Per non dimenticare Vik


di Lorenzo Galbiati

Vedo tutto dall’alto della platea, seduto in un posto quasi d’angolo dietro all’altare. La palestra è gremita dalle 15,30. Siamo sicuramente più di 2000. Molte persone hanno dovuto adattarsi a sedersi nel prato circostante l’edificio. Su ogni vetrata della palestra è appesa una bandiera della pace, l’unica consentita, come ha più volte dichiarato al microfono una rappresentante della famiglia.

Le bandiere della Palestina ci sono, ma tenute ammainate o fuori dalla palestra.

Alle 16,20 arriva il corteo funebre. La bara di Vittorio ha sopra, al centro, la bandiera della pace, e ai lati le bandiere della Palestina e dell’Italia. Dietro ci sono la madre, Egidia Beretta, la sorella di Vittorio, i familiari e gli amici più cari.

Applaudiamo per un minuto.

Molti di noi solo ora iniziano a capire, realmente, che Vittorio è morto.

Ha inizio il funerale religioso, che è prima ancora una messa pasquale. Il parroco di Bulciago, don Roberto Crotta, ricorda che Vittorio non era ispirato da motivazioni cristiane, e che la Chiesa non intende farne un suo martire. E tuttavia, il suo essere stato “pronto a donare la vita per il popolo palestinese”, come scrisse Vittorio in una lettera alla madre, unito alla sua tragica sorte, rende la sua testimonianza di scottante pregnanza cristiana.

Al termine della funzione, due preti concelebranti prendono la parola. Il primo ricorda com’era Vittorio da ragazzo, a Bulciago, toccando le corde dei cuori, già sensibili, dei partecipanti. Ma è il discorso del secondo prete a segnare, in modo sorprendente e definitivo, la cerimonia. Il vescovo emerito di Gerusalemme, monsignor Hilarion Capucci, molto anziano, si avvicina lentamente al pulpito, e inizia a parlare con un filo di voce. Gli sistemano il microfono. Ma anche le frasi successive arrivano stentoree e spente. Finché, d’un tratto, pronunciando “popolo palestinese”, la sua voce si leva forte e chiara, piena. Il pubblico è scosso; il vescovo pare accendersi. “Questo popolo sofferente!”, pronuncia con una veemenza che da sola ci restituisce l’ingiustizia che i palestinesi stanno subendo. Applaudiamo. E il vescovo si sente investito a parlare a nome di tutta la Palestina, forse anche a nome di Dio, poiché non ha indugi a dichiarare Vittorio “martire della Palestina e santo”, e lo ripete più volte, in mezzo a uno scrosciare di applausi. Un uomo palestinese, in divisa e con la kefiah che gli scende sulle spalle, si alza e mentre il vescovo parla, si dirige all’altare, si ferma davanti alla bara di Vittorio e vi appoggia sopra la sua kefiah. Un altro uomo, che dall’inizio della funzione ha tenuto in mano, avvolta, la bandiera palestinese, si sente ora in dovere di sventolarla. Il vescovo declama il suo discorso tra gli applausi: “il mio gregge è il popolo palestinese e anche Vittorio è stato il pastore di questo gregge; è morto come Cristo per un popolo maltrattato!”

Ancora qualche parola del parroco, giusto il tempo di dare la benedizione e uscire, e dalla platea, poco dietro di me, viene intonata “O bella ciao”. Il pubblico si lancia in un canto liberatorio.

Ha inizio il funerale civile, finalmente. Il coro della messa, molto attivo durante la cerimonia religiosa, lascia il posto alla Banda degli ottoni, che sale sul palco e intona di nuovo “O bella ciao”.

Viene proiettato un filmato con Vittorio, girato nel cimitero di Gaza. E’, di fatto, il suo videotestamento. Molti di noi lo avevano già visto, altri lo vedono ora per la prima volta. Intorno a me le persone piangono.

Al microfono parlano, ricordano. Un sindaco del casertano. Il rappresentante dell’ANPI. Un’amica di infanzia di Vittorio, a nome dei bulciaghesi che lo conoscono dai tempi della scuola. Il vicesindaco di Bulciago, che esprime la sua riconoscenza per quanto gli ha insegnato la famiglia Arrigoni in fatto di impegno e umiltà, una famiglia di partigiani, da cui Vittorio ha più volte detto di aver preso il DNA per combattere in nome degli oppressi. Maria Elena Delia, coordinatrice della Freedom Flotilla Italia, e amica di Vittorio, lo ricorda a nome del Free Gaza Movement, il movimento che lo ha portato a Gaza nel 2008. Un altro amico, che viveva con Vittorio a Gaza da un anno. Appartiene all’International Solidarity Movement (ISM), l’associazione internazionale con cui Vittorio a Gaza andava a difendere i pescatori e i contadini palestinesi facendo da scudo umano per i cecchini dell’esercito israeliano, che da 3 anni si esercitano a fare il tiro al bersaglio mentre questi cercano semplicemente di pescare o di raccogliere il prezzemolo. I militanti dei movimenti italiani di solidarietà con la Palestina. Don Nando Capovilla, prete di Pax Christi, che esprime lo sdegno per la mancanza alla cerimonia di un rappresentante del governo.

Per ultima la mamma di Vittorio. Egidia ricorda che suo figlio non era né eroe né martire. Era un attivista per i diritti umani, diritti che occorre rispettare ovunque. Ammette soltanto, la signora Arrigoni, che Vittorio ha avuto una “vita un po’ speciale”. Forgiata, da quel che ci è dato vedere, in una famiglia speciale. Vittorio aveva solo la sua presenza e la sua parola come armi, ricorda ancora Egidia. Il suo inno di battaglia era: “Restiamo umani”.

Si intona di nuovo “O bella ciao”, questa volta in versione palestinese.

E’ questo il fiore del partigiano,

morto per la libertà.

Un partigiano, sì, ma disarmato, pacifista, nonviolento. Partigiano dei popoli oppressi.

Sono già fuori dalla palestra quando parla la signora Egidia. Ho dovuto alzarmi e uscire, dopo più di 4 ore seduto in platea. Non è solo stanchezza e voglia di respirare a pieni polmoni. Sono ormai saturo di emozioni e ho bisogno di liberarmene. C’è in me una commozione che mi sta logorando da 10 giorni e che ha da poco toccato il suo apice. Voglio lasciarla andare. Decido di non entrare più nella palestra, dove il servizio d’ordine ha aperto le porte per consentire l’accesso a quello che subito diventa un lungo corteo di persone che vogliono avvicinarsi alla bara per dare l’ultimo saluto a Vittorio.

Anch’io do il mio ultimo saluto.

Ti abbraccio, hermano, ti ricorderò per i tuoi sogni, li porto dentro di me.

Io che non credo alla guerra

Non voglio esser seppellito sotto nessuna bandiera

Semmai voglio essere ricordato per i miei sogni

Dovessi un giorno morire – fra cent’anni

Vorrei che sulla mia lapide fosse scritto

Quello che diceva Nelson Mandela

Un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare

Vittorio Arrigoni, un vincitore

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10 Commenti

  1. grazie lorenzo
    non eravamo in tanti a salutare vittorio arrigoni
    ho pianto cantando bella ciao col pugno alzato

    un abbraccio e un bacio
    la fu

  2. Condivido l’omaggio, certo che “Voglio che sulla mia lapide fosse scritto” non è il massimo. Avete un grande spazio a disposizione, dovreste averne un po’ più cura, parere d’un lettore affezionato. Almeno rileggere gli articoli. Non chiedo certo la luna.

  3. Caruso,
    grazie per la segnalazione. L’articolo l’ho scritto a caldo il giorno dopo il funerale. Ma è stato riletto. Ho fatto un “errore” di ascolto, più che di rilettura. In effetti, Vittorio dice “vorrei” e non “voglio”. Ma io avevo sentito “voglio” ascoltando il video, e ho creduto che per fedeltà all’originale si dovesse lasciare quell’errore, che mi sembrava un segno molto umano di emotività. Invece l’emotività ha giocato un brutto scherzo a me, anche perché mi costava far ripartire il video.

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marco rovelli
Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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