Scuola di calore IV
Sorella, amante
a Ornela
Sono stata sorella e amante, prostituta in erba, per anni,
in uno dei tanti giardini del ventesimo secolo
dove aquile ammaestrate spiccavano il volo
quando con i tacchi evitavo le pozze di sangue.
All’ombra di un dio materno ho scoperto la bellezza.
Perciò la mia carne esposta al mercato del popolo
era per il partito più che un delitto una tara:
ah gocce di sperma lucenti come canini!
Poi, elevata al cubo – ma con un Braque al mio fianco –
ho disceso il piccolo inferno dei baby-doll, giù fino
al girone dei traditori della patria, da dove non sono
più tornata, se non con un’altra lingua per mordermi le labbra.
Per la lumaca calpestata, non è così facile morire: la sua bava
lascia una lunga traccia che tarda a decomporsi, e, in ogni caso,
il giardino della letteratura non è così diverso dal reame di Albania:
corazze immaginarie gettate in uno stagno di rospi veri.
Meglio la palude, il Marais, i macellai kosher, gli archivi
e i loro ratti, le checche sulle terrazze che sfogliano Vanity fair,
i ricchi parigini seduti sulle panchine di Place des Vosges,
il veleno cartesiano che a piccole dosi appaga i sentimenti
Ma non tutto è perduto. Ieri, ad esempio, mi sono innamorata
del mio dentista mentre mi devitalizzava l’ultimo molare.
C’era silenzio, non faceva male, eppure mi sentivo penetrare:
ah corpi non più vergini, sale d’attesa!
Fog, magla
a Dubravka
Quando ero jugoslava leggevo i russi,
Mandel’stam. Più di mezzo secolo, ormai.
L’epoca dei lupi là fuori era un fascio di infrarossi:
“Mia cara bambina spero nei lavori forzati della memoria”
Poi venne il collasso comunista,
la guerra, e il consigliere Kubik traboccava di epiteti:
sanguisuga, parassita, puttana cosmopolita.
Così, leggendo Faulkner, da croata divenni americana
Quando il mio primo romanzo fu pubblicato in Inghilterra,
il dio della lingua, Marte, combatteva ancora con la forma progressiva,
mentre nella mia casa natale, dietro la Singer, un ragazzo
dall’erre moscia mi succhiava il seno appena pronunciato
Qualche anno dopo saltò fuori che un collega di Princeton,
facendosi largo tra i veli di un burka, aveva infilato
il suo trionfante membro nella bocca di una lettrice afghana.
Presi una posizione umana, ma mi rimandarono a casa
I mean, alla frontiera. Rinascere non conta
e dato che dal dolore ci salva non la morte
ma il mutare di continente, eccomi in barca sull’Amstel
con in mano un passaporto di Olandese volante
Oggi dai canali di Amsterdam sale una nebbia neonata
che, a parte un po’ di trucco, fa invecchiare in fretta, e a cui non so
dare un nome: magla, fog, boira, nebel? La resa del mio nervo sciatico
è incondizionata, quasi più dello specchio alla vista delle labbra
la decadenza del corpo attraverso passaggi di tempo e adattamenti alla storia. Una lotta per la sopravvivenza che non risparmia il sopraggiungere della nebbia. La cosa che mi affascina è la sensazione che siano donne che non si giustificano, ma si raccontano lucidamente, come a dire “così è stato per questo questo e quest’altro, ma punto”.
come al solito: belle.
Porca miseria, Max, inizio ad essere invidioso!
ma loro lo sanno?
Ornela Vorpsi e Dubravka Ugresic sono le mie scrittrici preferite.
Perciò lo sanno
max
rizzante è davvero poesia tutto questo
come sempre sublime e semplice
adoro queste poesie colme di calore
un caro saluto
c.