La fine della dittatura in Tunisia
di Giacomo Sartori
Il giorno in cui Zine El-Abidine Ben Ali ha deposto Bourguiba, il 7 novembre 1987, ero a Tunisi. Assolutamente per caso. In quel periodo lavoravo nel sud del paese, e ero salito nella capitale per il fine settimana. Come spesso mi capitava avevo viaggiato tutta la notte in un taxi collettivo, cullato dalla musica egiziana che l’autista teneva accesa per tenersi compagnia, dai tiepidi odori di erba secca e carbonella che vorticavano dai finestrini della provata Peugeot familiare. Che l’anziano presidente non fosse più al potere l’ho saputo dal barbiere che mi stava tagliando i capelli. In città regnava una calma irreale, una sospensione che aveva qualcosa di solenne: niente grida, niente manifestazioni di gioia o vendetta. Una bonaccia in cui si intuiva la gioia di un lenimento, in puro e dolce stile tunisino. Mi è sempre rimasta impressa.
La fine della dittatura di Ben Ali, alla fine di una fulminea ma inarrestabile insurrezione che nessuno aveva previsto, nessuno ha pilotato e nessuno ha saputo contenere, è qualcosa però di diverso, e avrà conseguenze che ancora si fa fatica a concepire, tanto sono grandi. Per la Tunisia stessa, che uscirà, se tutto va bene, da un giogo che solo chi aveva in qualche modo contatti diretti con il paese poteva misurare in tutta la sua efferatezza e crudeltà, e che durava a dir poco dalla metà degli anni novanta. L’abilità di Ben Ali è stata quella di persuadere l’occidente che il suo regime fosse un baluardo contro l’islamismo, e che proprio per parare quella minaccia si fosse dato il suo impianto repressivo e assolutistico. Spazzando a priori il problema della democrazia. Quando invece il dittatore, a differenza di Bourguiba, ha sempre avuto un rapporto molto ambiguo con l’islam radicale e meno radicale, fatto di concessioni e di strette improvvise, e quando al fondo delle sue preoccupazioni c’erano principalmente gli interessi del suo voracissimo clan.
Ma anche per tutti gli altri paesi arabi, tutti sprovvisti di una legittimità democratica, niente sarà più come prima. Come confidare in un regime poliziesco basato sulla violenza (è la ricetta comune), quando chi sembrava cavarsela meglio con quel sistema è stato spodestato nello spazio di qualche settimana? Il problema della democrazia non è più eludibile. E l’assioma della diga contro l’islamismo non è più una merce vendibile. Quindi anche per noi, noi italiani e europei e occidentali, che appunto eravamo i generosi acquirenti di quella mercanzia, niente sarà più come prima.
Io non conosco a fondo la Tunisia, questo piccolo paese così vicino a noi e con una sua identità così forte e così originale da ormai molti secoli. Ci ho lavorato per un anno, ci ho incontrato mia moglie, che a sua volta ci è vissuta per una decina d’anni, e quindi ha conservato dei forti vincoli, ho mantenuto rapporti con persone che ci vanno spesso. Ma la conoscenza di un paese passa per la lingua, e io non so l’arabo. È impossibile capire in profondità una cultura senza captarne i tenui chiaroscuri delle frasi, senza cogliere i diversi intarsi semantici delle parole e gli intraducibili riverberi di senso, senza interiorizzare il senso dei ritmi e dei silenzi. Sono le lingue che ci rivelano i segreti dei paesi, più ancora che le parole effettivamente dette, più ancora che le persone che ce le rivelano.
La Tunisia è però pur sempre un paese che mi ha insegnato molto. Lì ho appreso che gli arabi sono capaci di squisitezze e delicatezze che non hanno pari (il top lo ritrovo nei deliziosi bottegai di commestibili, sparsi per il mondo ma riconoscibili fisicamente e appunto dai modi, originari dell’isola di Djerba). E lì ho imparato, quando ancora da noi non se ne parlava, cosa sono gli islamisti: alcuni colleghi della controparte, per usare il linguaggio della cooperazione internazionale, erano militanti fondamentalisti. Ma lì ho constatato soprattutto che con la loro supponenza e ignavia per così dire antropologiche gli italiani hanno tendenza a non capire nulla dei magrebini, a prenderli sottogamba, a disprezzarli. Il che purtroppo non ha tardato a rivelarsi in modo drammatico a livello nazionale. Una delle due anime della coalizione che ci governa è ora violentemente xenofoba, e manco a dirlo proprio negli arabi vede il suo principale nemico e l’origine dei nostri mali.
Le distanze geografiche non corrispondono a quelle geopolitiche, e queste sono indipendenti da quelle affettive. La Tunisia è attaccata all’Italia, e in Italia vivono più di centomila tunisini, ma la Tunisia è lontanissima dall’Italia. Ci separano il fantasma dell’islamismo radicale che l’occidente ha alimentato e imposto negli ultimi anni, il non risolto problema della Palestina, il razzismo che è dilagato nel nostro paese fino appunto a prendersi le leve del potere, la scarsa lungimiranza della nostra classe politica non razzista (il razzismo è cieco per definizione), la completa idiozia del turismo balneare (il turismo, visto che molti italiani frequentano le spiagge tunisine, potrebbe essere un modo per avvicinarsi). Paradossalmente la Francia, che ha appoggiato fino all’ultimo il regime di Ben Ali – in piena crisi la ministra degli esteri ha offerto pubblicamente il suo aiuto tecnico in tema di materiali antisommossa! – e s’è vista costretta a invertire la rotta nel giro di qualche ora, è molto più vicina di quanto lo siamo noi alla Tunisia. È abituata per lo meno a accogliere e ascoltare i suoi intellettuali e i suoi artisti, il suo stesso passato coloniale la obbliga a riflettere e a cercare soluzioni.
I grandi avvenimenti della storia ci piombano addosso spesso cogliendoci di sorpresa, lasciandoci quasi un po’ increduli. Pretendono che ci diamo una mossa, che cambiamo. Dopo la caduta del muro di Berlino nessuno di noi era più lo stesso: non si poteva seguitare a appartenere a un mondo che non esisteva più. Per me l’insurrezione tunisina è dello stesso tenore: tutti gli schemi e le contrapposizioni che avevamo in testa sono polverizzati, hanno bisogno di essere rinnovati. Urgentemente. Il nostro ministro degli esteri ha capito tutto: il modello da seguire secondo lui è Gheddafi.
[questo pezzo è apparso sul quotidiano “Trentino” del 20.01.11]
caro giacomo sartori,
cosa vieni a parlare di tunisini, qui c’è il problema dei tabulati. Qui c’è il problema del bunga-bunga. C’è tutto questo di cui dobbiamo occuparci. Altro che Tunisia. Qui non ci si può spostare un passo da Arcore!
è vero, avrei dovuto almeno parlare del Marocco (Ruby)
Caro Giacomo, solo per dirti che ho apprezzato molto il tuo articolo e
condivido in toto la tua impostazione. franco
Bell’articolo. La Tunisia del cuore, non della distanza geografica. E’ vero; si conosce un paese, quando si conosce la lingua.
Anche si conosce un paese con l’intuizione del cuore,
la tua esperienza lo dice con talento.
La fine della dittatura in Tunisia – Nazione Indiana…
Il giorno in cui Zine El-Abidine Ben Ali ha deposto Bourguiba, il 7 novembre 1987, ero a Tunisi. Assolutamente per caso. In quel periodo lavoravo nel sud del paese, e ero salito nella capitale per il fine settimana. Come spesso mi capitava avevo viaggi…
Egypt Leaves the Internet
By James Cowie on January 27, 2011 7:56 PM |
Confirming what a few have reported this evening: in an action unprecedented in Internet history, the Egyptian government appears to have ordered service providers to shut down all international connections to the Internet. Critical European-Asian fiber-optic routes through Egypt appear to be unaffected for now. But every Egyptian provider, every business, bank, Internet cafe, website, school, embassy, and government office that relied on the big four Egyptian ISPs for their Internet connectivity is now cut off from the rest of the world. Link Egypt, Vodafone/Raya, Telecom Egypt, Etisalat Misr, and all their customers and partners are, for the moment, off the air.
At 22:34 UTC (00:34am local time), Renesys observed the virtually simultaneous withdrawal of all routes to Egyptian networks in the Internet’s global routing table. Approximately 3,500 individual BGP routes were withdrawn, leaving no valid paths by which the rest of the world could continue to exchange Internet traffic with Egypt’s service providers. Virtually all of Egypt’s Internet addresses are now unreachable, worldwide.
This is a completely different situation from the modest Internet manipulation that took place in Tunisia, where specific routes were blocked, or Iran, where the Internet stayed up in a rate-limited form designed to make Internet connectivity painfully slow. The Egyptian government’s actions tonight have essentially wiped their country from the global map.
What happens when you disconnect a modern economy and 80,000,000 people from the Internet? What will happen tomorrow, on the streets and in the credit markets? This has never happened before, and the unknowns are piling up. We will continue to dig into the event, and will update this story as we learn more. As Friday dawns in Cairo under this unprecedented communications blackout, keep the Egyptian people in your thoughts.
Update (3:06 UTC)
One of the very few exceptions to this block has been Noor Group (AS20928), which still has 83 out of 83 live routes to its Egyptian customers, with inbound transit from Telecom Italia as usual. Why was Noor Group apparently unaffected by the countrywide takedown order? Unknown at this point, but we observe that the Egyptian Stock Exchange is still alive at a Noor address.
Its DNS A records indicate that it’s normally reachable at 4 different IP addresses, only one of which belongs to Noor. Internet transit path diversity is a sign of good planning by the Stock Exchange IT staff, and it appears to have paid off in this case. Did the Egyptian government leave Noor standing so that the markets could open next week?
(Tramite TOR è possibile donare banda all’Egitto:https://www.accessnow.org/proxy-cloud/page/join-the-cloud)
[…] NI della rivoluzione tunisina abbiamo parlato qui (Cartolina da Parigi sul popolo tunisino) e qui (La fine della dittaura in Tunisia)] Altri articoli su questo argomento:L’abbonamento allo […]