Cultura fuori dalla cultura

(da «il Fatto Quotidiano» – venerdì 22 ottobre 2010)

Non solo libri: la «società intellettuale» deve conquistare rilevanza.
Oggi più che mai può farlo uscendo dai confini letterari
e misurandosi con i temi politici e sociali

di Evelina Santangelo

«Come posso far sì che la mia attitudine critica, l’impegno civile, l’esperienza politica non sia una forma di intrattenimento, di mero consumo culturale, un passatempo come un altro?» Così si interroga Christian Raimo sulla Domenica del Sole 24 ore di qualche settimana fa, dando voce al disagio di quanti in Italia svolgono un lavoro intellettuale scontando la colpa singolare di appartenere a una generazione destinata a vivere la frustrazione della propria ininfluenza. La ragione di questo stato di cose, secondo Raimo: quel «deserto di cultura» in cui ormai si è tutti calati e che i giornali nella loro noncuranza contribuiscono ad alimentare. Un deserto che – come puntualizza Gianluigi Ricuperati – si nutre di quel genere di risentimento (riversato soprattutto nella blogosfera) legato al sospetto che nulla ormai in questo paese sia conseguito e conseguibile in base al merito.
Ora, al di là delle polemiche sull’«esistenza o meno» di un autore come Raimo che mi sembra avviliscano il dibattito (quasi chiunque in fin dei conti «esiste» per cerchie ristrette di estimatori), non c’è dubbio che, se c’è molto di vero in queste e altre considerazioni fatte da due autori che stimo, c’è anche a mio avviso una forma, diciamo, di autismo, una tendenza a orientare lo sguardo in modo selettivo, volgendolo a quegli ambiti in cui alcune intuizioni trovano conferme puntuali, esatte. Mentre sarebbe proprio il caso di dire con Giorgio Vasta (La Repubblica, 19 ottobre) che bisognerebbe davvero «cambiare postura psicologica», non solo però – aggiungerei – cercando di mettere da parte ogni alibi per emanciparsi e affrontare l’impresa di inventare un «codice culturale» non assunto di peso dai padri come un dato ereditario, ma provando anche a interrogarsi sul proprio ruolo e sulle responsabilità nuove poste, per esempio, dall’odierna frammentazione in cui finiscono per disperdersi ed essere sommerse le diverse voci che, nonostante tutto, oggi di fatto costellano il panorama culturale italiano.
Ora, un bel po’ di tempo fa, il 13 febbraio, proprio sul Fatto Quotidiano pubblicavo un articolo, («Lo scrittore solo», un articolo forse troppo prematuro per i tempi, chissà) in cui, tra le altre cose, mi chiedevo che genere di responsabilità si dovessero assumere gli scrittori nell’odierno spaesamento e sradicamento, e come si potesse spezzare la doppia solitudine in cui molti vivono, ora considerati senza discrimine alcuno come intrattenitori, o produttori qualsiasi di un qualsiasi bene di consumo, ora invece concepiti come simboli cui delegare ogni battaglia etica, politica, culturale (come nel caso di Saviano). In questa doppia solitudine coglievo il segno della irrilevanza sociale dello scrittore nella sua specificità come sintesi di intelligenza immaginazione e cultura «capace di generare visioni» o di «dar voce a ciò che è senza voce», per dirla con Calvino. Concludevo poi quel pezzo con una considerazione che oggi mi sembra colga appunto i limiti e le potenzialità di questo dibattito.
Quel che infatti potrebbe fare la differenza tra «l’immobilismo» generazionale di cui parla Raimo e una «nuova postura psicologica», come dice Vasta, è forse proprio una nuova postura spirituale, in cui insieme alla necessità di concepire e dar forma a visioni capaci di interrogare il proprio tempo si sentisse fortissimo il dovere di spezzare il proprio solipsismo più o meno egocentrico, collegandosi il più possibile in una sorta di discorso più vasto e intrecciato, «quel genere di discorsi a più voci – dicevo in quel pezzo – che danno rilevanza a una società letteraria, intellettuale e artistica». Una «rilevanza» che va prima di tutto conquistata.
E va conquistata anche con la capacità di inventarsi luoghi dove tessere trame, riannodare fili dispersi di intelligenze, immaginazioni, saperi. E va conquistata pure – oggi più che mai – con la capacità di innestare l’ordine dei discorsi specificatamente letterari o artistici in altri discorsi scientifici, politici, sociali, identitari, tutti quei discorsi di cui dovrebbe esser fatta la vita civile di un paese civile, in modo da ricostruirne l’ossatura spirituale.
Se dunque si volesse guardare con attenzione a quel che sta accadendo nella cultura chiamiamola così, «militante», di questo paese, si scorgerebbe un filo rosso che forse sarebbe il caso di afferrare e seguire. Un filo rosso con cui da più parti si sta provando a riallacciare un dialogo possibile tra quanti sentono l’urgenza di rifondare in modo laico e problematico il ruolo dell’intellettuale in un tempo e in una circostanza, tra l’altro, in cui si è diffusa la convinzione che si possa fare a meno dell’intelligenza (umanistica e scientifica) o che si debba necessariamente farne a meno per mancanza endemica di intelligenze.
Lo si sta facendo in riviste come Alfabeta 2, per esempio, nel cui secondo numero si ragiona e si dà forma (in una pluralità di punti di vista) a una terza via tra «informazione culturale» e «intervento politico»: la via cioè dell’«intervento culturale», con l’intenzione dichiarata di «annodare fra loro fili discorsivi» perduti tra cultura e contesti (economico, sociale e politico). Lo si sta facendo in blog come Nazione Indiana dove si stanno raccogliendo gli esiti di un’ampia inchiesta sulla responsabilità d’autore che ha visto coinvolti, oltre allo stesso Christian Raimo, una trentina di poeti e scrittori di formazione, generazione ed estrazione diversissima (da Biagio Cepollaro a Marcello Fois, da Marco Giovenale a Laura Pugno a Ginevra Bompiani a Michela Murgia…) Lo si sta facendo travasando riflessioni o cercando di far riecheggiare discorsi tra blog e siti diversi (Vibrisse, Giap, Lipperatura, Carmilla, Il Primo Amore…) di quella Rete che sarà pure un «egodromo» ma offre anche, come dice Sergio Escobar, «stimoli formidabili e nuovi spazi per le idee». Lo si sta facendo cercando di riallacciare dialoghi possibili tra autori e critici come Andrea Cortellessa o Domenico Scarpa… appartenenti più o meno alla medesima generazione di «spaesati». Tutti tentativi (questi e altri) forse di costruire intanto una sorta di cittadella immateriale dove circolino idee capaci di misurarsi tra loro e con i vari contesti di cui è fatto lo spazio pubblico in un paese civile.
Per questo forse non è propriamente un caso, ma l’ulteriore manifestazione di un processo piuttosto, quel che oggi sta succedendo anche sulle pagine della Domenica del Sole 24 ore.
D’altro canto, ci sono processi che accadono insensibilmente, attraverso piccoli smottamenti privati o condivisi, affioramenti episodici, fino a quando non succede che tutto ciò si intrecci in un’esile trama. Ecco, forse siamo qui, a questa esile trama di «una piccola civiltà» possibile (che oggi, in un paese che ha perduto se stesso, non può essere solo e soltanto «letteraria», vorrei dire a Christian Raimo). E sarebbe un peccato che se ne perdesse il filo.

Print Friendly, PDF & Email

36 Commenti

  1. – «Come posso far sì che la mia attitudine critica, l’impegno civile, l’esperienza politica non sia una forma di intrattenimento, di mero consumo culturale, un passatempo come un altro?» Così si interroga Christian Raimo sulla Domenica del Sole 24 ore di qualche settimana fa –

    A rigor di Grammatica, essendo il soggetto plurale, la lezione corretta sarebbe “non SIANO una forma di intrattenimento”.

    Se sbagliate anche voi, preclari Autori, a noi poveri scriventi cosa resta per difendere la lingua dalla barbarie del periodare televisivo…?

    Resistere, impegnarsi, d’accordo, ma anche ripassare qualche regola male non farebbe…

  2. @ evelina
    credo che quello che volevo dire con i pezzi sul Sole viene recepito e anzi sviscerato molto bene qui; anzi lo riesci a definire proprio bene al di là delle polemicucce e dei riduttivismi.
    La letteratura non deve prendersi più in carico le mancanze che vengono da altrove, mi verrebbe da dire. Gli scrittori civili, gli scrittori che fanno finta di fare i politici, sono sintomi soltanto di una stessa mancanza. Piuttosto quando parlavo di civiltà culturale mi riferivo non alla repubblica letteraria ma a un desiderio legittimo di comunità, di cittadinanza, di democrazia, di repubblica tout-court. E’ in atto un progressivo smantellamento e declino dell’autorevolezza di alcune strutture solide della società, soprattutto quelle comunitarie: provare a ripensarle, non per resistere o per sopravvivere è una priorità.
    Sono contento di questo pezzo di Evelina, perché è un pezzo che ragiona su un piano di complessità e di una complessità non generica, stigmatizzando la pochezza della risposta del Fatto sul merito delle questioni che ponevo sul Sole, che spero stiano emergendo invece in maniera più chiara, meno occasionale. M’interessava davvero il merito, non io che le ponevo, o il modo in cui le ponevo.
    Non un piagnisteo da terza pagina da far riverberare qua e là per un po’ di gloria da blog, ma il desiderio che la reticolazione dei rapporti si stringa, diventi efficace il più possibile il meccanismo dell’autocritica permanente, s’imponga un discorso pieno. Niente cricche, né fronti, ma relazioni. Su nazione indiana e anche altrove questo modello è diventato già, dopo anni di pratica, abbastanza assodato. Sarebbe bello se questo discorso pieno tracimasse altrove, senza doversi semplificare o pervertire in alcun modo.

  3. Sì, Christian, la cosa più importante è proprio far comprendere questo, che non giova a nessuno perseguire battaglie solitarie che finiscono per dare visibilità, magari, a singoli e non credito a quanti intendono contribuire a ricostruire l’ossatura spirituale di questo paese.
    Per imprese del genere è chiaro che la mobilitazione e l’assunzione di responsabilità riguarda tutti, e implica prima di tutto il rispetto delle idee e delle argomentazioni altrui (che le idee, senza le argomentazioni, si possono lanciare come proiettili in ogni direzione) nonché il diritto e dovere di aderirvi o discuterle con l’intento non di avere la meglio, ma di contribuire (ognuno in base alle proprie competenze, convizioni, al proprio humus culturale…) alla complessa vita civile e culturale di un paese. Se entrassimo in quest’ordine di idee, tutti, sarebbe già un gran passo avanti.
    D’altro canto, nessuno mi potrà dissuadere dall’idea che più intelligenza e cultura libera e disposta al confronto ci sarà in giro più intelligenza e cultura libera e disposta al confronto si genererà.

  4. La cosa più importante è leggere che finalmente quel lavoro che da qualche anno vari blog e siti stanno portanto avanti sul web ha un suo riscontro/riconoscimento al di fuori di esso. E’ il virtuale che diventa attuale, direbbe Deleuze.

  5. Nessuna polemica e tutta la venia che volete, ma la grammatica è Grammatica, regge poco l’ironia, anzi, senza Grammatica, l’ironia riesce male. Se un trombettista stona una nota, ha stonato, tutto qua. Farebbe meglio ad evitare…

    se poi a stonare è l’arrangiatore (leggi l’editor) ancor peggio, se poi l’arrangiatore è anche musicista (leggi scrittore) a me un po’ di scoramento viene. Soprattutto se non si tratta di un commento a un post, ma di un pezzo mandato al prestigioso (si fa per dire) organo degli amici di nazi- Marchionne (la Giubba rossa canadese).

    Ma non fate caso a me, sono uno violento, uno che lancia uova e che, solo al pensiero di pubblicare sul Sole (Nero, ricordate Bataille?) rabbrividisce esattamente quanto rabbrividirebbe a pubblicare su Libero e il Giornale. Anzi di più.
    Ma per fortuna non faccio lo scrittore, ma il metalmeccanico e per i padroni del SSole già lavoro da anni.

    Un ossequio (non ironico)

    arto (uno che lavora con le mani)

    PS: e se lasciassimo quel meraviglioso perito bio-chimico di Deleuze fuori da questa storia?

  6. Caro Arto Metalmeccanico, non sia invidioso, lei già lavora per le SS, perché vuol negarlo a chi si occupa di cultura? Parafrasando un umorista aristocratico, S. Lec, si potrebbe dire che anche noi vogliamo un posto al Sole (24 ore), possibilmente all’ombra (Mondadori-Einaudi).

  7. Una sola osservazione di ordine generale.
    Non è che se uno fa il metalmeccanico ha più diritto di straparlare o insinuare, così come non ha questo diritto chi fa l’editor o lo scrittore. E infatti non mi sembra che qualcuno lo abbia fatto. Anzi, direi.
    Però è anche vero che non c’è alcun obbligo di capire con che genere di persone si sta parlando, ammesso che questo sia poi parlare, cari Arto e Massino, o non piuttosto cercare occasioni per esibire tutto il proprio pregiudiziale disprezzo.
    Buona solitaria continuazione, dunque.

  8. Evelina mi dispiace irritarla così tanto, ma penso che la cultura praticata al sole e all’ombra dei padroni, 24 ore su 24, non faccia altro che continuare nel suo solco di falsità e filisteismo, lo stesso che aveva denunciato Nietzsche quasi 150 anni fa. Del resto, pur avendone i motivi e gli argomenti, non avevo nessuna voglia di infierire: mi limitavo a seguire la discussione, per meglio dire l’arrampicatura sugli specchi, pratica che mi fa sempre ridere, come le torte in faccia del cinema, e non ho potuto fare a meno di fare una carezza a un metalmeccanico virtuale.

  9. “nulla ormai in questo paese sia conseguito e conseguibile in base al merito”
    se c’è una parola che mi fa venire il sangue agli occhi è la parola “merito”
    questa parola ha affossato elegantemente altre parole che una volta la “sinistra” assumeva come principi fondanti la sua stessa esistenza e giustificazione
    dignità, libertà, fratellanza, uguaglianza
    ” a ciascuno secondo il suo bisogno a ciascuno per “capacità”
    “capacità” cazzo, in senso comunista, cazzo
    non merito
    quanti non meritano questa terra del cazzo?

    un omaggio, mi faccio un omaggio

    Noi siamo gli ultimi del mondo.
    Ma questo mondo non ci avrà.
    Noi lo distruggeremo a fondo.
    Spezzeremo la società.
    Nelle fabbriche il capitale
    come macchine ci usò.
    Nelle scuole la morale
    di chi comanda ci insegnò.

    Questo pugno che sale
    questo canto che va
    è l’Internazionale
    un’altra umanità.
    Questa lotta che uguale
    l’uomo all’uomo farà,
    è l’Internazionale.
    Fu vinta e vincerà.

    Noi siamo gli ultimi di un tempo
    che nel suo male sparirà.
    Qui l’avvenire è già presente
    chi ha compagni non morirà.
    Al profitto e al suo volere
    tutto l’uomo si tradì,
    ma la Comune avrà il potere.
    Dov’era il no faremo il sì.

    Questo pugno che sale…

    E tra di noi divideremo
    lavoro, amore, libertà.
    E insieme ci riprenderemo
    la parola e la verità.
    Guarda in viso, tienili a memoria
    chi ci uccise, chi mentì.
    Compagni, porta la tua storia
    alla certezza che ci unì.

    Questo pugno che sale…

    Noi non vogliam sperare niente.
    il nostro sogno è la realtà.
    Da continente a continente
    questa terra ci basterà.
    Classi e secoli ci han straziato
    fra chi sfruttava e chi servì:
    compagno, esci dal passato
    verso il compagno che ne uscì.

    Questo pugno che sale…

    bacini
    la fu

  10. che rottura di palle, il disfattismo.
    si scrive dove si può e si vuole.
    e rompe un po’ le palle essere criticati per le intenzioni o per una svista grammaticale e non per il senso di quello che si dice. sull’ultimo numero del Sole c’erano degli ottimi pezzi di Sergio Luzzatto o di Goffredo Fofi, per dire, che non sono padronali né nell’esercizio della propria intelligenza né per le loro pratiche di vita quotidiane, che sono quelle che conosco.
    poi il giornale è quello che è: non è lo Straniero, non è Alfabeta, non è la povera defunta Carta, per dire tre riviste per cui trovo un riconoscimento anche nella linea editoriale, che non ho con il Sole perché è appunto un giornale legato alla Confindustria e soprattutto alla finanza milanese.
    Ma anche qui la differenza con il Giornale o con Libero non è poca. Il Sole accetta delle regole democratiche, anzi le ribabisce: due settimane fa c’era un bellissimo corsivo di Luzzatto sul cripto-fascismo dell’informazione. Libero e il Giornale le minano programamticamente.

  11. Poesie inedite
    Fortini Franco, 1997, Einaudi
    a cura di Mengaldo P. V.
    € 8,00
    Attualmente non disponibile

    Composita solvantur
    Fortini Franco, 1994, Einaudi
    € 7,23
    Attualmente non disponibile

    Attraverso Pasolini
    Fortini Franco, 1993, Einaudi
    € 12,39
    Attualmente non disponibile

    Verifica dei poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie
    Fortini Franco, 1989, Einaudi
    € 12,39
    Attualmente non disponibile

    Il ladro di ciliege e altre versioni di poesia
    Fortini Franco, 1982, Einaudi
    € 14,46
    Attualmente non disponibile

    I cani del Sinai
    Fortini Franco, 1979, Einaudi
    € 5,16
    Attualmente non disponibile

    Una volta per sempre. Poesie (1938-1973)
    Fortini Franco, 1978, Einaudi
    € 18,59
    Attualmente non disponibile

    Foglio di via
    Fortini Franco, Einaudi
    € 8,00
    Attualmente non disponibile

    Versi scelti 1939-1989
    Fortini Franco, Einaudi
    € 15,49

    |Che rottura di palle, la cooltura.|

  12. Ringrazio chi, invece di assumersi le proprie responsabilità per portare avanti un ragionamento e anche un’azione per spezzare una cultura sempre più monolitica e totalitaria si compiace, mi sembra proprio, di rimestare nel mortaio della propria incommensurabile «superiorità» intelletuale e umana. Forse sarebbe il caso di ragionare su questo mutamento antropologico, direi, di ruoli tra chi crede che una via possibile di superamento dell’impasse stia nell’assumere uno spirito davvero laico e antidogmatico, aperto a tutti i saperi e le voci che possono contribuire a comprendere questo nostro tempo (per compiere scelte che possano contribuire, se non altro, a incrinarne l’uniformità) e chi invece tende a ritenersi «salvo» autodichiarandosi «migliore» di tutto e tutti, per meriti non pervenuti (il più delle volte).

    Parlare di «cooltura» in modo assolutamente generico non mi sembra molto diverso dal modo in cui ne parlano i vari Brunetta e compagni con i loro «culturami», appunto.

    Riguardo poi all’oblio dei grandi. Lo sa, caro Winton, allora qual è uno dei grandissimi autori meno ristampato? Beckett. Si dia lei una risposta sul perché. E, poi, per favore, si dia anche una risposta su chi sono i tanti protagonisti e personaggi di questo stato di cose, perché le colpe, caro Winston, sono condivise, sarebbe il caso di riconoscere (ammesso che si voglia uscire dalla logica del «migliore» in purezza).

    Infine, siccome non capisco perché un metalmeccanico può giustamente rivendicare la propria professionalità e chi fa un lavoro intellettuale no (visto l’atteggiamento di sufficienza così diffuso ahimè anche qui), intendo rivendicare anche io lo «specifico» della professionalità per cui mi sono formata, e lo specifico della mia specifica professionalità ha a che vedere, per esempio (giusto per parlare di «azioni») con il dedicare quasi un anno intero alla traduzione di «Rock ‘n Roll» di Tom Stoppard, un testo di rara lucidità sulle responsabilità degli intellettuali durante la «normalizzazione» ceca dopo la Primavera di Praga e sul ruolo dei gruppi rock censurati in quegli stessi anni dal regime incarnato da Husàk.

    Dico questo perché troppo spesso si perde il senso del ruolo di chi fa un lavoro di tipo intellettuale, ruolo che ha a che vedere appunto con questo genere di azioni.
    A ognuno i suoi «gesti», direi, in base non solo alle sue «capacità», come «ricorda» la funambola, ma anche in base allo sviluppo delle sue «capacità», perché uno può anche dissiparle, le proprie capacità, per le più svariate ragioni (una volta che è messo in condizione di svilupparle).

  13. “Infine, siccome non capisco perché un metalmeccanico può giustamente rivendicare la propria professionalità e chi fa un lavoro intellettuale no”

    Perchè il metalmeccanico in questione NON è un metalmeccanico, è solo un buontempone che si è scelto quel ruolo all’unico scopo di poter fare la battutaccia (che non fa ridere) che lui lavora già da tempo per la confindustria, come accusa raimo di farlo scrivendo sul sole :-)
    A parte che il sole della domenica è ottimo, e ha lettori molto diversi da quelli che leggono il sole dal lunedì al sabato, a parte questo (che naturalmente è opinabile) il discorso e il tentativo (che giudico sincero) di raimo meriterebbe altri commenti di quelli avuti finora … ma sinceramente la rete incomincia a perdere colpi e non viene più voglia di concentrarsi, ormai si divertono solo più i massino, le funambole e chi sponsorizza (del tutto legittimamente per carità) se stesso.
    Sarebbe interessante fare rete alla grande in rete, è sempre stato il grande sogno … ma … a volte cadono le braccia e si vede fare da quelli che si stimano la stessa identica cosa fatta da quelli che odiavamo e per neutralizaare i quali (forse) è nato il tentativo di una rete letteraria in rete.
    Il medium ci cambia. La rete è un medium e ci ha cambiato tutti profondamente. Ma il contenuto che va per la maggiore, a me pare, è sempre lo stesso scadente di prima, anzi essendo peggiorati i tempi …
    Non posso fare a meno di ripensare alla recensione di cortellessa su farmaco dove viene addirittura creata una scandalosa vicinanza, niente po’ po’ di meno che … con leopardi (vecchio e fastidiosissimo vizio italico di usare i grandi del passato come spot per vendere prodotti diversissimi).
    Leopardi che odiava, fin da giovanissmo, in letteratura, i pugni nello stomaco, viene avvicinato ad una gragnuola verbale involuta e artificiosa … che potrebbe essere anche interessante (a me non interessa minimamente perchè già odiavo quella passata e originale, figuriamoci quella degli epigoni), ma …. basterebbe non andare a scomodare leopardi ;-). Insomma le iperboli in rete innervosiscono ancora più di quanto non innervosissero fuori dalla rete. In rete giriamo spellati al vivo, abbiamo meno endorfine di difesa e cose del genere ci provocano dolore reale, dolore fortissimo.
    Volete fare davvero rete (Tenendo presente che fare rete non vuol dire fare nicchia)?. Prima di tutto dovete (dobbiamo tutti, ma chi lancia la palla lo deve fare per primo) stare attenti a non sfregiare la pelle delicata dei navigatori (la rottura di palle può essere prevenuta evitando e facendo battute, ma la sfregiatura di pelle arriva all’improvviso e quando è tardi per evitarla) … altrimenti vi seguiranno solo gli allegri dinosauri e quelli con la pelle da rinoceronte che nulla ormai scalfisce più.

  14. grazzieaddio c’è il tuo profondo contributo “sorella” georgia
    per le pelli sensibili esporsi con moderazione al “sole” dell’avvenire :)

    baci
    la fu

  15. beh, se il sole dell’avvenire è il tuo (quello dei tuoi scritti qui) non c’è problema neppure per marchionne:-), anzi … ogni tanto spegni la lampadina dell’avvenire del tuo tinello che ti fa prendere foschi fischi per fiaschi

  16. Può darsi che non sia una cima, può darsi che dica stupidaggini, gentile Geargia, ma la prego di credere che sono un metalmeccanico. Con una laurea. Ma sempre in linea sto, Trafilatura. Che strano vero, che anche qualche operaio abbia imparato aparlare… Brrr rischioso trovare gente così nell’esclusivo club di quelli che le uova non le lanciano ma le fanno alla coque. E che scrivono ‘barzotti’.
    Che sono barzotti. Bella roba davvero il supplemento del SSole… D’altra parte il Corriere della SServa è oggi all’avanguardia della lotta democratica.
    Sorry ma scappo il secondo turno entra alle 4, noi abbiamo l’intervallo ancora 20+20, dunque leggo sull I Pad. (robe da pazzi vero?, metalmeccanico a basso digital divide) Che mondo, signora Geargia, che mondo / pensi che ieri all’industria di Aldo… ecc.
    “flosci frisci per fasci.” è bellissimo.

    a presto.

  17. ok, del resto anche marchionne dice di essere un metalmeccanico e legge sull’I Pad :-)
    Però a parte le battutine a me avrebbe interessato di più una discussione sul pezzo di Raimo citato in questo post. Caso mai, anacoluti a parte (io adoro gli anacoluti) vi interessasse, lo potete leggere QUI
    Sul sole c’è stato un dibattito in cui è intervenuto anche Vattimo, caso mai vi interessasse, basta andare nel sito del sole e poi cercare christian raimo … credo che il nostro eroico arto possa leggere il tutto comodamente nel suo I pad e soprattutto sono felice che i nostri metalmeccanici possano permettersi di acquistarsi un I pad … suvvia … si vede che le cose non vanno poi così male come ci vorrebbe dare ad intendere l’altro metalmeccanico “nazionale”

  18. a proposito che fine ha fatto pietrangeli (quello di contessa, bellissima canzone per altro)? A me sembra che abbia finito con il dedicarsi a trasmissioni televisive come Amici ma forse mi sbaglio, non è possibile, vero? … ma mi dica, che ne pensa lei?… che razza di mondaccio e pensare che ieri all’industria di Aldo … (aspetterò la fine del suo turno per saperlo)
    geo

  19. Nonostante ci descriva come noiose mosche (però evita, immagino per educazione, di dire cosa preferibilmente mangiamo e dove preferibilmente svilazziamo), la signora Georgia, mostrandosi ancora una volta liberale nel corpo e nell’anima, ci concede il diritto LEGITTIMO al divertimento. Per ora… Immagino almeno fino alla prossima risoluzione della casta indiana, che nonostante la sua risaputa pazienza e benevolenza potrebbe essere quella FINALE di una salvifica irradiazione di fumo insetticida sui fastidiosi commentatori paria.

    Comunque. Cosa c’è che non va in noi? Siamo disfattisti, dice Raimo: CHE PALLE! Oppure, come scrive Evelina Santangelo, straparliamo, insinuiamo, ci appoggiamo su meriti non pervenuti, mestiamo «nel mortaio della propria incommensurabile «superiorità» intellettuale e umana»; o ancora meglio « è anche vero che non c’è alcun obbligo di capire con che genere di persone si sta parlando, ammesso che questo sia poi parlare, cari Arto e Massino, o non piuttosto cercare occasioni per esibire tutto il proprio pregiudiziale disprezzo»; per finire con il giusto associamento al culturame del nuovo comico Brunetta e del vecchio comico Scelba. ALLA FACCIACCIA DI CHI SI RACCOMANDAVA, ANCORA POCHI GIORNI FA, DIRETTAMENTE DALLA CABINA DI COMANDO DEL BLOG, DI NON ATTACCARE LE PERSONE, MA EVENTUALMENTE LE LORO IDEE.
    Mah! Cara Santangelo, lo sapevo che il suo esser d’accordo con me solo “ parzialmente “, dell’altro giorno, circa il consiglio di spengere la realtà, non prometteva nulla di buono. Eppure io mi sforzerei di capire le ragioni degli altri, non foss’altro per prendermi il MERITO di aver Fatto lo sforzo magari per qualche Quotidiano.

    Conchiudo con un piccolo rimprovero, vertente principalmente sul rilevamento di una certa pigrizia in voi detro attori, che lasciate in qualche modo il lavoro a mezzo. Invece, quando le cose si fanno bisogna farle perbene. Se non ci avete tempo – Santangelo, Raimo, Georgia e chi altro giustamente voglia infierire sulla marmaglia – vi aiuto io, che sono disimpegnato (desengagé), nel senso che non ci ho niente da fare. Ho perso qualche minuto per fare una piccolo repertorio di dispregiativi, che vi può tornare utile anche in altre occasioni. Riguardo alle parole singole non avete ancora usato passatisti, degenerati, blateratori, mistificatori, immondizia, repressi, parassiti, elucubrazioni, insulsi, mestatori, ignobili, terroristi. Per le locuzioni non avete ancora usato decadenti culturali, canaglia o canea culturale, finti rivoluzionari, fattori di disgregazione, nemici del popolo, propagatori di virus, intellettualmente sterili, traditori della cultura, immondi esseri. Per i ragionamentini non avete ancora usato «è perciò necessario favorire in ogni modo la cultura, attraverso la ricostruzione di una comunità nazionale e la repressione di ogni elmento disgregatore» «non è compito dell’arte frugare nella sporcizia fine a se stessa, dipingere l’uomo solo in uno stato di corruzione morale» « intendevo riferirmi a coloro i quali, per soddisfare la loro vanità, o la loro ambizione politica (e talvolta può darsi anche le proprie necessità economiche), mentre noi combattevamo in nome della cultura e della libertà, si schieravano dall’altra parte in alleanze ambigue con i negatori della cultura e della libertà. Io nego a questi uomini il diritto di parlare al popolo italiano in nome della cultura»

    PS: Sémo ar mercato, ‘gnuno denoi ‘ommercia le su’ galline e bocia più che pòle pe’ ttirare ‘ glienti: “ le mi’ galline la son le meglie anco ‘n fatto de’ boccondepprete…! “ Ansomma, sicci langia guarunque sguaiataggine recipro’amente, s’infinge l’odiatura, mappoe, guando sicci ritro’a ‘nsulla pubbrica piazza, se descorre amabermente, sicci addomanda ‘omme va golle galline, sicci ‘narbera perché gon l’avvenimento de gueste galline dell’ammore nun se agguadagna più ‘n gazzo, pe’ nun addì delle gallenacce giale de cenesi, guesti bugaioli che le arregarano, le danno a nonnulla, spennate e ‘gnicòsa, guarcuna, gheddiogliarripiglicobbenevolenza, pe’ arrubacci ‘ glienti l’ avvendano anco digià mangiata!

  20. Non c’è obbligo di capire e meno che mai di comprendere, a questo punto. Grazie Georgia per aver provato a entrare nel merito della questione, pur con le tue divere vedute.
    Io mi fermo qui.

  21. non ho attaccato le persone, non le ho attaccate anche quando il fatto mi ha regalato quel boxino un po’ fascistoide nella forma, ma speravo – come è accaduto grazie a Evelina – che si criticasse entrando nel merito. Ora, per esempio: non si deve scrivere sul Sole? Va bene, quali sono le ragioni supportate? Può darsi che me ne convinca. O può darsi che io ne abbia a sufficienza per convincere qualcun altro. Qui spero che i discorsi non riguardino le persone, ma sempre le idee, e nel caso le retoriche. Ho detto che palle “il disfattismo”, che non è un grande insulto mi sembra, ma la definizione di una retorica. Se chi si ritiene attaccato pensa che io sono prevenuto, mi può benissimo mostrare che quel disfattismo non è liquidare gli argomenti, ma al contrario per esempio denunciare con nettezza certe pratiche. A me, visto che uno non ha voglia di imbarcarsi in tutte le discussioni, rimane la voglia di imbarcarmi in quelle in cui si cambia idea o ci si convince in maniera diversa delle proprie. E’ questo che posso rimproverare ai commentatori, di non stare alle volte al gioco di una discussione, di cercare sempre il modo di far saltare il tavolo.
    Grazie.

  22. Prendo atto che dare del disfattista che palle non è offendere. Riguardo al sole 24oresu24 suddiloro, sembrate dire, in definitiva, che si può scrivere sui giornali dei padroni, fuorché per quelli di un preciso padrone, per il quale, però, si possono scrivere libri pevvia che così facendo si fa i cavilli di troia. Io invece penso che si può scrivere su qualunquessia giornale e per qualunquessia editore, uguale agli operai per qualunquessia padrone, ma che c’è poco da vantarsene, e che descrivere la liberalità del padrone corrisponde a descrivere la barbarie del servo (del resto non del tutto fuori luogo). Chiederei almeno una sostanziale equidistanza nei confronti di padroni e servi: è chiedere troppo?

    In quanto a fondare nuove comunità culturali, ci siamo già spiegati in una precedente discussione: vostro diritto descrivere quello che fate voi come pratica novativa e rifondante, ma mio diritto pure immaginare che potrebbe trattarsi di trama discorsiva autolegittimante. Io sarò scettico e disfattista chepalle, ma credo che come pensatori o artisti non si possa far altro che esprimersi da singoli, in maniera sofferta e sgangherata, come è sempre stato. Credo che le comunità culturali preesistono alle nostre buone intenzioni, sono di solito forme organizzative che appartengono a chi comanda. Credo che di solito quando se ne afferma una si svela la sua vicinanza al comandatoio, sostanzialmente perché la forma cultura è stata inventata da chi attualmente domina per affermarsi come soggetto della storia. Non ho a portata di mano la dialettica dell’illuminismo, ma ricordo che in quell’importante testo è scritto ciò molto chiaramente. Di Nietzsche e della sua lotta contro la cultura ho già detto, di Pasolini pure. Può darsi che si sbaglino Adorno, Horkheimer, Nietzsche e Pasolini stesso, più centinaia di altri pensatori di chiarissima fama con meriti pervenuti, ma spiegatemi perché e percome, senza troppe arie di sufficienza. Altrimenti continuo a immaginare che vi sbagliate voi e a rimproverarvelo di tanto in tanto, finché NI me lo concede, visto che sono Suo ospite. Semplice pratica di autodifesa. Grazie.

  23. sono d’accordo con raimo, con un piccolo distinguo, che non esiste più alcun tavolo da far saltare. Sembra una cosa da poco, ma è il problema principale :-). Senza tavolo da far saltare i commensali ballano disordinatamente anche nello spazio lasciato vuoto dal vecchio tavolo :-).
    Il tavolo che ci impedisce (a noi che sediamo intorno) di cascarci addosso, è (o almeno è sempre stata) la “politica”. Essendosi frantumata la politica è naturale che ci caschiamo tutti addosso, non essendoci più alcun tavolo di discussione che ci separi/unisca.
    Ecco perchè apprezzo il tentativo di ricostruire un tavolo in rete.
    Ma il problema vero è che la rete non ha le stesse regole dei tavoli del passato, ricostruire solo un vecchio tavolo da tinello (facendolo passare per un e-tavolo), con gli stessi commensali (o gli epigoni di questi) non cambia le vecchie regole e non unisce più nessuno (al massimo i commensali si dividono la misera torta rimasta) mentre gli altri osservano, ridacchiano e fanno battutine. Costruire in rete un tavolo che metta in relazione, e nello stesso tempo separi, le persone è una costruzione possibile, ma molto difficile perchè, se fatto in rete, si deve tener conto prima di tutto degli spettatori (che sono vere e proprie sciamanti masse, almeno potenzialmente) e non dei “colleghi” (blog, giornali, singoli individui che scrivono o scribacchiano) di sempre e con cui si possono condividere, tutto sommato, vecchie culture e vecchi vizi strizzandosi l’occhio. Creare un tavolo in rete (facendo rete) vuol dire qualcosa di molto importante, vuol dire costruire (ricostruire) la sfera pubblica.

    La sfera pubblica, in quanto mondo comune, ci riunisce insieme e tuttavia ci impedisce, per così dire, di caderci addosso a vicenda.
    Ciò che rende la società di massa così difficile da sopportare
    scriveva Hannah Arendt non è, o almeno non è principalmente, il numero delle persone che la compongono, ma il fatto che il mondo che sta tra loro ha perduto il suo potere di riunirle insieme, di metterle in relazione e di separarle. La stranezza di questa situazione ricorda una seduta spiritica dove alcune persone raccolte attorno a un tavolo vedono improvvisamente, per qualche trucco magico, svanire il tavolo in mezzo a loro, così che due persone sedute da lati opposti non sarebbero soltanto separate, ma sarebbero anche del tutto prive di relazioni, non essendoci niente di tangibile tra loro*

    Con la rete può essere ricostruito il tavolo, ma se tale tavolo deve essere costruito (e non è detto che sia possibile, nè necessario) deve inventarsi nuove regole che non siano regole.
    Ad esempio, ma questa è solo una mia impressione, trovo schizofrenico il modo di fare di NI che se da un lato lascia aperti i commenti (cosa altamente meritevole visto che è uno dei pochi vecchi blog a farlo) semina continuamente spie di una volontà contraria, come quello di voler interrompere la discussione quando fa piacere all’autore del post. Evelina è la terza volta che in un tuo post decidi che la discussione è finita :-). Certo non chiudi i commenti, ma è indubbio che correttezza da parte nostra vorrebbe che dopo la tua frase (che per forza di cose, come postatrice, ha una sua autorevolezza autoritaria) nessuno più intervenga.
    Visto che lo ha fatto Raimo mi ri-permetto di commentare anch’io, ma certo che la spontaneità di una eventuale discussione ne risente :-).
    Altra critica che vorrei fare: se si iniza una discussione partendo dall’articolo di qualcuno (nel caso raimo) correttezza vorrebbe che se ne linkasse la fonte e si specificasse la data. Fare rete vuol dire mettere in contatto, e i contatti in rete si costruiscono con i link e con le fonti. Certo ognuno di noi può farsi la sua ricerchina e trovare il tutto, ma le regole del gioco sono altre … sempre che davvero si voglia far rete e non solo propagandare se stesso (che non credo sia il tuo scopo naturalmente)
    geo

    *Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, Bompiani, 1991, p. 39
    PS
    Mi piacerebbe anche avere il link del boxino un po’ fascistoide di cui parla raimo. Non l’ho mai visto. E, già che ci siamo, anche dell’altro articolo di evelina sul Fatto.

  24. Gentile Georgia,

    Pietrangeli ha fatto esattamente la fine che dice Lei, ciò non mi impedisce di cantare le sue canzoni. Alla faccia sua. La prego, non confonda testi, opere ed autori. Non sia idealista, né hegeliana, gliene sarò grato.

    Per il resto ciò che avevo da dire lo ha già detto Massino, ripeterlo, che senso avrebbe? Solo aggiungerei all’elenco Fortini e Villa, ma sono un pignolo, me lo dicono persino qui in ‘linea’. Le uova da lanciare, pure quelle, le ho scelte una per una. Ognuno fa arte come può, pazientate…

    Raimo non si perda d’animo, a volte occorre farli saltare i tavoli, per tornare a sedersi. rammento certe sue posizioni sul caso Cucchi. Lei non si smentisce mai. E’ una persona pacata, ragionevole… E’ un editor… e si vede. Absit iniuria verbis.

    Gentile Sra Evelina, discutere, lo so, oggi significa darsi ragione educatamente pur pensandola assai diversamente, mi perdoni dunque se discuto alla maniera vecchia, senza troppi complimenti, una roba che oggi sembra ‘violenta’…
    Ancora credo a Brecht “noi che sulla terra volemmo edificare la gentilezza / noi non potemmo essere gentili”.
    Ma almeno sia coerente: se smette, smetta, non riintervenga per dire che smetterà.
    Pare, non si offenda, un po’ adolescenziale, e lei certo non merita che La si appelli così…

    un ossequio dal vostro Post-Cipputi

  25. Se NI deciderà di disfarsi finalmente di quei tre o quattro disfattistichepalle, immaginate che bel silenzio sepolcrale scenderà.
    Se proprio bisogna lavorare per i padroni (ed è pressocché impossibile evitarlo), meglio da metalmeccanico che da editor.
    Se potessi proibirei agli editor di scrivere libri. Potrebbero solo editarli. e con parsimonia.
    Sogno un mondo in cui sia proibito scrivere libri a chiunque appartenga a qualsivoglia ambiente “culturale” (le virgolette sono d’obbligo).
    Lo scrittore deve faticare, deve campare con mestieri usuranti, avvilenti, stupidi, a contatto con gente ottusa, ripugnante e volgare. Potranno scrivere fattorini, camerieri, operai, precari (ma non precari da redazione con annesso paparino che gli compra la casa), portieri, asfaltisti, panettieri, pompieri, impiegati. NON potranno scrivere giornalisti, architetti, economisti, editor, insegnanti, conduttori televisivi, attori, attrici, consulenti di qualunque specie, ecc, ecc.
    Faccio un eccezione per i musicisti, ma non devono esagerare.
    Ogni riga deve costare fatica, sangue, sudore e lacrime.
    Chi, nonostante questo, prosegue nel suo cammino, forse c’è il rischio che qualcosina di quello che scrive contenga vita e arte.

  26. PS. Naturalmente, non accadrà mai.
    Altrimenti ci sarebbe il rischio che “la «società intellettuale» esca dai confini letterari e si misuri con i temi politici e sociali” veramente.
    E nessuno lo vuole veramente.

  27. se l’uomo fosse veramente consapevole degli effetti dei suoi atti, della risonanza delle sue azioni, vicino o lontano, nel tempo e nello spazio, si limiterebbe a “sopravvivere” e una sorta di paralisi fermerebbe la storia
    non dobbiamo temere questa “beatitudine” :)
    dobbiamo però volare “alto” se vogliamo tentare di tenere “dignitosamente” i piedi per terra
    noi non sappiamo dove stiamo andando ma ci andiamo allegramente, tristemente, tragicamente perchè così fan tutti e chi si sottrae è un perdente, un miserabile, un emarginato, un pazzo, un pericolo per la coscienza corrotta dalla vita
    ora, banalmente, il giornale della confindustria è pagato da uomini pratici che sanno valutare il “potere delle parole”
    sanno che “il nemico” quello intellettuale conviene ospitarlo o tenerselo in casa.
    è un gioco perverso e l’ambizione di vedersi pubblicati, di essere visibili, di contare, di “incidere”, di “cambiare” ci fa scegliere quello che riteniamo il male minore, perchè il fine “nobile” giustifica il mezzo.
    la storia sta a dimostrare che questo ragionamento è fallimentare per chi si schiera dalla parte della dignità dell’uomo.
    non c’è in questa mio mio segone nessuna connotazione moralistica forse solo un po’ estetica.
    alla base di tutto ci stanno i soldi e quindi il potere e quindi il privilegio e quindi la menzogna e quindi la truffa legalizzata.
    il democratico quotidiano in questione ospiterebbe mai un economista “onesto” :) che provasse la connivenza, fra il giornale in questione, i padroni del giornale in questione e le truffe bancarie, il crac finanziario, i “casi” parmalat cirio bond argentini eccetera par exemple?
    ognuno si collochi dove meglio “crede”
    di mio, contessa, non la canto più e mi spiace assai
    è che non so più scindere l’opera :) dal suo artefice a meno che non si penta :)
    molti baci
    la fu

    ps: bisogna esser duri senza mai perdere la tenerezza

  28. A la funambola

    Il fu omaggio
    Ma li devi dare prima: un sacchetto di bacini,
    con tre etti di carezze, spensierati viaggeremo
    al campeggio di Kolima.
    Quella no non la vogliamo, non ci dare la poesia,
    già soffriamo in quinta classe, nel vagone vomitiamo.
    Preferibile il formaggio.

  29. ehi maurizio
    son fischi foschi o fieri fiaschi?
    menefrego :)
    e mi dedico questa

    sempre d’un bene perduto
    mi oppresse il desiderio.
    nel più antico ricordo
    mi fu tolto qualcosa che ignoravo,

    troppo bimba perchè altri sospettassero
    in me celato il lutto. tuttavia
    io mi aggiravo come chi lamenta
    nell’esilio un dominio ove regnò.

    oggi più vecchia, più saggia per gli anni –
    e più debole per la mia saggezza –
    sono andata sommessamente in cerca
    delle mie regge evanescenti,

    ed ogni tanto il dito del sospetto
    mi passa sulla fronte:
    ch’io stia cercando dalla parte opposta
    solo il regno dei cieli.

    è che ho bisogno di amore, è che tu hai bisogno d’amore
    che famo, ci incrociamo? :)

    avevo fame e mi hanno da mangiare, avevo sete e mi hanno dato da bere
    grazie
    la fu

    ps: questo mio si presta ad un’idagine sociologica sull’uso metavirtuale del mezzo
    baci

  30. …ed ogni tanto il dito del sospetto
    mi passa sulla fronte:
    ch’io stia cercando dalla parte opposta
    solo il regno dei cieli.

    Non il medio, non l’indice, ma il dito del sospetto in persona dovrebbe passarti sempre; non solo ogni tanto, non necessariamente in fronte e neppure nella recondita opposta parte laddove cerchi “solo” il regno dei cieli. Nel rimirar soave il dito del sospetto, andrai in Paradiso per esclusività affettiva conclamata, che non hai colpa, ammetti tu stessa dicendo “mi fu tolto qualcosa che ignoravo”. Ignora tranquilla, che guadagnare il Paradiso col cervello è virtuosismo mai raggiunto da alcuno. Guai però a conservar lassù queste poesie! Ficcherebbero la Fu nel girone delle immonde poetesse, cicliste reciproche con per sellin la bocca.

  31. mi piace sempre che qualcuno mi redarguisca
    è che non mi riesce spesso, ora, di far distinzioni fra poesia e mortadella
    mica mi vorrai biasimare per questo, anche se, ripeto, mi piace che qualcuno mi ri prenda
    bacio
    la fu

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Paradossi di Sicilia

di Evelina Santangelo Un furgone carico di persone e cose si ferma nel cuore della città, in un parcheggio alberato...

1° Maggio – «Festa del lavoro»

Dal gennaio 2008  al 30 aprile 2013 sono morti per infortunio sul lavoro oltre 5000 lavoratori di cui 2553...

Chiusa nella mia stanza in un’abissale solitudine

«il Fatto Quotidiano» 10/12/2012 diario immaginario di Susanna Camusso di Evelina Santangelo   Scrivere aiuta a capire chi siamo, dove stiamo andando. Per questo...

Quello che siamo… Quello che vogliamo…

di Evelina Santangelo Quello che siamo...Quello che vogliamo...Quello che siamo...Quello che vogliamo...Quello che siamo...Quello che vogliamo...Quello che siamo...Quello che vogliamo...Quello...

Menomale che ho un tumore.

di Domenico Maione (un cronista napoletano). La seguente è una storia liberamente ispirata a quella di Carmen Abbazia. Cassintegrata Fiat...

Un pezzo del nostro paese.

di Evelina Santangelo Voglio ricordarmi: delle parole di Nadia (operaia dell'Eurostets): «in una tenda puoi andare a dormire ma mica a...
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: