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La Terra ballerina

di Antonio Sparzani

La situazione in Giappone non migliora, ma per amore di distrazione e per alleggerire l’angoscia che deriva dalla previsione delle conseguenze dell’insensatezza degli umani, vi parlerò di una ballerina, o più esattamente, in questo caso, di una pattinatrice.
Guardate gli ultimi secondi di questa brevissima clip della straordinaria pattinatrice su ghiaccio Carolina Kostner, guardate come fa una pattinatrice su ghiaccio, ad aumentare a comando la propria velocità di rotazione: come fa? Supponete che ella già stia un po’ ruotando, oppure che si stia dando una spinta in tal senso: il gesto essenziale che le fa aumentare la velocità di rotazione è stringere le braccia sull’asse del corpo, fino ad essere il più possibile simile a un palo sottile. Potete provare anche voi, senza i pattini e le scarpette apposite, fate due giravolte in piedi sul pavimento, a braccia stese in fuori, come doveste sorreggere un/a grande partner in un vorticoso valzer, e improvvisamente, mentre state ancora ruotando, stringete le braccia al petto, o alzatele in verticale, come fa Carolina: a parte il rischio di perdere l’equilibrio e di rendervi ridicoli agli occhi degli astanti, avvertite improvvisamente una spinta a ruotare più velocemente.
Questo insegna la fisica, in particolare la meccanica classica, quella di Newton e di d’Alembert, di Legendre e di Hamilton; quella che ancora si insegna nelle nostre scuole, e giustamente, dato che, per tutti i fenomeni della vita quotidiana cui ci viene in mente di applicarla, funziona egregiamente, basta non volerla applicare agli atomi o alle nane bianche, dentro le quali succedono cose assai più strane.

Sembra che sia ‒ quella della pattinatrice ‒ la stessa tecnica che applica un gatto, quando cade da una certa altezza, per arrivare al suolo sempre sulle zampe e non sulla schiena. I felini hanno il teorema della conservazione del momento angolare direttamente incorporato e lo applicano alla perfezione, visto che mamma evoluzione l’ha fornito loro gratis. O meglio non gratis, ma dopo migliaia di loro simili morti per caduta sono sopravvissuti quelli che “avevano capito” che bisogna fare quel movimento lì. Questo non è un buon motivo per “fare l’esperimento” e andare a buttare il vostro gatto dal quarto piano, mi raccomando.

Perché succede questo? Proverò a dirlo in termini semplici senza dimostrazioni formali ma cercando di stimolare l’intuizione: quando vogliamo far ruotare un corpo intorno a un asse ‒ una ruota attorno al suo perno centrale, la Terra attorno all’asse che congiunge i due poli, la pattinatrice attorno all’asse verticale che passa per il suo baricentro ‒ facciamo tanta più fatica quanto più la massa di quel corpo è distribuita lontano dall’asse di rotazione. Prendete il solido mostrato qua sotto:

un ellissoide, così chiamato perché sezionandolo comunque con un piano si ottiene un’ellisse. Immaginate di farlo ruotare attorno all’asse x: sarà ben più facile che farlo ruotare attorno agli assi y o z, perché rispetto a questi assi, provate a guardare, ci sono più parti del corpo lontane dall’asse, mentre tutte le parti del corpo sono abbastanza vicine all’asse x. Questa caratteristica di un corpo di avere le sue parti distribuite in un certo modo rispetto a un asse di rotazione può essere calcolata matematicamente e prende il nome di momento d’inerzia. Il nome contiene giustamente il termine inerzia, si potrebbe dire che rappresenta l’“inerzia rotatoria”, quella che il corpo oppone a farsi ruotare.

Pensate adesso a un movimento rettilineo, non rotatorio: se dovete mettere e mantenere in moto un veicolo, fate tanta più fatica quanto più il veicolo è pesante, cioè quanto maggiore è la sua massa. Se, improvvisamente, mentre lo state muovendo, la sua massa diminuisce per qualche motivo (viene espulsa parte del veicolo, per esempio), la fatica che fate a spingerlo diminuisce bruscamente e di conseguenza il veicolo accelera altrettanto bruscamente.

Del tutto analogamente, se mentre un corpo ruota, cambia la distribuzione delle masse al suo interno per cui il momento d’inerzia diminuisce (stavolta non la massa diminuisce, ma il momento d’inerzia, cioè la distribuzione della massa rispetto all’asse di rotazione), ecco che occorre meno sforzo per farlo ruotare e dunque aumenta la sua velocità di rotazione. Questo è quello che fa la pattinatrice: stringe le mani al petto, o, ancor meglio nel caso della nostra Carolina Kostner, le porta in alto allineate in modo che siano il più vicine possibile all’asse di rotazione e per qualche attimo la sua velocità di rotazione su se stessa appare vorticosa. Appena allarga le braccia bruscamente di nuovo rallenta.

Tutto questo discorso perché volevo arrivare alla nostra povera Terra, l’unico pianeta che per il momento abbiamo a disposizione e che dovremmo cercare di non massacrare troppo, giusto per non tagliarci da soli l’erba sotto i piedi. Veramente dei terremoti non abbiamo colpe, a quel che pare, piuttosto potremmo avere l’accortezza di non costruire oggetti pericolosi in zone altamente sismiche, e anzi di non costruirne affatto di oggetti pericolosi, tipo le centrali nucleari. Centrali che, come ho già spiegato qui, a mio avviso sono e saranno sempre e inevitabilmente pericolose, almeno finché non saremo capaci di fabbricare quelle a fusione, tutt’altra cosa, per le quali non c’è radioattività e non c’è rischio, almeno di questo tipo.

Quello che mi interessava spiegare, un po’ a margine del disastro giapponese, è quello che alcune notizie di stampa hanno frettolosamente detto, quando hanno parlato di “spostamento dell’asse terrestre” e di “variazione della lunghezza del giorno”, come se la Terra si fosse messa a ruotare più velocemente. In qualche senso, e in misura molto piccola, è proprio così, ed è così per i motivi che ho appena spiegato a proposito della pattinatrice.
Un terremoto come quello che ha colpito il Giappone, o quello, di paragonabile intensità, che ha colpito il Cile nel febbraio dell’anno scorso avviene a causa di scorrimenti di grossi strati del nostro pianeta che strisciano più o, in alcuni momenti, meno lentamente gli uni sugli altri al suo interno. Quando, come in questi casi, si tratta di una grossa zolla che scorre sotto un’altra, avviene appunto che si modifica, di una quantità piccola ma non trascurabile, la distribuzione delle masse all’interno della Terra, modifica che va nel senso ‒ in questi ultimi casi ‒ di avvicinare un po’ di più una certa quantità di massa all’asse di rotazione terrestre (quello che congiunge i poli). Risultato: diminuisce il momento d’inerzia e aumenta la velocità di rotazione: la durata del giorno è diminuita, sia nel caso del terremoto del Cile, sia in questo caso, di qualche microsecondo, cioè milionesimo di secondo. Poco, ma misurabile e ormai tale da dover essere tenuto in conto data la precisione delle misure che oggi si richiedono.

Del resto non è questa l’unica perturbazione sulla lunghezza del giorno: infatti, per effetto dell’energia dissipata ‒ dissipata ad esempio per l’attrito dello sfregamento di enormi masse d’acqua sul fondo marino e sui litorali ‒ giornalmente nel fenomeno delle maree (dovute, come si sa, principalmente all’azione della Luna e a quella del Sola) la Terra rallenta e la durata del giorno si allunga di 17 microsecondi all’anno, compensando così, sia pure in piccola parte, l’effetto di questi terremoti.
Nulla vi è di perfettamente stabile nell’universo e neppure nel nostro sistema locale di pianeti e satelliti; vi sono piccole continue variazioni che producono negli anni e nei secoli variazioni apprezzabili, spesso dette appunto “variazioni secolari”. Al tempo della scomparsa dei dinosauri (circa 65 milioni di anni fa) il giorno era circa un quarto d’ora più corto di adesso, quantità non indifferente per quanto riguarda ad esempio il clima del pianeta.

Se ci pensate un attimo, vi accorgete che anche lo scioglimento dei ghiacci polari ha un effetto di questo stesso tipo: l’acqua che si scioglie fluisce un po’ alla volta dalle regioni polari alle regioni equatoriali e tropicali, le quali sono più lontane dei poli dall’asse di rotazione terrestre; dunque, a causa di questo effetto, il momento d’inerzia della Terra aumenta (ricordate? aumentano le masse distribuite lontano dall’asse) e dunque la velocità della rotazione diminuisce. Ecco un altro fattore che aumenta la durata del giorno.

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1 commento

  1. Grande Sparzani, e grazie!, per avere tradotto con semplicità un concetto un po’ ostico (la distribuzione delle masse di un sistema ruotante intorno a un asse baricentrico) in una delle sue tante traduzioni pratiche (per andare sul difficilotto penso alll’importanza del momento di inerzia nel calcolo della sezione di un solido deformabile soggetto a sollecitazione).
    Spiegare facile cose difficili è sinonimo di profonda competenza.
    Eppure, tra gli addetti ai lavori, non ci riesce quasi nessuno.

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antonio sparzani
antonio sparzani
Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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