The killing moon. Riscritture
di Vincenzo Bagnoli
Da Deep Sky (d’If, 2007)
The killing moon
Cieli bianchi di nuvole basse
sempre le stesse del sessantasette
atti di nascita non compilati
l’infinità dello zero l’ovunque.
La buia ottusità del giorno pieno
lattiginosa cortina uniforme
mangia la cima di tutte le cose
come il mare d’inverno ingoia la costa,
e nei sorrisi nebbiosi ritrovo
il gelo delle stelle di dicembre,
cerco un racconto le cose che ho visto
ma niente mi rimane e niente sento.
Lune assassine attraversano gli anni,
ore calanti In nulla, è ormai questa
la vera paura, I vuoti alle spalle
non la morena dei duri detriti,
qualcosa che dietro lascia la scena
(e visto di sfuggita nello specchio)
le altre parole accanto cancellate:
da loro non riavrò le sensazioni.
***
Skyline
Gela la terra E gela il colore
rappreso come Un angolo di ombra
l’ira di Orione, la sua trasparenza
tremenda senza tregua la stanchezza
i chiari cieli bassi dell’inverno
la verità del termometro fredda
il buio nella strada del mattino
nel centro dell’occhio la macchia, il vuoto
il grande cerchio d’ombra dell’eclittica.
Siamo rimasti al bordo di giornate
gli sguardi come stanchi soli, raggi
rasenti ai muri esterni di dicembre
nei pomeriggi corti e vuoti obliqui
non una sillaba Ai giorni brevi
***
Inediti
By this river
La pioggia di Bologna brucia pelle
e pietra d’arenaria, il tempo corre:
è un fiume di acque nere dell’inverno
che scorre via veloce verso il fondo,
dentro la notte, nel cuore del nulla
che avvolge nel silenzio i nostri passi
fermati sulla sponda senza guado:
ma noi vediamo solo galleggiare
le grigie e lente lamine di ghiaccio
che stridono incagliandosi fra loro,
la corsa rapinosa invece sfugge,
ci sembra tutto fermo e noi restiamo
sempre distanti, sempre sulla riva
di questo fiume, ma senza parole.
***
Baffin
Ora l’inverno si spenge, il freddo
non morde tanto nelle ombre più brevi.
La primavera è ancora lontana
e in mezzo resta un deserto di luce
che si fa strada nei giorni, un cielo
sempre più azzurro, ma senza calore,
attraversato da strisce di cirri;
anche abbassando lo sguardo ai miei passi,
un’arida steppa di strade spoglie
come una convalescenza sbiadita
mi riduce a un punto sulla mappa.
In questo vuoto vasto mi smarrisco,
in questa geografia della sfortuna
che ci disperde e manda alla deriva
in tutti i giorni persi senza nome.
Ordo rerum
per Manuela Pasquini
Nell’ordine delle cose ci sono
i pomeriggi e le sere di vento,
la casa vuota, la voce al telefono,
frasi che andrebbero dimenticate
e che ritornano come una febbre
leggera sotto alla pelle, alle cinque:
un’aria appena più densa, qualcosa
che riaffiora dal vano sulla soglia.
Ma dimmi, cosa importa dei rimpianti?
di sotto all’apparenza e alle occasioni
c’è solo il lento passare del tempo:
gli strappi ce li siamo immaginati,
gli sguardi dati e le ultime volte,
messi sui giorni come trasferelli,
si staccheranno lenti e con grazia
la melodia del sintetizzatore
suona ogni volta, ma senza rancore,
la sigla del game over nel tuo gioco.
***
Kyrie eleison
(on a highway in the light)
Sale dalla pianura l’aria calda
nel cielo terso dell’alta pressione;
l’umidità attorno alle cime
nelle correnti più fredde condensa
in sbuffi di vapore, alte scie
vicino alla dorsale di confine,
e sul versante esposto del monte
il coleottero plana nel vento:
scintilla sotto al sole il dorso d’oro.
Anche le troppe parole degli uomini
salgono rapide nell’atmosfera,
ma si diradano in fretta, azzittite
sui fianchi delle morene glaciali
contro alla forza di un fronte occluso
e agli anticloni occidentali.
The Boy of Summer
(i giorni di isis)
L’anno in cui sei nato giove ruotava
insieme alla mezza luna di agosto
e venere bassa sull’orizzonte
col sole nascosto. E tu nuotavi
non visto in tua madre che nuotava
nel mare sotto ai cirri di oriente,
sospesi fra alte e basse pressioni,
in equilibrio fra maree e correnti;
il cielo aveva un colore stupendo
e anche parole di nuvole chiare
e si poteva sentire nell’aria
la trama delle forze regolate,
le variazioni del cosmo profondo;
le stelle della sera raccontavano
le favole delle costellazioni,
la tenue radiazione di dicembre;
in fondo ai mezzogiorni si sentiva
la tenera canzone di un solstizio,
piccola voce delle albe di aprile
e il vento fra i platani del viale
aveva il respiro dell’universo
nell’iride dell’occhio di quei giorni,
glauca memoria, lo sguardo sereno.
gli endecasillabi scanditi come musica delicatamente martellante nelle maiuscole che segnano le pause, le puoi sentire. Skyline, in particolare, è musica in parole, e Bagnoli un altro pianeta.
granderrimo.
complimenti; leggerti è sempre un piacere.
un saluto,
alessandro