non credo che ARTE e VITA tocchino il punto più alto . . .
di Antonio Sparzani
Luisa Gustavovna Salomé (San Pietroburgo 1861, Göttingen 1937), figlia di un generale russo di origine francese ugonotta e di una madre tedesca, e nota poi come Lou von Salomé, nel 1903 aveva 42 anni, quattordici abbondanti più di Rilke. Aveva alle spalle, oltre e prima della relazione con quest’ultimo, che, come s’è detto, durava dal 1897, un intenso, anche se sui generis, ménage à trois con Paul Rée e Friedrich Nietzsche e un matrimonio, diciamo un po’ forzato, con l’iranista Friedrich Carl Andreas, 1 da cui il nome col quale è più nota, Lou Andreas-Salomé. Matrimonio fraterno ma che resse al tempo e si rinsaldò negli ultimi tempi della vita di entrambi.
Negli anni 1898-1900 la relazione con Rilke si fece più difficile, alternando periodi di grande vicinanza (due viaggi in Russia, con visita a Tolstoj, tra l’altro) a periodi di sofferte lontananze, dovute al crescente timore della scrittrice di diventare eccessivamente, e morbosamente, importante per il poeta, che ‒ almeno a quanto si legge dall’epistolario ‒ le si professa amorosamente devoto oltre ogni confine. In questi anni la Salomé scrive Fenitschka e Eine Ausschweifung [una dissolutezza], racconti lunghi nei quali è ben riflessa la problematica che le poneva la relazione col poeta praghese (trad. it. di Alberto Scarponi, Lucarini, Roma 1987).
Epilogo di questo periodo fu l’interruzione della componente amorosa della relazione, annunciata dalla Salomé nell’autunno del 1900, di cui già avevo detto, e il matrimonio di Rilke con la scultrice Clara Westhoff (ex allieva di Rodin) nella primavera del 1901, con la successiva nascita della figlia Ruth (nome peraltro che aveva fornito il titolo a un romanzo di Lou Andreas-Salomé edito nel 1895) 2.
Di tutto ciò si può leggere nelle memorie di lei In Russia con Rainer e d’altra parte nel rilkiano Diario Fiorentino 3 ‒ cronaca spirituale del soggiorno a Firenze della primavera 1898 ‒ che le è interamente dedicato. Ma nel 1903, anno della lettera che vi ho proposto qui, Lou si era parecchio riavvicinata a Rainer.
Tanto che, lo stesso giorno 8 agosto del 1903 in cui Rilke le scriveva la lettera che vi ho già fatto leggere, Lou gliene scriveva una che si concludeva con queste parole:
«Io, da parte mia, ora sono certa di ciò che tu sei: e quanto di più personale vi è nel libro [il libro di Rilke su Rodin, ndr.] per me è questo: io ritengo che noi siamo uniti nei gravi segreti della vita e della morte, siamo uno in ciò che di eterno unisce gli uomini. D’ora in poi puoi contare su di me [… daß ich uns Verbündete glaube in den schweren Geheimnissen von Leben und Sterben, eins im Ewigen was die Menschen bindet. Du kannst Dich von nun ab auf mich verlassen]. Lou»
La lettera spedita nello stesso giorno da Rilke introduceva però, come s’è visto, una problematica di autonomia della vita dell’artista che andava evidentemente molto più in là delle aspettative della Salomé. A cui ella prontamente rispose, il lunedì successivo:
Lou a Rilke a Oberneuland
[Westend presso Berlino] Rüsternallee 36, 10.8.1903 [lunedì]
È arrivata la tua lettera, quasi un’appendice al libro su Rodin. Ma la sento un po’ diversa dal libro. Forse perché non credo che arte e vita tocchino il punto più alto quando sono due cose distinte, bensì quando, invece del compromesso (al quale non possono sottrarsi perché gli artisti sono uomini), trovano quel punto di connessione in cui l’una serve all’altra da momento produttivo.
E proprio Rodin, dalla tua descrizione, l’ha trovato; tuttavia l’arte dello scultore è tale per cui quel momento può trovarsi per lui interamente entro il suo ambito artistico: l’aspetto esclusivamente pratico dell’attività artigianale, il duro, silenzioso servizio alla materia, questo starvi «chino sopra», invece di considerarne gli effetti a distanza, e infine il fatto di dare una cosa di sé la cui realtà è totalmente visibile in se stessa — tutto ciò è come un servizio reso alla vita reale o allo scopo a cui essa alleva le sue creature. Ma già in un’altra arte — ad esempio per il poeta — questo non vale più. L’«artistico» in lui non coincide più con l’artigianale dello scultore. Il punto dove arte e vita si uniscono è spostato molto oltre, nell’anima, da cui egli trae il suo materiale. Perché le parole non costruiscono come le pietre, concretamente e direttamente, ma sono piuttosto segni per suggestioni provocate indirettamente, e in se stesse sono molto più povere, più immateriali di una pietra. Si può anche pensare l’arte che prosegue su questa via oltre la musica stessa, quest’arte da cui la parola è assente, e che tuttavia offre una realtà altrettanto rigorosa, facendo risuonare immaterialmente le ritmiche leggi delle cose. (Tu sei in questo momento ingiusto verso di essa, così come un tempo, per un breve periodo, l’hai sopravvalutata, giudicandola metafisicamente.) E infine ci si potrebbe immaginare l’esistenza del presentimento di un’arte la cui artigianalità sia già a tal punto insita nella vita, così come nella scultura la vita è già saldamente recepibile nell’artigianale.
E questi sarebbero i due poli fra cui oscillano tutti, e fra cui ciascuno deve ricercare la sua parte nella mescolanza più individuale di vita nell’arte e arte nella vita. Io sono come te completamente pervasa dalla convinzione che sia necessario vivere molto ritirati, in grande solitudine — persino io potrei dire di me che [in nota: sebbene non sia un’artista], a causa di tale severità e riservatezza, mi sono negata la maternità. Perché quanto più si considera la vita da un punto di vista artistico, con tanta maggiore nostalgia si impone anche la compiutezza delle cose e di ogni cosa si sente che vale la forza creatrice di un’intera vita. Ma ognuno deve fare l’esperienza di quanto poco attuabile sia un completo isolamento e, dopo che si sono coinvolte nel proprio destino alcune cose della vita, non si può più prescindere da esse, dato che ora sono intrecciate con l’intero ambito del nostro essere, noi siamo immersi in esse ed esse in noi. Se rimangono in noi non assimilate, uccidono come niente altro ogni pace dell’anima e impediscono all’artista di scendere nelle profondità abissali del suo essere come un cercatore di tesori, lo trascinano alla superficie, nella dimenticanza e nello stordimento. Non gli resta perciò altro se non conservare qui, in mezzo alla vita — dove, come essere umano, bene o male si è testimoniato — quel momento su cui, chino, egli comincia a lavorare. Questo è un lavoro non da uomo ma proprio da artista: esattamente nel senso in cui Rodin poteva essersi battuto contro le difficoltà quando il suo materiale non gli rispondeva. Per quanto possa suonare strano: il lato tecnico, considerato come padronanza delle cose, per il poeta dipende in massima parte dal suo stato d’animo più che dallo stato della sua officina e dei suoi attrezzi. Se dedica veramente e sinceramente la sua vita all’arte — allora avrà dato vita a molte forme per amore della sua arte. Egli avrà lavorato allora giorno e notte perché nulla più si aggiri in lui come un fantasma, inquieto e imperativo, ma diventi silenzio per accogliere le sue cose. Forse, poi, creerà soltanto una mano, della quale nelle tue parole su Rodin tu dici — che «attorno a essa c’è solo maestà»: perché solo così è la mano, che può essere tutto. Lou
Come si vede, Lou non perde tempo, già nel primo capoverso è condensata la risposta, nitida e cartesiana: “non credo che arte e vita tocchino il punto più alto quando sono due cose distinte, bensì quando, invece del compromesso (al quale non possono sottrarsi perché gli artisti sono uomini), trovano quel punto di connessione in cui l’una serve all’altra da momento produttivo.”
Un’idea diametralmente opposta, almeno a stare a queste formulazioni iniziali, rispetto a quella visceralmente gridata da Rilke «Oh Lou, in una poesia che mi riesce…..». Così era Lou Andreas-Salomé, dolce e materna, cara e tendente all’ammaestramento, generosa e prescrittiva, e di fronte a questo suo atteggiamento il poeta, colpito e turbato dalle parole autoritarie ma allo stesso tempo spinto da una forza interiore non frenabile, reagiva da figlioletto, da incontentabile amante e da autentico veggente.
In quei giorni la corrispondenza tra i due è intensissima, ogni giorno si scrivono e occorre attentamente capire quali lettere sono già state ricevute da chi risponde. Accade che lo stesso lunedì anche Rilke scrive, senza ovviamente aver ricevuto questa di Lou, che riceve invece il giorno seguente, martedì 11 agosto ‒ o magica efficienza delle poste tedesche dell’epoca ‒ e alla quale immediatamente risponde. E risponde così:
Rilke a Lou a Berlino-Westend [rispedita nel Riesengebirge]
Oberneuland presso Brema 11 agosto 1903 [martedì]
Cara Lou, durante una lunga passeggiata a piedi nudi sulla fresca erba tenera ho letto le tue due lettere e ora, prima che il giorno cominci, voglio dirti il mio grazie. La tua lettera dell’8 agosto [quella il cui finale è stato più sopra riportato, ndr.], che parla ancora del libro su Rodin, mi riempie di grande gioia e dalla fede in ogni tua parola mi derivano tranquillità e fiducia. Come devo sembrarti impaziente nelle mie lettere (nonostante la mia assicurazione di essere ora diventato paziente); in quella di sabato e ancora in quella di ieri. Ma non lasciarti trarre in inganno da quelle e da me, Lou. Io sono certamente là dove tu mi hai trovato e sono là cosi come tu mi vedi. Anche se non lo so ancora; forse, tuttavia, sono già in cammino le gioie che ho evocato, e le tue lettere le precedono annunciatrici.
Vedi: anch’io non voglio certamente separare di netto arte e vita; so che a un certo punto e in un certo luogo si trovano in accordo. Ma sono un inesperto della vita e per questo, com’essa si chiude attorno a me, ogni volta è per me una sosta, un indugio che mi fa perdere molto; all’incirca come avviene talvolta in sogno, quando non si riesce a vestirsi e si tralascia un’occasione importante, che non tornerà più, per due ostinati bottoni di stivali. E del resto è anche vero che la vita trascorre e proprio non lascia tempo per omissioni e perdite eccessive; specie per colui che vuole avere un’arte. Perché l’arte è una cosa troppo grande, troppo pesante e troppo lunga per una vita, e rispetto a essa anche coloro che sono avanti negli anni sono solo dei principianti. C’est à l’âge de soixante-treize ans que j’ai compris à peu près la forme et la nature vraie des oiseaux, des poissons et des plantes — scrisse Hokusaï [Katsushika Hokusai, pittore giapponese, morto nel 1849, famoso in Europa e ispiratore di alcuni impressionisti, ndr.] , e Rodin sente allo stesso modo e si può pensare lo stesso di Leonardo, che è diventato molto vecchio. Ed essi hanno sempre vissuto nella loro arte e, concentrati su quest’unicità, hanno lasciato inselvatichire tutto il resto. Ma come può non spaventarsi uno che solo di rado entra nel suo sacrario, perché fuori, nella vita che si ribella, cade in tutte le trappole e urta ciecamente contro tutti gli ostacoli. Per questo con tanto ardore e con tanta impazienza voglio trovare un lavoro, il giorno del lavoro, perché soltanto se prima diventa lavoro la mia vita potrà diventare arte. So di non poter ritagliare la mia vita dai destini ai quali è legata; ma devo trovare la forza di elevarla interamente, così com’è, con tutto, a una tranquillità, a una solitudine, al silenzio di profondi giorni di lavoro: solo là mi troverà tutto ciò che tu mi hai promesso, e anche tu, Lou, mi cercherai là. Sii indulgente con me, se ti faccio attendere; tu hai proceduto come un saggio che indica la via, ma io mi muovo come gli animali quando si apre la caccia.
Rainer
Eccolo dunque: un animale quando si apre la caccia….
- si veda il film di Liliana Cavani, Al di là del bene e del male, del 1977, con Dominique Sanda nella parte di Lou von Salomé.↩
- Ruth Sieber-Rilke curò, dopo la scomparsa del padre, l’edizione delle sue opere complete, insieme col filologo Ernst Zinn e sotto l’egida dell’Archiv Rilke per la Insel Verlag, Frankfurt am Mein 1966.↩
- rispettivamente trad. it di M. Jarre, Bollati Boringhieri 1994, e trad. it. e cura di Giorgio Zampa, classici moderni BUR, 1981/2004.↩
Che bello questo periodo,quando esistevano le comunioni dell’anima,le affinità elettive,e la tenera erba fresca dove passeggiare a piedi nudi!!
Un bel Sparzani- Post per aprire bene la settimana.Davvero.
Fantastico pezzo.
Grazie Sparz.
Condivido il commento di Anna Maria Papi.
Era un tempo delicato dell’amore, un tempo della corrispondenza non immediata, dedicata all’attesa . Si parlava dell’erbe fresca, della stagione
blu dell’assenza.
Erano i corpi in desiderio nella scrittura.
Mi fa tenerezza Rilke, la sua fragilità, la sua giovinezza, e già negli occhi chiari nacque una primavera, una notte dedicata alla poesia, una vita intera. Com’è bella la vita intera!
Accade il tempo della scrittura dove si afferra la parola per dire il mondo, il colore della sua infanzia, tutta una vita per allungare l’ombra di un cipresso, per
avventurarsi sul camino e affrontare con la parola il potente sole.
Rilke aveva tutta la grazia del mondo. Immagino che entrava sempre in punta di piedi, che si indovinava la sua presenza dal suo respiro, e dalla luminosità pallida degli occhi.
Una bella storia…
Leggendo si sogna di incontrare anche un poeta dal cuore lunare.
@VERONIQUE
Ho saputo che lei ha imparato l’italiano leggendo e trovo che lo parla e lo scrive usando dei termini sempre molto gentilmente appropriati e anche la costruzioni delle frasi sono leggere ed evocative! Moltri complimenti, e non solo per la lingua ma anche per i contenuti.
Pensa, Antonello: più o meno nello stesso periodo Hofmannsthal scriveva la “Lettera di Lord Chandos” con il suo rifiuto totale della scrittura per l’impossibilità di esprimere il vero senso delle cose!
Anna Maria, grazie mille,
fa sempre piacere leggere un commento come lo tuo, perché per una straniera, quando è complimentata a proposito della lingua, si sente accolta dalla terra di elezione, tanto la lingua è legata all’identità del paese.
Faccio mille errori, ma ho il cuore disposto alla lingua italiana.
Nazione Indiana mi ha molto aiutata a scrivere meglio.
Buona lettura a Torino :-)