3 racconti brevi
di Andrea Inglese
Differenza di temperatura
Baderweck era totalmente insoddisfatto. Tutto gli sembrava troppo poco. Nella sua vita le cose migliori erano state dimenticate, rimaneva un automatismo nero, l’incapacità di pensare associata a una straordinaria prontezza nell’azione. Maderaq aveva un siero, una pozione, qualcosa da far bere, della sostanza per ringiovanire o assemblare i muscoli in zone precise del corpo. Si dava arie, era sposato, entrava in casa sua anche dal balcone, non spegneva la luce quando albeggiava, beveva l’acqua tenendo il bicchiere sollevato sul lavandino, come se ci fosse sempre il pericolo di una perdita.
Baderweck conosceva Maderaq da quando erano ragazzini, entrambi malnutriti, costretti ai lavori ospedalieri: guanti di gomma, candeggina, straccio grigio e secchio. Baderweck non sapeva quasi nulla degli anni che erano passati. Non riusciva ad ubriacarsi, non possedeva un cane, aveva la finestra del bagno spaccata. Con cautela ci passava il braccio attraverso, per sentire la differenza di temperatura tra dentro e fuori. Quando lo sorprendeva intento al suo passatempo preferito, Maderaq lo fissava silenzioso, diventava triste, parlava del tumore della moglie, si metteva a piangere. Baderweck gli rispondeva: ma tu sei ricco, io non guadagno nulla, tu vendi il siero, io non ho una vita sessuale, tu scopi con tua moglie anche se è malata, io ho il vetro rotto, tu non paghi neppure l’ascensore condominiale. Maderaq tornava di buon umore quando Baderweck tirava via il braccio dalla finestra del bagno.
“Tu non hai iniziativa Baderweck – gridava di colpo Maderaq – siamo cresciuti insieme, tu non possiedi nemmeno un cane, non sei mai andato da un parrucchiere e pretendi di tagliarti tu stesso i capelli, l’unico mestiere che sai fare è il manovratore, i tuoi abiti puzzano ancora di candeggina dell’ospedale.” A questo punto Baderweck entrava in una frenesia malata. Chiamava centinaia di numeri telefonici a caso, e quando riceveva una risposta, rimaneva zitto. Oppure scappava in strada per visitare i luoghi pubblici della città: monumenti, piscine comunali, giardinetti, stazioni degli autobus. Alla fine dimenticava tutto, salvo l’indirizzo di casa e una vaga idea dell’amico Maderaq. Appena rientrava, capiva con lucidità quanto la sua vita facesse schifo. Ma non sapeva spiegarne con altrettanta lucidità i motivi. Maderaq a volte lo aspettava a casa per giorni, commosso. Ma mai faceva cambiare il vetro della finestra del bagno. Quello era il simbolo della loro amicizia, e anche la via di salvezza di Baderweck, quando ci infilava il braccio attraverso. E cercava d’indovinare se l’aria di fuori fosse più fresca dell’aria di dentro.
Colloquio di lavoro
Il giorno del colloquio il vicino di casa, ingombrando il pianerottolo in ciabatte e innaffiatoio, le aveva aveva detto che non avrebbero mai risolto il problema della cantina. Kavanna non sapeva che pensare di quell’incontro. Poteva essere un segno. Poteva esserlo negativo o positivo. O poteva non essere niente. L’ufficio del nuovo dirigente era troppo spazioso, e luminoso, e inodore. Gario Hadd era un tipo che cercava complicità, sapeva sollecitare l’amor proprio, riusciva a imporre facilmente il suo punto di vista, s’interessava enormemente alle persone e a se stesso, era implacabile.
Kavanna doveva ottenere due giorni di permesso per un concerto a Montreuil, appena fuori Parigi. Sarebbe stato molto più utile chiedere un cambiamento dell’orario di lavoro, almeno nel periodo dei congressi. L’utile e l’inutile si dibattevano sempre dentro di lei. Tutto zoppicava nella sua vita. Si dedicava con energie enormi a tutto ciò che finiva, che perdeva senso e lucentezza. Sapeva seguire lo spegnimento delle situazioni, questo sì, e con grande abnegazione. Per questo preferiva chiedere un permesso per il suo ultimo concerto. Non avrebbe più cantato con il gruppo, ne era sicura. Il gruppo non sarebbe più riuscito a trovare serate, e anche se le avesse trovate, non l’avrebbe più chiamata. Tutti i componenti erano stufi del genere, stufi del nome, stufi di lei. Non erano brillanti musicisti, e neppure nei rapporti umani ci sapevano fare. Grandi risate. Bravi solo a farsi grandi risate.
Gario Hadd la fece parlare. Senza che lei se ne rendesse conto, lui la stava interrogando sulle sue amicizie a Parigi, in particolar modo quelle maschili, e gli incontri fortuiti, sempre con maschi, e maschi interessati a lei, se ce ne erano stati. Ma questo interesse eccessivo, fuori posto, che Gario Hadd dimostrava per la sua vita privata, si stava velocemente trasformando. Ora Gario Hadd stava parlando di sé, di quando finì per perdersi al confine tra il diciassettesimo e il diciottesimo, e fu fermato, lui così giovane, elegante, da una cinquantenne male in arnese, con dei pantaloni indiani da figlia dei fiori, e la voce dolcissima. Gario Hadd si mise a descrivere con grande scrupolosità l’intero pomeriggio che passò, lui ventenne, con la cinquantenne, che di anni ne dimostrava almeno dieci di più. Kavanna intanto si sentiva in trappola, ma scuoteva appena la testa di lato, e sorrideva. Gario Hadd enumerò tutti i prodotti che la cinquantenne teneva in bagno, negli armadietti della cucina e nella camera da letto. Fortunatamente viveva in un piccolo monolocale, ma lui non voleva tralasciare alcuna informazione secondaria. Fece capire che ci fu qualcosa di sessuale tra di loro, ma non volle insistere su questo aspetto. Kavanna s’immaginò qualcosa di sgradevole e non riuscì a frenare la sua fantasia. Mentre Gario Hadd era passato all’enumerazione dei vinili che la cinquantenne aveva, Kavanna evocava le più diverse situazioni erotiche tra i due, alcune opprimenti e perverse, altre di un raro candore, altre semplicemente grottesche. Vedeva di continuo il sesso di lui tra le mani di lei, o la bocca di lui sul sesso di lei. Quando Gario Hadd la congedò con un sorriso paterno, lei si rese conto che le aveva concesso il cambiamento dell’orario di lavoro durante la stagione dei congressi, ma non aveva neppure accennato al permesso per il viaggio a Parigi. Gario Hadd aveva scelto di spingerla verso l’utile. Aveva scelto per lei. Gario Hadd era un dirigente competente e temibile, e umanamente uno schifo.
Vera
In paese, Vera aveva una vita speciale, sentiva che la sua vita era speciale, ne era convinta, qualcosa stava cambiando, incrociava le dita, voleva che le cose fossero diverse, familiari ma diverse, da lì bisognava cominciare, dal desiderio formato dentro di sé, lo aveva letto molti anni prima, ed era sicuramente vero, tutto si evolveva velocemente, dopo il trasloco, dopo lo sradicamento, nel mezzo di una situazione nuova, anche spinosa, con tanti ostacoli, ma un amore alle spalle, un amore inutile, devastante. La vita speciale di Vera cominciava con il bicchiere di latte alla mattina e quattro biscotti dietetici. Le piaceva la luce che filtrava dalla finestra del bagno, alta sulla parete. Le piaceva il ronzio del nuovo frigo, così piccolo che quasi non ci stava nulla. Le piaceva la sua unica tazza, comprata il giorno in cui lasciò la città. Già quella tazza rendeva la sua giornata speciale. La tirava fuori dall’armadietto di formica con cautela. Dentro rimanevano poche altre cose: due piatti piani, una fondina, tre bicchieri tozzi e cilindrici. Anche di notte, non riuscendo a dormire bene, spesso si alzava e se ne stava in piedi nella stanzetta che fungeva da soggiorno e cucina.
Tutto questo lo sentiva come una stagione unica. Alla televisione annunciavano anni difficili, assicuravano che non ci sarebbe stata una vera e propria guerra civile, ma i due governi si contendevano ancora la legittimità. L’uomo che aveva amato non le scriveva, non le telefonava. Al lavoro tutti la trattavano come una persona preziosa, si rivolgevano a lei, riconoscendole implicitamente una grande intelligenza. La vicina di casa aveva deciso di morire. Lo gridava spesso, come se volesse comunicarlo proprio a Vera, dal momento che le stanze da letto di entrambe erano confinanti, separate da un esiguo muro, contro il quale la vicina batteva i pugni. Vera aveva viaggiato molto, in passato. Aveva visitato musei stranieri, non aveva mai tremato né pianto per la fatica. Era una donna che aveva vissuto nel grande conforto. Eppure tutto intorno a lei aveva cominciato a devastarsi, a partire dall’atteggiamento del suo uomo, che era divenuto incomprensibile e spaventoso.
Il paese prosperava e finalmente, durante la pace politica, la sua famiglia, il suo uomo e molti suoi amici avevano guadagnato delle fortune. Il suo uomo però non sapeva più parlare. Si muoveva in modo strano. Sembrava telecomandato. Rideva sempre più spesso e sempre più a lungo. Riacquistava l’uso della parola solo al telefono o quando era nel suo studio. Ora invece il paese conosceva momenti difficili. Qualcuno aveva cominciato persino a sparare dalla finestra. E poi l’epidemia, i razionamenti, quel caldo terribile, l’invasione degli insetti. Tutto questo rendeva Vera più insonne, più stanca, più povera. Ma la sua vita continuava a proseguire lungo la svolta, come se con l’automobile avesse imboccato una curva meravigliosa e ininterrotta, e tutte le cime degli alberi scorressero di continuo da un lato, e nulla più fosse fisso, piantato in terra, definitivo. Questa Vera chiamava la sua vita speciale, la sua caduta continua.
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[Questi testi sono apparsi nel numero 15 della rivista “Versodove” (settembre 2010). Foto dell’autore.]
incantevole.
Sono bellissimi Andrea, veramente. Spessore e umanità, ironia, sguardo ampio. Il mio preferito è il secondo, ma valgono la pena tutti e tre.
ciao
grazie gianni e gianluca
il terzo. piacevoli.
“Foto dell’autore” vuol dire che quel tizio è Andrea Inglese, vero?
quel “tizio”… vuoi dire la mezza testa di giraffa “inglese” che si vede?
ebbene sì
Bellissimi, spietati e struggenti.
Grazie. Stella
Racconti brevi e strani. Amo lo spaesamento in un mondo oscillando tra la casa familiare e l’universo mentale dei personaggi. Avevo già notato nella poesia di Andrea Inglese la casa come luogo di vita strana, occupando il personaggio. Ho molto amato l’ultimo racconto con la protagonista Vera, con un ambiente devastato, un odore di guerra, qualcosa che sento della nostra epoca, del momento (non accenno alla revolta dei paesi arabi, ma del climato oppressante in Francia, di questa paura che ho dentro di me: qualcosa di terribile che potrebbe accadere.
Complimenti all’autore. Il terzo racconto, “Vera”, secondo me è molto potente.
Ciao.
A me veramente sta molto simpatico Baderweck, che mi pare ingiustamente sottostimato.
Bei racconti, davvero. Anch’io ho scritto un libro di racconti, si intitola La neve in tasca, edizioni Duende. Volevo condividere questa gioia.