In ricordo di Pietro Mirabelli, minatore calabrese
Gli amici di Pietro in Toscana insieme al Teatro Corsini Barberino di Mugello (FI) organizzano
7 dicembre 2010 ore 21.00
In ricordo di Pietro Mirabelli, minatore calabrese
Ingresso: 8 euro (studenti e disoccupati 5 euro). L’incasso sarà devoluto in un fondo a memoria di Pietro Mirabelli per azioni e studi per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Info: Teatro Corsini 055/ 841237 055/ 331449.
Lo scorso 22 settembre è morto sul lavoro Pietro Mirabelli, un operaio, un minatore. Stava costruendo, per conto di una ditta italiana, quello che sarà un primato mondiale: il progetto Alptransit del San Gottardo, la galleria più lunga del mondo. Pietro Mirabelli e’ stato un delegato RSURLS della FILLEA CGIL, addetto alla formazione e al controllo della sicurezza nei cantieri e aveva più di trenta anni di esperienza. Lavorando per il consorzio CAVET, era stato per oltre dieci anni sul fronte di scavo della costruzione dei tunnel dei Treni ad Alta Velocità che passano sotto il Mugello e collegano Bologna a Firenze e prima di patire per la Svizzera, anche nei cantieri della Variante di Valico con la ditta TOTO. Negli anni che ha trascorso in Toscana, Pietro ha lottato con tutte le sue forze contro turni di lavoro a ciclo continuo che davano pochissima tregua ai lavoratori spesso scontrandosi anche con i sindacati e con la politica. Pur soffrendo della lontananza da casa, una delle caratteristiche salienti di questo tipo di lavoro, Pietro ha però lottato anche contro le distanze culturali che ancora dividono l’Italia veloce del Nord da quella lenta e quasi immobile del Sud. La sua forza stava nel trascinarsi dietro persone tanto diverse tra loro, come scrittrici e scrittori, giornalisti, registi, studenti, ricercatori universitari, lavoratori di altri settori, perfino comitati e associazioni per la tutela dell’ambiente: Pietro infatti capiva le preoccupazioni delle popolazioni che vedevano sventrati i loro territori, ma credeva che soltanto saldando i diritti di chi lavora nelle gallerie con la tutela del territorio su cui si insiste, si poteva far progredire sia i diritti degli abitanti che quelli dei lavoratori. La sua umanità era travolgente e non lasciava mai indifferente chi l’ascoltava. Parlava malvolentieri della n’drangheta, il cancro della sua terra. Ma non si nascondeva dietro a un dito e sapeva che ogni migrante è sempre l’esito di una battaglia persa dallo Stato contro la criminalità organizzata. Eppure questo minatore pur spesso deluso da tanti, credeva nelle istituzioni. Nel Presidente della Repubblica vedeva il simbolo di un’Italia unita, solidale, giusta. Capiva che era il massimo rappresentante della Repubblica fondata sul lavoro. Come uomo, come cittadino italiano, come lavoratore e come calabrese conosceva e amava la Costituzione italiana, si riconosceva in quel testo chiaro, limpido e tagliato sui bisogni concreti di milioni di uomini e donne, argine sul quale poggiare per costruire, in democrazia, un benessere per tutti. Aveva letto le lettere dei “condannati a morte” della Resistenza, di quei partigiani che poco prima di morire vergarono in poche righe il senso di tutta la loro vita. Da una di quelle lettere aveva tratto ispirazione per scrivere la frase che si trova ora ai piedi della statua del minatore, che fu lui a far edificare nella piazza dei “Caduti del lavoro” di Pagliarelle unendo la provincia di Crotone con il Mugello. Il monumento è fatto di pietra serena di Firenzuola. Pietro ha rappresentato e rappresenta l’ uomo di un Sud che non vuole perdere la speranza, ma anche di un’Italia che vuole ritrovare negli esempi di uomini semplici e giusti dei modelli a cui guardare senza paura, capaci di unire i cittadini nel nome della dignità del lavoro e del coraggio per difendere i diritti dei lavoratori. Per tutto questo il 7 dicembre 2010 lo ricordiamo in una serata al teatro di Barberino di Mugello, paese dove avrebbe voluto abitare. Una storia per unirne tante: “Questa non è la mia storia. E’ anche la mia storia, ma è la storia di tutti quelli che fanno la vita che faccio io…”. È la voce di Pietro Mirabelli nei quindici minuti della video intervista che verrà proiettata, dopo lo spettacolo “Lavorare da morire” testo e regia di C. Rombi, con Jacopo Gori. Durante la serata sarà lanciata una raccolta firme per una lettera da inviare al Presidente della Repubblica, nella quale, oltre a raccontare la storia di Pietro e delle sue lotte, si chiederà a Napolitano una pubblica presa di posizione che riconosca l’impegno di Pietro in nome della sicurezza sui posti di lavoro.