L’uomo che cammina un passo avanti al buio
Finalmente anche in Italia un’antologia esaustiva dell’opera di Mark Strand, tra i più grandi poeti americani contemporanei. Da poco uscito per gli Oscar Mondadori, con il titolo L’uomo che cammina un passo avanti al buio, questo volume propone un’ampia selezione del vasto percorso creativo di questo maestro del nostro tempo, dagli esordi negli anni Sessanta fino ai libri più recenti.
Nella sua assoluta originalità, Mark Strand, nato in Canada nel 1934, anche se da sempre vive negli Stati Uniti, ora a New York dove insegna alla Columbia University, è autore di un’opera complessa che si ricollega ai ceppi originari della cultura statunitense ponendosi a metà strada fra il vecchio e il nuovo mondo. Da un lato riecheggia l’imagismo di Ezra Pound e l’astrattismo di Wallace Stevens; dall’altro l’immaginario dantesco, la metafisica moderna di Eugenio Montale, quella pittorica di Paul Cézanne e il surrealismo di Kafka. Da questa prospettiva la sua poesia appare come un fiume al cui alveo affluiscono mondi esterni che, interiorizzati, si rigenerano e incrementano la sua portata.
Quella di Strand è una grandiosa biografia dello spirito di un poeta laico contemporaneo. Un moderno pellegrino in cammino verso una meta elusiva quanto improbabile. In questo percorso il mondo visibile appare al poeta come la controparte di un mondo invisibile, dell’infinito in senso leopardiano, del sublime in senso americano. Rosanna Warren, nel suo saggio introduttivo, colloca la poesia di Strand entro l’area della “poesia pastorale contemporanea”. “Ai confini del mare di Whitman, Frost e Stevens (per tacere di Omero), – scrive la Warren – il poeta contemporaneo prende fiato e trova la propria voce. E una volta trovatala, dove si dipinge? Nel paesaggio tra vita e morte, per così dire attraversando lo Stige”.
Seguendo la tradizione della poesia anglofona del secondo Novecento, Strand predilige al grande edificio epico e alla forma estesa del poema (da distinguersi dalla sequenza di singoli componimenti), la riflessione poetica dal respiro più breve ed episodico, dove ogni poesia è un microcosmo chiuso in se stesso, il racconto di un’impressione o di un’esperienza quotidiana. “Perfino così tardi avviene:/ l’amore che arriva, la luce che viene./ Ti svegli e le candele sono accese come se fossero accese da sé,/ le stelle accorrono, i sogni ti si versano sul cuscino,/ sprigionano caldi bouquet d’aria./ Perfino così tardi gli ossi del corpo splendono/ e la polvere del domani s’incendia in respiro”. L’empatica ed efficace traduzione di Damiano Abeni riesce a restituirci tutta la complessità della poesia di Strand, capace di muoversi in un territorio astratto, ma sempre immerso nelle vicende del reale.
E’ una scrittura composita, quella di Mark Strand, autore abilissimo a intrecciare versi di differente tipologia, a mescolare registri e toni opposti, fantastico e quotidiano, elegiaco e autoironico, a creare accostamenti linguistici impermeabili al senso logico eppure non puramente combinatori o surreali, spiazzando e costringendo così il lettore a dipanare le sue associazioni mentali, a decriptare le sue potenti metafore. “Ora che il grande cane che per anni ho venerato/ è diventato nient’altri che me stesso, posso guardare dentro/ e abbaiare, e posso guardare i monti in fondo alla strada/ e abbaiare anche a loro. Io sono un occhio che vede se stesso/ nell’atto di ricambiarsi lo sguardo, un naso che fiuta l’odore delle ombre”.
La sistematizzazione del disordine sembra essere la spinta propulsiva dell’intera opera di Mark Strand, che pure è consapevole dell’impossibilità di redimere il mondo attraverso il linguaggio: la sua poesia è tutta protesa verso la conquista di un significato assoluto, di una junghiana coincidentia oppositorum, che viene però continuamente rimandata. E allora non resta che una realtà in frantumi, “dove tutto trasmuta e trasmuta/ e l’ignoto trasmuta nel canto/ che è ciò che è noto, ma cosa a sua volta/ ne sia del canto, non sta a noi dirlo”.
Recensione apparsa su Il Riformista del 9 aprile 2011
la sua poesia si fonde alla prosa senza perdere il piacere della pausa, del respiro, del ritmo intrinseco alla narrazione stessa. La poetica di Strand penetra il pensiero vestendolo di sogno e realtà. Leggendolo ho come l’impressione di entrare ed uscire da un tunnel, di un meditare aprendo e chiudendo gli occhi …: verità e fantasia si fanno esperienza sensibile che si fonde al vissuto, cui egli fornisce delle risposte attraverso versi che assumono sempre nuove forme, un elenco di “pensierini” a volte, apparentemente semplici come innocue gocce d’acqua, che alla fine dell’intera lettura lasciano il segno come la goccia sulla pietra. Della “semplicità” si può fare arte complessa, quasi irraggiungibile: in Strand è la perfezione della linea retta che si ricurva inseguendo dolcemente il suo percorso per poi puntualmente tornare diritta al punto di partenza. Una poetica delle domande, mi verrebbe da dire, in cui Strand si risponde scrutandosi, sempre interrogandosi sull’idea delle cose reali. Ne risultano risposte a volte apparentemente slegate, che racchiudono in sé il senso di un pensiero più vasto e profondo che sembra non raggiungere mai pienamente se stesso, fino a divenire nuovo interrogativo, nuova ricerca, nuova meditazione, altra/alta poesia. Il senso dell’assenza come presenza piena, quasi metafisica, descrive una quotidianità che scorre nel tempo, nei giorni, uguale a se stessa, permeando di un senso di tristezza versi che si arricchiscono di immagini potenti ed evocative senza risultarne appesantiti nella loro logica fluidità.
“fissare il nulla è imparare a memoria
quello in cui noi tutti verremo spazzati”
“imprescindibile” Strand, questo libro non mi potrà mancare.
Letto e riletto . resti una lettura per pochi .
“Perfino così tardi avviene:/ l’amore che arriva, la luce che viene./ Ti svegli e le candele sono accese come se fossero accese da sé,/ le stelle accorrono, i sogni ti si versano sul cuscino,/ sprigionano caldi bouquet d’aria./ Perfino così tardi gli ossi del corpo splendono/ e la polvere del domani s’incendia in respiro”
Molto interessante.
Secondo Luciano Anceschi, dal momento che siamo impossibilitati a cogliere l’essenza ultima della poesia, dobbiamo varcare la soglia di quel laboratorio invisibile che è l’”officina” del poeta, vale a dire che dobbiamo tenere ben presenti le poetiche elaborate direttamente dagli artisti.
Da questo punto di vista le strofe di “Vertigine” o “Poesia” ci rivelano molto del modo strandiano di percepire il mondo vivente della poesia, ci offrono, cioè, una plausibile chiave ermeneutica per accedere alla sua “officina”.
Priva com’è di assolutizzanti schematismi logico-formali, la metafisica del maestro Strand concepisce il mondo come un flusso continuo e complesso di eventi, relazioni e significati sempre aperti e rivedibili, perché parziali, in cui “non resta che una realtà in frantumi”, come ha scritto Corrado Benigni al termine del suo ottimo articolo.