sesso, avendone amato parecchie esponenti nel corso dei miei trentotto anni con una passione e una dedizione che rendono le mie altre attività non proprio futili, ma quanto meno secondarie.

Fra queste attività, conto due romanzi di cui non vado orgoglioso ma di cui neanche mi vergogno, una mezza dozzina di racconti e un vasetto di ceramica, di anelli di terracotta non laccata, che creai a mano, quando avevo otto anni. Qualche biografo, o studioso delle vittime delle bombe, potrebbe decidere di aggiungere alla lista la mia traduzione delle “Mille e una notte” in svedese (Lottaförlag), il mio volume di saggi dal titolo “De Superficialis” e l’edizione litografata “Il Museo delle Complessità Non Dette”, nessuna delle quali sarebbe in ogni caso disponibile subito dopo la mia morte, a dispetto di quella legge Calvinista che permette allo scribacchino un salto di carriera dopo aver esalato l’ultimo respiro, per quanto ignoto al di là di un circolo di amici.
Se invece di “soldato” leggi “scrittore” puoi anche inaugurare una fiamma perpetua.

Per quanto riguarda le donne, posso solo dire che l’uomo è solo la somma dei suoi desideri , indipendentemente da quanto sul serio si prenda. Tutti gli uomini sono superficiali di natura e hanno bisogno di hobby con cui divertirsi. Che sia l’ultimo della terra o il presidente, la sua unica preoccupazione, senza usare sofismi, è il suo ciccio, e le attività a cui lo elegge. Il mio ciccio mi è sempre stato importante ed è stato pure accarezzato da alcune delle più squisite bellezze delle metropoli europee, per non parlare del Nord e pure del Sud America e ora che non ho nessuna posso dirvi che so bene di cosa sto parlando. Non ci mancano le cose proprio quando non le abbiamo? Una banalità perfetta e ridicola e pure nauseante, a vederla da dove sto, no? Che riguarda il mio ciccio, che se ne volò via, pure; strano destino, ma non più strano di altri, anche se presi a caso dall’intera gamma delle inanità, o onanità, umane.

So che non si deve prenderla troppo sul personale, che ognuno insomma fa solo il suo mestiere, che l’attentatore non mi odiava per forza, o non mi voleva fare del male, che stava semplicemente eseguendo degli ordini per una causa che sentiva sua, sì, ho un grande rispetto per la sua tenacia e il suo coraggio, dopo tutto, non ho mai rischiato la mia pelle per i miei ideali mentre ecco quest’uomo – o donna, forse – ha voluto darsi la pena, per non dire il rischio considerevole, di mettere una bomba in un luogo pubblico per la causa in cui crede, eppure mi sento un po’ deluso, non voglio dire che sono amareggiato o arrabbiato no no, al contrario, sono sempre stato fatalista, se la bomba portava il mio nome, non è colpa dell’attentatore, non sapeva che sarei stato sul treno in quel preciso istante, sono sicuro che se avesse saputo che stavo viaggiando a quell’ora e mi avesse conosciuto di persona, avrebbe fatto di tutto per mettere la bomba da un’altra parte o forse mi avrebbe consigliato di aspettare un altro treno o anche di prendere la corriera o magari di starmene a casa, finché il casino si sarebbe risolto e i treni avrebbero ripreso a correre come prima. Mio dio, con un po’ di fondi a disposizione, avrebbe perfino ritenuto giusto starsene su una limousine.

Non posso proprio dire che sarei morto dalla voglia di fare quello che stavo facendo, cioè un semplice viaggio verso un semplice posto con nessun’altra intenzione se non quella di divertirmi, dopo tutto, volevo solo andare al Père Lachaise a mettere un fiore sulla tomba di Oscar e so di certo che se avessi posticipato l’escursione, a Oscar non avrebbe fatto differenza, anche se si trattava del suo compleanno, o se anche avessi deciso di cancellare il mio piccolo omaggio, dubito che si sarebbe offeso, visto che anche lui è morto da tempo, che riposi in pace. E anch’io.
Ho iniziato il mio viaggio al Père Lachaise dieci giorni fa, senza intoppi, e ora sono a uno sputo di distanza da Oscar, e in un certo qual modo sento che l’attentatore non ha poi cambiato il mio piano del tutto, visto che sono finito là dove volevo finire, con l’unica differenza, certo, che lo sto facendo più tardi e non da vivo, ma da morto, cosa che non è proprio un dettaglio, ma comunque è perfettamente consona al mio obiettivo ultimo, che era quello di andare in cimitero e portare i miei omaggi a Oscar, un atto di cui sono ancora capace, anche se ho lasciato il mondo profumato degli uomini in lutto e sono passato in quel vuoto inodore che voi chiamate Morte e che io chiamo Casa.

Come ho detto prima, non ho idea di chi sia o sia stato l’attentatore (ché non si può assumere se lui o lei è sopravvissuta al botto) e non ho la minima idea del perché lui o lei avrebbe dovuto commettere una cosa simile. Capisco che ci sono una serie di motivi che ora vanno di moda, dibattuti per lo più da osservatori casuali seduti ai tavolini dei caffè, le cui teorie straordinarie fanno girare come trottole i camerieri, ma questo è solo chiacchiericcio posticcio, per quel che so, dopo tutto, chi può dire cosa è giusto e cosa è sbagliato, è solo un’opinione personale dhe dipende dai tuoi punti di vista e dai tuoi pregiudizi, o no? Siamo tutti capaci di tutto, possiamo accarezzare o strangolare, amare o uccidere, ridere o piangere e nessuno è più saggio di nessuno.

La storia c’entra qualcosa, credo, la gente rimane confusa dalla storia, molto, e quando dico “storia”, intendo il tempo, perché è il tempo contro cui tutti combattiamo senza quasi saperlo.
Ci si può incantare ad ammirare un campo di papaveri illuminato dal sole dietro una nuvola nel Nord della Francia, e dire che non si è visto niente di più squisito, o si può indietreggiare dall’orrore, perché sotto queste capocchie rosse ondeggianti giacciono le ossa di centinaia di migliaia di soldati, caduti e mutilati e in generale in uno stato deplorevole. E, ora che ho raggiunto i loro ranghi, posso dire con certezza che se la bomba per caso ha il vostro nome, non c’è molto che vi rimanga da fare.

Nota di effeffe
Questo racconto di Simon Lane, scritto nel periodo in cui ci furono gli attentati a Parigi di matrice islamica, lo pubblicammo su Paso Doble, la rivista che ho avuto l’onore di dirigere per circa otto anni in pieni anni novanta. Una rivista che era un vero gruppo d’azione artistica e solidale, che ha visto l’esordio letterario di Ornela Vorpsi e Veronique Ovaldé, insieme alla pubblicazione di scritti di Esteban Buch, Alix Willaert, Claudie Collomb, Maurizio Lazzarato, Andrea Inglese, Massimo Rizzante, Andrea Raos o artisti come Angela Melitopoulos, Patrick Chevaleyre, Tunga, Philippe Schlienger, Tommaso Cascella, Matteo Basilé. L’elenco è lungo e mi piacerebbe, nei prossimi mesi, riproporre in traduzione alcuni di quei testi.

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5 Commenti

  1. Quando scoppiò la bomba l’uomo in un momento strabiliante era adulto e bambino e ultracentenario avvizzito matusalemme incartapecorito esangue profeta senza favella di 978 anni che questi anni di misteriosa longevità altro non sono che delle generazioni messe una dietro l’latra e tanti se ne vedono di un nucleo di profeto o gente qualsiasi e una caterva di figli di cui altri cinquecentenari e passa eppure fatto ancora di sorrisi senza in un crogiolo di razze e colori nomadi pezzi di cuori e stomaci e battiti e territori vasti di un girivagare nomade di punti fermi e sognatori da coltivare con solerte indecisione di tradizioni e rimandi a parole più oralicche scritte stanziali e pellegrini le zappe e le vanghe e i frutti della terra che è di chi la coltiva senza frontiere e spargimenti di sangue e acqua e retaggi di congiunzioni e divisioni questo e tuo questo e mio e tutti a prendersi quel poco e quel tutto fin dai primordi che non psono mai passati ma che passano ancora in carne ed ossa e muri e confini e impedimenti e perole scolpite nell’invisibile degli interessi materiali senza uno straccio di interruzione scoppiò la bomba sotto i piedi tra le mani gli occhi appesi desquamati sui rami scoppiò la bomba a distanza a perpendicolare a pioggia a strati in filigrana a giorni e ore scoppiò la bomba manutenzione ordinaria nonostante la meraviglia del corpo umano maccina macchinosa nelle articolazione il pesniero scoppiò la bomba tra eccetera eccetera la bomba.

  2. Quando scoppiò la bomba era tutto tranquillo l’applauso in confindustra al glorioso vispo sorridente rappresentatante della Thissen Group ‘a munnezza nella città dell’ex pibe de oro era un tappeto metropolitano di lorduna dalla zona sud alla zona nord da ovest a est e ‘a puzza di caderi a cielo aperto aveva preso il posto ‘e ll’addora d’a vasenicola cu ‘a pummarulella d’o piennelo cu ‘na vrancata di vermicelli i fascisti spalleggiati e sponsorizzati dalla borghesia affarista foraggiava le nuove leve dei picchatori fascisti quando scoppiò la bomba delle centrali nucleari ma anche quando scoppiò la bomba dei diritti sempre più minacciati erosi e azzerati ai lavoratori quando scoppiò la bomba i padroni e la borghesia guerrafondai di confindustria se la spassava.

  3. e a proposito dello scoppio della bomba, una decina d’anni fa, scrissi una poesia intitolata:

    Quando scoppiò/scoppierà la bomba. Dicevo un pò di cose, ma nonostante tutto, la bomba continuava a scoppiare al passato. E i danni, laceranti e distruttivi, erano al presente.
    Ma eravamo tutti ciechi.

    La crisi capitalista che viene pagata dai più deboli è una bomba.
    La munnezza nei vicoli e nelle piazze è una bomba. Le centrali nucleari di Fukuscima sono delle bombe.

    Le guerre e la fame nei paesi poveri sono delle bombe e, via discorrendo e compagnia bella. i diritti dei lavotaori sempre quasi azzerati o giù di lì. le religioni che inchiodani le coscienze.

    Quando scoppiò la bomba uccisero Vittorio Arrigoni quando scoppierà la bomba a scoppio avanzato e ritardato i campi coltivati a lattuga e pomodori e basilico e limoni e la polvere dei morti nelle narici la vita.

    e sono ancora bombe che continuano a scoppiare, ma non so bene se è un film della realtà passata o di oggi, mentre usciamo di casa per una passeggiata o per andare chissà dove o a lavorare, chi ha ancora un lavoro. e quelli che non hanno un lavoro? e quelli che guadagnano poco e chiedono di fare sempre più straordinario?
    domande retoriche, domande del paleolitico.
    domande.

  4. Primo capitolo

    Frammento

    In vita tua, non ti sei mai seduto. Sembra davvero un assurdità. Quando lo hai fatto e, sicuramente è successo, eri distratto e preso da altre cose. A pensarci, è davvero inverosimile. Possibile che non ti sia mai seduto? Addirittura per un intera vita. Non so se tu sia giunto agli sgoccioli o semplicemente la vita a ritroso nel tempo. Forse sei il sunto naturale della memoria e del presente. Ma è giunto il momento di sederti. Ma, non è né sconfitta né nostalgia né stanchezza. E’ l’esatto contrario. Sei mosso da un energia insolita. Particolare. Molto. E, in positivo, come un sette di denari, sgomenta anche te. Nel senso che nessuno ti dice nulla né ti ordina di muoverti o metterti sull’attenti quando passa il principale o chi ne fa le veci. Tuttavia, rimani calmo e determinato. E questo ti inorgoglisce. Al momento sei don Chisciotte, ma sai bene, che è una prova in cui non devi dimostrare niente a nessuno. Devi solo sederti e metterti a fare ciò che non hai mai praticato, sia per storia sia per cultura di famiglia. E ciò che verrà fuori è solo farina del tuo sacco, anche se quand’eri piccolo il forno era vicino come il suo odore e il pane era sempre lontano, come le nuvole viste dal vicolo senza luce. E’ un arco di tempo che viene da lontano e si avvicina a grandi passi. Una sorta di semina selvaggia , a monte. L’energia preme dall’interno verso l’esterno. E’ magma, è lava del vulcano.
    Erano scoppiate molte bombe. I giornali scrissero che la guerra era finita. E la radio ripeteva la felice litania che la guerra era finita. A guerra finita dove ti giravi ti giravi i vecchi e i bambini morivano a centinaia. La guerra era finita. C’erano altre bombe su cui c’era scritto: pace, w la pace. E anche se non voglio e anche se non leggo i giornali e non ascolto nè radio nè vedo telegiornali sono portato a pensare a quel ragazzo lì; quello ammazzato, di cui non ricordo il nome suo per sempre.

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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