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Io mi difendo, ma chi difende i miei figli?

di Giulio Cavalli

Scuola media. Classe terza. Una delle tante scuole della provincia in cui vivo io e (più di tutto) i miei figli. È un percorso tra alunni e ‘Ammazzateci Tutti’ su legalità e antimafia. Si parla di arresti, di regole, di azioni e di persone, di territorio, Lodi e di Giulio Cavalli. Le minacce, scorta e le solite cose. Si discute e si alza una voce.

Cavalli se ne deve andare da Lodi. Ci ha messo tutti in pericolo“.

Poche parole. Mi verrebbe da dire le solite, mischiate dall’invidia, dal miope federalismo per la difesa del proprio territorio e (perché no) dal diritto di pensarla diversamente. “Cavalli se ne deve andare” l’ho sentita e me l’hanno scritta centinaia di volte. I più pavidi e unti la sussurrano solo nell’angolo dei bar. Ma dove vivo (e più di tutto i miei figli) tutto è troppo piccolo perché anche i segreti dei bar non rimbalzino in piazza. Qualche anno fa sulla porta di un cesso di scuola ci avevano anche messo l’equazione ‘viva Gela, viva la mafia, abbasso Cavalli”, come se fosse uno schieramento di opposti, una cosa solo mia, solo tra noi. Mi ferisce invece l’idea del pericolo. Lo ammetto. Il pericolo è danno: sono dannoso per la città in cui vivo. Io e (più di tutto) i miei figli.

Ho imparato a diventare impermeabile. Ho mangiato il fango con il sorriso sulla bocca, qualche volta ho colto anche delle verità che non avevo considerato, nelle critiche più dure. Mi sono ripromesso di imparare a conviverci trovando anche una bozza di equilibrio instabile. Mi è capitato di sentirmi comodo in qualsiasi posto del mondo, mi basta riuscire a tenermi lontano, a tenere lontano la mia famiglia da quell’alito che mi ritrovo ad ingoiare.

Tra qualche anno sorrideremo delle improbabili reazioni di questo Nord in faccia alle mafie. Smetteremo di parlare futilmente di rischi, pretenderemo solo i risultati. Forse succederà (come suggerisce quotidianamente Nando Dalla Chiesa) che capiremo come dopo l’onda emozionale abbiamo il dovere dello studio: studio organizzato, in pianta stabile. Qualcuno fra qualche anno dirà di avere sentito frasi possibili solo nell’immaginario corleonese in una scuola di provincia del profondo Nord.

Oggi evidentemente è solo il tempo dello scontro, della consapevolezza riletta come allarmismo, dell’ignoranza come miglior tecnica di favoreggiamento, delle icone e degli slogan. Sono le regole del gioco desolante del tempo e della regione che viviamo.

Ma quelle scuole e quei ragazzi sono le scuole e i ragazzi che abitano i miei figli. E a loro, oggi, non so proprio come rispondere. Da quest’onda in cui non servono carabinieri e scorte, non so come difenderli.

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8 Commenti

  1. Gli insegnanti di questa scuola media hanno il dovere di proteggere i figli di chi è minacciato, di fare passare un messaggio chiarissimo, di lavorare sulla questione di libertà, di solidarietà. Hanno un impegno alto, fare della scuola un giardino privileggiato, uno spazio dove si sente il cambiamento.

  2. Torno sull’argomento, perché mi sto nel cuore. Non vivo in un territorio mafioso, ma penso sul serio che un insegnante ha un impegno civile: fare rispettare la libertà di tutti. La prevenzione è una tappa importante per dialogare con gli alunni. Perché non lavorare sull’argomento con gli alunni con testi scritti, ricerca del vocabulario, analisi di giornali, manifesti. Molte discipline possono unirsi intorno a un progetto.
    Perché non immaginare un incontro con Giulio Cavalli e una classe.
    Anche se una voce opposta si fa sentire, si deve rispondere e fare una domanda: Chi mette in pericolo? io o l’organizzazione criminale? Che ne pensi?
    Fare silenzio basta per non essere in pericolo? Non vedere fa allontanare il pericolo?
    Spero che i figli di Giulio Cavalli possiano crescere, studiare nella tranquillità.
    E’ l’impegno della scuola di proteggere i ragazzi sotto la sua responsabilità.

  3. Cerco di star fuori dall’elegia e dalla compartecipazione da cinquecento caratteri di commento.

    Agli spettacoli di Giulio Cavalli non ho mai assistito.
    Sono venuto a sapere dell’esistenza di Giulio Cavalli quando è diventato una notizia. Quando su un giornale ho letto “La scorta a Giulio Cavalli”.
    Mi sono informato in Rete e da allora ho una gran voglia di assistere a uno dei suoi spettacoli. Di ascoltare il suo grammelot. Il suo racconto composto da inventiva, indagine e denuncia.

    E credo che meglio di così, meglio che con il suo teatro e con l’esempio del suo coraggio, i suoi figli non possa difenderli, e mica solo i figli suoi, e mica solo i figli in generale.

    E la mia non è retorica – spero – ma lungimiranza.

    Quanto alle crudeltà, alle infamie, alle vigliaccherie, alle violenze, alle prepotenze, con le quali i figli di Giulio Cavalli dovranno misurarsi, scontandone una dose sicuramente più massiccia del solito, infine toccherà a loro stessi, d’imparare a difendersi. E quando hai un padre come Giulio Cavalli, secondo me, qualche anticorpo in più ce l’hai.

    Un saluto,
    Antonio Coda

  4. Antonio Coda mi “ha rubato” quello che volevo scrivere:-)
    L’impegno di Giulio Cavalli è un esempio per i figli.

    Sarei fiera di avere i figli di Giulio Cavalli nella mia classe di francese.

  5. Quanti paesi, quante città piene di cittadini che non rischiano niente, di persone che mettono il naso fuori dal portone solo per raccogliere e passare i pettegolezzi: questo è il mondo. In particolare dove manca il senso civico, e dello stato. Così hanno paura di comportarsi in modo diverso dagli altri, come pure hanno paura di essere contaminati dal diverso in ogni sua forma. Perchè dovrebbero trovare il senso di coesione per combattere un pericolo senza volto, quando sono ben lontani dal pretendere civiltà da chi li governa nei paesi e nelle città, ben lontani dall’uscire dalle antiche ammuffite abitudini del cortile? Obbediscono, tacendo, e le mafie uccidono, inquinano, si elevano dalla mediocrità apparente infiltrandosi nell’industria e nella finanza, in internet, abbassando i cittadini alla mediocrità vera del silenzio, del sopportare la deriva. Le sole voci importanti sono fuori dal coro.

    Franco Fallabrino

  6. Altro che leghisti esenti dalla mafia…ma se sono i primi mafiosi, loro e il malinteso senso del localismo soffocante, mipoe, reazionario e liberticida.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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