La O di Klee e la O di Giotto
di Laura Barile
Pochi romanzi italiani contemporanei (ma Giovanni Orelli è svizzero) hanno la densità e al tempo stesso l’audacia e la leggerezza di Il sogno di Walacek, uscito da Einaudi del 1991 (tradotto in francese da Gallimard e in tedesco per Limmat Verlag) e ristampato oggi dalle romane edizioni 66th and 2nd, con un bel saggio di Rossana Dedola che si avventura e accompagna felicemente il lettore entro il puzzle di questa scrittura umoristica.
Il primo libro di Orelli (premio Veillon, cui si sono aggiunti nel tempo il premio Schiller e il premio Gottfried Keller) aveva una prefazione di Vittorio Sereni. Rileggiamo alcuni suoi versi dal campo di prigionia algerino, datati maggio 1944: “Rinascono la valentia/ e la grazia. / Non importa in che forme – una partita / di calcio tra prigionieri / specie in quello / laggiù che gioca all’ala. / O tu così leggera e rapida sui prati / ombra che si dilunga / nel tramonto tenace …”
Bandolo della matassa, della quale l’autore peraltro non perde mai il controllo pur dilettandoci con la tecnica irresistibile della digressione, è, da una parte, la storica vittoria della Svizzera contro la Germania ai mondiali di Francia del 1938, protagonista la mezzala Walacek. Dall’altra la virtù liberatrice dell’arte e il quadro Alphabet I del grande pittore “degenere” svizzero Paul Klee. Il quadro consiste in lettere dell’alfabeto e geroglifici dipinti sulla pagina del 19 aprile 1938 della “National Zeitung”, sopra la cronaca della finale di Coppa Svizzera tra il Grasshoppers di Zurigo e il Servette di Ginevra.
La lettera O taglia in due il nome di Walacek. Questo è il dettaglio da cui scaturisce, come una musica piena di colore e di buio, un collage di congetture, digressioni per analogia, invenzioni , aneddoti e narrazioni che costituiscono una compatta memoria, borgesianamente o dantescamente tutta in un punto e squadernata, di quanto accadeva in Europa in quell’anno di stendardi e di croci uncinate: i nazisti che invadono il mondo, i presagi funesti, e tuttavia la felicità del pensiero e del creato che si risveglia alla primavera.
Potremmo usare anche un’altra metafora per la costruzione virtuosistica, ma sempre ispirata e di assoluta necessità artistica, del libro: quella del gioco degli scacchi, e l’edizione Einaudi riportava in copertina Überschacht (Il grande scacco) del 1937 di Klee. Il racconto infatti non molla mai la presa (la Storia), in un gioco complesso, intricato e umoristico dove tout se tient.
Tutto si tiene: intorno al vortice proiettato verso il buco nero dell’avanzata nazista, ecco la vita e le chiacchiere intorno al tavolo del caffè, le congetture gli amori delle persone, fra cui lo stesso Klee, Bertrand Russell, il centravanti austriaco Sindelar, che dopo l’Anschluss rifiutò di indossare la maglia tedesca. E sopratutto Schopenhauer, il Wille che avanza, ma anche le montagne fiorite e le belle ragazze …
E’ una tecnica quasi ignota alla letteratura italiana: quella dell’umorismo e della divagazione alla Sterne, alla Jean Paul, qui innestata su una base di italianissima memoria dantesca.
C’è un altro quadro di Klee, nota giustamente Dedola, che potremmo citare: Angelus novus, a partire dal quale Benjamin scrisse le sue vitali riflessioni sulla storia.
Questo coinvolgente puzzle narrativo, che fa scoppiare a ridere per i dettagli fulminanti, è infatti anche e soprattutto una densa riflessione sulla storia, sull’arte e sulla libertà: la libertà del gesto artistico, la libertà di compitare in endecasillabi ipotetiche formazioni calcistiche ( vedi quella dei Dotti Magni: “Tòmma / Bonaventùra da Bagnorègio Alberto Màgno / Geròlamo Gregorio Màgno Ambrògio / Cipriàno Anselmo d’Aòsta Tertulliàno Wàlacek Ockham”).
E ancora, la libertà del colpo finale, di testa, di Walacek, che decide la partita: ove “l’eroe si solleva verso il cielo con tutta la sua umanità, come l’angelo non finito di Klee, con il suo trepidante coraggio”.
Giovanni Orelli, Il sogno di Walacek, 66th and 2nd (2011), pp.176, 14 eu
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condivido, un gran bel libro, arioso e profondo al tempo stesso, che non è mai cosa facile