Omofobia, identità e omosessualità
“La rinuncia accresce l’intolleranza”
Freud, Il disagio della civiltà
di Domenico Lombardini
L’Italia non possiede un registro pubblico dei reati “omofobici”, siano questi di natura discriminatoria (ad esempio, nel mondo del lavoro) o propriamente violenta e intimidatoria. Per contro, gran parte dei paesi europei, come Bulgaria, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Romania, Slovenia ma sopratutto Regno Unito e Finlandia hanno una qualche forma di raccolta dati del genere[1]. Gli Stati Uniti con un atto legislativo (Hate Crime Statistics Act[2], 1990) hanno incluso tra i crimini violenti perpetrati su base pregiudiziale anche quelli di matrice omofoba. È interessante notare che l’Italia condivide questa inadempienza o, se vogliamo, trascuratezza con Cipro, Grecia, Portogallo e Spagna (ibid. pag. 22), tutti paesi mediterranei in cui storicamente la presenza della religione cristiana, ortodossa o cattolica, ha plasmato i destini nazionali politici, culturali e sociali in maniera assai profonda.
Il pregiudizio negativo nei confronti degli omosessuali in Italia è diffuso, secondo alcuni studi, non soltanto tra i comuni cittadini ma anche, ciò che è ancora più grave, tra gli stessi psicoterapeuti, specie quelli ad indirizzo freudiano[3], i quali hanno a che fare con questo tipo di pazienti ogni giorno. Ci si deve chiedere quindi quali siano i fattori sociali e psicologici che predispongono gli individui, siano questi singoli o gruppi di soggetti, a sviluppare un atteggiamento spontaneamente negativo nei confronti dell’omosessualità.
Le scienze psicologiche e sociali già ci avvertono della significativa correlazione fra omofobia e autoritarismo[4], quasi fosse che, in certi soggetti, la normale aderenza alle regole della società (che pretendono dall’individuo, seguendo Freud[5], la soppressione di una certa quota di soddisfacimento pulsionale) e la continuità con il passato attraverso i legami sessuali, siano vissute in una maniera particolarmente problematica. A questo riguardo, uno studio del 1999 di Pietrantoni, studiando l’atteggiamento di giovani nei confronti dell’omosessualità, ha proposto che tale atteggiamento assume la funzione di espressione di valori, ovvero è un modo per manifestare le proprie credenze morali e sociali, ipotizzando che le “ansie omofobiche” siano di natura identificatoria. Questo indurrebbe lo sviluppo di una bassa tolleranza per l’ambiguità, un’elevata rigidità cognitiva e un’accettazione pedissequa dell’autorità a scapito delle libertà individuali.
Un altro studio di Stefano Carta[6] ha proposto che un’affinità omosessuale conflittualizzata è correlata negativamente con un senso positivo del sé fisico, morale e personale, e con una definizione precisa della propria individualità.
Uno studio più recente di Vittorio Lingiardi[7] del dipartimento di psicologia dinamica e clinica dell’università La Sapienza di Roma ha cercato di delineare in modo preliminare l’atteggiamento nei confronti dell’omosessualità nella società italiana. Lo studio coinvolgeva due campioni differenti sia per estrazione sociale che di gruppo e anche per origine geografica: 100 officiali dell’accademia navale di Livorno e 100 studenti maschi dell’università La Sapienza di Roma. I militari provenivano in maggioranza dal centro-sud d’Italia, contrariamente agli studenti, in gran parte dal settentrione. I due gruppi erano omogenei in termini d’età (in media circa 27 anni). È stato selezionato un altro gruppo di altri 100 studenti per valutare l’eventuale diversa disposizione di uomini e donne nei confronti dell’omosessualità. Lo studio correlava le caratteristiche di personalità, il coinvolgimento più o meno profondo con la religione, il genere sessuale e le simpatie politiche, con l’eventuale omofobia manifestata dai soggetti.
Ne viene fuori che, rispetto agli studenti, i militari, oltre ad avere avuto una maggiore educazione religiosa (79%, rispetto agli studenti 47%), avevano una peggiore disposizione nei confronti degli omosessuali. Un’altra differenza fra i due gruppi si rilevava a livello delle simpatie politiche, con gli studenti che erano più “progressisti” (30%) rispetto ai militari (11%).
È interessante notare che l’adesione alla vita religiosa di questi soggetti era soprattutto per i suoi aspetti esteriori, deteriori e formali riconducibili più a un’affermazione identitaria che a un coinvolgimento profondo con le proposte del cattolicesimo.
Ciò che è più interessante, in media veniva maggiormente avversata la rivendicazione, da parte degli omosessuali, dei diritti civili da cui ancora oggi in Italia vengono esclusi. I dati più interessanti sono quelli che correlavano le caratteristiche di personalità con un’eventuale disposizione omofoba. Una maggiore instabilità emotiva predispone, secondo lo studio, a una peggiore disposizione nei confronti degli omosessuali. Sono “più a rischio di omofobia”, le persone più apprensive e insicure e quelle con un forte senso del dovere, una maggiore paura della disapprovazione altrui e una peggiore autostima. Inoltre, hanno attitudini più omofobiche i soggetti meno dominanti, più conformisti, più facilmente influenzabili e quelli con una mentalità maggiormente conservatrice e reazionaria. In ultimo, tra gli studenti sono gli uomini rispetto alle donne ad avere un rapporto peggiore con l’omosessualità, sia che si declini questa al femminile che al maschile, e in media conoscere o frequentare persone omosessuali conferisce una migliore disposizione generale nei confronti dell’omosessualità.
[1] Hate Crime. Papers from the 2006 and 2007 Stockholm Criminology Symposiums. Scaricabile in http://www.middlebury.edu/media/view/147451/original/Hate_Crime.pdf#page=16
[2] http://www.adl.org/99hatecrime/federal.asp
[3] Capozzi, P., & Lingiardi, V. (2003). Happy Italy? The Mediterranean experience of homosexuality, psychoanalysis, and the mental health professions. Journal of Gay & Lesbian Psychotherapy, 7(1/2), 93–116.
[4] Ad esempio, vedere Herek, G. M. (1993). The context of antigay violence: Notes on cultural and psychological heterosexism. In L. D. Garnets & D. C. Kimmel (Eds.), Psychological perspective on lesbian and gay male experience (pp. 89–107).New York: Columbia University Press.
[5] Il disagio della civiltà. S. Freud, Bollati Boringhieri, 1985
[6] http://siba-ese.unile.it/index.php/psychofenia/article/view/3593/2988
[7] The Evaluation of Homophobia in an Italian Sample.Vittorio Lingiardi, Simona Falanga and Anthony R. D’Augelli.Volume 34, Number 1, 81-93
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Chi se ne fotte di Freud e di tutto il ciarpame anale che si trattengono dentro i suoi poveri seguaci!
In Italia per le coppie di fatto avremmo gia’ da tempo una leggina ridicola come quella francese, se la nostra classe politica non fosse fatta di venditori ambulanti e vajasse, fra un mare di rifiuti.
x ama: ma che c’entra, l’articolo parla di altro, mica di Freud!