Innamorarsi del diavolo
di Francesca Matteoni
Come immaginare il diavolo? Secoli di credenze stregonesche e persecuzioni ce lo consegnano variamente quale signore distinto, ibrido tra uomo e animale con zoccolo fesso al posto del piede o addirittura con gambe e corna di caprone, cane nero, presenza sinistra munita di artigli per marchiare a sangue i suoi seguaci, bestia di lussuria e malvagità. Alla fine del 1700, secolo dei lumi e delle rivoluzioni, il diavolo ha ancora qualcosa da dire, almeno nella letteratura se non più dal palcoscenico di accuse e processi; ha ancora una varietà di forme da assumere per tentare l’essere umano. Eccolo così ne Il diavolo innamorato del francese Jacques Cazotte, pubblicato per la prima volta nel 1772 e riproposto in italiano in un’edizione curata e tradotta da Isabella Mattazzi, opera che mescola al suo interno il meraviglioso al pensiero libertino, il racconto d’amore all’ambiguità e al potenziale orrore del demoniaco. Protagonisti del romanzo il soldato spagnolo Alvaro, al servizio delle guardie del re di Napoli, e Biondetta, donna o demone alle cui cure e grazie il soldato cerca inutilmente di resistere. Attorno a loro, da Napoli a Venezia alla Spagna, un corteo di personaggi, da apprendisti negromanti a cortigiane gelose e vendicative, a zingare e contadini che sanno più di ciò che dovrebbero sapere, alla rettitudine di una madre lontana, inconciliabile con le pulsioni dei due giovani innamorati. In questa storia di desiderio e seduzione, il tono tragico è assente, e perfino il terribile si stempera nell’esotico e nel grottesco (cammello parlante o lumaconi striscianti sui muri che siano), sebbene il tema dell’inganno diabolico lasci intuire un universo spirituale ancora vivo, una realtà dove l’intelletto non ha messo in fuga l’ombra del demoniaco, dell’influenza soprannaturale sul contingente. È tuttavia questo un diavolo non solo attraente, ma capace di far sua la voce della ragione, invitando a liberarsi da credenze superstiziose per seguire il proprio istinto naturale, senza temere giudizi e restrizioni. Demone astuto o silfide indifesa – spirito, quest’ultimo, elementare dell’aria secondo le dottrine di Paracelso, fortunato nell’immaginario settecentesco e, nelle sue caratteristiche più drammatiche, anche in quello romantico, come testimonia ad esempio il balletto La Sylphide a sua volta ispirato al racconto fantastico Trilby, il folletto di Argail (1822) di Charles Nodier -, Biondetta incarna perfettamente un certo stereotipo del desiderio erotico, circuendo l’uomo di spada nella trama incrociata dell’astuzia e del sentimento. Diffidenza e resa si alternano nella schermaglia amorosa, facendo dell’altro sogno e incubo, potenziale nemico e creatura da proteggere e tutelare. Nel procedere dei turbamenti di Alvaro, Cazotte è tuttavia crudelmente abile nello svelare al lettore anche l’aspetto ridicolo di questa lotta “eroica” persa in partenza. E soprattutto nel riportare il conflitto con il demone nella doppia sfera dell’ordine sociale e dell’intimo. Non tanto l’anima di Alvaro è in gioco, quanto il suo comportamento agli occhi della madre e della società; non tanto un diavolo venuto da un indefinibile altrove quanto il capriccio, l’impulso, la forza disgregante che abita ogni individuo, lo mette a contrasto con le norme, con le scelte apparentemente razionali. Scrive Mattazzi a conclusione del suo bel saggio introduttivo: “In Cazotte la dimensione magica si nasconde dunque all’interno dell’Io, sigillata nel corpo stesso dell’eroe, murata in un estremo tentativo di conciliazione tra Natura e Cultura, tra désir e honnêteté del tutto impossibile a definirsi secondo gli elementi univoci di una vittoria o di una sconfitta”. In una prospettiva storico-letteraria dunque, il romanzo di Cazotte è indice di quel lento passaggio in atto per tutta la modernità dall’ordine dei corpi e del mondo visibile oggetto di contesa di forze ultramondane, all’ordine interiore di sentimenti, decisioni, spinte pulsionali, in cui le passioni del singolo sono in lotta con le aspettative, con il contegno richiesto da grado sociale e cultura e con le proprie stesse ragionevoli prospettive. Il diavolo che si innamora e che di sé fa innamorare è infine ciò che scatena la trasgressione, l’eccesso di una delle due parti, sogno sfrenato o rigore morale, in un luogo tanto più personale quanto più riconoscibile e condivisibile dai vari “io” dell’occidente contemporaneo.
Jacques Cazotte, Il diavolo innamorato, a cura di Isabella Mattazzi (Manni, 2011)
Questo racconto, secondo me, non fa altro che dimostrare come l’essere umano non può fare a meno di cadere in tentazione, di trasgredire. Il personaggio di Alvaro, sempre secondo un mio modesto parere, rappresenta tutte quelle persone che vorrebbero fare qualcosa ma non lo fanno per paura di quello che la gente potrebbe pensare.Anche se ci crediamo liberi non lo siamo mai fino in fondo; le nostre scelte non sempre sono solamente nostre.