Il paese abbagliato senza Politica – in margine alle questioni Saviano, Mondadori, legge Levi etc. etc.
Vi è un minimo comun denominatore nelle polemiche che si sono susseguite nell’ultimo anno nell’ambito degli spazi di discussione culturale, quella sull’“icona Saviano”, e quella sulla Mondadori: a intramarle è un vuoto sostanziale di Politica. Ma il vuoto di Politica non è esattamente la questione sociale della nostra epoca, e particolarmente nel nostro paese? Non scontiamo forse tutti quanti, quotidianamente, una sempre crescente difficoltà a incontrarci in spazi pubblici (come scriveva Christian Raimo sul manifesto), un senso di impotenza che nasce dalla frustrazione continua di un cambiamento che riterremmo necessario e che non sappiamo come innescare, mancando le forme adeguate alla bisogna? Passivizzati in quanto audience, non ci restano che i fischi e la protesta che poi, dalla Parola mediatica, viene tacciata di inciviltà e di essere antidemocratica. E’ un’impasse da cui non sembra esserci via d’uscita.
Ecco, gli intellettuali scontano la medesima impotenza (e come potrebbe essere altrimenti del resto?). Nelle polemiche culturali di questi mesi si è giunti inevitabilmente a un’impasse, come fossimo in presenza di aporie concettuali. E in qualche modo lo sono, poiché si tratta di questioni “simboliche” su cui ci si accanisce evitando di prendere in considerazione le questioni più propriamente politiche. Proprio l’emergenza, anche virulenta, di tali questioni, denuncia la tragica impossibilità di un’azione politica collettiva. Ci si accanisce attorno a sintomi, questioni che sono il portato di processi complessi, e si manca il fuoco sul senso di quegli stessi processi. E’ come un grande abbaglio di cui si resta tutti quanti vittime, imprigionati dagli effetti allucinatori della stessa macchina mediatica che li produce.
Saviano e Mondadori sono stati e sono i due “abbagli” più forti. Da Dal Lago in poi (ma anche prima per la verità), sempre più spesso si è scambiata l’icona “Saviano” con la persona Roberto Saviano. Invece che un esercizio iconoclasta soggetto esso stesso a quella macchina mediatica che avrebbe voluto criticare, più utile sarebbe stata un’analisi sui meccanismi mediatici che hanno creato l’icona: se nel suo articolo sul manifesto Dal Lago si lamentava di una sinistra che non c’è (e Marco Bascetta diceva in un’intervista: “Il suo è un libro contro la temperie della sinistra dominante. Oggi la sinistra non può ricostruirsi solo attraverso leader che infiammano le piazze”), si sarebbe trattato allora di andare a comprendere quale vuoto Saviano – con la sua prospettiva necessariamente “parziale”, che nasce nella parzialità, perché è presa di parola soggettiva – è andato a colmare, e comprendere perché su di lui si sono incarnate attese, desideri, proiezioni, e quant’altro. Analizzare le modalità, il processo con cui Saviano è entrato a far parte dell’immaginario sociale in virtù di un meccanismo complesso che ha visto interazioni costanti tra i diversi settori dello spazio sociale e mediatico. Questo tipo di analisi sociologica sarebbe stata interessante, invece che concentrarsi su Saviano stesso come fosse lui la fonte di quella spoliticizzazione diffusa e di quella crisi che stiamo vivendo… Ancora una volta, allora, si trattava di “desavianizzare Saviano”, per comprendere come ripartire da quei vuoti da lui colmati, per colmarli invece con una serie di pratiche condivise. E questa, io credo, sarebbe stata la modalità “politica” per affrontare la questione.
(Detto per inciso: se la questione smette di essere Roberto Saviano – nel bene e nel male – ma il meccanismo di produzione spettacolare che ha creato l’icona “Roberto Saviano”, e il modo in cui esso pone le singole volontà o intenzioni in vicoli ciechi, da cui si è, malgrado se stessi, sovradeterminati; se insomma usciamo dal meccanismo sacralizzante dello Spettacolo, che impone una scelta preliminare di campo, allora possiamo anche cominciare a discutere serenamente e laicamente con Roberto – e nello specifico nell’ultimo anno ho avuto diversi punti di dissenso con alcune sue affermazioni).
Ma l’abbaglio mediatico, e il correlato vuoto di Politica, c’è stato pure nella discussione sul caso Mondadori. Anzitutto, per richiamare la polemica preliminare a queste – ovvero quelle sulla collaborazione ai giornali di destra come Libero – vi è una grossa differenza tra un quotidiano, che ha una linea politica precisa, la quale determina il contesto di ogni testo inscritto al suo interno, e una casa editrice, dove la linea politica coincide con il catalogo, e la pluralità dei libri pubblicati. Ingenuo, dunque, sovrapporre le due questioni. Né basta la mera proprietà di Berlusconi a dire che occorrerebbe boicottare Mondadori: di cosa stiamo parlando, quando parliamo di boicottaggio? Chi deve boicottare: gli autori, i lettori, i redattori, tutti quanti insieme? Nel secolo scorso, ho lavorato per due anni alla Guida al consumo critico con il Centro Nuovo Modello di Sviluppo, credendo molto nell’efficacia politica del boicottaggio; dopodiché mi sono reso conto che se non si danno le condizioni sociali adatte risulta un’arma spuntata: testimoniale, e dunque profondamente etica, ma non produttiva di trasformazione. La battaglia è politica, e non può limitarsi a una questione puramente testimoniale, coscienziale. (Per Mancuso peraltro è esattamente una questione di coscienza, ed è per questo che lascia Mondadori: ma appunto non ne fa una battaglia politica, un exemplum da seguire, come invece vorrebbero molti lettori – da Saviano stesso, per esempio). Perciò credo che sia legittimo e anzi doveroso in questo campo calcolare costi e benefici, e intendo dire benefici in termini di diffusione e visibilità di testi. Ben vengano dunque i ragionamenti come quello che Andrea Cortellessa ha fatto su Nazione Indiana, secondo cui il probabile effetto di una fuoriuscita in massa degli autori da Mondadori sarebbe verosimilmente quello di marginalizzare un certo numero di autori e di trasformare la casa editrice in una grande macchina di propaganda.
Ancora una volta, dunque, la questione è politica, e come tale va pensata. Invece, ci si affanna attorno a un simbolo perdendo di vista la prassi, l’insieme delle pratiche condivise che possano trasformare la realtà data oggettivamente, e non in base a mere petizioni di principio. Una possibile pratica è quella rilanciata da Andrea Inglese sul manifesto, quella dell’autoproduzione: ma anche in questo caso, solo una vera comunità critica di intellettuali potrebbe dar vita a una tale pratica, altrimenti rischierebbe di finire anch’essa per essere nulla più che un beau geste testimoniale. E ancora: quanto più importante – materialisticamente parlando – sarebbe (stato) un dibattito approfondito, con interventi impegnati e appassionati degli intellettuali di maggior peso, intorno alla legge Levi, quella legge che, come ha scritto Ginevra Bompiani, “ufficializza la trasformazione del libro in merce d’occasione e delle librerie in spazi di promozioni commerciali”, a tutto vantaggio di ipermercati e grossi editori, favorendo la concentrazione editoriale – e del resto, per citare ancora la Bompiani, “questa legge è il miglior compromesso che si poteva strappare al maggior gruppo editoriale italiano, Mondadori, e dunque al suo proprietario, presidente del consiglio. Ancora una volta i suoi interessi dettano legge.” Ecco, allora, che mettere tali questioni al centro del dibattito, farne pietre di scandalo, sarebbe cominciare a rimettere al centro la politica. Fino, magari, ad arrivare a impegnare – e non solo sulle pagine dei giornali – la questione decisiva dell’annichilimento culturale contemporaneo, quella che sta stranamente un po’ al margine del dibattito culturale e che non vede dirompenti prese di posizione di schiere di intellettuali: la distruzione della scuola che, nonostante sia sotto gli occhi di tutti, continua impunita.
(pubblicato sul manifesto il 18/09/2010)
E però anche questo è un pezzo senza Politica: ogni tanto prendere posizione può giovare.
«Ma il vuoto di Politica non è esattamente la questione sociale della nostra epoca, e particolarmente nel nostro paese? »
Ovviamente sono d’accordo, è questo il problema, dal quale derivano tutti gli altri, il bisogno di icone, sia dell’icona positiva che negativa, del tifo pro o contro, l’icona è il surrogato impotente della politica, all’icona si delega la partecipazione.
Ma quando un tempo è impolitico, e non solo quello italiano, bisogna ricostruire con pazienza e tenacia e ci vuole classe dirigente e intellettuale che prepari il terreno.
Quello che mi stupisce sempre, anche qui su NI, se non erro, è la grande attenzione ai fatti simbolici, e la scarsa attenzione ai fatti economici, almeno in percentuale.
Al chi e cosa c’è dietro.
Una delle spiegazioni che mi do è che il grande potere economico, quello che a sua volta usa la politica, Berlusconi compreso, che è certamente attore, ma anche agito, è invisibile, invisibili e imperscrutabili sono diventati i suoi meccanismi, e invisibile è diventata la sede in cui opera, almeno nell’immaginario.
Anche in questo la Lega è la formazione politica italiana più ambigua e moderna, più duttile, più capace di offrire miti di plastica estremamente mutevoli, dal dio Po ai celti, utilizzabili a piacere e a seconda della bisogna, ma capacissima di capire che è sulle banche che bisogna mettere le mani.
E più capace di usare la paura, non solo la paura dello straniero, ma la paura del caos.
Una formazione politica moderna capace di usare le paure ancestrali mette a sua volta paura a me, molto più di Berlusconi.
Io temo quello che non vedo e non conosco, quello che vedo e conosco posso combatterlo.
Poi, ovviamente, tutti i temi che tocchi sono importanti, ma bisogna dar loro un quadro.
Cosa ci sia di moderno in una forza politica populista, localista, xenofoba e razzista proprio non riesco a capirlo.
Anche il suo radicamento sociale è di tipo novecentesco mutuato dal PCI, lo dicono apertamente.
Il fatto è che la ex sinistra, i post comunisti liquidarono insieme a tante cose ancora giuste, proprio quella modalità senza rimpiazzarla con nulla, adesso dopo che tutto è distrutto, si accorgono di non avere strumenti di collegamento con quei ceti popolari che una volta insieme al ceto medio e agli intellettuali costituivano la sua base elettorale e il suo blocco sociale e si stracciano le vesti dicendo, in sostanza, che non riescono a vincere perché non hanno la televisione!
cara Maria, il populismo, il localismo e la xenofobia razzista non sono né novecentesche né post novecentesche, né antiche né moderne, sono fenomeni che sono stati declinati nei secoli con varie modalità e sono sempre lì a covare, guarda la Svezia, guarda l’Ungheria
la modernità della Lega sta nella sua plasticità, il suo radicamento sociale non è mutuato dal PCI tale e quale, l’unica cosa mutuata dal vecchio partito comunista è la presenza capillare sul territorio, altro non c’è, la modernità della Lega per esempio è il suo interclassismo, la sua capacità di usare la comunicazione senza aver bisogno di possedere televisioni, la sua capacità di creare icone mobili, pronte a cambiare di segno a seconda delle alleanze che intende stringere, la sua capacità di offrire non solo l’icona rozza a chi ha bisogno di icone portatili e rozze, ma analisi politiche e garanzie sul piano economico a chi ha bisogno di analisi politiche e garanzie economiche, sta nel fatto che minaccia cannoni a parole e poi tratta a tutto spiano su tutto
mai sottovalutare l’avversario
ma certo sparare ai polli è più facile che chiedersi perché sono polli
Non credo che sia finita la Politica, credo che la politica si faccia in un altro modo, senz’altro più “basso”, che ha a che fare con l’emozione piuttosto che con la ragione, che si serve della narrazione piuttosto che dell’argomentazione, che usa la capacità passivizzante della televisione, piuttosto che considerarci soggetti attivi cui destinare informazione, eccetera.
La politica non ha più bisogno di progetti su cui chiedere consenso e partecipazione, ma solo di provvedimenti istantanei per un elettorato che percepisce solo il presente (qui, adesso e per me).
Doppio eccetera.
Tutte queste cose si sanno da un pezzo, perché ripetercele in continuazione?
Se è vero che occorre ri-costruirsi e ri-costituirsi come politica, questa ri-costituzione non potrà mai più produrre qualcosa che c’era prima (com’era la politica, “prima”?) e che è morto e sepolto.
Nessuno ha ricette, ma in attesa che siano di nuovo possibili aggregazioni di massa attorno a momenti di lotta per una società più giusta, sono possibili comportamenti individuali coerenti.
E invece lo sforzo di quasi tutti gli intellettuali oggi sembra essere quello di negare il valore di ogni coerenza politica, anche la più privata & elementare.
Si usa la parola coscienza invece della parola coerenza.
È uno sforzo che si serve delle argomentazioni più strane, come il pericolo che correrebbero le case editrici di proprietà del capo del Governo di cadere “totalmente” in mano al nemico: in mano di chi sarebbero, adesso?
Tutti si sentono come in dovere, come in una specie di excusatio non petita, di fare la loro tirata contro Berlusconi e compagnia bella, ma nessuno sembra voler tirare le conseguenze logiche delle proprie invettive (classico il caso dell’intervento di Sebaste).
Io dico che se non si ha nulla da proporre sul piano di una concreta azione politica degli intellettuali, ci si astenga da tiritere pleonastiche sullo stato attuale della Nazione, sulla decadenza del Paese, sull’imbarbarimento delle masse televisive, sulla fine della Politica.
Perché sono tutte cose che sappiamo.
Sto con Alcor e con la sua analisi. Il voto della Lega è il voto che fa la differenza.
io mi trovo quasi del tutto in sintonia con pecoraro
quando ho letto sul manifesto l’articolo di rovelli son orimasto perplesso e ora lo sono ancora di piu’.
l’aspetto piu’ paradossale del cosiddetto abbaglio “Saviano-Mondadori” è che ad alimentarlo sono gl istessi intellettuali che lo denunciano.
Si continua ad elaborare un teorema “politico” per giustificare e fornire un alibi ad unsa scelta personale, giustificabilissima per qualsivoglia motivo privato e eprsonale per l’appunto, ma che nnon ha nessun fondamento politico.
Ancora una volta l’unico scrittore che da lezion ia tutti è Saviano, che non scrive articoli patetici e ridicoli, dei presunti motivi politici che l oinducon oa restare, ne fa “un’analisi costi-benefici” (ma questa è politica vecchia e stravecchia che ha causato il suicidio della sinistra la quyale per l’appunto per improntare la sua azione politica su queste basi non ha fatto per esempio la legge sul conflitto di inetresse).
Ha ragione pecoraro, siamo stufi delle denuncie delle ironie e delle analisi.
Dobbiamo partire da noi stessi. E chiederci se i nostri comportamenti siano eticamente compatibili con le nostre opinioni.
se nel nostro rapporto quotidiano con le istituzioni, nelel relazioni sociali, nel lavoro, abbiamo il coraggio di rivendicare e praticare, un’etica della responsabilità e del senso del bene comune. Spostando un po’ piu’ in la secondo le nostre forze (a un precario non si puo’ chiedere quanto si puo’ chiedere a uno scrittore di successo o a un dipendente che ha il posto di lavoro sicuro) i limite oltre il quale non deroghiamo alle nostre convinzioni. convinzion iche si devono tradurre in comportamenti pubblici e privati.
cara alcor,
leggi bene , la citazione delle modalità novecentesce riguarda il radicamento della lega , il razzismo, la xenofobia e tutto il resto la sua pretesa modernità .
Infatti ho scritto:
“Cosa ci sia di moderno in una forza politica populista, localista, xenofoba e razzista proprio non riesco a capirlo”
Che tali fenomeni siano sempre esistiti e declinati variamente nel corso del tempo a seconda dei contesti storici lo so anch’io alcor e li citavo proprio per dire che la lega non è una forza moderna come tu scrivevi
Avrei da ridire anche sull’interclassimo dal momento che era praticato anche dal vecchio pci, nelle sue sezioni potevi trovare l’operaio, il bottegaio, i’impiegato, o in alcune circostanze il grande intellettuale, anzi io penso che il blocco sociale dellla vecchia sinistra fosse ben più articolato di quello della lega, basti guardare le sue manifestazioni e i suoi militanti.
Ovvio che il pci non era interclassita nel pensiero politico.
Non ho capito il riferimento ai polli ma ho il sospetto che abbia a che vedere con il mio ragionamento che evidentemente ritieni poco articolato a differenza del tuo, come a volte ti capita di fare anche con altri.
maria, no, il tuo sospetto è sbagliato, ma non ho voglia né tempo per fare polemiche inutili, per il mese di settembre ho già dato
Però sui libri chiariamoci. Qualcuno li produce per lucro, vengono compravenduti, hanno un prezzo: ergo, sono un bene economico. Scandalizzarsi che rientrino nel meccanismo liberista (concorrenza sul prezzo, innanzitutto) è irragionevole per chi è addentro (comunque e suo malgrado) a un’economia di mercato, ed è ipocrita per chi, da consumatore, ha interesse a che i libri costino il meno possibile (e magari un interesse non strettamente economico: anche se ho a cuore solo la divulgazione culturale apprezzo il basso prezzo dei volumi). Né può invocarsi un regime separato (di protezionismo e pubblica assistenza) a favore della sola industria culturale (che, sebbene suoni come una contraddizione in termini, purtuttavia esiste). Del resto, come altrove ho evidenziato, tutti noi telefoniamo con la compagnia meno costosa e facciamo la spesa al discount: a discapito della nostra indignazione per le difficoltà dei piccoli editori. Già dal ’68 in avanti ci si scervellava sui risvolti capitalistici della contestazione globale: dischi, libri, manifesti, distintivi, concerti, et similia: sono forme di partecipazione e conoscenza, ma sono anche prodotti. La contraddizione, ovviamente, è risolvibile solo in base a un’opzione rivoluzionaria di tipo comunista, purtroppo di sonorità eretica oggigiorno. Resta il consueto pannicello del “capitalismo corretto”: sgravi fiscali all’editoria minore, incentivi al settore culturale, etc., sacrosanti in un contesto immutato (e valutato immutabile) ma a rischio dei soliti italici imbrogliucci.
si è vero i lvoto della lega è determinante. ma è proprio questo il dramma di questo paese. Perchè al contrario degli altri paesi dove le tendenze xenofobe alimentate dalla paura (che la destra ha sempre usato), vengono arginate e isolate anche dalla destra, non solo perchè sono anti-storiche (il fenomeno migratorio è un fenomeno strutturale che ormai interessa 150 milioni di persone, ed anche funzionale alle economie occidentali) ma perchè alla lunga accellarano i processi di disgregazione della societa’ e di degrado della convivenza.
lo slogan di “radicamento nel territorio” territorio inteso come spazio geografico e identitario è uno slogan stupido che la sinistra dovrebbe combattere.
mancava una farse scusate:
al contrario….qui da noi la destra nostrana pur di mantenere il potere sta alimentando pericolosamente il basso ventre degl ielettori e consegnando il paese alla lega.
Gli espisodi come quello dello stemma di miglio, sono stupidi e vergognosi, ma rivelano il degrado della coscienza civica dei cittadini di questo paese. I quali peraltro fanno un gran vanto delle loro miserie
Francesco (e Carmelo), l’intendimento era quello di dire che i vari affari sui quali ci si è agitati sono false questioni, e che si tratta invece di tornare alla Politica ovvero alla prassi – che parte, come dicevi tu Carmelo, dalla quotidianità. Ma la quotidianità è complessa, e dunque bisogna partire da quella complessità. Rilevare come ci si agita intorno al vuoto è ciò che tento di articolare nella prima parte dell’articolo, che però deve essere letto anche nella seconda parte, dove dico che ci sono/sarebbero state altre opzioni possibili, opzioni concrete e non teoriche, che sarebbero stati segni di una diversa politicità degli intellettuali, di un loro agire politico fattivo e non ridotto all’impotenza.
A proposito della mancanza di Politica e di Sinistra, di questi tempi mi sto chiedendo se la gente sia manovrata di più da Berlusconi o dagli United States of America. Ad esempio: Chi è Teresa Lewis?
L’analisi secondo la quale se gli scrittori importanti, va da sé di sinistra, se ne andassero, la Mondadori diventerebbe uno strumento di propaganda a favore del partito del suo proprietario, non sta in piedi. Infatti rimarrebbe quello che è, una casa editrice generalista, che pubblica i libri per venderli, anche libri problematici o di qualità, finché ci sarà un mercato che li recepisce, Contemporaneamente, se può, favorisce il partito del suo proprietario, partecipando per esempio al capitale di imprese giornalistiche filogovernative in perdita perenne (Panorama e Il Giornale), oppure orientando i periodici popolari e di gossip verso il racconto ” Famiglia Reale ”
.
I libri sono merce, prodotti, si fabbricano per venderli, non per farsi belli in società. A comprare i libri, pare, sono i consumatori mediani, che non sono ancora pronti (tanti non lo saranno mai!) alla qualità letteraria; che accettano invece la problematicità letteraria purché dia ragione a loro e alle loro pulsioni, più o meno giovanilistiche, al loro esseri lettori emotivi. I consumatori ” alti ” sono pochi, e quei pochi non sono lettori emotivi, ma mentali, lenti, lettori che, forse a causa della frequente pinguedine, non si precipitano in libreria quando esce un libro a loro gradito, come fanno gli snelli emotivi. Se i pochi si precipitassero, almeno alla velocità del bradipo, mi scuso per l’ossimoro non proprio involontario, invece di fare mille distinguo, i libri da loro preferiti troverebbero forse più spazio negli scaffali delle librerie. I librai stessi farebbero ordinativi più copiosi. I piccoli editori diventerebbero via via medi editori. Gli scrittori più problematici e letterari verrebbero pubblicati più facilmente. Evvia evvia.
@rovelli
va bene, allora mettiamo in soffitta gli “abbagli” una volta per tutte e punto.
smettiamola di chiederci perchè come l’innominato riesce a governare da tanti anni e cominciamo a chiederci perchè la maggioranza di questo paese tributa da anni il suo consenso a questo governo.
chidiamoci come ancora nel xxi secolo pur nell’inesorabile degrado continua a sopravvivere una struttura socioeconomica vecchia, immobile, improduttiva che ci sta portando alla rovina.
io credo che la complessita di cui parli vada aggredita indagando sulla cultura che regge e cementa questo paese. Il problema è culturale e interessa tutta la popolazione; e se il problema è culturale allora bisogna fare un’azione di resistenza e di lotat culturale. come ? a partire appunto dai comportamenti, dal proprio ambito familiare (i figli cavolo i nostri figli) professionale istituzionale.
Dobbiamo cominciare a parlare di meno e fare di piu’, cominciare a dire dei no, cominciare a metterci in gioco seondo le nostre forze e le nsotre possibilità. no nvedo altra starda
penso che molti autori dovrebbero non solo lasciare Mondadori ma dovrebbero anche dividersi tra le piccole imprese editoriali, in moda da, non solo estrapolarsi dal portafoglio berlusconiano, ma anche aiutare i piccoli editori a diventare grandi e combattere questa nuova forma di democrazia italiana senza creare nuove ideologie ma proporre, criticare, condividere…mondadori, feltrinelli ecc..sono un patrimonio culturale ma non sono intoccabili, possono fallire e essere rilevate da altri pesci più grandi..queste riverenze giustificazioniste che leggo sui giornali non hanno un valore argomentativo così alto perché sono antistoriche..mi sembrano degli alambicchi inutili..delle sfumature imprssioniste interessanti per svicolarsi dal fulcro…questi colossi editoriali (mio pensiero interessato lo ammetto) indirettamente, ma nel caso di Mondadori direttissimamente, con le loro influenze irretiscono alcune proposte di legge che potrebbero rendere il mercato più equo…per farla corta, la pars destruens è finita ora tocca alla costruens signori e siccome gli intellettuali italiani hanno un nome e un cognome credo che dovrebbero agire o stare immobili, e se decidono di parlare, dovrebbero discettare su altro..parlando in continuazione di questo problema fomentano i sospettosi che come Giuliano Ferrara, individuo colto e intelligente ma poco trasparente, abbozzò una descrizione della politica italiana com un sistema basato sul ricatto..spero che non parlasse anche di alcuni scrittori italiani..scusate se sono draconiano e dozzinale ma non riesco a giustificare questa querelle infinita, questa corsa alla migliore giustificazione quando è lapalissiana la sostanza che c’è sotto.
Scrivere e leggere è la sola cosa con l’amore che vale la pena.
Amare i libri, sognare, gustare il piacere di viaggiare, di creare,
di accendere bagliori, di pensare al mondo. A troppo parlare di
letteratura, la magia della lettura si perde. Amo leggere, prendere
il tempo per sentire meglio il mondo, accogliere racconti come
viaggiatori venuti delle terre che saranno la mia terra, e come si
parla di Roberto Saviano, Gomorra è oggi una parte della mia terra.
La mia critica non tocca all’ottimo articolo di Marco Rovelli.
Forse ha voluto parlare di una vera politica della letteratura,
un incrocio d’idee, di incontri. Incontri per dare vita e visibilità
ai libri. E questo riguardo lo scrittore e il lettore.
Dalle terre
Sul successo della lega, oltre alla forma partito radicato ecc., io vedo una sostanziale intercambiabilità con una certa mentalità popolare diffusa nel nord e centro-nord. omofobia, forme di razzismo, paura dei diversi, mito dell’industria e della produzione ecc. Quindi non è solo la forma organizzativa che costituisce il Tao della vittoria, la lega ha messo in pratica uno degli insegnamenti fondamentali del Sun Tzu: conquistare un territorio senza combattere.
Sulla faccenda Saviano/Dal Lago/sinistra, ho partecipato a un convegno dove era presente come relatore proprio Dal Lago che parlava del libro Eroi di Carta. Con un giornalista dell’Espresso hanno demolito Gomorra ma non solo, anche l’autore. Hanno portato dati, riscontri, ma quello che ho notato io, dal mio osservatorio personale, era una specie di astio, di fastidio verso la figura non solo retorica di Saviano. E’ il Tao di questa aggressione, che mi sembra più sotterranea – e quindi solida – dei presunti difetti del libro e della metamorfosi di uno scrittore in icona.
chissà se hanno letto sun tzu, oggi però hanno vinto la battaglia di unicredit, non farà comodo soltanto a loro, ma certo moltissimo anche a loro, non sarà dipeso solo da loro, ma moltissimo anche da loro.
[…] Approfondimento fonte: Il paese abbagliato senza Politica – in margine alle questioni … […]
Teresa Lewis è una americana condannata a morte perché ha ucciso il marito e di cui nessuno parla.
alcor,
anche a me le polemiche inutili non interessano, se mi dici di no ci credo.
Le mie percezioni possono essere sbagliate.
Dai basta. Articolo confuso che si muove sempre sui soliti due o tre depistaggi, l’iconografia, il boicottaggio, la politica deve fare. Basta.
La politica la fanno i singoli e i singoli sono simbolo di incoerenza totale, da qualunque parti si guardi.
Rovelli niente di personale, ma legga:
“quella legge che, come ha scritto Ginevra Bompiani, “ufficializza la trasformazione del libro in merce d’occasione e delle librerie in spazi di promozioni commerciali”, a tutto vantaggio di ipermercati e grossi editori, favorendo la concentrazione editoriale – e del resto, per citare ancora la Bompiani, “questa legge è il miglior compromesso che si poteva strappare al maggior gruppo editoriale italiano, Mondadori, e dunque al suo proprietario, presidente del consiglio. Ancora una volta i suoi interessi dettano legge.”
I saviani e tutti i difensori di non si sa bene cosa fanno arricchiere costantemente da anni sappiamo bene chi, rimanendo lì dentro.
Un libro costa dieci, uno va all’autore, il resto al magna magna de O’ Sistema Editoriale.
“Una possibile pratica è quella rilanciata da Andrea Inglese sul manifesto, quella dell’autoproduzione: ma anche in questo caso, solo una vera comunità critica di intellettuali potrebbe dar vita a una tale pratica, altrimenti rischierebbe di finire anch’essa per essere nulla più che un beau geste testimoniale.”
Stai fresco a predicar coerenza, di comunità critica, quando poi la mattina, ogni mattina, il cartellino lo timbri facendo arricchire chi dici di combattere.
Basta per favore, sta diventando patetica la questione.
P.S.
Il basta è rivolto a me che mi riprometto di non intervenire più sulla questione.
concordo con alcor,
tornare alla prassi quotidiana e informarla alle idee che predichiamo
tornare alla cura
e cominciare ad esempio dai figli
….
forse un bel passo sarebbe dargli la possibilità di risvegliare le loro mille risorse togliendogli quasi tutta la televisione …
Mi piacerebbe che qualcuno cominciasse a sovvertire il potere editoriale a cominciare da dove si fanno i soldi veri: l’editoria scolastica.
Non tutti sanno infatti che a parte i casi editoriali (Moccia Saviano Avallone) mai più di quattro o cinque all’anno, le cifre grosse nell’editoria si muovono sui libri di testo.
Che strumenti ha oggi un’insegnante per farsi da sè il libro di testo senza finire in tribunale?
Scusate l’apostrofo, fate finta che sia una caccola
Giusto Binaghi, parlare di cose più concrete mi sembra sensato. Purtroppo non conosco esattamente le cifre di cui mi parli ma posso presumere che, visto che gli studenti sono obbligati ad acquistare i libri, almeno loro qualcosa leggano.
Posso darti un parere. Una cosa molto sensata, a livello scolastico, mi sembra quela di ragionare sui futuri supporti. Ipotizzando che fra 2 anni ogni persona avrà il suo ereader, viene da pensare come si possa applicare alla scuola la rivoluzione del digitale. Al di là di non avere più gli odiosi pesantissimi libri da portare in cartella, ma un solo ereader dove poter avere tutti i libri, viene da pensare che dovranno per forza di cose costare di meno, se non essere, “addirittura”, gratuiti.
In questo ipotetico futuro se tu insegnante pubblicassi il tuo libro con una casa editrice digitale, oltre a bypassare la distrubuzione, potresti diventare proprietario di quasi tutti i tuoi diritti. Li si sottrae terreno ai grossi gruppi che, immagino lo sai, stanno già cercando di fare dei contratti cappio che lasciano tutto com’è coi romanzieri, coi poeti, coi narratori e immagino sia facile imporlo ai libri di testo. Bisogna cominciare a dire qualche non e a rifiutare fin d’ora. A cercare di prevedere cosa accadrà e come farsi trovare. Mi faresti sapere a quanto ammonta questa cifra che gira intorno ai libri scolastici? sono davvero interessato.
Ha ragione Marco: la questione Mondadori è politica, e come tale va pensata. Provo a farlo. Così, per mero esercizio dialettico.
Come suggerisce Rancière, la politica non è solo la gestione del potere o la lotta contro il potere; è anche la configurazione di uno spazio comune. La Mondadori fa la sua politica, che coincide con quella del Presidente del Consiglio. Quale spazio materiale e simbolico contribuisce a creare?
Se osservo, anche solo sommariamente, il processo di concentrazione editoriale in corso, e le sue ricadute in termini di messa all’angolo delle piccole case editrici e di abbassamento del livello medio delle attese, è innegabile che le responsabilità di Mondadori (e di Rizzoli-RCS e del gruppo Mauri-Spagnol) sono pesanti (e ben più rilevanti che non quelle di Libero!). Con la sua prassi quotidiana la Mondadori contribuisce a creare uno spazio degradato, dove trova sfogo un pragmatismo che separa l’evasione dalla sapienza, l’effimero dalla profondità, il guadagno dall’arte.
Se questo è vero, allora un passo fondamentale da compiere in direzione di un ripensamento politico della questione è di smettere di considerare Mondadori (e Einaudi, certo) in positivo, come “una pluralità di libri pubblicati” o come luogo abitato da persone intelligenti e capaci. Mondadori, insomma, non è solo un catalogo plurale o un insieme di professionalità. È anche – e forse soprattutto – un’azienda che uccide quotidianamente la cultura.
Questa considerazione, com’è ovvio, fa emergere il doppio crudele che si tende a nascondere. L’ha messo in luce, in maniera candida e netta, Marina Berlusconi, durante una recente intervista: gli autori di sinistra danno lustro alla macchina. Nel mentre contribuisce, con l’insieme delle sue pratiche economiche, alla diffusione di un populismo gregario e sempre più analfabeta, la Mondadori può permettersi di mostrarsi come garante della diversità culturale e della qualità.
Il ripensamento politico della questione può tacere l’invadenza di questo doppio? Non può. E tacerlo fa il gioco sporco.
A onor del vero, va anche detto che probabilmente è impossibile trovare una sintesi che sappia dire addio a questo doppio. O meglio, una sintesi, quand’anche esistesse, non farebbe che spostare la contraddizione su un piano diverso. Più agevole? E chi può dirlo con certezza? È un problema di rapporto tra la compatibilità e la difformità. Può delinearsi, all’interno del gruppo Mondadori, un comportamento difforme che mini le fondamenta di quello spazio degradato di cui s’è detto poco sopra? Ho molti dubbi. Anzi, se resto ancorato alle mie predilezioni in materia estetica e politica, direi proprio di no. Ma io, al contrario di chi si autoassolve, non ho certezze. E ascolto con attenzione sincera tutte le posizioni. Posso solo dire – questo sì, posso farlo – che non chiederei mai a nessun “salariato” di auto-licenziarsi (e posso altresì dire – sì, con altrettanta certezza posso farlo – che un autore “salariato” – e dico proprio un “autore”, non un magazziniere o un tipografo – specialmente se autore “di sinistra”, dovrebbe porsi dei seri problemi sulla natura della letteratura che produce; sulla questione, però, rimando alle famose note marxiane sull’artista come baco da seta).
Sì, la questione Mondadori è politica, e come tale va pensata. Invero, resto dell’idea che bisognerebbe abitare il campo d’azione politico più adatto alla contingenza. Rimanendo convinto che quello del lavoro (o del non-lavoro), quello dell’educazione e quello del militarismo sono i campi decisivi, ammetto che la questione Mondadori non mi tange più di tanto, se non, appunto, nei termini già detti. Spero, in cuor mio, che la Mondadori fallisca; ma se resisterà a se stessa, pazienza; vorrà dire che la nostra azione, esterna o interna che sia, non è stata capace di accantonarla per ciò che essa è.
Siamo orfani di una politica “di classe”: questa è la vera tragedia. Di una politica, cioè, che ci permetta di unire ciò che è separato e di dividere ciò che è integrato. Ora esco a mi faccio una birra. Non sarà una birra autoprodotta, però; anch’io ho le mie contraddizioni.
NeGa
Purtroppo riesco a trovare pochi spunti nuovi in questo articolo di marco.
per esempio, su saviano, sarebbe utile analizzare il meccanismo mediatico che ha prodotto l’icona. certo. ma non è che facendo così non si analizzerebbe anche il comportamento di saviano, che ha contribuito non poco a ergersi a icona. cose che a marco ho già dette. e se non è lui che ha portato alla spoliticizzazione, certo lui ne è parte, la alimenta, con il suo non prendere posizione.
su mondadori. stessa osservazione che ho fatto ad andrea inglese. la questione non è mai stata il boicottaggio, ma il pubblicare per altre case editrici. e questa questione non è un abbaglio, non nasconde quella di non scrivere per Giornale e Libero (e io ci metterei anche Tempo e Foglio). è più evidente e all’ordine del giorno perchè gran parte degli autori di sinistra pubblicano per Mondadori/Einaudi. pochi scrivono su Libero e Giornale. e quei pochi, anche se l’han fatto una sola volta come Scarpa, sono stati costretti a riflettere sul loro gesto in modo molto più forte rispetto a quanto sia mai capitato a un autore mondadori.
mi sembra quindi poco onesta la domanda di marco “di cosa stiamo parlando, quando parliamo di boicottaggio? Chi deve boicottare: gli autori, i lettori, i redattori, tutti quanti insieme?” dato che nessuno ha mai chiesto agli autori e ai redattori di mondadori di licenziarsi o, se si parla di vero boicottaggio, di non comprare libri mondadori. è solo un piccolo gruppo facente capo a mascia, di cui qui su NI non si è mai parlato, che chiede il boicottaggio, quello vero. quindi, la domanda “di costa stai parlando” sarebbe per marco. verrebbe anche da dire: la discussione sul pubblicare o no per mondadori (pubblicare o no: non boicottare) l’ha messa in piedi Helena Janeczek, qui su NI. ed è continuata perchè voi indiani avete postato altre cose, vostre o di altri autori. perchè allora si chiede ai lettori, a chi ha partecipato, di cosa si sta parlando? siete voi autori che ne discutete, che ne dovete rendere conto, non noi commentatori. a meno che lo si chiede agli autori, ma allora, a chi si sta facendo la domanda?
sul boicottaggio marco dice che se non si danno le condizioni sociali adatte risulta un’arma spuntata. sarebbe utile capire perchè pensa che non ci siano le condizioni adatte. i primi boicottaggi televisivi delle reti fininvest proposti da mascia hanno avuto un grande successo. e quando è passato a standa e mondadori mascia è stato aggredito. è sintomo di insuccesso? in base a cosa si pensa che il boicottaggio non sarebbe un’arma produttiva di trasformazione? non sono mai state date risposte.
anch’io credo che sia doveroso in questo campo calcolare costi e benefici: ma dove sono questi calcoli per il boicottaggio? e i benefici del pubblicare per mondadori risiedono solo nel fatto che gli autori pubblicando lì hanno maggiore diffusione e visibilità dei testi? – come se i libri contassero qualcosa a livello politico: non contano niente, rispetto a giornali e tv, non spostano un voto, per intenderci. e poi, non conta il contenuto dei testi? no perchè, se conta, allora più che abbandonare mondadori, sarebbero buttati fuori da mondadori, se scrivessero certe cose di B. e non conta calcolare la visibilità mediatica che gli autori di spicco di mondadori/einaudi avrebbero su stampa e tv se facessero un’azione studiata collettiva di abbandono con lancio di campagna mediatico-politica?
I ragionamenti di Cortellessa, ben venuti per marco, che grado di verosomiglianza hanno? su quali studi poggiano?
si esclude dunque questa possibilità di lotta.
per rilanciare cosa?
l’autoproduzione. beh insomma, se chi sostiene il boicottaggio è utopista, chi sostiene l’autoproduzione cos’è?
dibattiti sulle legge ad aziendam.
“E ancora: quanto più importante…sarebbe (stato) un dibattito approfondito, con interventi impegnati e appassionati degli intellettuali di maggior peso, intorno alla legge Levi, quella legge che, come ha scritto Ginevra Bompiani, “ufficializza la trasformazione del libro in merce d’occasione e delle librerie in spazi di promozioni commerciali”, a tutto vantaggio di ipermercati e grossi editori, favorendo la concentrazione editoriale – e del resto, per citare ancora la Bompiani, “questa legge è il miglior compromesso che si poteva strappare al maggior gruppo editoriale italiano, Mondadori, e dunque al suo proprietario, presidente del consiglio. Ancora una volta i suoi interessi dettano legge.” Ecco, allora, che mettere tali questioni al centro del dibattito, farne pietre di scandalo, sarebbe cominciare a rimettere al centro la politica.”
certo, un bel dibattito in tv con intellettuali di maggior peso, con magari belpietro o chi volete a chiedere a quegli intellettuali: ma allora voi perchè pubblicate per mondadori (o per einaudi)? se siete coerenti dovreste andarvene via, invece continuate a sputare nel piatto in cui mangiate. e avrebbero ragione. e la “gggente” lo capirebbe.” anche perchè gli intellettuali non potrebbero che rispondere lodando quanto mondadori paga puntualmente, abbia bravi editori, non li abbia mai censurati ecc: insomma lodando mondadori – cioè chi?
ps sto ancora aspettando che, rapporto benefici/costi alla mano, mi si dica i risultati di questa “lotta dall’interno”.
@lorenzo galbiati
oh santo cielo, adesso escludi anche Il foglio che è un giornale di una certa qualità anche se di destra.
Ma lorenzo dimmi quali sono i giornali su cui sarebbe lecito scrivere ?
C’è chi sostiene che Il foglio non si dovrebbe nemmeno leggere.
Ma allora, che si fa, ci chiudiamo nel nostro bel recinto ritenendoci gli unici particolarmente colti, eticamente a posto e di sinistra? E quel che è peggio tutti gli altri oggettivamente e inconsapevoli quinte colonne del potere berlusconiano?
@robertobugliani
La politica (e tutto il resto, fin nelle midolla) è influenzata dagli States.
Così si fa un bel post su Sakineh e non uno su Teresa Lewis.
Così si fanno post chilometrici sul nano di arcore e non si toccano tutte le manovre che ci hanno portato fino a lui.
Non sono antiamericano,, adoro la letteratura americana, amo buona parte della musica americana.
Ma questo non mi impedisce di vedere che se c’è un nemico dell’umanità in questo periodo storico, non è l’Iran.
Valter, hai ragione, non è un campo abbastanza indagato quello, sarebbe interessante saperne di più.
Lorenzo, non ci sono spunti nuovi nel merito, anzi nel merito tiro i fili della discussione che abbiamo svolto qui nel tempo. Tentavo piuttosto di svolgere un “meta-discorso” diciamo, di individuare la natura delle discussioni svolte e di quelle non svolte, di individuare appunto un minimo comun denominatore. Non mi interessa dunque rientrare nel merito, perché ci siamo già chiariti abbastanza le rispettive posizioni. Mi interessava piuttosto, a partire da qui, di avanzare di un passo, per uscire dall’impasse. Che è un’impasse immanente alla questione, peraltro, alla sua natura: e in questo mi sento di sottoscrivere il commento di Nevio. Ma, come dice lui, questo dubbio non può essere taciuto, ma nemmeno “superato”: questo significa che siamo in presenza di una situazione letteralmente “tragica” (come scrivevo nell’articolo) e non ci possono essere certezza definitorie e scelte nette di campo che siano efficaci armi politiche, di ricostruzione di una politica che non c’è.
@Ansuini
Difficile per me dare cifre. Io ho pubblicato un’antologia letteraria per la scuola media qualche anno fa (MursiaScuola, in realtà marchio Mondadori) ma dai guadagni (buoni) che ne ho tratto in dieci anni mi sono fatto un’idea solo vaga di quello che può essere il volume d’affari. Fai conto che con un libro di testo che va mediamente bene si guadagnano anche duecentomila euro in dieci anni. Hai idea di quanti romanzi dovrebbe vendere uno per guadagnare una cifra così?
Il problema è che gli editori si sono parati ben bene il culo e hanno resa non solo obbligatoria l’adozione di un testo per ogni materia, ma anche la conferma del testo per l’intero ciclo (biennio o triennio che sia) cioè vietando il cambiamento dopo un solo anno.
L’e book renderebbe non solo meno costoso il testo, ma anche molto più semplice il copia incolla e la riscrittura di materiali per un testo “personalizzato”
La domanda è: cosa ti succede legalmente se lo fai?