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Recensione a un libro non letto

di Marino Magliani

Sono, ero, un appassionato di calcio. Sono, ero, un grande appassionato di calcio, ma strano, uno di quelli che non andavano allo stadio. Ci sono entrato poche volte nella vita. Una per tutte: mi trovavo in Spagna, un amico argentino mi convinse a investire in una partita, comprammo una decina di biglietti per rivenderli il giorno della partita (giocava il Barcelona contro El Real) sarebbe stato un gioco. Una cosa facile, il mio amico ne era sicuro. Era l’autunno, avremmo saldato un debituccio che avevamo entrambi col padrone della pensione. Ci andò male, il giorno in cui giocarono pioveva e Maradona rimase in tribuna per infortunio. Col mio amico andammo allo stadio e ci sedemmo, distanti, le braccia larghe a occupare i posti che ci erano rimasti. Partite non ne vedevo, alla tele sì, o a parlarne, che è un po’ come vederle, forse, rigiocarle. Ore e ore a parlare di calcio. Se sapessi parlare di letteratura come lo so, lo sapevo, fare di calcio, sarei direttore di ttl.
Quando parlavo con qualcuno di calcio mi rendevo subito conto se valeva la pena e se era il caso di abbassare l’asticella. Ho arricchito la mia conoscenza sul calcio vivendo un anno in Argentina e parecchi anni in Spagna e lungo tempo in Olanda. Quando si dice che gli argentini il calcio ce l’hanno nel sangue non si mente. Tra un locutor di radio argentino o un giornalista sportivo argentino e un giornalista italiano di quelli che passano nella tv nostrana o scrivono sui giornali rosa non c’è paragone. I giornalisti argentini a quelli italiani gli pisciano in culo e gli fanno credere che piove. Il linguaggio, la fantasia, le onde della prosa latina, non c’è paragone. In Olanda peggio, i giornalisti sportivi, tolta l’intelligenza di Wim Kieft, fanno pena, continuamente in difficoltà, si giustificano o tentano di nascondere la loro inadeguatezza insultandosi. Perché parlare di calcio non è mica facile, si può romanticizzare, raccontare la solitudine del portiere come quella del dj in discoteca o quella dell’ala, la robustezza sfigato onesta del mediano, la cattiveria del difensore centrale. Ma poi occorre parlare di calcio.
C’è una persona, un amico – e questa recensione a un libro che non ho letto la scrivo perché lui è un amico perché se non fosse un amico non potrei dire queste cose, perché sono stato a sentirlo tante volte come si sta a sentire un amico, perché uno diventa amico quando lo stai a sentire volentieri, anche – un amico che vive a Milano e che incontro di rado ormai, che di calcio sa molto, e racconta le cose come un locutor de radio argentino e staresti a sentirlo parlare di calcio fino all’alba, è un amico che ha scritto un libro sul calcio, l’avete capito, e io quel libro non l’ho letto, ve l’ho detto, ma sono sicuro che chi ama il calcio deve leggerlo, e chi non l’ama più come me, leggendolo ricorderà le cose, i numeri che portavano una volta i giocatori, il 4 il mediano, il 10 la mezz’ala o quella che chiamavano la mezza punta, il 9 l’ariete, l’11 il mingherlino genio e sregolatezza, puro zurdo, il 5 che picchiava l’attaccante avversario fin dentro gli spogliatoi, lo seguiva nella doccia e lo picchiava fin quando non gli dicevano che la partita era finita, i numeri già… E Franz Krauspenhaar, l’amico che ha scritto il libro sul calcio che non ho letto ma sono sicuro che è bellissimo perché lui Franz ha questo nome nordico ma parla di calcio come gli argentini, Franz ora questo libro l’ha scritto. E sono sicuro che un libro così lo ama anche chi odia il calcio, perché ora può capire perché è così bello odiare il calcio. Il libro dovrebbe uscire per l’editore Perdisa, per quale collana me lo farò dire, e non so neanche quanto costa, spero meno di 15 euro.

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6 Commenti

  1. “E Franz Krauspenhaar, l’amico che ha scritto il libro sul calcio che non ho letto ma sono sicuro che è bellissimo”

    complimenti per la professionalità… allora io sono dostoevskij

  2. laserta, è evidente il paradosso di Marino, no?
    (Tranne per i maliziosi, altrettanto evidentemente.)

  3. mi perdoni, caro Biondillo, è che troppo spesso, ultimamente, su NI, i critici si mettono davanti ai libri, per farsi vedere meglio e farci sapere tutti i loro pensieri (intimi, filosofici, etc.)…
    per carità, nulla di male, solo che ogni tanto mi piacerebbe sapere qualcosa di più sui libri, ecco…
    e questo a prescindere dall’articolo di Marino.

  4. Avesse almeno scritto un libro sulle veline che la sinistra tanto odia e che porta in bella evidenza sul gruppo l’Espresso forse qualcuno l’avrebbe letto questo signore; così invece no.

    Anche io sono sicuro che il libro della Mazzantini che non ho letto è bellissimo.

  5. va bene, scriveremo un libro su biondillo me e magliani (tutti cugini di primo grado) che non abbiamo letto la mazzantini – e non ci piace.

    grazie a marino, credo sia difficile parlare di un libro che non si è letto, comunque te ne faccio mandare una copia (non si sa mai:-))))

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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