ἐκϕράζω e Michel Houellebecq
« What leaf-fringed legend haunts about thy shape
Of deities or mortals, or of both,
In Tempe or the dales of Arcady?
What men or gods are these? What maidens loth?
What mad pursuit? What struggle to escape?
What pipes and timbrels? What wild ecstasy? »
(John Keats, Ode on a Grecian Urn, vv.5-10) 1
Ed è in quell’istante, dispiegando la cartina, a un passo dai tramezzini incellofanati, che venne a conoscenza della seconda grande rivelazione estetica. Quella cartina era sublime (…)
Jed, il protagonista di La carte et le territoire di Michel Houellebecq, quasi colto da una sindrome di Stendhal tutta contemporanea, fino ad allora come incatenato al principio di realtà, delle realtà prime del suo tempo e di quelle seconde dei media del suo tempo, vede aprirsi un interstizio nel muro che lo circonda. La rappresentazione di una realtà così complessa, bio-politica come una regione della Francia Profonda, gli rivela la dimensione unica e singolare delle vite che quella cartina evoca. In altri termini, come scriverà poco oltre, rivelandoci il titolo della mostra che lo consacrerà Artista Contemporaneo, “ La carta è più interessante del territorio”.
Nella descrizione che Jed fa di questa rivelazione cogliamo allora quella che è l’intuizione profonda di questo romanzo: la fine della storia, perché se non la storia quanto meno l’ esperienza della storia è davvero finita, coincide con l’inizio di una nuova era, una dimensione non più temporale ma spaziale, in cui alla cronologia si sostituirà una nuova arte che è quella della cartografia. Per capire meglio questa trasformazione vale la pena riprendere un illuminante passaggio dei Mille Plateaux, di Gilles Deleuze et Félix Guattari, in cui i due filosofi scrivevano:
“si la carte s’oppose au calque, c’est qu’elle est tout entière tournée vers une expérimentation en prise sur le réel. La carte ne reproduit pas un inconscient fermé sur lui-même, elle le construit…
… La carte est ouverte, elle est connectable dans toutes ses dimensions, démontable, renversable, susceptible de recevoir constamment des modifications. Elle peut être déchirée, renversée, s’adapter à des montages de toute nature, être mise en chantier par un individu, un groupe, une formation sociale. On peut la dessiner sur un mur, la concevoir comme une œuvre d’art, la construire comme une action politique ou comme une médiation. Une carte a des entrées multiples, contrairement au calque qui revient toujours 2
Così seguiamo con estremo coinvolgimento il favoloso mondo dell’artista Jed che indossati gli abiti di un nouveau Candide, grazie alla bellissima Olga che il destino gli ha fatto incontrare – Olga lavora alla Com di Michelin e quando scopre il lavoro di Jed sulle cartine Michelin gli offre su un vassoio d’argento l’occasione d’oro di una collaborazione con la casa madre- attraversa indenne tutti i salotti buoni, i party, l’evento mondano, ovvero i fatti che riguardano il mondo che conta, prima che il destino, con la partenza dell’amata in Russia, non rimescoli le carte, lasciandogli però ancora una volta un asso nella manica.
Il romanzo di Michel Houellebecq si presenta allora come un triptique, in una composizione perfetta di generi letterari e di istanze puramente romanesques, ovvero creazione dei mondi, invenzione delle esistenze possibili, capovolgimento di ogni principio di realtà e di realismo. Se dovessimo pensare a un artista contemporaneo, l’ispirazione di Francis Bacon ci sembra assolutamente illuminante oltre che suggerita nel finale dallo stesso autore.
Dalle prime pagine sappiamo che Jed sta lavorando a un quadro il cui titolo è “Damien Hirst et Jeff Koons se partageant le marché de l’art” ed è proprio attraverso questo nucleo originario che si rivelerà il passaggio successivo dai mondi rappresentati come territorio all’esistenza nei mondi, attraverso la preparazione della mostra nota come “serie dei mestieri semplici”.
Si può raccontare un’esistenza a prescindere dall’azione che l’esistenza svolge nel mondo? Cosa allora c’è di più autentico di un mestiere? Quale più autentico dolore che non quello della perdita del proprio lavoro? Così nel desiderio di “dare una visione esaustiva del settore produttivo della società del suo tempo” , la cartografia umana ed esistenziale messa in opera da Jed non potrà, ad un certo punto, che contemplare “ L’architetto Jean-Pierre Martin (suo padre ndr) mentre lascia la direzione della sua impresa.”
Per rendere la sua carta precisa ha bisogno però di ritrarre un artista – c’è un passaggio molto interessante in cui Jed spiega come e perché dalla fotografia della prima mostra sui paesaggi, con i personaggi della seconda serie sia tornato alla pittura) – e questo artista è Michel Houellebecq. Lo scrittore che in cambio del ritratto scriverà una lunga nota critica per il catalogo della mostra.
Dei tre tableaux il secondo, per certi versi più rischioso, mettere in scena se stesso alla terza persona non è che sia una scelta di campo da farsi alla leggera, è il più riuscito. In un equilibrio costante tra descrizione e dialoghi Michel Houellebecq mette a nudo uno dopo l’altro tutti i dispositivi che una certa ideologia del romanzo realista ci ha propinato in questi anni. Innanzitutto ogni ambizione di rinchiudere il reale in una descrizione viene vanificata in nome di un processo totalmente diverso e noto nell’antichità come ecfrasi, ovvero descrizione verbale di un’opera d’arte. Se diamo per vera l’intuizione di Guy Debord contenuta nella società dello spettacolo, secondo cui il mondo contemporaneo lo si può decodificare soltanto attraverso le categorie dell’arte, ci rendiamo conto che solo attraverso la descrizione della carte della vita, animata dalle esistenze semplici come dalle icone pop del who’s who dei nostri tempi, si potrà di nuovo percepire e solo successivamente trasformare la realtà stessa. Ecco perché in La carte et le territoire, quasi come un recitativo costante, il lettore si imbatte nelle descrizioni delle battaglie della new economy attraverso la messa in scena, nei ritratti dell’artista Jed, delle sue più rappresentative trasformazioni industriali e antropologiche, quarantadue tableaux che contemplano “Maya Dubois, assistante de télémaintenance, ” o “Bill Gates et Steve Jobs s’entretenant du futur de l’informatique.”
Conclusione
Della terza parte mi limiterò a dire che è una prova d’écrivain. Una prova che non vuole essere un esercizio di stile, ma la prova, ove ve ne fosse stato bisogno, di come il principio della cartografia si realizzi attraverso la sparizione dell’autore (nel romanzo Michel Houellebecq mette in scena la propria morte) a beneficio del mondo, dei mondi alle cui mappe bisognerà, d’ora in avanti, contribuire. Costruita come un Polar, la terza parte, l‘affaire Houellebecq si risolverà grazie a un’intuizione di Jed che si ritrova coinvolto molti anni dopo in uno dei delitti più efferati mai compiuti. Al lettore di seguire allora ogni singola mossa, intuizione, logica in grado di svelare il corpo del delitto. Perché, quale carta al mondo può essere più precisa di un corpo?
- « Quale leggenda intarsiata di foglie pervade la tua forma
Di dei o di mortali, o di entrambi,
Nella Valle di Tempe o in Arcadia?
Quali uomini o dei sono questi? Quali fanciulle ritrose?
Quale folle fine? Quale forzata fuga?
Quali flauti e quali cembali? Quale estasi selvaggia? »↩ - La carta si oppone al calco, è interamente rivolta verso una sperimentazione in presa sul reale. La carta non riproduce un inconscio chiuso su se stesso, lo costruisce. Concorre alla connessione dei campi, allo sblocco dei corpi senza organi, alla loro massima apertura su un piano di consistenza … la carta è aperta, è connettibile in tutte le dimensioni, smontabile, reversibile, suscettibile di ricevere costantemente modificazioni. Può essere strappata, rovesciata, adattarsi a montaggi di ogni natura, essere messa in cantiere da un individuo, un gruppo, una formazione sociale. La si può disegnare sopra un muro, concepirla come un’opera d’arte, costruirla come un’azione politica o come meditazione».↩
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Félix Gattari
http://attentialcine.blogosfere.it/images/felix_socialist.gif
Riflessioni molto interessanti (si potrebbe aprire un vasto dibattito su queste idee e il cosiddetto “nuovo realismo”) e ottimo approfondimento su Houellebecq. Accanto al richiamo ai “Mille piani” e Debord, e oltre allo “spazio letterario” di Blanchot, però, bisognerebbe richiamare anche l’idea di “cartografia cognitiva” già avanzata dal marxista Jameson parecchi anni fa, proprio come risposta all’inconoscibilità postmodernista e all’ideologia della “fine della storia” (e, se vogliamo, anche al Calvino di “Palomar” e delle “Lezioni americane”). Poi, molto immodestamente e sconvenientemente, sul passaggio dell’autore a personaggio e a “qui” devo citare le mie considerazioni in calce ad alcune poesie che si trovano qui: http://www.absolutepoetry.org/VINCENZO-BAGNOLI-intorno-la-rovina
Caro Vincenzo grazie per la nota che ho appena letto e devo dirti anche condiviso soprattutto nell’analisi che fai del concetto di paesaggio. Molti anni addietro del resto fu proprio questo il nome della rubrica che inventai per baldus (di Lello Voce e Biagio Cepollaro) una quindicina d’anni fa. Ed erano state determinanti per allora proprio alcune letture di Virilio, altro autore che avrei potuto citare durante l’incursione sul territorio, effeffe
Vero! Io ho dimenticato di citare Virilio e soprattutto “Baldus”, che conteneva idee e spunti (tuoi, di Voce, di Cepollaro e di altri) molto importanti in questo senso (e per me determinanti). Auspico veramente che da questo tuo intervento possa partire una riflessione sul tema della spazialità, della cartografia e della descrizione come “presa sul reale” del fare letterario.
appena ho un po’ di tempo volevo a questo proposito tradurre alcune delle trascrizioni delle conferenze di Vincennes di Gilles Deleuze che sono sul sito webdeleuze e inedite per quanto poi rielaborate e pubblicate da Deleuze successivamente. image.mouvement, image temps, credo siano oggi più che mai di forte attualità (o inattualità se si preferisce) effeffe
una cavalcata – volutamente patinata – tra le icone dela contemporaneità; un saggio sociologico, un testo d’estetica met(à)estetico ma soprattutto un’autocoscienza d’estrema solitudine
Attraversamento di nuovi territori – nuove mappe – deterritorializzazione – lavoro sul corpo – lavoro sul linguaggio –
Dio mio, non ci si libererà più di deleuzeguattarì?
Masticazione e rimasticazione della fuffa.
Houellebecq è più cartesiano che altro e, credo, poco interessato a deleuzeguattarì.
scusa Massimo. lo hai letto il romanzo? Poiché credo di sì, potresti sviluppare la filiazione cartesiana, secondo te, contraddittoria rispetto alla mia lettura ?
effeffe
Io sopratutto non capisco perché contrapporre Cartesio a un discorso sulle cartografie cognitive… basti pensare all’ottima rilettura del “Discorso sul metodo” che fa Durs Gruenbein in “Sulla neve”
Pour l’enfant, amoureux de cartes et d’estampes, / L’univers est égal à son vaste appétit.