L’esordiente, di Raul Montanari
di Mauro Baldrati
“Livio Aragona, lei è… il miglior gialllista italiano!”
Glielo dice una signora adorante, ma continuano a ripeterglielo lettori, conoscenti, editori. “Torni a scrivere i suoi gialli” gli gridano dietro gli ospiti caciaroni di un delirante salotto televisivo dove lui partecipa come “opinionista”.
A nulla valgono le sue proteste, le sue spiegazioni. Io non sono un giallista! ripete, digrignando i denti. Ma nessuno lo ascolta. Nessuno è interessato. Livio Aragona scrive gialli, punto e basta.
E’ questo l’ambiente dove vive, lavora, ama, si arrabbia il protagonista dell’ultimo romanzo di Raul Montanari, L’esordiente. Un mondo diviso in schemi, dove nulla sembra chiaro e definito e tutto sfugge, si sfilaccia. Si nebulizza. Livio Aragona è uno scrittore-scrittore, una figura classica, molto moderna ma – proprio per la sua modernità di aristocratico della giovinezza – condannato a dibattersi in un mondo morente. Il mondo dei premi letterari, anzi, del Premio (…), il cui nome completo è impronunciabile, pena lo scatenamento di ogni sventura possibile. Ha cinquant’anni, vuole vincerlo a tutti i costi, il Premio (…), perché sarebbe il coronamento della sua carriera. Però ha un problema: Livio Aragona scrive gialli. E il giallo è considerato letteratura “bassa”, di serie B. Per questo è deciso a scrollarsi di dosso questo marchio. Ma il Premio (…) per quest’anno è già stato assegnato. Perché è così che funziona. Il Premio se lo aggiudica soprattutto l’editore. Così Livio Aragona si prepara per il prossimo, col nuovo romanzo cui inizia a lavorare con impegno.
Come il suo autore, Livio Aragona è un docente di scrittura creativa. E da scrittore-scrittore ha le idee chiare sulla sua professione. Sa che per quelli come lui la scrittura è sofferenza, perché attinge direttamente dalla vita: “La tua vita diventa un magazzino di cose utili per ciò che racconti. Mi serve qualcosa? Un oggetto da descrivere, un mestiere, una paura, una città? Apro il magazzino e vedo se c’è, altrimenti cerco altrove.” E’ uno degli insegnamenti che impartisce ai suoi studenti, che passa in rassegna con la supervista a raggi X dello scrittore-scrittore. Già alla prima lezione riconosce i loro tic, le loro aspirazioni. E nota la bellezza delle ragazze, perché come tutti i personaggi maschili di Montanari è molto sensibile al fascino femminile. Soprattutto a quello di Veronica, l’allieva che, già il primo giorno, gli consegna un manoscritto. Un romanzo inedito. Livio, infastidito (ogni volta la stessa storia!), cerca di rifiutare, ma c’è qualcosa di irresistibile in lei. Lo prenderà. Lo leggerà e lo troverà orribile.
Proprio da questa lettura al negativo inizia il vero romanzo. Veronica è un personaggio di tipo proustiano: sfugge alla sua comprensione, è depositaria del mistero che porta con sé ogni persona amata, che resta una creatura insondabile, inconoscibile, vagamente ostile nella sua essenza sfuggente. Livio si trova invischiato, innamorato perso, ma gli sfugge la personalità di Veronica, gli sfuggono i suoi scritti, che giudica sempre dozzinali, di nessuna qualità. Come si sbaglia. E noi come lo compatiamo mentre continua a ripetere a se stesso che tanto come scrittrice non ha futuro, che potrà pubblicare qualche libercolo per un editore minore.
Intanto continua a dibattersi nel suo mondo editoriale popolato da squali, critici tronfi e ottusi, manovre sottobanco per il Premio (…), cercando con rabbia, quasi con disperazione, di ripulirsi dal marchio di giallista. Quel mondo dove Veronica, giovane e veloce sirena, si muove con agilità. E dove otterrà un enorme successo, sempre non ammesso da Livio, che avanza lancia in resta con grandi e robusti paraocchi, finché è costretto ad accettare l’evidenza, e cioè che la sua distrazione morbosa scaturiva da una bruciante, mai ammessa gelosia professionale. La gelosia per la persona amata che non riesce a possedere fino in fondo, che gli oppone la sua giovinezza letteraria, la sua freschezza, tutte qualità che sente di avere perduto, sacrificate sull’altare della scrittura di professione, del mestiere.
Ma Veronica non è l’unica persona che gli sfugge, e della quale non vede il vero aspetto della personalità. Il convivente della sua ex moglie, Emiliano, un ex killer che lo inonda di complimenti con un linguaggio pomposo, continua a chiedergli soldi per pagare un maledetto debito. Gli spillerà 40.000 euro, mentre qualcosa inizia a cambiare, a intorbidirsi, proprio come si intorbidano le sordide manovre per riuscire a vincere lo stramaledetto Premio (…), che si tinge sempre più di toni noir, mentre si prepara uno scontro finale senza esclusione di colpi proprio l’ultima persona che si aspetterebbe di avere come avversario nella finale.
La progressione narrativa aumenta, il ritmo si fa sostenuto, tutto si complica e si attorciglia in un guanxi malato, negativo e violento. In questo Montanari, che proprio come Livio Aragona ha una solida esperienza di giallista, è un maestro. Sa dilatare al punto giusto le pause, sa portare il lettore verso un finale minaccioso, che precipita in crescendo verso una scena memorabile sul greto di un fiume, in una notte di pioggia che evoca l’epilogo di Cape Fear di Scorsese.
L’esordiente è un romanzo sull’intreccio tra vita e letteratura, tra letteratura ed editoria, tra vita e socialità, sofferenza, gelosia, tradimento. Un romanzo su un uomo, uno scrittore scaltro e accecato che cerca, senza riuscirci, di ritrovare la sua arte originaria, il coraggio, la sincerità brutale degli esordi, in un mondo dove tutto è decrepito e decomposto. Cerca di essere di nuovo un esordiente, soprattutto nella vita e nell’amore. E quando una vera esordiente gli si offre, accetta di incrociare la sua strada, e di amarlo, non la riconosce. Non vuole riconoscerla. Rifiuta il suo mistero, la sua libertà, e il suo talento. Dovrà soffrire ancora, e pagare di persona, per arrivare al satori finale, al Qi-gong di un uomo finalmente semplice: “Io ho finito, di scrivere. Magari domani avrò cambiato idea, ma adesso è questo che penso. Ho finito di scrivere. Vediamo se mi riesce di vivere, almeno.”
Senza entrare nella parte calda e drammatica del libro, vorrei dire a Raul, visto che sono di corsa, che alcune sue pagine di questo romanzo sono davvero esilaranti.
Grazie, Mauro. Una bellissima recensione, direi la più profonda e appassionante che ho letto finora.
Eh, Gianni, più uno invecchia più si apre al comico, come diceva Shakespeare da qualche parte – ora non ricordo dove.
Ciao Raul,
visto che sarei curioso di leggere anche un pò di Montanari d’annata e che tu leggi questi commenti, potrei chiederti un consiglio su un tuo libro che ti sia particolarmente affezionato e che, dal tuo punto di vista di scrittore, reputi particolarmente fedele alla tua idea di letteratura?
E, se posso chiedere in questa sede, quali sono i tuoi riferimenti letterari? Un ultima domanda e mi scuso per l’impertinenza da curioso: il fascino dello scrittore si paga davvero in contanti così come ce lo descrive la recensione?
Ciao,
acquistato per caso, letto, lasciato a roma. primo libro letto del signor Montanari. libro bello ma sulla questione delle scuole creative non sono convinto. altrimenti la letteratura italiana diventa omologazione. ecco, sono contrario alle scuole creative…
http://lucioangelini.splinder.com/post/24868350/raul-montanari-riscrive-william-wilson