INVALSI DISABILI E IMMIGRATI
di Bijoy M. Trentin
L’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, http://www.invalsi.it/) in questi giorni (10-13 maggio) sta procedendo a “somministrare” (cosí si dice ormai, come si fa per le medicine, le pene e i sacramenti) agli studenti italiani prove di verifica per valutarne gli apprendimenti: i discenti coinvolti sono quelli della seconda e quinta classe della scuola primaria (ex scuola elementare), della prima e terza classe della scuola secondaria di primo grado (ex scuola media) e, per la prima volta, della seconda classe della scuola secondaria superiore (ex scuola superiore). Le materie in esame sono solo Italiano e Matematica: si mira a testare la «capacità di comprensione del testo e le conoscenze di base della struttura della lingua italiana», e le «conoscenze e le abilità nei sottoambiti disciplinari di Numeri, Spazio e Figure, Dati e Previsioni e Relazioni e Funzioni» (queste ultime non nella scuola primaria).
Tutto bene fin qui: la valutazione statistica degli apprendimenti è indispensabile, poiché deve servire a comprendere come funziona il sistema scolastico italiano a livello locale e nazionale, cosí da mettere in campo risorse per il suo potenziamento, non certo per stilare classifiche di istituti, come intende fare, invece, il Ministro Gelmini: le stesse prove oggi non sono costruite in modo ottimale, poiché i loro obiettivi non sono abbastanza precisi e condivisi, e spesso non sono noti agli studenti e alle loro famiglie. E anche il protocollo stesso pone problemi di tipo sostanziale, tanto da dover essere considerato illegittimo: nonostante si predichi «la piú larga inclusione possibile di tutti gli allievi» nelle prove Invalsi, le disposizioni per la “somministrazione” e la valutazione delle prove discriminano gli studenti disabili e quelli di recente immigrazione (iscritti alla scuola italiana dopo l’1 settembre 2010). I questionari di questi ultimi, d’ufficio, «non concorrono» (l’espressione, nella nota dell’Istituto, è sottolineata e in grassetto) alla valutazione complessiva, in modo tale che i loro risultati non influenzino la media di quelli degli altri immigrati, della classe e della scuola.
I questionari degli alunni con bisogni educativi speciali, su richiesta del Dirigente Scolastico (ex preside), possono non rientrare nell’elaborazione statistica dei risultati di tutti gli altri studenti. Molti giri di parole, inoltre, invitano i docenti di sostegno a far uscire dalla classe gli allievi con disabilità nel corso dello svolgimento delle prove affinché gli altri alunni possano svolgerla senza essere disturbati: prima si dice che i discenti con disabilità possono stare in classe senza insegnante di sostegno e senza importunare gli altri, poi si dice – in pratica – che sarebbe meglio che uscissero, cosí con l’insegnante di sostegno possono fare tutto quello che vogliono, per esempio, anche attività altamente sovversive come persino leggere a alta voce la prova stessa. L’allievo con disturbi specifici di apprendimento può anche essere dispensato dal «sostenimento» (sic!) delle prove: in modo molto stucchevole poi si ricorda che bisogna avere «cura di impegnarlo nei giorni delle prove in un’altra attività ritenuta piú idonea».
L’ansia da prestazione del Ministro Gelmini pare essere condivisa dall’Invalsi, che emana note che sembrano ricordare disposizioni di lugubre memoria: (ingiustificati) timori rispetto a queste prove allora si diffonderanno nei Dirigenti Scolastici, che saranno propensi a scartare le prove degli allievi con disabilità, pena un rating dalle conseguenze negative. Evidentemente è la fine del modello scolastico dell’inclusione: anche se vengono ammessi a scuola, i discenti con disabilità e quelli di recente immigrazione non vengono considerati come gli altri, sono di serie B. Allora avanza il modello della cosiddetta “meritocrazia”, che non è altro che quello dell’esclusione, della discriminazione. “Meritocrazia” significa non premiare e incentivare le capacità e le potenzialità di tutti e di ciascuno, ma significa accentuare gli svantaggi naturali e sociali di partenza: il piano gelminiano non è, di certo, quello di andare a scoprire il “merito” dove anche inaspettatamente può trovarsi, ma premiare quello di tipo elitario, quello che riproduce e incentiva i divari tra le classi sociali.
Il progetto dell’inclusione, faro della scuola italiana, invidiato da tutto il mondo, sta vedendo il suo tramonto a causa di un disegno politico che intende distruggere la scuola statale, rendendola una scuola di seconda categoria rispetto a quella privata. Il prossimo passo sarà quello di (ri)proporre percorsi scolastici differenti per disabili e immigrati, magari in strutture diverse da quelle per gli altri, e quello successivo di non prevedere piú fondi per tali tipi di scuole?
Questo è un paese dove il disabile diviene visibile (anche in TV. Certi servizi tg fanno cascare ogni palla di poro) solo se dimostra di essere produttivo tanto quanto un non disabile.
insomma, applausi e lodi al disabile che si laurea, tutti gli altri sono al più dei poveretti, piccoli e teneri mostri.
E poi tanti applausi e tante lodi e magari pure una medaglia all’immigrato che per strada difende una donna da un’aggressione, come se difendere una persona aggredita non sia dovere civico di tutti. E comunque molto probabilmente sia lui che suo figlio saranno un po’ scemi visto che non parlano bene l’italiano.
Sì, il piano gelminiano non è inclusivo e incentiva i divari. E’ come se ci fosse un’asticella che tutti devono saltare indipendentemente dal punto di partenza, e se non la superi con le tue gambe (o con quelle del conto in banca di mamma e papà che ti iscrivno alla scuola con al massimo 20 alunni per classe, le lavagne interattive, banchi comodi, mura intatte,pc, seminari, ecc.) allora è destino che tu rimanga a terra. E’ la legge del più forte.
Chiedo scusa se suono arrabbiata, ma lo sono, e anche molto, e non posso nè voglio farci niente.
p.s.: se l’immigrato è anche disabile, non c’è speranza.
Il piano Gelmini-Ricci non è inclusivo nemmeno dal punto di vista delle risorse umane. Se una scuola è piena di stronzi come la mia, allora non saprai mai che uso si farà di quei dati che nessun collegio ha mai deliberato di utilizzare ma che, thò…, circolano già nei corridoi. Quei test saranno utili per far fuori i “non graditi”. Anche nel campo degli insegnanti. Saranno un grimaldello, una minaccia e un monito… Il futuro ha questa faccia.
Ma: a me sembra sensato che “non concorrano alla valutazione complessiva” le prove eseguite da chi è arrivato in Italia da meno di un anno (scolastico). Se si vuol vedere se la scuola funziona, si dovranno pur fare le verifiche su chi l’ha frequentata almeno un tot.
O mi è sfuggito qualcosa?
Qualcosa che stona c’è e lo si sente a pelle. La scuola funziona! Ma la scuola non è una macchina, un meccanismo, un oggetto la cui azione è il funzionamento. La scuola deve/dovrebbe far “funzionare” il ragionamento, il pensiero dei ragazzi. Testare è un altro vocabolo che mi lascia perplesso. Si sa che fare un test significa tagliare radicalmente, sintetizzare, scarnire il ragionamento agli elementi oggetto della verifica. Una cosa è certa: c’è da ragionarci sopra e bene a queste prove invalsi.
Giulio.
Ma se la scuola pubblica funziona o no lo si dovrebbe appurare in relazione alla capacità della scuola pubblica di essere scuola di tutti, ma proprio di tutti. Se, ad esempio, non si può chiedre a un bambino appena arrivato in italia di sostenere dei test che richiedono una certa conoscenza della lingua, allora – se proprio si vogliono fare dei test – dovrebbero misurare la capacità della scuola di rispondere alle esigenze di questo ipotetico bambino.
Se così non è, allora tanto vale far fare i test solo ai primi della classe. Sarebbe la stessa cosa: i più forti avranno il bollino dei forti e vincitori. E gli altri? Li nascondiamo perchè farebbero abbassare la media? Perchè tanto non posso contribuire in alcun modo alla richezza di una scuola pubblica? Una logica agghiacciante e, io credo, a lungo termine anche molto pericolosa.
se bisogna giudicare la scuola, bisogna che si giudichino tutti quelli che ci vanno, senza pensare che immigrati o disabili rovinino la media: c’è niente di più razzista? ma è proprio l’idea dei test, la riduzione di una valutazione a test, che è sbagliata e riporta la scuola a livelli ottocenteschi.
Gli invalsi sono delle prove quasi inutili, che fanno perdere tempo in primis. Spesso sono ci sono delle domande poste in modo poco chiaro, sembra più un quiz televisivo che una cosa seria. Se avessi dei figli che frequentano le classi coinvolte nei giorni in cui si fanno le prove li terrei a casa.
Se voglio valutare gli effetti della scolarizzazione, dovrò somministrare le prove a persone scolarizzate. O no?
Le prove invalsi, Mozzi, sono degli strumenti inefficaci per valutare la scolarizzazione, inoltre servono al ministero per selezionare poche scuole elitarie (frequentate dai ricchi, in buona sostanza) a cui dare i sempre meno fondi che vuol mettere a disposizione. I fondi andrebbero dati invece a tutti, a partire dalle scuole più disastrate. Ci sono altre conseguenze della diffusione dell’Invalsi:
http://www.cobas-scuola.it/index.php/AREE-TEMATICHE/INVALSI/NO-ALLE-PROVE-INVALSI.-CONSEGNA-IN-BIANCO.-Appello-del-collettivo-studentesco-Senza-Tregua-agli-studenti.
riposto il link
http://www.cobas-scuola.it/index.php/AREE-TEMATICHE/
INVALSI/NO-ALLE-PROVE-INVALSI.-CONSEGNA-IN-BIANCO.-Appello-del-collettivo-studentesco-Senza-Tregua-agli-studenti
Per quanto riguarda la privacy, si chiedeva di tutto agli studenti, un centinaio di domande su tutti gli aspetti della loro vita, per es. se dormono da soli in stanza o con fratelli.
La mia osservazione, Lorenzo, non riguarda né la privacy, né la qualità complessiva delle prove Invalsi, né l’uso strumentale che se ne può fare. Sei in grado di dare una risposta pertinente alla mia osservazione? Se sì, grazie.
Se qualcuno volesse dare un’occhiata alle prove Invalsi per le scuole superiori, può guardare qui.
Qual è la tua osservazione, Mozzi?
Se tu parli di “prove”, essendo questo un post sulle prove Invalsi, io capisco che tu ti riferisci a quelle. E ti ho risposto dicendo innanzi tutto che le prove Invalsi non servono tanto a giudicare gli effetti della scolarizzazione, quanto a scegliere dove destinare i soldi. Quindi ti ho risposto in modo pertinente, obiettando sulla tua ipotesi di partenza.
Al massimo posso aggiungere che se si vogliono valutare gli effetti della scolarizzazione, non lo si può fare somministrando agli alunni, con o senza sostegno, immigrati o no, prove scritte a crocette di alcun tipo.
Mi pare che giuliomozzi ponga delle osservazioni giuste che meritano risposte pertinenti. Io ho approfondito la questione nel mio blog anche in base all’esperienza fatta con mia figlia (11 anni): http://dispersioni.splinder.com/post/24358003/le-prove-invalsi-sistematicamente-vanificate
Completo segnalando che i prof di mia figlia oltre ad aver fatto acquistare appositi libri per le prove, hanno fatto fare le prove delle prove (con notevole perdita di tempo) e addirittuìra hanno usato i risultati delle prove delle prove per fare valutazione scolastica ordinaria. Il pericolo è che docenti distratti, poco informati, poco interessati, poco seguiti dai dirigenti scolastici, pensino che bisogna preparare gli alunni ai test e che questo diventi un approccio ordinario allo studio. Ma di questo non ne hanno colpa Invalsi e neppure la Gelmini!!
La mia osservazione è qui, Lorenzo.
Mozzi, ci sente o è sordo?
Le ripeto per la terza e ultima volta:
Mozzi
“se si vuol vedere se la scuola funziona, si dovranno pur fare le verifiche su chi l’ha frequentata almeno un tot.”
Galbiati:
“Le prove Invalsi non servono tanto a giudicare gli effetti della scolarizzazione [o se la scuola funziona, se preferisce], quanto a scegliere dove destinare i soldi…
Al massimo posso aggiungere che se si vogliono valutare gli effetti della scolarizzazione [o se la scuola funziona, se preferisce], non lo si può fare somministrando agli alunni, con o senza sostegno, immigrati o no, prove scritte a crocette di alcun tipo.”
Se ancora non è chiaro, precisi lei cosa intende con gli alquanto vaghi concetti che usa:
– scolarizzazione/scuola che funziona [ammesso che siano la stessa cosa]
– prove/verifiche [ammesso che siano la stessa cosa].
[…] C’è anche una polemica nella polemica. La circolare ministeriale al punto “Alunni con disabilità intellettiva” dice esplicitamente che questi non possono né devono partecipare ai test di valutazione nazionale. (Il loro handicap abbasserebbe la media, soprattutto delle classi campione). Se però i genitori in questi giorni li vogliono proprio portare a scuola, e i prof e i maestri non vogliono che si sentano esclusi, ebbene, quei bambini e ragazzi potranno sì fare il test, purché in un “locale differente da quello utilizzato dagli altri allievi”, al fine di non disturbare la prova dei “normodotati” (vedi qui e qui). […]
Allora.
Esistono le prove Invalsi.
Gli scopi dell’Invalsi sono spiegati dall’Invalsi stesso qui.
Mi limito a citare il primo dell’elenco: “[L’invalsi] effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa delle istituzioni di istruzione e di istruzione e formazione professionale, anche nel contesto dell’apprendimento permanente; in particolare gestisce il Sistema Nazionale di Valutazione (SNV)”.
Considerati questi scopi dell’Invalsi, trovo sensato che nell’elaborazione dei dati delle cosiddette “prove Invalsi” (o “verifiche Invalsi”, o “prove di verifica Invalsi”), recentemente somministrate, vengano escluse quelle compilate da scolari o studenti che nella scuola italiana ci sono appena arrivati.
Punto.
Dire che “allora tanto vale far fare i test solo ai primi della classe” è presentare il problema – che è un problema di campionamento – in una maniera che mi sembra piuttosto distorta.
Se poi si vuol sostenere che gli scopi dell’Invalsi sono in realtà altri, questo è un altro discorso.
Senza dubbio una rilevazione come quella che si può fare con queste prove somministrate annualmente non fornisce tutte le informazioni utili per una valutazione piena e corretta dellle “conoscenze e abilità” degli studenti e della “qualità complessiva dell’offerta formativa”: ma da qui a dire che questa rilevazione non serve a nulla, ossia che non da nessuna informazione, ce ne corre.
Se si vuol poi sostenere che le informazioni prodotte con queste informazioni sono adoperate dagli attuali governanti in modo strumentale per biechi scopi, questo è un altro discorso.
Senza dubbio le prove somministrate quest’anno nelle scuole medie superiori possono essere criticate; ma descriverle come “prove a crocette” o “quiz televisivi” mi sembra un descriverle in maniera piuttosto distorta.
Sostenere che “fare un test significa tagliare radicalmente, sintetizzare, scarnire il ragionamento agli elementi oggetto della verifica” mi pare (a parte l’italiano improbabile) piuttosto discutibile; altra cosa (e condivisibile) è sostenere che sia sbagliata “la riduzione di una valutazione a test”.
Da La Voce.info:
Che questo Paese non ami confrontarsi con i dati di fatto e con gli strumenti capaci di stabilire in termini obiettivi se decisioni innovative o, all’opposto, comportamenti di routine producano esiti positivi o negativi sull’esistenza degli individui, è ben noto. Quella che alcuni quotidiani hanno chiamato la “rivolta” contro i test di competenza disciplinare messi a punto dall’Invalsi e – va riconosciuto – meritoriamente sostenuti dalla ministra Gelmini, non suscita quindi particolare stupore. Ma il “Boikot Invalsi” solleva forti preoccupazioni perché la manifestazione di atteggiamenti negativi nei confronti di indagini rigorose proviene da un mondo – quello della scuola e della cultura – che dovrebbe educare al confronto pacato tra opinioni informate.
La generalità delle giustificazioni addotte per rifiutare le prove Invalsi sono o infondate o basate su poco ragionevoli processi alle intenzioni circa i loro usi futuri. Le procedure messe in atto sono in realtà prove standardizzate che non limitano la libertà degli insegnanti, non alterano i lineamenti del processo formativo e non lo immiseriscono. Consentono, invece, di capire come funzionano le nostre istituzioni educative e permettono di cogliere le ragioni per cui alcune di esse raggiungono risultati migliori, o peggiori, di altre. Fornire un’immagine obiettiva della nostra scuola permette di ignorare il chiacchiericcio generato da narrazioni aneddotiche e consente la progettazione di interventi mirati, evitando sentenziosità arbitrarie. Del resto, ciò già avviene in molte società avanzate. Le prove Invalsi si configurano, dunque, come un’importante base informativa per mettere a punto politiche scolastiche in grado di garantire una maggiore efficacia dei processi di apprendimento, una più equa distribuzione delle risorse educative e una riduzione delle disuguaglianze sociali. […]
“[L’invalsi] effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa delle istituzioni”.
“degli studenti”, “conoscenze e abilità”. Gli studenti devono essere tutti, compresi studenti di recente immigrazione e disabili. Escluderne alcuni è ragionevole solo se lo scopo è quello di fare una selezione.
“e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa delle istituzioni'”.
giulio, e allora perchè non si vuole misurare l’offerta formativa in relazione alle risposte che da a studenti di recente immigrazione e disabili?
Ti ricordo giulio che ad uscire dalla classe non solo solo gli immigrati, ma anche i disabili, e che il testo non fa menzione di conoscenze più o meno sufficienti della lingua (posto che questo sia davvero un problema, cosa che per me non deve essere).
Non voler vedere la cosa nel suo complesso mi pare un atteggiamento mentale piuttosto forzato e distorto.
Mirfet: non mi par vero che “non si vuole misurare l’offerta formativa in relazione alle risposte che dà a studenti di recente immigrazione”. Mi par vero, piuttosto, che non ha molto senso confrontare i risultati delle prove Invalsi di ragazzi che hanno alle spalle quindici anni di scuola italiana e i risultati delle prove Invalsi di ragazzi che magari sono in Italia da sei mesi.
“Gli studenti devono essere tutti”. No, devono essere un campione significativo.
La mia osservazione, ricordo, concerne solo l’esclusione dall’elaborazione dei dati delle prove Invalsi degli studenti che sono arrivati in Italia dopo il settembre 2010.
Appunto: un campione “significativo” di cosa?
Un campione statisticamente significativo rispetto al complesso della popolazione. (Quando si parla di “campione significativo” s’intende sempre questo). Le prove Invalsi si sono svolte in tutte le scuole, ma solo duemila – spero di non sbagliarmi, vado a memoria – sono le classi che costituiscono il campione, i cui dati cioè “concorrono” alla valutazione complessiva. Come spesso accade in questo tipo di indagini, l’obiettivo di avere un campione rappresentativo della popolazione si persegue cercando una adeguata composizione economica, sociale, culturale e territoriale (per questo ai ragazzi vengono anche chiesti dei dati sulla condizione economica, sociale e culturale della famiglia: il che richiede, e mi pare che questo sia in molte scuole “saltato”, un rigoroso rispetto dell’anonimato). Poi c’è una quantità di modi per raffinare un campione – modi che non conosco bene, perché la statistica non è il mio mestiere.
Mozzi,
sugli scopi dell’Invalsi e sulla loro contraddittorietà tra scopi presunti e mezzi adoperati per raggiungerli, leggi
http://www.laboratorioaltierospinelli.org/giornalonline/numero10/sommario%2010/Articolo_4_La%20CGIL%20e%20le%20prove%20___dal%20Sito%20cgil.it/Documento_CGIL.pdf
e qui, dove si ricorda che le Invalsi serviranno anche all’assegnazione delle borse di studio solo in base al (presunto) merito
http://www.liceogioberti.it/bachecaSindacale/CUB%20Scuola%20PROVE%20INVALSI%20-%203%20marzo%202011.pdf
Sui punti di criticità delle prove Invalsi, leggi Ricolfi, che pure è critico verso i docenti
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8713&ID_sezione=&sezione=
Quello che sta succedendo con i test, l’ultimo e più grave problema segnalato da Ricolfi (di cui non condivido le critiche ai docenti, e non vedo neanche come possa difendere il “quizzone” che voleva fare Berlinguer per valutare il “merito” degli insegnanti), non farà che aumentare quando si vedrà chiaramente che l’Invalsi serve a premiare economicamente le scuole.
Per quanto riguarda quel che dice il link la Voce che hai postato, che secondo me esemplifica bene la mancanza di cultura pedagogica di chi lo scrive,
“Che questo Paese non ami confrontarsi con i dati di fatto e con gli strumenti capaci di stabilire in termini obiettivi”
I termini obiettivi sarebbero i test a crocette?
E cosa stabilirebbero in modo obiettivo tali test?
A quando i test dell’intelligenza?
“se decisioni innovative o, all’opposto, comportamenti di routine producano esiti positivi o negativi sull’esistenza degli individui,”
ma di che diavolo sta parlando?
” è ben noto. Quella che alcuni quotidiani hanno chiamato la “rivolta” contro i test di competenza disciplinare messi a punto dall’Invalsi e – va riconosciuto – meritoriamente sostenuti dalla ministra Gelmini, non suscita quindi particolare stupore.”
Certo, specie se non si capiscono i perché della rivolta. Se poi si vogliono dare dei meriti alla Gelmini, stiamo freschi.
“Ma il “Boikot Invalsi” solleva forti preoccupazioni perché la manifestazione di atteggiamenti negativi nei confronti di indagini rigorose proviene da un mondo – quello della scuola e della cultura – che dovrebbe educare al confronto pacato tra opinioni informate.”
Perché il mondo della cultura dovrebbe confrontarsi in modo pacato? Chi l’ha detto?
“La generalità delle giustificazioni addotte per rifiutare le prove Invalsi sono o infondate o basate su poco ragionevoli processi alle intenzioni circa i loro usi futuri.”
Le giustificazioni di chi rifiuta le prove Invalsi, a me è bastato un 10 minuti di ricerca su internet per vederlo, sono trutt’altro che generiche e infondate, e spaziano su tutti gli aspetti in gioco, gli obiettivi, il metodo usato per somministrare la prova, l’aspetto economico degli insegnanti chiamati a “collaborarvi”, le forzature dei presidi che vorrebbero obbligarli, gli effetti delle prove sulla diffusione di una scuola che procede a quiz, e soprattutto l’incongruenza tra i molto confusi obiettivi che l’Invalsi ufficialmente si pone e i mezzi adottati per verificarne il raggiungimento. Sono cose infondate? Solo uno che non sa di che parla, può dirlo.
” Le procedure messe in atto sono in realtà prove standardizzate che non limitano la libertà degli insegnanti, non alterano i lineamenti del processo formativo e non lo immiseriscono.”
Come si può ben leggere nei link che ho postato, è tutto il contrario.
“Consentono, invece, di capire come funzionano le nostre istituzioni educative”
Qui ormai sta letteralmente delirando.
“e permettono di cogliere le ragioni per cui alcune di esse raggiungono risultati migliori, o peggiori, di altre.”
Certo, senza manco valutare la situazione all’ingresso e il contesto territoriale.
“Fornire un’immagine obiettiva della nostra scuola”
Obiettiva? Ancora? Questo è uno di quelli che magari crede anche nell’informazione obiettiva dei giornalisti.
” permette di ignorare il chiacchiericcio generato da narrazioni aneddotiche e consente la progettazione di interventi mirati, evitando sentenziosità arbitrarie.”
interventi mirati senz’altro: fondi distribuiti solo a scuole con media alta nella classe campione, borse di studio in base al merito e non anche al reddito.
” Del resto, ciò già avviene in molte società avanzate. Le prove Invalsi si configurano, dunque, come un’importante base informativa per mettere a punto politiche scolastiche in grado di garantire una maggiore efficacia dei processi di apprendimento, una più equa distribuzione delle risorse educative e una riduzione delle disuguaglianze sociali. […]”
Equa distribuzione delle risorse tramite le Invalsi.
Siamo al delirio, ormai.
Mozzi, mi dai il nome di questo genio?
Lorenzo, ci sono un sacco di motivi per discutere o rifiutare l’uso che viene fatto delle prove Invalsi (e anche alcuni per discutere le prove in sé). Ma questo, come ho già detto, è un altro discorso.
Io ho contestato l’articolo di Trentin su un punto, uno solo; dove Trentin, a mio avviso, dà una lettura politica di una scelta di campionamento che a me pare meramente tecnica.l