leggère attentamente
ISTRUZIONI PER UN ADDIO 1
di
L.R. Carrino
1. Aprire la vaschetta del detersivo (è quella a destra)
Mi è venuta un poco di paura. Poso i fogli sul tavolo, faccio cadere la borsa del PC a terra, la casa è profumata, brilla tutto, tutto pulito, sistemato. Resto così per un minuto e sento che tutta la casa si sta zitta, non si sente niente, non ce la faccio manco a pensare, ma che madonna mi hai detto vicino all’ascensore? Non ho capito niente, ho capito male senz’altro, ho capito una cosa per un’altra.
Vado in cucina, apro il frigorifero e vedo il latte ad alta digeribilità, mi calma vedere la busta di latte, la prendo e vedo la scadenza, mancano ancora tre giorni. Apro il forno e dentro ci sta il tacchino con i piselli, la parmigiana di melanzane, tutto pronto. Mi calmo, mi calma un poco ’sta cosa.
Apro il mobile dove sta la pasta, i biscotti che ti mangi, quelli senza glutine, stanno quasi per finire ma ci stanno. Apro il balcone, dentro a una busta di plastica, appesa alla maniglia della porticella della caldaia, ci sta un foglio, sul foglio ci sta un disegno della parte di sotto della caldaia.
Quanto sei bravo a disegnare tu, io mai, manco una casarella so’ fare, faccio pure i fiori più grandi dei cristiani. Nel disegno ci stanno le quattro manopole della caldaia, su una ci sta una freccia grossa e a fianco c’è scritto “pressione dell’acqua”, appresso c’è scritto “aprila lentamente verso destra”, poi c’è scritto “richiudila quando l’indicatore segna 1,5 bar“.
2. Dosare la quantità di detersivo a seconda del carico (e cmq, non più di un tappo di flacone)
Mi viene da ridere per il disegno, tu sei un pazzo, ci hai messo pure la faccetta tua vicino a ogni manopola, e vicino alle manopole che non devo toccare c‘è la caricatura della tua faccia minacciosa che dice “no, non è questa“, e sulla manopola giusta la tua faccetta che sorride e annuisce.
Rientro in cucina, chiudo il balcone e butto il foglio sul tavolo. Vado nel salone e da tre metri, sul tavolinetto di fronte al divano, vedo che c’è una lettera. Mi metto paura un po‘ più di prima, mi faccio una risatella, stronzo di merda, mi fai sempre ‘sti scherzi, ma io una volta di queste ti faccio una faccia di paccheri, ti prendo a schiaffi a due a due fino a quando non diventano dispari, ti stacco le braccine e ti ci meno, ti piglio a calci nel culo con movimento periodico e uniforme una volta di queste, sappilo.
Mi stai facendo squagliare di paura, mi stai facendo. Non so che mi viene, tutto a un tratto devo pisciare, sicuro voglio andare nel cesso però mi butto dentro alla camera da letto, spalanco le ante dell’armadio, passo veloce una mano sulle grucce vuote, come se solo a toccarle ci ritornano sopra i tuoi vestiti, le tue giacche, le tue camicie, come se a toccarle uno poi non lo sente il tintinnio del ferro contro il ferro di queste grucce del cazzo, del legno con il legno, del niente che è rimasto, dentro all’armadio.
3. Versare l’ammorbidente (è quello liquido con il pupazzetto di peluche sull’etichetta) nella vaschetta di sinistra. Mezzo tappo del flacone
Lo sai che dobbiamo cambiare la carta da parati, vero? Questi disegni, queste scritte sulle pareti, non le sopporto più, te l’ho già detto? Tu manco per il cazzo, non te ne fotti proprio di quello che ti dico io, fai sempre come vuoi tu.
La settimana scorsa Maria Grazia ha scritto una poesia di Emily Dickinson, proprio dove hai fatto il disegno di Capitan America, una poesia brutta, come un presentimento, ma brutto.
Il trambusto in una casa
è l’attività più solenne
che si svolge sulla Terra
il mattino che segue la morte
Si spazzano i cocci del cuore
con cura si ripone l’amore
che non vorremmo più usare
fino all’eternità.
Vado sul divano, mi siedo davanti alla tua lettera, ma che tieni da dirmi scritto? Non me lo puoi dire a voce? Quest‘abitudine, tengo mezza amazzonia di fogli con le tue poesie, con il saluto alla mattina, il saluto alla sera, il saluto per ogni cazzo che ti abballa nel culo, per ogni volta che ci appiccichiamo e te ne vai a dormire senza salutarmi.
Mi siedo sul divano, sopra la testa tengo “Una pioggia di Smarties dal mondo scenderà, dai vieni insieme a noi, coloriamo la città”. Tu, di fianco, hai disegnato un ombrello tutto colorato con gli Smarties che scendono dal cielo, io l’ho fatto diventare un fiore enorme con i petali rossi e sotto c‘ho scritto: “L’amore è come un fiore: prima nasce e poi muore”.
Quanto ti sei incazzato. Marò, e che ho fatto? Manco se ti avessi deturpato la Cappella Sistina. La lettera. L’hai pure sigillata dentro la busta, e che è? Un segreto di stato?
4. Regolare la temperatura a seconda del tessuto (guarda l’etichetta interna dei capi se non sai di che tessuto è fatta)
Questo inverno d’aprile non vuole proprio finire e mi dà un po’ di frustate gelide in faccia, mi fa tenere gli occhi come fessure.
Mi chiedi che cosa devo dire, senza nessuna lettera d’amore e un po’ di caffè leggero, che sennò la notte non ce la fai a dormire. Dal divano, con le gambe sfrontate, mi domandi quali sono le cose che ho da dire e di sbrigarmi, hai da lavorare.
Ti chiedi cosa ho scritto, cos’é questa lettera, questa pagliacciata, e intanto ti metti un dito nel naso. Lo so che da domani leggerai questa lettera miliardi di volte per trovarci chissà che, qualche significato nascosto tra le righe. Tu vai sempre oltre, ma non vedi mai le cose che hai davanti, le cose più semplici. Allora è meglio dirti una cosa immediata, diretta e che puoi capire solo in un modo:
Io vado via per sempre.
Questo è tutto.
Non c’è niente altro che conti. Le lettere d’amore sono bastarde amore mio, non dicono mai com’è davvero una storia, parlano dell’assenza o dell’egoismo. Le lettere sono una cosa letteraria, servono prima e dopo, mai durante l’amore.
Lo so, vorresti perdonarti in una mia frase cattiva, inghiottire la rabbia dell’abbandono mentre accendi la luce sul comodino, vorresti perdonarti in una mia parola di odio e commuoverti in una bella poesia che ho scritto per te.
Per favore, niente di tutto questo. Ho qualcosa di chiuso nella pancia. Qualcosa di spaventato, di triste, due mani nello stomaco che vorrebbero uscire e tenermi forte a te. Ma non posso, non posso più restare.
Mi mangerei il cuore, stanotte, per non lasciarti così, sul divano, con le gambe divaricate, nella posa orgogliosa e strafottente che assumi tutte le volte che hai paura. Non ho lavato le tende. Il mese scorso ti sei lamentato dell’odore che hanno, dell’ammorbidente che non ti fa dormire. Sono stato felice con te, tienilo sempre a mente.
P.S.: Stanotte non dormire sul divano, poi ti fa male la schiena.
5. Se il bucato non è molto sporco scegli il programma D, altrimenti scegli il programma A (così fa anche il prelavaggio)
Mò la straccio questa lettera, sai sempre tutto tu, capisci sempre tutto tu, la straccio questa lettera, hai detto un’altra stronzata, vedi?, non è come dici tu, non la leggo miliardi di volte visto che non ce l’avrò più, grande figlio di puttana, ma che cazzo ti prende?, che ti è capitato?, hai trovato un altro cazzo da succhiare? Bastardo ricchione di merda! Io tutto il giorno a faticare e tu a fare le torte e i bucchini!
La copertina degli Arvo Part sta schiattata sotto i Radiohead, ci sta pure Carmen Consoli ma non me ne fotte niente, lo sai che non mi piacciono tanto le sue canzoni, piacciono solo a te.
Metto il disco dove lei che sta a sirena, vado verso la libreria, vado a vedere se ti sei nascosto nelle pagine dei libri che mi hai regalato, nel silenzio di seta di Emily, nella stanza del bambino di Marcel, tra le ceneri di Pier Paolo, guardo in tutti gli errori di Alda e persino nei voli fatali di Greenaway, nemmeno un fiore secco c‘è, nemmeno una foto tua, neanche per sbaglio.
Ma che ti pensi? Me li sono letti i libri che mi hai regalato, anche quelli che non mi piacevano, che mi facevano la palla, anche quando non ci ho capito che voleva dire mi sono andato a trovare il significato, l’interpretazione, perché tanto lo sapevo che mi volevi dire qualcosa con il tuo modo, lo sapevo che toccava a me capire. Facevo la mia parte, l’ho sempre fatta come volevi tu. Apro lo sgabuzzino, ci trovo questo mondo e quell’altro. L’aspirapolvere, il ferro da stiro, ancora le scatole vuote del trasloco, i tuoi prodotti per pulire il bagno, per lucidare i mobili, per far brillare i vetri, per le scarpe, per i pavimenti, un sacco di buste e un martello, dei chiodi. Tiro via tutto, tiro tutto fuori e ti chiamo come se tu stessi nell’altra stanza a disegnare, a scrivere, non mi rispondi, non mi rispondi mai quando ti chiamo.
In bagno, secondo me stai in bagno, secondo me stai in bagno a fare niente, a toglierti i peli delle sopracciglia. Una spallata e per poco non sfondo la porta che è già aperta, do un calcio pure alla lavatrice che fa acqua anche quando è spenta, Sto per bestemmiare tutti i Santi e gli Ognissanti e mi sale il sangue negli occhi, io mò se ti tenessi tra le mani ti farei a quadrettini come a Gatto Silvestro quando incontra il cane e lo scippa con le unghie ma non ci vedo più, mannaggia, mi faccio rosso di rabbia e di paura, non tengo nemmeno il fiato per dire ’aiuto’ quando vedo che il mio spazzolino sta da solo dentro al bicchiere.
6. Ricordati di non lasciare troppo tempo il bucato umido in lavatrice altrimenti puzza
Il cesto dei panni sporchi, quello blu, è aperto da tutte le parti, di plastica e pieno di buchi, ti ho detto cento volte che non è adatto, che la puzza viene fuori, sì quello blu, nell’angolo della camera da letto, nascosto dalla tenda, sotto il finestrone, te lo tiro appresso questo cesto di merda, se tu stessi qua te lo coperchierei in testa con tutti i panni sporchi dentro…
Un momento, un momento che non riesco a respirare, aspetta, mò mi metto un attimo seduto qua a terra che mi manca il fiato, aspetta che mi alzo e poi ti faccio vedere che ti combino, fammi mettere un attimo qua a terra, ci sta una specie di lanugine, un rotolo di polvere che ti è sfuggito, chissà come, tu sei una casalinga isterica, aspetta un attimo, questa tenda bianca, un poco di sangue sul dito indice, mi sono tagliato, chissà come, ho sporcato tutte le tende, mò chi ti sente, già ti vedo che mi fai un cazziatone, già ti vedo che invece non mi dici niente e te ne vai in cucina tutto incazzato, già me le immagino tutte le parole che mi butti appresso come un dannato. Un momento, un momento e mi alzo da qua terra e poi ti faccio vedere io, stronzo, stronzo di merda che non sei altro.
7. Se hai tempo, stendi il bucato sul terrazzo. Ultimamente sullo stenditoio puzzavano di fumo (tre pacchetti al giorno sono tanti: vedi tu)
Non ce la faccio a pagarmi due parole d’amore con questo spicciolo di cuore che tengo in tasca. Giro per tutta la casa, non ci credo che te ne sei andato così, hai lavato tutto, tutti i panni stirati, tutta la cucina in ordine, il bagno pulito, il salone lo hai fatto uno specchio, i dischi in ordine, nella libreria i libri tutti allineati dal più basso al più alto, hai riparato la persiana e tutti i vetri della casa sono trasparentissimi. Sulla lavatrice ci hai incollato un foglio con la scrittura tua, lo sai che non sono capace io, non so qual è la temperatura per le mutande, per gli asciugamani, hai fatto bene, ma hai dimenticato di lasciare le istruzioni più importanti.
Si è fatto giorno, e allora è vero.
Stasera sono tornato prima, voglio cucinare io, ultimamente stai sempre a lavare, sciacquare, a spadellare, mi sembri una servetta che non chiede e non domanda, aspetti a me e questo è quello che fai tutto il giorno, ma ti giuro che il ponte del Primo Maggio ce ne andiamo io e te a Parigi, ho già preso i biglietti e ti sorprendo stasera, voglio fare pure una cosa che mai pensi che io sono capace però non tengo manco un fiore, che sennò avrei fatto una figura particolare, un girasole talmente alto e talmente giallo da morire, lo so che a te ti piacciono ma stasera il fioraio che trovo sulla strada ha chiuso prima, che sfaccimma!, di solito sta aperto pure la notte, ma poi, penso, che tengono da vendere i fiorai la notte?, chi compra i fiori urgentemente, che non può aspettare la mattina appresso?, questo penso mentre salgo con un rumore di ferro che sbatte, manco fanno qualcosa, ma mò lo chiamo io l’amministratore di condominio, e che cazzo, quasi duecento euro al mese e teniamo un ascensore che fa i suoni di Resident Evil.
Sono arrivato, stai aspettando davanti alla porta, a momenti mi viene una mossa, e pure a te per la verità. Sul pianerottolo ti metti a ridere perché nel vederti mi sono pigliato paura e mi è caduta la borsa del PC con tutto il PC dentro, bestemmio santa Chiara e san Cosimo e Damiano, mi sono cadute pure le specifiche funzionali della commissione di performance per il fondo nuovo, quello speculativo, quello nuovo di Zenit, ti metti a raccogliere i fogli con me mentre io sacramento tutto il calendario e poi ti dico che ci fai qua fuori?, dove stai andando?, e con i fogli in mano penso al mio collega Luca che ha rotto la minchia con le negoziazioni del sudest asiatico, con i fogli in mano penso che stasera non mi passa così facile e che devo scrivere subito la mail da mandare a Debora domani mattina, prima che apre Milano, sennò mi spennano vivo e l’ascensore, intanto, se n’è sceso, dici che mi hai mandato un sms, un fatto, mi hai scritto che te ne vai e c‘hai già la macchina carica, la macchina?, a me mi pare che ti stai innervosendo, mi pare che tieni la neve nella tasca, che poi devo dire, non tengo nemmeno il girasole, quel cornuto del fioraio, se stava aperto, facevo una bella figura e ti portavo un fiore, che ti piace a te il girasole, invece dico ma quando torni?, almeno fatti salutare, tu spingi il tasto per richiamare l’ascensore, ti voglio abbracciare, ti voglio dire una cosa che poi non te la dimentichi più fino a che campi, mica lo so perché, tanto tu qua stai, qua devi tornare, ma dai che te lo avevo già detto che russo la notte e che certe sere mi ‘mbriaco con la Peroni come gli alcolizzati polacchi e, dove vai?, ma che stai dicendo?, ma lo hai cucinato il tacchino che ho scongelato ieri?, quello poi va a male e, ma tieni una cosa, tieni una cosa dentro agli occhi, come se ci sta una cosa che trattiene a stento a stento, qualcosa che mi vuoi dire e che non ce le fai a tenertela, una cosa a proposito del calore che fa a maggio quest‘anno, o è una cosa che ha a che vedere con i piccioni sulla caldaia, qualcosa che ha a che fare con la normalità, col disegno di Capitan America che mi hai fatto sulla parete, un fatto che riguarda le partenze, no, sicuro allora è della prima sera che mi stai per dire, la prima sera che sono venuto a dormire da te e mi hai aspettato fuori il portone per due ore perché io non trovavo parcheggio, ma quando era?, non più di due anni fa, forse tre, sicuro stai cercando una parola giusta, uno sguardo che io non dimentico, vuoi darmi un bacio come si fa nei film d’amore e dirmi “addio” o solo “ciao”, sono sicuro che qualcosa ti verrà pure in mente mentre aspetti questo bucchino di ascensore che pare l’attesa del Lunedì in Albis, pare che chissà da quale posto arriva, come se ci stessero quarantacinque piani e non solamente sette e, ma che stai dicendo?, mi si è scassato sicuro il PC, ha preso una botta che manco io sopravvivo se cado così, non tieni nemmeno una borsa, una valigia, aò ma che dici?, mica lo so che questa è l‘ultima volta che ti vedo, mi penso che stai a partire per un giorno, per due, per quattro giorni e che poi qua torni, qua vieni a scassare il cazzo come hai fatto negli ultimi tre anni ed eccolo l‘ascensore, è arrivato, mi fai un cazziatone così, in quattro parole, mentre entri, che sto fumando troppo che mi viene un infarto che a trent’anni pare che ne tengo quaranta che se continuo così e, e che i panni sullo stenditoio puzzano, la parmigiana di melanzane sta sotto al forno e fai la faccia incazzata, pure il tacchino è pronto, mi punti un dito contro, entri e tieni la porta aperta ma tieni il dito dell’altra mano pronto per schiacciare la T di Terra, che mi fai pensare che è tutto normale, mi sono impressionato io, tieni da fare a casa tua, con la famiglia tua, quante volte è successo?, manco lo so perché, mi viene come se devo piangere, mi sento un fatto di niente, stai ansioso, agitato, normalmente, quando tieni le spalle scese tipo bottiglia di Coca Cola significa che stai stanco e invece, invece, un presentimento, una specie di presagio di non so che cosa, come se all’improvviso tu hai fatto tardi per qualcosa, per qualcuno, che hai fatto tardi e che mò mò te ne devi andare e non ci sta un attimo da perdere e la porta dell’ascensore si chiude.
- dalla raccolta omonima, Azimut 2010↩
I commenti a questo post sono chiusi
stando così le cose, però, era più opportuno scrivere ‘melenzane’. altrimenti si rischia l’effetto ‘posto al sole’, dove tutti parlano come ca**o gli pare [(ma un posto al sole è avanguardia e quindi si può fare)(anch’io talvolta lo faccio, ma sono avanguardia anch’io e quindi lo posso fare)]. insomma se c’è davvero bisogno di nuovi narratori (paramericani, meridionalistico realistici, giovanilistico mozzo einaudiani diciamo), che facciano perlomeno attenzione alle melanzane. cia’ uagliù, forza napoli!
minchia °_°.. a me è piaciuto assai
assafà a maronne! effeffe
ps
questo racconto l’ho scoperto grazie a una lettura che Luigi ha fatto in una libreria a Torino, la libreria Massena, e mi ha colpito molto questa triangolazione tra i due amanti e le cose, come nature (quasi) morte dell’amore passato di lì.
effeffe
anche a me mi è piaciuto molto però credo che sergio ha ragione quando parla delle melenzane che a napoli effettivamente sono ottime. le mie preferite quando vivevo in quella città erano a parmigiana, però esistevano anche a fungetiello e imbottonate. per non parlare dei friarielli…
-));
nell’ottica ” genius loci” un mia amico critico sostiene che in quasi tutta la scrittura dell’area “napoletana” è presente un impianto drammaturigco, besos a Gino e a Effeffe
anche se sono della mia scuderia non sono d’accordo con sergio star e con immo perché innanzitutto melenzane si scrive solo con la e e poi in campania ci sono prodotti migliori dei friarielli e il racconto è bello. grazie scusate
grazie a tutti per l’attenzione.
forse la versione di margherita guidacci avrebbe potuto qualcosa, forse :)
il movimento in una casa
all’indomani di una morte
è solenne fra tutte le faccende
che si compiono nel mondo.
ora si spazza il cuore,
si ripone l’affetto
che non ci serve ormai
fino all’eternità
chapeau
ricchioni o etero sempre la solita solfa :)
molto bello
baci
la fu
la questione lingua.
il principio di verosimiglianza – che nasce dall’osservazione della realtà ma non deve scimmiottare la cronaca né strizzare l’occhio alneo o all’iperrealismo – mi suggerisce di transitare per il ‘napo-parlato’, ovvero un napoletano italianizzato.
questo il motivo alla base di alcune mie scelte linguistiche.
gigio
@funanbola.
a me invece piace molto la versione della lanati.
e aggingo una cosa: la guidacci, essendo poetessa, ci mette ‘troppo’ del suo.
nella sua versione si perde la ‘precisione’ della dickinson
quell “‘ormai”, ad esempio. Emily non l’avrebbe mai messo.
La versione migliore, cmq, è l’originale
The Bustle in a House
The Morning after Death
Is solemnest of industries
Enacted upon Earth –
The Sweeping up the Heart
And putting Love away
We shall not want to use again
Until Eternity –
(piaciuto e inusuale, qui, , non so com’è il resto , ma questo pezzo l’ho letto davvero con piacere)
mi hai strizzato il cuore… leggere e godere… di essere single volerci rimanere. leggere e sperare che quel ricordo rimanga tale.
caro carrino
degustibus…:)
eppoi chissà cosa ci aveva in mente quell’isterica sublime zitellona :)
bacio e bravo
la fu
egregio carrino
sono d’accordo sul principio di verosimiglianza, ed era proprio per questo che avevo da eccepire sulle melanzane (io e lei siamo tra i dieci napoletani che sanno che si scrive con la a, nemmeno il presidente della repubblica lo sa). certo ho poi un’enorme antipatia per quello che lei giustamente definisce napo-parlato, nonché per qulunque forma di realismo. sarebbe tuttavia troppo lungo e senz’altro noioso per me per lei e per chi eventualmente ci leggesse entrare nel merito.
la saluto con simpatia
sc
@sergiomaria
attenzione, scripta manent: avere un’enorme antipatia per qualunque forma di realismo potrebbe abbreve divenire un reato. In Italia. Io abiurerei doviziosamente.
cerruti,
invece sarebbe interessante un confronto in tal senso.
:)
comunque lo confesso: sulla parola specifica, non ho usato ‘melenzane’ per timore che – vista la struttura linguistica del testo – si pensasse che non ne conoscessi l’ortografia
:)
grazie ancora
caro larry, io finché non mi fanno pubblicare, finché non vedrò vendute le mie opere grafiche, continuo a fare il punk. certo, non appena mi sarò integrato, passerò ad una certa e inequivocabile abiura, per il tramite di vaghe dichiarazioni su supposte avvenute maturazioni…
egregio carrino, ma le pare!… e poi la confessione le fa onore.
per il tramite di vaghe dichiarazioni su supposte avvenute maturazioni…
:-))