Il sacrificio di Fukushima
di Marco Rovelli
Connesso di continuo in questi giorni, a seguire gli sviluppi del disastro giapponese. I sensi all’erta, il pericolo che ci minaccia. Una nube, ancora. Una nube che sfugge, inafferrabile, senza riguardo per frontiere e religioni. Incarnazione tangibile (nella sua intangibile numinosità) dell’essenza perversa del capitalismo globale. Poi, nel cuore del disastro, la vicenda dei cinquanta tecnici della Tepco che hanno scelto volontariamente di restare nella centrale di Fukushima a fronteggiare la catastrofe. Che hanno scelto la morte. A fondo perduto, prima di tutto, nonostante ogni ragionevole considerazione: se l’amore è qualcosa è questo, la responsabilità a una chiamata, la coscienza del senso di sé che non si esaurisce nel sé. Non può non chiedersi ciascuno di noi quanto sarebbe capace di tanta dimenticanza di sé. (E viene da chiedersi, ancora una volta, quanto la sfilacciata, familistica etica italica avrebbe consentito quella scelta, che appare in maniera assai marcata un esito dell’etica giapponese: non si rimarcherà mai abbastanza la compostezza di quel popolo di fronte a questa tragedia). Poi, tra i beneficiari di quel sacrificio, il solito “daimon” mi fa intravedere, oltre all’umanità (gli affetti concreti, la comunità astratta), anche chi ha scelto che questo potesse succedere: l’amministratore delegato di Tepco, e gli azionisti, gli speculatori finanziari, e anche i politici – che non sono lì a sacrificarsi. Così che questo sacrificio diventa anche l’ennesimo, volontario tributo al “potere”: dove il potere è quel mostro leviatanico che dispensa Parola e Legge, che sceglie “per conto di”, che oggettivizza gli individui in sudditi. E, ancora, si tratta di un potere molecolare, che lega a questo sacrificio tutto il corpo sociale (l’azionariato diffuso in questo senso è una distribuzione della responsabilità – in solido – in tutto il corpo sociale). Una società sacrificale, da questo punto di vista. Ma per il momento vorrei stare ancora nella contemplazione della donazione assoluta di sé di quei cinquanta uomini.
(pubblicato su l’Unità, 19/3/2011)
Il padrone chiede chi se la sente, 50 eroi decidono autonomamente di restare. Del resto si sa, i giapponesi il sacrificio ce l’hanno nel sangue. Mettiamo invece che nessuno l’avesse alzata, quella mano. Davvero uno crede che avrebbero sgombrato il campo e chi s’e’ visto s’e’ visto? Insomma uno si chiede: ma davvero sono volontari questi disgraziati?
Ma l’etica dell’obbedienza (sotto il ricatto dell’onore) è a doppio taglio.
Il giornale di Singapore STRAITS TIME traduce estratti dal blog, ora chiuso, sul Social Network MIXI di Michiko Otsuki un’impiegata della TEPCO che dall’interno del reattore descrive la situazione:
http://www.straitstimes.com/BreakingNews/Asia/Story/STIStory_646210.html
Hai ragione Elio, è un’arma a doppio taglio. Se avessi avuto a disposizione più di duemila battute avrei detto anche che non si può non considerare l’ambiguità del concetto di onore, legato a quello del dovere come legame fondativo della società, come parte di un’etica disciplinare e costitutivamente sacrificale essa stessa. Che tra l’altro è ciò per cui credo che queste persone siano Vittime, e non Eroi. Ma questo non può oscurare l’altro elemento: l’abbaglio dell’ essere – davvero, stavolta, e non letterariamente parlando – “all’altezza della morte”.
[grazie]
l’onore è salvifico, sempre.
buone parole, Marco, grazie.
A me l’etica civile giapponese fa paura.
Se andassimo anche più a fondo, occorrerebbe anche chiedersi come può un paese sismico che ha avuto il 6 e il 9 agosto 1945 puntare tanto sull’energia nucleare.
Un articolo bellissimo che rende omaggio agli uomini pensando all’umanità prima della loro salvezza. Anche a Tchernobyl fu esempio di coraggio straordinario. Penso a questo luogho dove una natura strana
si arrampica in un silenzio di fine del mondo, con vestigio della presenza umana. Mi stringe il cuore.
Splendido pezzo, Marco. Sei riuscito a sottolineare l’aspetto più umano dell’etica massima che va oltre il proprio personale e, dall’altro lato, quanto questo possa giovare al potere (cosa può non avere questo effetto, mi chiedo). Il punto è che il potere genera discorsi, il potere è un discorso reificato, quindi fagocita le narrazioni alternative.
Forse sarebbe giusto ci fossero 2 fronti, dove il sacrificio da un lato venisse accompagnato dalla protesta verso chi questo sacrificio l’ha reso necessario. Mutuo aiuto e rivendicazione, tipo.
A.
Live in Japan – for make the human being
Voglio soltanto dire che, una volta
ancora, i morti possono insegnarci
qualcosa di essenziale sulla vita;
continuando a parlarci del futuro,
per un seguito e un senso – in noi: non essere
inghiottiti nel nulla della “Storia”,
bruciati senza eredità, finiti
nel buco nero della rimozione
o, peggio ancora, messi sotto vetro
in vane commemorazioni – come
mummie o fantasmi, a perseguitarci
con remote maledizioni… È questo,
l’unico appello di un’altra catastrofe
– l’ennesima, continua apocalisse
inascoltata – che il popolo del sole
che sorge, e millenarie tradizioni
di sintonia col mondo naturale,
ha di nuovo subito – dopo il mostro
bellico di Nagasaki e Hiroshima…
Sentite, i samurai e i kamikaze
dell’esistenza, che cosa ci dicono?
Lo vedete, che ci mostrano come
si compia l’harakiri planetario!
Nel non voler sapere, né capire
ciò che invece più importa: l’energia
più potente di tutte, imprigionata
in marchingegni tecnico-sociali,
che le impediscono di liberarsi
– che ci costringono a disinnescarci,
invece di scoppiare di salute,
guarendoci nel tempo della Terra –
perché risbocci l’uomo: come i fiori
perfetti dei ciliegi, in primavera.
(18/03/2011 – dopo Fukushima…)
come sempre questo genere di logica si nutre di un caino e di un abele.Poi la moltiplicazione delle divinità permette di formulare un sacco di idiozie mentre la vita non è né onore né orgoglio né sacrifico.Si vive,si muore,si nasce,si cresce,si invecchia.Il resto è affabulazione di un essere che non è mai nato,si è voluto castrato da se stesso.
Il disastro è frutto di una ideologia nefasta, disastrosa anche l’ideologia del sacrificio in cui è abele che resta sgozzato dalle mani del fratello che poi lo dimentica perché ancora non ha capito che era se stesso che ammazzava ancora e ancora e ancora.
f.f.
Parole belle e efficaci. E’ giusto, e sopratutto utile tener conto delle cose da questa prospettiva. Grazie