Bancomat, via del Corso
di Helena Janeczek
Due giorni dopo la manifestazione del 14 dicembre sono su via del Corso, poco oltre piazza del Popolo, e devo fare un bancomat. Il primo è bruciato. Le mani nelle tasche del cappotto, il berretto calato sulle orecchie per ripararle dalla neve annunciata, arrivo davanti a un vano con tre o quattro macchine, protetto da una porta vetro blindata che si apre inserendovi la tessera. Appartiene a una banca francese, cosa che mi fa pensare a Jerome Kerviel, il trader trentenne condannato a cinque anni di prigione e un risarcimento di 5 miliardi di euro a Societé Générale, corrispondente al buco nel bilancio di cui lui solo è stato ritenuto responsabile. “L’uomo più povero d’Europa”, qualcuno lo ha chiamato. Su Facebook ci sono gruppi che raccolgono piccole offerte per aiutarlo a pagare un debito che impiegherebbe circa 170.ooo anni ad appianare. Ma la cabina intatta di via del Corso è di BNP Paribas, la banca più grande di tutto il mondo e, secondo i rating più recenti, una delle più solide. In Italia ha prelevato la BNL travolta dallo scandalo Bancopoli, ha resistito meglio alla crisi del 2008, ha incassato aiuti governativi commisurati alla sua grandezza, è ripartita subito a scalare la maggiore banca del Belgio, si sta espandendo a mercati nuovi, dalla Turchia alla Polonia. Non c’è alcun nesso fra questa vicenda e le fiamme dei manifestanti cui questa lucente stazione di servizio del denaro è scampata; nemmeno l’equazione che quanto è stato investito dagli Stati per salvare le banche si sta abbattendo come tagli sulla spesa pubblica, visto che, in questo caso, è la Francia ad aver pagato. Ma credo che daremmo un sostegno più utile agli studenti se cercassimo di capire come funziona in concreto l’economia globale da cui, malgrado maturità o laurea, si accingono a essere tagliati fuori. “No future” è uno slogan ripetuto da quando avevo diciott’anni. Allora era vero per i minatori e gli operai non solo della Gran Bretagna thatcheriana, mentre chi è andato all’università, poi si è talvolta inserito nei rami emergenti della new-economy o del terziario, inclusa la finanza spericolata, ma una parte sempre crescente ha cominciato a cavarsela con contratti più precari, con prospettive di carriera più bloccate. Per quelli venuti dopo, la forbice si è ancora più allargata. Sino ad arrivare a oggi, quando il dato quantitativo è diventato qualitativo in modo pressoché totale, e chi in Italia riuscirà a salvarsi, lo farà grazie alla famiglia che ha alle spalle. Per questo, anziché ripetere che chi ha diciotto anni oggi è arrivato al minimo di futuro prospettabile dal dopoguerra, vorrei che fossimo in grado di spiegare come funzionano i derivati azionari e i mutui avvelenati che circa un mese fa hanno mandato sul lastrico gli irlandesi, inclusi molti italiani giovani che lì avevano trovato un lavoro. O cosa significa quando la banca grande mangia la banca piccola, quando lo stesso darwinismo si abbatte sulle aziende, quando il mondo occidentale fornisce sempre meno lavoro legato alla produzione industriale. Vorrei, soprattutto, essere in grado di analizzare quanta parte del debito pubblico di uno Stato come l’Italia sia frutto della crescente corruzione, come all’inizio dell’anno giudiziario ha denunciato il presidente della Corte dei Conti: corruzione e concussione in senso stretto, prebende e clientele, appalti pubblici gonfiati, fondi dirottati per agli amici di cordata che gestiscono scuole e sanità privata. Prima di vagheggiare un mondo più giusto e solidale perché chi accusa l’esclusione è incazzato, vorrei mettermi a fare i conti della serva, affondare il dito nella piaga dei soldi volatilizzati che non farebbero una differenza nei termini di redistribuzione, ma potrebbero servire per la ricerca, per l’istruzione, per la cultura, persino per le imprese che potrebbero dare lavoro ai ragazzi. Chiamare in causa sindacalisti e economisti disponibili a fornire il loro sapere e a rivederlo. Cominciare a muoversi a partire da ogni tassello di possibilità che ponga non solo la generazione degli studenti al di sopra del numero zero che esiste solo in matematica. Sapendo che però la matematica non è un opinione e, per questo, ha il potere di inchiodare.
pubblicato su “L’Unità”, il 28.12.2010
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Io sono un sempliciotto che non sa niente di economia, ma che il numero inchiodi non mi pare proprio. Gli stessi fenomeni economici ed addirittura gli stessi dati possono essere spiegati in modi quasi opposti da due economisti, almeno così mi sembra da quello che si vede in tv e si leggiucchia qua e là. Ad esempio c’è chi dice che la crisi economica è stata causata anche dalla carenza di regole e c’è chi dice che è colpa delle regole sbagliate ed in generale dai limiti imposti dagli Stati. Ovviamente questo è un discorso generico e quindi ozioso, ma prendere alcuni dati o un problema economico e fatelo commentare da Brancaccio (il Sannio pro-Fiom) e da Boldrin (noiseFromAmerika) e vedete che quasi non si capiscono nemmeno tra di loro. Un assaggio c’è su un recente fascicolo di “Micromega”. Questo mi fa dire tra le altre cose che l’economia è effettivamente una materia per pochi iniziati.
Non so granché, ma penso che, forse, se si volesse meno, si avrebbe di più. Per certi versi.
Concordo con Helena, ma lo vedo difficile, soprattutto quando la complessità – innegabile – di apparati e meccanismi, che sono venuti nel tempo a sedimentarsi e metamorfizzare, è così smaccatamente funzionale al raggiro dei meno formati, degli sprovveduti. Troppo facilmente il confronto potrà essere fatto deragliare sulle solite irriducibilità filosofiche per infine scaricarsi in confusi sentimentalismi utopistici privi di vera applicazione. Sì è delegato davvero troppo, e sarà difficile recuperare.
@ improduttivo, quando scrivi che gli stessi fenomeni economici ed addirittura gli stessi dati possono essere spiegati in modi quasi opposti da due economisti, almeno così mi sembra da quello che si vede in tv e si leggiucchia qua e là credo tu stia cadendo nel facile errore di chi non si accorge che spesso “in tv” e “qua e là” più che seri economisti e sociologi, ci vanno politicanti travestiti da economisti che si limitano ad omettere o sottolineare cioè che è funzionale alla parte politica rappresentata.
Se io dico: “nel 2004 la disoccupazione in Italia era del 8,0%” oppure “nel 2004 il tasso di disoccupazione GIOVANILE era del 23,6%, con 15 punti di differenza dal tasso dell’intera popolazione” sto dicendo in entrambi in casi verità. Ma nel primo, omettendo il dato fondamentale riferito ai giovani che la dice lunga sulla vera condizione del nostro paese, rimando ad una visione più rosea e sopportabile. Il problema sta nel fatto che se la matematica non è opinionabile resta però manipolabile. E di manipolatori di dati ce n’è fin troppi.
@branco: che stai addì??
@ Mariasole: Ahahah! Avevo cominciato scrivendo un commento lunghissimo…poi l’ho accorciato un po’…quindi l’ho tagliato ulteriormente, ed è rimasta quella cosa lì. Tutto qua. Avrei anche potuto evitare, in effetti.
La quistione gli è una solamente: spalmare i sacrifici tra tutti le fasce di età, pensionati compresi. Solo riducendo le pensioni, per esempio del 15%, di più naturalmente a chi incassa di più di meno a chi di meno, si otterrebbero i danari necessari a introdurre il salario minimo. Una volta introdotto il salario minimo, bisognerebbe trasformare i sindacati in agenzia di tutela dei lavoratori, definendo però come lavoratori tutti coloro che ambiscono a un salario, non solo quelli che già ce l’hanno e non solo i dipendenti fissi o pubblici. Bisogna anche introdurre il salario minimo, qualcosa come 7 euro netti all’ora. Bisogna anche cercare di far pagare meno tasse a chi non ha reddito fisso e far pagare le tasse sulle rendite finanziarie. Bisogna far costare di più il lavoro flessibile. Questi sono obiettivi in linea con le idee politiche dei socialisti europei, che bisogna discutere coi leader italiani del socialismo europeo. Lo so che vi fa specie, ma sono D’Alema e Amato. Buona giornata a tutti quanti.
PS: (polizia statistica) per guadagnare 5 miliardi di euro, a salario regolare, ci vogliono almeno 20 secoli. magari bastassero 170 anni.
dire che BNPP sia la banca piu’ grande al mondo mi sembra esagerato. La garndezza è sempre relativa al criterio di riferimento (capitalizzazione, attivo investito, attivo tangibile, redditività etcc). E’ certo che secondo global finance, viene considerata tra le piu “solide al mondo” (diciamo tra le prime 8): la classifica è basata sul confronto dei rating a medio termine Moodys S&P e Fitch e gli asset totali. Ma anche qui si potrebbe opinare sull’attendibilità dei rating delle agenzie. Il disastro delle principali banche americane ha insegnato qualcosa. Quanto all’acquisizione di Fortis piu’ che una scalata è stato il salvataggio di una banca sull’orlo del fallimento.
La crisi delle economie di mercato ed il rapporto perverso dell’economia reale con quella finanziaria, è strutturale ed è stato acuito dal processo di globalizzazione (che di fatto consente alle imprese di locallizare le produzioni laddove piu’ basso è il costo del lavoro piu’ intenso e selvaggio lo sfruttamento ).
riporto le considerazioni di lunchini (il piu’ grande economista che abbiamo secondo me) tratte da un’intervista a il manifesto
“””
….il capitalismo non è più capace di crescita…..Una delle ragioni per le quali non funziona più è che negli ultimi trent’anni le modalità della crescita capitalistica hanno generato disoccupazione e disuguaglianze:i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri…E questo ha provocato la crisi attuale: se i redditi da lavoro sono bassi, è bassa la domanda effettiva, l’economia non cresce e i capitali si spostano sulla finanza, con i risultati che abbiamo visto…….si puo’ dire che tendenzialmente si genera un conflitto tra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale; e che così come ci sono dei limiti allo sfruttamento del lavoro, oltre il quale si danno crisi economiche, così esiste un limite al saggio di sfruttamento della natura…..””
detto in altre parole siamo alla frutta.
buenas fiestas a todos
Il fatto che tu abbia pubblicato questo pezzo su l’Unità, quotidiano neoliberista di sinistra, la dice lunga, lunghissima…
Helena, anche se le fiamme hanno risparmiato la cabina della BNP il legame c’è. Ho visto tra i libri/scudo del 14 dicembre quello della Klein “Shock Economy – L’ascesa del capitalismo dei disastri” e credo che sarebbe doveroso ed utile affiancarlo a “I Promessi Sposi” in tutte le scuole.
Se è solo un sogno perdonatemi, è il 1° gennaio.
lucio
Intanto buon anno a tutti e grazie dei commenti. Il pezzo evidentemente non vuole far altro che circoscrivere – o additare- una questione molto più grande e complessa, a partire da una situazione narrativa. L’idea di fondo è che sarebbe utile se anche persone che nella vita non fanno gli economisti cominciassero a cercare di capire di com’è fatta l’economia attuale che ha ricadute concretissime sulla vita di tutti, e questo a partire da conoscenze piuttosto fattuali (e magari anche pallose). Poi gli economisti nell’analisi di tutti questi dati e numeri fanno giocoforza entrare le loro visioni assai differenti e in sostanza ideologiche. La maggiore conoscenza, come sempre, servirebbe per poterli ascoltare con un tot di discernimento, sottraendo la loro disciplina alla sua aura di un sapere quasi esoterico. Non è l’astrofisica (dico astrofisica perché non ci capisco una mazza), e infatti vedo con piacere che molti di voi sono parecchio informati.
Poi è evidente che il legame non immediato, ma più ampio fra BNP Parisbas (che forse non è la banca più grande del mondo, anche se quel “più grande” si riferisce a una banca generalista, con gli sportelli) e proteste romane ce l’ho visto, altrimenti non avrei nemmeno scritto il pezzo.
Vorrei chiedere a Mario Rossi qualche chiosa al suo laconico commento…
una piccola domanda : se così stanno le cose, perchè queste destre continuano a vincere le elezioni ? allora forse meritiamo ciò che riceviamo dal potere e dai padroni…
Per tante ragioni. Perché le destre, tanto per cominciare, propongono nemici più facili (capri espiatori) della situazione di impoverimento/mancanza di prospettive attuale. Non sono i paesi emergenti o le aziende italiane che delocalizzano a rubare il lavoro, ma gli stranieri.
Perché una parte di coloro che votano da quella parte, fanno davvero i propri interessi. Perché un’altra parte crede di farli – abboccando, per esempio, a dichiarazioni di tasse ridotte – anche se forse questo oggi è abbastanza da vedere.
Perché la disillusione e quindi l’astensionismo è maggiore sull’altro versante…
ecc…
Io credo, Giovanni, che la domanda sarebbe da porsi rovesciata : perché queste sinistre continuano a perdere le elezioni?
E in quel rovesciamento sta già la risposta. La sinistra italiana -e parlo da sinistra- attratta e sedotta dal buio, resta ancorata alla logica del ” meglio sotto terra e tutti assieme” , meglio vittime ma dure e pure. A parole, però, perché il guaio è che poi di quella durezza e di quella purezza non si vede neppure l’ombra. E quando se ne intravede una traccia -penso a Vendola, ad esempio – viene caplestata dall’invidia, dal timore di perdere il posto. E allora si resta giù, perdenti e beati.
@giovanni
la destra vince le lezioni perché promette all’elettorato falso benessere e falsa ricchezza, mentre la sinistra promette vera austerità e veri sacrifici (in più alle tante sinistre in concorrenza tra loro quasi tutto l’elettorato reale, quello che c’è, non gni garba ‘nessuna maniera). Gli elettori lo sanno che la promessa della destra è marinaia, ma sempre meglio dell’austerità e dei sacrifici sicuri che gli impone la sinistra quando governa.
Naturalmente nella realtà le cose non stanno del tutto così, ma così vengono percepite. E d’altra parte gli elettori sognano più di ogni altra cosa i beni in possesso del presidente del consiglio, il quale,
è vero, proviene da una famiglia di poveracci e somiglia tantissimo ai poveracci che lo votano.
La destra vince le elezioni, in tutto il mondo, per un sacco ed una sporta di motivi.
Tra i tanti, la destra vince le elezioni perché a sinistra, in un articolo che richiama all’attenzione sui numeri, l’autrice afferma che per ripianare un debito di 5 miliardi occorrono all’incirca 170 anni (30 milioni l’anno, 60 miliardi di lire per i vecchi come me)
un commentatore chiosa e rimbrotta che per tappare cotanto buco ci vogliono almeno 20 secoli, e cioè duemilioniemezzo l’anno, cinque miliardi di lire, a salario regolare e quindi presumo a democratica tassazione assolta
gli altri, fortunatamente, sono distratti
buon anno a tutti noi, e buona fortuna
@Gilberto
mi scuso. effettivamente l’errore di calcolo mio è piuttosto grave, un errore di presunzione, essendo che mi sono fidato della mia mente alla cieca. intendevo dire che un cristo qualunque guadagna, a stare larghi, venticinquemila euro l’anno. due milioni e mezzo a secolo. per arrivare a cinque miliardi ci vogliono duemila secoli. davvero tanti da passare sotto governi di destra.
Sostanzialmente la destra vince perchè storicamente l’Italia, a partire dall’Unità d’Italia è sempre stata un paese di destra, in mano a governi di destra. Solo in rare occasioni e per pochissimi anni (Crispi nell’800, Giolitti, Prodi, D’Alema) la sinistra è andata al gooverno. Quando la sinistra si poneva come unica alternativa abbiamo avuto il ventennio mussoliniano. Idem dopo mani pulite: è arrivato il ventennio berlusconiano. Dopo la caduta del muro di Berlino la sinistra ha perso ogni stampella ideologica e non ha prodotto un movimento politico che non fosse la stanca ripetizione del vecchio Politbureau. Di qui lo scollamento della base che anziché mettersi al servizio di un partito anonimo, fazioso e litigioso s’è spesso buttata nelle associazioni di volontariato. Di qui lo scollamento dei giovani che percentualmente votano a destra. Voto PD, ma la vedo grigia. Peraltro, avendo avuto una pur minima esperienza politica all’interno del consiglio comunale del mio paese (da cui sono fuggito dopo due anni, non aspettando i cinque del mandato) ho toccato con mano la gestione supponente di un potere da parte di politici scarsamente dotati quanto scarsamente sensibili nei confronti dei bisogni della base. E ora, a questa base depressa, senza un soldo, tolgono le primarie, quando hanno visto che il giochino non è più governabile. Con la conseguenza, immagino, che la base, per reazione voterà sempre di meno un PD comandato da uomini che sanno parlare ma non sanno pensare.
Vorrei aggiungere a @larry massimo che l’Italia, come ho detto, storicamente di destra, accetta di pagare più tasse se a chiederle sono i governi di destra, anziché quelli di sinistra. Con Tremonti stiamo davvero stringendo la cinghia (vedi la pseudo-riforma dell’università unicamente basata sulla riduzione delle risorse economiche); ma, senza che questo crei scandalo (complice la sordina messa ai giornali e ai telegiornali). Questo paese accetta dalla destra sacrifici che non accetterebbe dalla sinistra. E questo, più che un “dato” politico è una “sostanza” storica.
@ gilberto e larry: cazzo, è vero: mi sono dimenticata i tre zeri dopo i 170….170.000 e non 170 anni!!!!
se da questo volete concludere che sono la solita cialtrona, fate pure…
@helena
cialtrona? non mi permetterei mai. per me era solo distrazione, distratto a mia volta.
@pieri
i numeri sono numeri e i fatti sono fatti: negli ultimi 20 anni le tasse gli italiani le hanno pagate in maniera più copiosa sotto governi identificati come centrosinistra. ricorderà il magnificente LE TASSE SONO BELLE! (detto non da un tasso). i governi di centrodestra, invece, tendono a fare spesa a debito, aumentando il debito pubblico, lasciando ai futuri governi di centrosinistra l’onere di rimettere i conti a posto. questi sono i fatti.
Non so se ci siete ancora, mi sono persa in questi giorni. Non mi pare ci sia una contraddizione radicale tra quel che dice Larry e quel che dice Piero Pieri (non ti chiami così, vero? O sì?). La destra va giù di tagli, la sinistra alza le tasse. Per la destra è quasi tabù “infilare le mani nelle tasche degli italiani” (detto in berlusconese, ossia nel linguaggio che corrisponde all’elettorato). Ossia lo fa quatto quatto, di nascosto, spalmando balzelli e rialzi qua e là, o una tantum. Che – tipicamente – ci ciucciamo tutti.
In più, mi era sffuggita la parentesi NON DETTA DA UN TASSO a commento di LE TASSE SONO BELLE, che mi ha rallegrato l’uggioso sabato.