999 rooms, 1-33: rooms of innocence
999 rooms, 1-33: rooms of innocence / Vanni Santoni
[Nel contesto della rete, l’inglese non suona più come una lingua nazionale ma come il linguaggio dello spazio globalizzato, il linguaggio di una potenziale letteratura transnazionale. La letteratura di una comunità che parla e, soprattutto, legge e scrive l’inglese come lingua solo in parte “altra”: non una lingua madre ma una lingua familiare, legata in modo essenziale all’individuo, a particolari esperienze, sentimenti, desideri, percezioni. Vanni Santoni, scrittore italiano, con il nuovo progetto 999 rooms propone un esempio di ciò può essere questa letteratura transnazionale, una scrittura italiana ma di ambito linguistico globale. Per questo ho scelto di postare il testo in inglese, senza alcuna traduzione. Gh. B.]
Room 1
Room 1 is filled with water.
Room 2
In room 2, a sparrow and a mockingbird flutter about.
Room 3
The floor of room 3 is covered in grass, with sparse buttercups; a huge porphyroid granite block stands in the middle.
Room 4
The walls and floor of room 4 are plastered with lime mortar; near the northeastern corner, wheat, barley, corn, durra and rye are amassed in five conical piles.
Room 5
Above the open ceiling of room 5, one star shines.
Room 6
In room 6, there is bdellium and the onix stone.
Room 7
Most of room 7’s floor is occupied by heaps of those brick sticks – nameless yet known and appreciated by children, who hand chop them pretending they’re martial artists – that sometimes litter a construction yard after the placement of hollow tiles.
Room 8
On the eastern wall of room 8, the window is a square hole. The depth of the wall itself functions as a windowsill, homing three pots of lilies.
Room 9
In room 9 there’s no enemy
but winter and rough weather.
Room 10
On the sand-covered floor of room 10, a conch can sometimes be seen.
Room 11
In the middle of room 11, a bush is aflame
with fireflies, boughs looking golden at times.
Room 12
On the table in room 12, there are twelve loaves of bread, twelve branches, twelve stones, twelve strips of cloth and three sets of twelve silver bowls.
Room 13
Some people are said to have seen, in the dark recesses of room 13, an object whose description matches that of a contemporary arcade machine; a few reports include tales of interaction, but are generally considered made up or a product of suggestion.
Room 14
Under the ash covering room 14’s floor, a serpent is asleep.
Room 15
The walls of room 15 are frescoed with wild dill motifs. Drums can be heard from afar.
Room 16
In room 16, mirrors and rags abound.
Room 17
In vast room 17,
oaks sometimes bear apples;
from apple seeds alders
can grow, whose branches bloom
with narcissus flowers
which hide no lycorine,
but tamarisk-perfumed amber.
Room 18
Room 18 is an empty cave.
Room 19
Room 19 is a cave not unlike room 18, but it does have a square hole for window. Somewhere outside a fire is ablaze, projecting shadows, both still and dancing, on the opposite wall.
Room 20
In room 20
there are the wooden fender
& the butter
(and energy up yonder).
Room 21
In low-ceiled room 21, russet mushrooms sometimes grow.
Room 22
In room 22, there is one candle on its stand, and one under a bushel.
Room 23
In room 23
a golden braid or gyre,
more gyre than a braid
(yet eternal, some say)
spins the night afire.
Room 24
In fair room 24, a three legged oak table stands; a bowl of milk rests over it.
Room 25
Room 25 has rammed earth walls and floor; on the southern wall, tubers of various kinds are heaped together.
Room 26
Room 26 is a big mouth’d cave
from which the moon’s pale orb
is seen climbing up a pathless sky,
her dainty beam soothing
the joy austere of contemplation.
Room 27
Room 27 is one huge dreaming crystal.
Room 28
A statue of figwood has been set in room 28;
a mouthless statue of figwood with three legs and no ears.
Room 29
A thread discends from the middle of room 29’s groin vaulted ceiling down to three feet high, where a gold-enameled fish is suspended.
Room 30
Room 30 is broad and sunny, geckos sometimes crawling up its old adobe walls.
Room 31
A flower-like moon in heaven’s high bower is engraved on room 31’s high and flat metal ceiling.
Room 32
The floor of room 32
of dark, damp, fat earth is made.
Room 33
Cymbals resonate at intervals in room 33’s hexagonal space. Colored wood cubes are scattered on the matted floor, at the center of which the papier-mâché diorama of a mountain stands. Ionic thirds of column apparently sustain the ceiling from the six corners of the room; on the northern wall, a moon and a sun, as if they were up in the sky at the same time, are roughly painted.
I commenti a questo post sono chiusi
non capisco bene che cosa aspiri a essere questa supposta “letteratura transnazionale”, scritta in una lingua che ancora molti in questo paese non capiscono, e/o che conoscono in modo superficiale e spesso sbagliato. L’inglese così diventa una specie di lingua franca utile per comunicare cose superficiali. Gli italiani pensano ancora che actually voglia dire attualmente e che delude voglia dire deludere.
@sparz sulla questione della transnazionalità ti rimando a Gherardo, che ha scritto l’intro di cui sopra.
Per quanto io concordi con la scelta bortolottiana di non apporre traduzioni, e con le sue ragioni, tengo comunque a precisare che il progetto 999 rooms è pensato per – e si rivolge a – un pubblico che conosce la lingua inglese.
@ Sparz
non penso che le cose debbano essere pensate in alternativa: o lingua transnazionale ma poco conosciuta in Patria o lingua nazionale particolaristica. Le due dimensioni possono convivere, stimolare pubblici diversi o simili, spronare a imparare un po’ meglio l’inglese.
Se Manzoni, Verga o Svevo (che aveva difficoltà con l’italiano…) avessero fatto lo stesso ragionamento, avremmo dovuto aspettare gli anni sessanta per leggere i primi romanzi in italiano.
Oggi Don Lisander scriverebbe in inglese.
999rooms è un’opera in lingua inglese scritta da un autore italiano (Vanni risponde in inglese persino ai commenti in italiano su 999rooms.org). L’inglese del testo non è basic o pidgin ma ben letterario (anche se a me sembra di sentire talvolta calchi sintattici dall’italiano, ma potrebbe essere solo un falso riconoscimento).
L’aspetto di 999rooms che colpisce di più è non la lingua, ma l’evidente riattualizzazione, riproposizione e radicalizzazione, internettara della letteratura potenziale/composizionale dell’Oulipo. Si parva licet, tra il Calvino del Castello dei destini incrociati e il Perec di La Vie mode d’emploi.
Il testo riportato nel post *non è* quindi 999rooms, 1-33 ma (lasciando pure stare il discorso sui commenti al testo nel sito) un suo legittimo appiattimento, una delle possibili sequenze.
A me sembra tutto un po’ ridicolo, come lo e’ la pretesa di scrivere un inglese neoglobal, culturalmente ed etnograficamente inesistente ma oggi molto pop, come la coca cola. Questi testi non vanno collaudati qui, su un sito italiano piu’ o meno aperto ai gonzi borghesi o ai giovanotti irretiti dalle scienze della comunicazione, ma su siti di madrelingua anglofona: inglesi, americani, canadesi, neozelandesi, australiani, caraibici. Li’ vi diranno in due minuti chi siete (giovanotti simpatici), cosa volete (fare bollicine) e da dove venite (dal Paese del gioco delle tre carte).
“Li’ vi diranno in due minuti chi siete (giovanotti simpatici), cosa volete (fare bollicine) e da dove venite (dal Paese del gioco delle tre carte).”
Ovvero esattamente cio’ che si diceva in Inghilterra dei primissimi scrittori caraibici (o australiani, canadesi, neozelandesi ecc), suppongo.
@Ilfugiusco: il collaudo tra i madrelingua sta andando bene (per cominciare, a differenza degli italiani, non si curano se l’autore sia un giovanotto o un anziano, né tantomeno fanno di ciò un parametro di valutazione dell’opera) e gli epiteti rimediati sono fortunatamente molto diversi da una mera constatazione di effervescenza ;)
Be’ in Inghilterra, sul versante poesia, c’e’ la grande lotta fra i conservatori maschi, bianchi, anziani, modernisti di Carcanet e tutte le “minoranze” immesse nel circuito da Bloodaxe e io simpatizzo sinceramente per queste ultime. Pero’ fra italioti non dovremmo darcela a bere: li’ si trattava e si tratta di questioni etnografiche e politiche reali, non di bollicine da precari della scrittura. Ma l’Italia non e’ la fu DDR e quindi la libera iniziativa, la libera impresa, hanno ancora maggior senso che borbottii corveschi. Prosit.
(vale anche la pena sottolineare che questa uscita “indiana” non viene da un desiderio di collaudo, o di accesso a un diverso gruppo di lettori, ma dalla semplice richiesta del buon G.B., che ho volentieri assecondato… qualche polemica sulla lingua era inevitabile & prevista :) )
@jumpinshark ti ringrazio per le (benigne e condivisibili) notazioni: credo che il link apposto da G.B. nella sua intro sia lì proprio come antidoto all’appiattimento, ovvero per indicare che questo estratto non vuole – né del resto può – prescindere dal progetto nel suo complesso (queste 33 stanze e questa 1 categoria esistono innanzitutto in funzione delle altre 966 stanze e delle altre 32 categorie).
inevitabile, prevista ma cmq incomprensibile.
ora devo scappare ma spero di tornarci a breve :-)
vanni transnazionale!
“Be’ in Inghilterra, sul versante poesia, c’è” tanto. tanta roba.
per esempio Salt Publishing. anche in lingua inglese (ossia in generale, non solo “in Inghilterra”) c’è tanta roba, per esempio un po’ di flarf (ma perfino altro). da non credersi. da non dirsi.
Vero, c’e’ anche Salt, piu’ recente delle altre due, indirizzata a livello concettuale sulle linee alle quali vi appoggiate. Pero’, mi permetto di suggerire, il flarf va introdotto qui in Italia in un qualche modo accessibile ai comuni mortali, perche’ e’ in effetti incomprensibile nella nostra tradizione (e altrettanto incomprensibile che venga praticato da noi, ma questa e’ solo una mia opinione). Questo spot, ad esempio, e’ molto flarf in testo e paratesto: http://www.youtube.com/watch?v=S-CSljDKjJY
Curioso trovare nell’atmosfera rarefatta delle stanze il riferimento hofstadteriano.
ma cos’e il flarf?
@sparz: in effetti credo che non ci sia nessuna aspirazione particolare. un lavoro come quello di vanni è solo il segno di una novità e l’etichetta “letteratura transnazionale” è solo un modo per individuare una nuova dimensione della produzione letteraria rispetto alla questione (sull’arco della storia delle letterature a conti fatti abbastanza recente) del canone nazionale.
il punto qui non è tanto: scrivo in inglese perché in italia l’inglese sta diventando una lingua diffusa ma scrivo in inglese perché, grazie alla rete, ho un accesso diretto, mi muovo fin da subito, in un contesto globale, in cui l’inglese (con tutte le considerazioni che ci sarebbero da fare) è una lingua se non madre almeno sorella.
@jumpinshark: il discorso di cui sopra, mi spinge a risponderti che le tue annotazioni sono vere (il riferimento oulipiano intendo, come anche la nota sul livello dell’inglese che usa vanni) ma non indivuano il punto di rottura, per così dire, di una proposta come 999 rooms. l’oulipismo delle stanze non è “squisitamente” internettaro, anzi, è proprio cartaceo. l’in più della rete alla letteratura combinatoria o basato sulle costrizioni è che fornisce o il motore (con script e programmi vari) o un palinsesto sufficientemente grande per gestire tutti i risultati della combinatoria. davvero, la novità di una proposta come 999 rooms (tra le altre, sia chiaro: su gammm abbiamo postato testi direttamente in inglese di autori americani e di autori italiani, per dire, contando proprio sul circuito transnazionale a cui ci rivolgevamo) è proprio il contatto diretto che viene stabilito da parte dell’autore con la dimensione globale. in questo, mi ricorda molto le considerazioni di sassen sulle grandi città nella globalizzazione e sulla coesistenza di spazi globali e spazi locali.
@giusco: il riferimento alle questioni della letteratura post-coloniale o cmq a questioni analoghe in effetti mi sembra dimostri che non è stato proprio capito il punto sottolineato (e cmq, rispetto al punto che sollevi, ti risponde adeguatamente raos).
evidentemente non ho sottolineato abbastanza quello che intendevo dire. come sopra: qui non si sta ragionando sul rapporto con una lingua nazionale e con il canone che gli si riferisce. l’inglese non è più lingua nazionale da parecchio e, per di più, grazie anche alle sue peculiarità linguistiche in senso stretto, è anche una lingua particolarmente abitabile, usabile, abusabile. l’operazione di vanni è un modo per dimostrarlo.
va beh. un po’ di risposte alla rinfusa. that’s it.
sì, ma http://www.youtube.com/watch?v=S-CSljDKjJY sarebbe flarf se sapesse di esserlo.you’d better watch http://www.youtube.com/watch?v=u83uTNXkvy8
Nuestro Himno
ecco, (questa cosa che scriverò dopo i 2punti: -aveva ragione il busi a dire che con tutte le lingue straniere che conosceva, sarebbe stato meglio non utilizzare la lingua italiana- è un’associazione d’idee) mi piace l’anafora, mi piace l’elenco, mi piace, anche se preferisco il francese transnazionale :) , mi piace l’allinguamento in altra maschera fonosintattica. l’uso del simbolico transeunte; qualsiasi lingua può tradurre l’anima, se c’è anima in ciò che si scrive; bravi santoni&bortolotti :)
http://slowforward.wordpress.com/2011/04/23/du-champs-mapping-1000-blogs/