Le poesie di Isidore Ducasse. I
di Michele Zaffarano
[Quella che segue è la bandella presente sui due volumi delle Poésies di Ducasse, nell’edizione con testo a fronte ed apparato di note apparsa presso La camera verde nel 2009 a cura di Michele Zaffarano. Nei prossimi giorni metterò on line le traduzioni di Zaffarano.]
«Cantare la noia, il dolore, la tristezza, la malinconia, la morte, l’ombra, l’oscurità, ecc. significa volere, a tutti i costi, guardare soltanto il puerile rovescio delle cose. (…) Sempre a piagnucolare. Ecco perché ho completamente cambiato metodo, per cantare esclusivamente la speranza, l’aspettativa, la calma, la felicità, il dovere».
È con queste parole che Isidore Ducasse, in una lettera indirizzata al proprio banchiere, annuncia il radicale mutamento che segna la sua nuova scrittura, in conseguenza e in opposizione ai precedenti Canti di Maldoror, troppo compromessi con la ripudiata «poetica del dubbio».
Dietro la banale apparenza delle due raccolte di massime e aforismi, pubblicate tra l’aprile e il giugno 1870 sotto il fuorviante titolo di Poesie, il giovane autore cela in realtà una dissacrante manovra di ristrutturazione globale del fare poetico. Di questa operazione, la supposta «conversione al bene» rappresenta solo un superficiale e sarcastico leitmotiv, un’esca tesa ad attrarre l’attenzione e l’energia della «ragione volgare».
Le Poesie di Ducasse mettono in campo un vero e proprio dispositivo bellico, una vertiginosa macchina per la distruzione e la ricostruzione dei fondamenti dell’atto letterario. Gli ingranaggi centrali che muovono questo dispositivo sono la pratica del plagio e del détournement («Il plagio è necessario. Lo implica il progresso»), la spersonalizzazione dell’impulso e del desiderio poetico («La poesia deve essere fatta da tutti. Non da uno») e la riduzione, consapevolmente accettata e riprogrammata, dell’intero sistema linguistico alla sua mera funzionalità strumentale («La scienza che sto intraprendendo è una scienza distinta dalla poesia. Non è quest’ultima che io canto. Io mi sforzo di scoprirne la fonte»).
L’ironia e il sarcasmo della parola ducassiana si sviluppano su due piani paralleli ma sempre in connessione e in stretta dipendenza l’uno dall’altro: da una parte, c’è la contestazione della letteratura (soprattutto romantica) intesa come perversione e perdita della «tradizione»; dall’altra, la decostruzione ideologica dell’etica individualista che ne è alla base. Il teatro della retorica aggredisce e destabilizza se stesso. E il valore della poesia risiede esclusivamente nella dinamica produttiva di cui essa si rende testimone e a cui essa dà nel contempo voce e corpo: «Il fenomeno passa. Io cerco le leggi». Superare l’«uno» per giungere finalmente al «tutti»; passare dalla centralità dell’individuo a quella della totalità degli individui; abbandonare la poesia «personale» per tornare alla poesia «impersonale». La perdita dell’«io» è il sacrificio necessario per potersi riavvicinare ancora alla visione e all’intelligenza della «verità»: «La poesia deve avere come scopo la verità pratica. La poesia enuncia i rapporti che esistono tra i princìpi primi e le verità secondarie della vita. Ogni cosa rimane al suo posto. La missione della poesia è difficile».
BIOBIBLIOGRAFIA
Isidore-Lucien Ducasse nasce a Montevideo, presso la cui ambasciata francese il padre lavora da qualche anno, il 4 aprile 1846. Sono gli anni della guerra civile uruguayana e del grande assedio condotto dall’esercito argentino del dittatore Rosas. Viene battezzato il 16 novembre dell’anno seguente. Nell’ottobre 1859 è iscritto al liceo di Tarbes, nei Pirenei francesi, regione natale del padre. Nell’ottobre 1863 si trasferisce al liceo di Pau. Nel 1866 ottiene la maturità scientifica. Dopo un breve viaggio a Montevideo, alla fine del 1867 la sua presenza è segnalata a Parigi. Nell’agosto 1868 viene pubblicato, anonimo, il primo dei Chants de Maldoror. A gennaio, lo stesso canto appare sulla silloge poetica Parfums de l’âme. Nell’ottobre 1869 i Chants de Maldoror sono stampati sotto lo pseudonimo di «Comte de Lautréamont» dall’editore parigino Lacroix. Dell’opera verranno allestite solo poche copie, il resto sarà distribuito solo dopo la morte dell’autore. Nell’aprile 1870 viene pubblicato il fascicolo di Poésies I. Nel giugno dello stesso anno è la volta di Poésies II. Muore a Parigi per cause sconosciute il 24 novembre 1870, durante i 138 giorni dell’assedio da parte dei Prussiani.
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Il lavoro della Camera Verde è bellissimo, perché si dedica alla parte originale dell’opera poetica. In contradizione la svolta di Isidore Ducasse nella sua scrittura.
Il cognome del poeta possiede anche due aspetti: Isidore Ducasse, cognome vincolato alla terra natale, prosaïco, e ” comte de Lautréamont” di malefico ispirazione (marquis de Sade), nobiltà misteriosa, con una parte straniera, un luogo notturno, mare e continente lontani, sognati.
Nome e luogo in regno fantastico, soprannaturale.
Les chants de Maldoror ( mal/ Horreur/ mal/ or/) sono spinti da una violenza magnifica: la parola si strappa, colore di sangue e d’oro; nella notte brilla la follia della pulsione, il passaggio all’atto con l’esplosione poetica. Il verso dilania, sbrana, viola.
Ceremonia, rituale del male in metamorfosi poetica, parola liberata di sotto terra.
Infierno.
La svolta poetica del poeta è una metafora del male estirpato. Ma non credo davvero a un cambiamento. Mi sembra sentire il ridere del poeta, la sua rivolta.
«O matematiche severe, non vi ho dimenticate da quando le vostre sapienti lezioni, più dolci del miele, filtrarono dentro il mio cuore come un’onda rinfrescante. Istintivamente aspiravo, fin dalla culla, a bere alla vostra fonte, più antica del sole, e ancora continuo a calcare il vestibolo sacro del vostro tempio solenne, io, il più fedele tra i vostri iniziati. C’era del vago nella mia mente, un non so che, spesso come il fumo; ma io seppi valicare religiosamente i gradini che portano al vostro altare, e voi avete dissipato questo velo oscuro, come il vento scaccia la procellaria. Al suo posto voi avete messo un’estrema freddezza, una prudenza consumata e una logica implacabile», Lautréamont, Comte de, Isidore Ducasse, Opere complete, I canti di Maldoror, poesie, lettere, Feltrinelli, Milano 1978, pp. 101-03.
I gemiti poetici di questo secolo non sono altro che sofismi.
La vostra mente è perpetuamente trascinata fuori dai suoi cardini, e sorpresa nella trappola di tenebre costruita con arte grossolana dall’egoismo e dall’amor proprio.
Trasmettete a chi vi legge soltanto l’esperienza che nasce dal dolore, e che non è più il dolore stesso. Non piangete in pubblico.
Se siete infelici, non bisogna dirlo al lettore. Tenetelo per voi.
Bisogna che la critica attacchi la forma, mai il contenuto delle vostre idee, delle vostre frasi. Arrangiatevi.
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Fin qui citazioni da poesie I, cattivissimo, che ben rappresenta la poetica di Ducasse, in linea coi Canti di Maldoror. Poesie II, mi pare di ricordare, è una sorta di abiura completa, un testo buonista, quasi veltroniano, che aveva forse il fine pratico di rappacificarsi con il suo benpensante tutore. Un’abiura spassosa. Che però finisce così, molto elegantemente secondo me:
” I tre puntini finali mi fanno alzare le spalle di pietà. Si ha bisogno di questo per provare che si è un uomo di spirito, cioè un imbecille? Come se la chiarezza non valesse il vago, a proposito di puntini! ”
Comunque il testo tuttora stupefacente è i canti di Maldoror.
nei prossimi giorni posterò le due traduzioni di zaffarano di poesie I e II.