1872: un primo annus mirabilis

di Antonio Sparzani

Vorrei raccontarvi la storia e soprattutto il contenuto del programma di Erlangen, che secondo me ha rappresentato una tappa fondamentale nello sviluppo della scienza di fine Ottocento, ma che al tempo stesso costituisce un grimaldello di pensiero che aiuta a capire e a mettere insieme tanti pensieri e tanti punti di vista in apparenza molto diversi e in realtà invece no. Questo cosiddetto programma è stato l’argomento centrale della prolusione accademica dell’illustre matematico Felix Klein quando, giovane ventitreenne, fu chiamato nel 1872 sulla cattedra di geometria dell’Università di Erlangen. Allora usava così: un professore veniva chiamato su una cattedra e il suo primo gesto ‒ di cortesia e di conoscenza reciproca ‒ nei confronti dell’università chiamante, era una lezione su un argomento che egli considerava particolarmente rappresentativo delle proprie ricerche e dei propri interessi.

Però per fare questo non riesco proprio a trattenermi dall’offrirvi un pur molto schematico panorama del contesto culturale dell’Europa di quegli anni, e della Germania in particolare.

Se siamo disposti a spingersi oltre l’ovvietà che ogni anno del nostro passato è fondamentale per la formazione del nostro presente, possiamo anche essere disponibili a riconoscere che, tra gli anni singolarmente rilevanti e densi di avvenimenti in campi tra loro assai diversi dell’attività culturale europea, gli anni ’70 del XIX secolo occupano una posizione di tutto rilievo. Per capire di cosa parlo ecco qualche esempio (ometto — tra l’altro — qualsiasi riferimento alla musica, che pure in questi anni conosce momenti molto alti: valga per tutti la prima esecuzione a Bayreuth del ciclo completo dell’ Anello del Nibelungo di Richard Wagner, agosto 1876) che può dare un’idea di questo contorno.

In Francia nasce ufficialmente l’impressionismo: è del 1872 il quadro Impression, soleil levant del trentaduenne Claude Monet, che, esposto alla mostra — alternativa al  Salon ufficiale — organizzata dai nuovi artisti a Parigi nel 1874, fornisce lo spunto ad un critico di usare il termine, nelle intenzioni derisorio, «exposition impressioniste»; termine-sfida poi accettato dai partecipanti alla mostra e da allora correntemente usato per quel nuovo modo di concepire la pittura.

Arthur Rimbaud ha diciott’anni; l’anno precedente ha mandato a Verlaine il suo Bateau ivre; negli anni tra il ’72 e il ’73 si consuma la tormentata relazione tra i due che porterà al colpo di pistola del 7 luglio 1973: Rimbaud, ferito al polso, fa arrestare l’amico e scrive Une saison en enfer, edita a Bruxelles nel 1873.

Gustave Flaubert ha cinquantun’anni e, dopo aver già pubblicato Madame Bovary e la seconda versione dell’Educazione sentimentale, è ancora in piena attività, malgrado le disavventure finanziarie: negli anni settanta pubblica le mirabili Tentazioni di Sant’Antonio, i Tre racconti e infine Bouvard e Pécuchet.

In Russia Tolstoj, che ha portato a termine da tre anni Guerra e pace, si appresta a scrivere Anna Karenina, che apparirà nel 1878, mentre Fëdor M. Dostoevskij, che negli anni ’60 ha già pubblicato  Umiliati e offesi e Delitto e castigo, pubblica nel 1873 I Démoni, e alla fine del decennio, I Fratelli Karamazov. Nel 1879 Henrik Ibsen, cinquantunenne, pubblica Casa di bambola, che significa per lui l’inizio della maturità e del successo.

Nel 1872 Friedrich Nietzsche, ventottenne, pubblica il suo primo libro, La nascita della tragedia, opera dirompente e per molti versi fondante di una nuova e più viva visione del classicismo, non solo Apollineo, ma anche, insiste Nietzsche, Dionisiaco.

Nello stesso anno George Eliot, pseudonimo della scrittrice inglese Mary Ann Evans (1819-1880), pubblica quello che fu uno dei grandissimi romanzi inglesi dell’Ottocento, Middlemarch, studio di vita provinciale.

In campo scientifico-tecnologico abbiamo alcune invenzioni basilari per la vita dell’uomo del Novecento: viene prodotta, dal 1873, la prima macchina da scrivere commerciale, ideata e brevettata pochi anni prima dagli statunitensi Christopher L. Sholes, Samuel W. Soulé e Carlos Glidden; il primo modello di telefono viene brevettato dall’italiano Antonio Meucci (1808‒89) nel 1871, anche se l’invenzione fu poi messa a punto dallo scozzese, emigrato in Canada e poi negli Stati Uniti, Alexander G. Bell (1847–1922) nel 1876.

Il motore a combustione interna a quattro tempi, noto tuttora come motore Otto e usato in tutte le automobili a benzina, viene messo a punto dall’ingegnere tedesco Nikolaus A. Otto (1832–1891) nel 1876 (a parte una complicata disputa di priorità con l’ingegnere francese Alphonse Beau de Rochas), mentre nel 1877 il geniale autodidatta statunitense Thomas A. Edison (1847–1931) inventa il fonografo e, due anni dopo, la lampadina a filamento di carbone.

In fisica, nel 1872 James Clerk Maxwell ultima il suo Treatise of Electricity and Magnetism, pubblicato nei primissimi mesi del 1873; l’equivalente per l’elettromagnetismo di quello che furono i Principia di Newton per la meccanica, uno dei capisaldi della fisica classica, che concludeva un enorme lavoro portato avanti attraverso tutta la prima metà del secolo non solo da Maxwell stesso, ma anche da un notevole gruppo di fisici, inglesi, francesi, tedeschi e ‒ pochi ‒ italiani.

Nel 1872 appare la memoria nella quale il matematico tedesco Richard Dedekind, quarantunenne, fonda la teoria dei numeri irrazionali (singolare nome, direte voi, per entità che sono puro frutto di ragione; ma il nome dichiara solo la non esprimibilità di tali numeri sotto forma di frazione — ratio), e fornisce così uno schema nel quale inquadrare consistentemente l’insieme dei numeri reali e la questione della continuità. Operazione cruciale per tutto lo sviluppo successivo dell’analisi.

E questo è il non banale contorno nel quale va collocata la figura di Felix Christian Klein (Düsseldorf 1849 — Göttingen 1925): egli diventò, assai giovane, come si diceva, professore ordinario di geometria all’Università di Erlangen, cittadina della Baviera non lontana da Norimberga, ed in tale occasione pronunciò, e soprattutto scrisse (perché il testo della conferenza fu un po’ diverso), com’era allora prassi, una prolusione, letteralmente un «Programma per l’entrata nella Facoltà». Tale programma, dal titolo Considerazioni comparative su recenti ricerche in geometria, da allora noto come  Programma di Erlangen segnò una tappa molto importante per l’avanzamento della geometria, e non solo, e fu forse di Klein il contributo scientifico in assoluto più significativo. Il contenuto e lo spirito di questo programma hanno un’importanza decisiva per lo sviluppo della matematica e della scienza in generale.

Klein era andato, ventenne, a Berlino, dove aveva incontrato Sophus Lie, matematico norvegese, di sette anni più vecchio di lui e molto interessato alle questioni  concernenti i “gruppi continui di trasformazioni”: l’interazione tra i due proseguì proficuamente a Parigi, dove maestro di teoria dei gruppi fu, per entrambi, il matematico francese Camille Jordan, finché Klein non fu costretto, nel 1870, a rientrare in patria allo scoppio della  guerra franco — prussiana. L’interazione con Lie e Jordan contribuì molto a far emergere in Klein gli elementi di una nuova proposta, che sfruttava al massimo le potenzialità della nascente teoria dei gruppi. Dopo aver pubblicato, nel 1871, mentre era a Göttingen, un famoso articolo che inquadrava le geometrie non-euclidee nell’ambiente della geometria euclidea (l’articolo si intitolava Sulle cosiddette geometrie non euclidee), a Klein venne appunto offerta, malgrado la sua giovanissima età, la ordentliche Professur all’Università di Erlangen.

L’ispirazione iniziale del  Programma prende le mosse dalla constatazione dell’ormai molto pronunciata differenziazione che si è andata producendo all’interno della geometria — che, sostiene Klein, è pur tuttavia una sola — e della conseguente esigenza forte di un paradigma unificante.

E allora comincerò a raccontarvi schematicamente che cosa vuol dire che i geometri (con questa parola s’intendono, in contesti come questo, i cultori di geometria) erano divisi in due correnti, forse addirittura fazioni, piuttosto antitetiche. La fazione dei geometri analitici e quella dei geometri sintetici. Pur avendo in comune enunciati e teoremi da dimostrare, essi differivano molto riguardo al modus operandi: la geometria sintetica si prefiggeva come metodo l’uso di nozioni e strumenti puramente geometrici contenuti in teoremi logicamente precedenti, argomentazioni provenienti da visualizzazioni di figure, costituite da punti, rette e piani. La geometria analitica, uno dei cui fondatori fu certamente, due secoli prima, Cartesio, prevede invece l’uso esteso dell’algebra, mediante l’impiego delle coordinate; cioè mediante l’individuazione di ogni elemento geometrico tramite le sue coordinate.
Tipicamente, come qualche volta avrete visto, una volta assegnato inizialmente un apposito sistema di coordinate, la posizione di un punto su un piano può venire individuata con precisione per mezzo delle sue due coordinate cartesiane in quel piano. Se vogliamo considerare uno degli esempi più famosi, quello del teorema di Pitagora, vi sono vari modi di procedere; senza pretendere qui un rigore assoluto, vi invito a guardare questa prima dimostrazione che chiamerei puramente geometrica, (o anche questa, che però dovete avere la pazienza di guardare fino in fondo!) e invece quest’altra che utilizza notevolmente l’algebra.

Il video che invece fa da copertina a questo post potrebbe essere considerato una illustrazione fisica del teorema, non certo una dimostrazione nel senso che i matematici danno a questa parola (infatti, chi ci garantisce che quel liquido riempia esattamente il grosso recipiente in basso?)

Chi poi conosce un po’ la geometria analitica del piano cartesiano si immagina facilmente che si possa anche fornire una dimostrazione, tutto sommato abbastanza facile, del famoso teorema senza neppure guardare una figura, ma considerando distanze tra punti di un piano e usando algebra e trigonometria, costruendo così una dimostrazione puramente analitica.

I geometri, così come i matematici in generale, o gli scienziati, o anche i non scienziati, sono mediamente litigiosi e hanno la singolare tendenza a pensare che il proprio modo di affrontare e trattare i problemi sia indiscutibilmente il migliore, e così avveniva ai tempi di Klein, il quale ebbe invece il merito di proporsi di trovare un punto di vista, per così dire, superiore.

«sorge la questione se esista  un principio generale, secondo il quale ambo i metodi [il metodo della geometria proiettiva e quello della geometria euclidea, n.d.r.] potrebbero organizzarsi.»

così egli si esprime nella prolusione citata. Ed eccovi alcune altre frasi d’apertura del lavoro di Klein sulle quali vi lascerò meditare fino alla prossima puntata.

«Ora vi sono nello spazio delle trasformazioni che non alterano affatto le proprietà geometriche delle figure spaziali. Infatti, per la natura del concetto di proprietà geometriche, queste sono indipendenti dalla posizione che la figura da studiare occupa nello spazio, dalla sua grandezza assoluta, e finalmente anche dal senso in cui son disposte le sue parti. Le proprietà di una figura spaziale rimangono dunque inalterate rispetto a movimenti dello spazio, rispetto a trasformazioni di similitudine e rispetto all’operazione di riflessione (specchiamento) così come rispetto a tutte le trasformazioni che risultano da composizioni delle precedenti. Designiamo la totalità di queste trasformazioni con il nome gruppo principale [Hauptgruppe] delle trasformazioni spaziali. Le proprietà geometriche non vengono variate dalle trasformazioni del gruppo principale. E inversamente si può dire: Le proprietà geometriche possono essere caratterizzate dalla loro invarianza rispetto alle trasformazioni del gruppo principale.»

E poche righe più sotto riassume, in un linguaggio più moderno:

«Sono dati una varietà ed in essa un gruppo di trasformazioni. Si sviluppi la teoria degli invarianti rispetto al gruppo.»

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2 Commenti

  1. quel video è stato girato allo science center di Winterthur in Svizzera, ci sono andata quest’anno con i miei studenti e l’unica foto che mi sono fatta fare è stata proprio vicino a questa bellissima prova acquatica del Teorema di Pitagora :-)

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antonio sparzani
antonio sparzani
Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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