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Il fascismo al Premio Strega

di Giacomo Sartori

Canale Mussolini di Antonio Pennacchi, che come è noto ha vinto il Premio Strega, e che è venuto in spiaggia con noi, è la saga di una famiglia contadina originaria del Polesine. Una famiglia fascista. Proprio per i meriti acquisiti in una mortifera azione squadrista, i Peruzzi (si chiamano così) vengono ricompensati con due poderi nella fascistissima bonifica agraria dell’Agro Pontino: di punto in bianco i mezzadri padani si trovano catapultati nel “deserto” pontino, tra i “marocchini”. E fascisti lo resteranno fino alla fine, quando si daranno da fare per contrastare lo sbarco inglese a Anzio, in attesa dei rinforzi nazisti.

Tutti i familiari, ed è questa la principale forza del romanzo, sono veraci e diretti: ciascuno incarna a modo suo una comune istrionica vitalità (molto veneta). Si esprimono rigorosamente in dialetto, un dialetto “veneto-pontino” colorito e efficace, iconoclasta e comico. Un dialetto fagocitante e pervasivo che è una lettura in chiave epica della realtà, un subdolo grandangolo linguistico che fa apparire Mussolini un uomo decisamente simpatico, anche se un po’ burbero e umorale (e impenitente donnaiolo), che ci presenta un Adolf Hitler bonaccione, che trasforma le malefatte delle squadracce fasciste in giuste e goliardiche scampagnate, e i massacri coloniali come tragicomici (fumettistici) corpo a corpo. Visti attraverso quella terragna e dissacrante lente tutti i fascisti sono persone, seppure con i loro difetti, molto umane. Nella vicenda di Canale Mussolini non ci sono fascisti malvagi, non c’è il Male, per il semplice motivo che per la filosofia veicolata da quella lingua contadina e ancestrale, pre-morale, gli uomini sono per definizione anche cattivi, come lo sono anche le bestie, il cui rango, come in tutte le civiltà agricole, non è poi così inferiore a quello umano.

La voce narrante che ci racconta la vicenda, intrattenendoci con continue e un po’ pedanti spiegazioni e digressioni, che spaziano dall’agronomia alla storia (dando per scontato, e probabilmente non a torto, che l’interlocutore contemporaneo abbia completamente scordato il mondo contadino che in otto casi su dieci era quello dei suoi nonni, e abbia completamente rimosso il Ventennio), non è però tenera nei confronti del fascismo. Nei suoi didascalici chiarimenti cita in particolare il delitto Matteotti (anche se l’assassinio sembra essere causato dall’ostinata reazione della vittima, più che a una volontà omicida), le violenze delle squadre fasciste (pur interpretate come una obbligata risposta), l’uso dei gas letali in Africa (senza nessuna scusante, in questo caso), l’emanazione delle leggi razziali e i loro effetti (pur sottolineando il contributo dato da tante personalità ebree al fascismo), e soprattutto le irresponsabilità e leggerezze che hanno portato alla disfatta militare, al 25 luglio, e alla successiva guerra civile. Anche se indulgono alla assolutoria vulgata della nefasta alleanza con la Germania come causa di tutti i mali, anche se spesso facilone, queste precisazioni fanno sì che Canale Mussolini non possa essere tacciato di apologia del fascismo. Sembrerebbe anzi che Pennacchi, servendosi del suo professorale io narrante (nelle ultime pagine si scopre chi è davvero), abbia fatto molta attenzione a non mostrarsi mai indulgente nei confronti delle colpe del fascismo, parandosi il fianco ogni qualvolta potrebbero sorgere sospetti di connivenza. Quando proprio i protagonisti la combinano troppo grossa, o si intestardiscono a sostenere l’insostenibile, la voce narrante (e Pennacchi), se la cava prendendo le distanze, vale a dire specificando che quelle idee e quelle frasi fascisteggianti sono le loro, quella raccontata è la loro verità (“la verità dei Peruzzi”), non la verità assoluta.

Protetti dallo sguardo sempre benevolo di chi racconta, immancabilmente pronto a trovare giustificazioni e scusanti, di ordine sociologico (la povertà, il ruolo di reietti) o altro, i personaggi sono liberi di comportarsi come vogliono, non sono chiamati a rispondere delle loro azioni, non hanno alcuna colpa. Sono solo vittime. E mano a mano che il tempo passa, e diventa più difficile, per la logica democratica del narratore, che è anche la nostra, di avallarli, di considerarli solo delle pedine della storia, la frase liberatoria “Ognuno gà le so razon” diventa sempre più frequente, fino a diventare, come ha già sottolineato Cordelli, un ritornello. “Ognuno gà le so razon” può giustificare tutto, dagli eccidi dei partigiani allo sterminio degli etiopi e degli ebrei. Il dilemma della banalità del male trova finalmente una soluzione: nel buon senso veneto.

Canale Mussolini ci descrive insomma il fascismo dall’interno (come già per esempio il notevole A cercare la bella morte di Carlo Mazzantini), e lo fa servendosi dell’arma più potente, la lingua, ma  nello stesso tempo prende le distanze, collocando la vicenda nel quadro di una visione storica che si vuole oggettiva. A ben guardare non è così. La retorica delle gesta della famiglia Peruzzi, a cominciare dall’enfasi data alla giovinezza, al ruolo ambivalente della donna (fornello/bordello), alla forza fisica, alle imprese muscolari, al vitalismo guerriero, alla procreazione, alla “efficienza fascista”, è la tipica retorica, checché ne speculi il filtro della voce narrante, del fascismo. Ma soprattutto sono abilmente sottaciuti tutti i correlati aspetti negativi, tutte le implicazioni sul piano famigliare e personale, le conseguenze implicite, i traumi, le sofferenze, le miserie affettive, la violenza, l’irridimibile immaturità, che si celano dietro quei miti energici e apparentemente innocui e ariosi. Chiunque provenga come il sottoscritto da una famiglia fascista (anche nel mio caso erano persone oneste e integre e coraggiose, e perfino miti, anche nella mia famiglia circolano esilaranti aneddoti riguardanti la pace e la guerra), e abbia intrapreso un arduo percorso di maturazione e di emancipazione, sa di cosa parlo. Pennacchi bada invece, a scapito della verosimiglianza, a non gettare alcuna ombra sui suoi personaggi, a non metterli in contraddizione con la sensibilità del lettore attuale (si potrebbero fare molti esempi). Di qui l’impressione di fatuità, di mancanza di profondità, di stilizzazione fumettistica, di non completamente innocente idealizzazione, che, a dispetto di tanti aspetti positivi, finisce per costituirne a mio avviso la sua cifra ultima.

Canale Mussolini ci mostra una sola faccia della medaglia. Non sovverte, come lo sanno fare i grandi romanzi, le mitologie convenzionali e le visioni precostituite. A differenza dei grandi romanzi, mente. Non credo che sia un caso. La visione spensierata e deresponsabilizzante che ci presenta è in perfetta sintonia con la mancata presa di coscienza delle implicazioni storiche o anche semplicemente umane, e degli effetti anche a lunga distanza, con la mancata ricerca di antidoti e rimedi (se non altro sul piano simbolico), con la subito abortita indagine delle responsabilità, che caratterizzano la storia italiana recente. La ricezione del libro, unanimemente e diamantinamente acritica, e succube dall’ammaliante ma grossolana retorica del testo, travestita da epopea, ne è una riprova. Solo Cordelli ha espresso le sue pesanti perplessità. A differenza della Germania, che ci si è messa soprattutto a partire dagli anni ’70, l’Italia non ha ancora fatto i conti con il fascismo, e questo romanzo – lasciando stare l’attuale situazione politica – ne è la prova lampante e irrefutabile. Non è il romanzo della pacificazione. Non ancora.

[questo testo è stato pubblicato su “Alias” del 18 settembre 2010]

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52 Commenti

  1. Ma com’è che si vince il premio Strega con questo lobro dallo stile un po’ datato ?.. lo Strega stà invecchiando?.. rincoglionendo?

  2. E’ la prima vera recensione che leggo di questo libro. I precedenti che conosco sono i soliti testi generalisti-veline spacciati per recensioni.

  3. al di là delle tesi esposte nel libro
    questa è vera, autentica critica, di cui si sente il bisogno in questo paese. Sono pochi i critici in questo paese che hanno il coraggio di stroncare gli autori consacrati; c’e’ come una sorta di tacita omertà, per cui al massimo non si parla di un libro, ma mai se ne parla male.
    Salvo poi tutti quanti a divertirsi a parlare male di saviano (invidia?) come se questo paese fosse popolato da capolavori della letteratura mondiale

  4. Sono uno di quelli che si permettere di ledere la maestà di Saviano, di evidenziare le contraddizioni e le bugie di cui sono pieni il suo romanzo, i suoi articoli e le sue omelie televisive. Mai sofferto di invidia in vita mia. Neanche di PIAGGERIA…

  5. OT Per Larry Massino Saviano pare essere quello che per altri è Berlusconi. Non invidia, ma incubo, ossessione. E se tornassimo subito, prima di degenerare, a parlare di Sartori-Pennacchi?

  6. @harzie, l’ossessione non è la mia, ma comprendo il rimprovero. Temo che Pennacchi sia uno dei tanti narratori funzionali a ‘O sistema, non a caso insignito di sfregio Strega. Ieri sera vedevo in tv il film di Luchetti tratto dal ” fasciocomunista “: semplicemente vergognoso nel descrivere come praticamente folli e fuori dall’ordine sociale gli estremisti degli anni ’70, i fascisti apparentemente peggio dei comunisti, ma in definitiva stessa marmaglia, anzi,il comunista operaio sindacalizzato e in lotta per i diritti dei lavoratori, finisce terrorista e ” giustamente ” ammazzato dalla polizia in un conflitto a fuoco. Il romanzo è probabilmente altra cosa, so che Pennacchi ha polemizzato duramente con il regista, ma il fatto che di fatto fornisca i contenuti a simili narrazioni cinematografiche farebbe immaginare origini brutte e ….. ma direste che sono dietrologico e complottista: meglio che mi sto zitto.

  7. Eh, sì, giù da me, mi hai sgamato.
    Dunque, sono a) contento di scoprire il Sartori recensore; b) d’accordo sul fatto che sia una recensione buona e significativa; c) curioso di conoscere l’opinione in merito di un certo commentatore abituale, che spero intervenga.

  8. Breack on through (to the other side).

    Non è il romanzo della pacificazione, dice Sartori. E aggiunge: “Non ancora.”
    Il che mi fa pensare che sia proprio quello che lui sta cercando nei libri che trattano lo spinoso argomento del ventennio fascista.
    Scrive sempre Sartori che in Canale Mussolini “tutti i fascisti sono persone, seppure con i loro difetti, molto umane.” Questo evidentemente non può essere. I fascisti evidentemente erano subumani. Il Male incarnato. La filosofia del libro che Sartori in effetti coglie qualche riga più avanti per cui “gli uomini sono per definizione anche[grassetto mio N.d.Z.] cattivi” è contadina e ancestrale, addirittura pre-morale.
    Tralasciando il fatto che la forza dirompente di questo romanzo è proprio questa dualità male/bene dell’individuo per cui persone a cui vengono ascritte azioni abiette (l’omicidio di don Minzoni, le squadracce, gli eccidi in Africa, ecc. ecc.) risultano invero umane e financo simpatiche il punto che mi interessa focalizzare è un altro.
    Dice Sartori che anche lui discende da famiglia fascista e che a prezzo di tante lotte (anche psicologiche interne immagino) è riuscito ad emanciparsi dal suo passato e dalla sua tradizione.
    Però – mi corre l’obbligo di far notare a Sartori e a tutti quelli che dell’antifascismo fanno bandiera e rimozione di un peccato originale che tutti ci portiamo sulle spalle – da un punto di vista strettamente psicologico questo non è l’atteggiamento della maturità quanto quello dell’adolescenza. A vent’anni dicevo infatti a mio padre “tu non ci capisci un cazzo adesso te lo spiego io come va il mondo e dove vi siete sbagliati”; adesso però che i miei quaranta sono passati de un pezzo e sono padre anch’io sono in grado di riaccostarmi al mio passato (e a quello di mio padre e di mio nonno) con sguardo maturo e capire le ragioni loro.
    Crescere non è facile. A volte si corre nella direzione sbagliata.
    La pacificazione che cerca, signor Sartori, la deve prima trovare dentro sé stesso.
    Questo romanzo ha senza dubbio contribuito a scardinarle qualche certezza. Lo rilegga con calma e vedrà che le darà qualche chiave per aprire delle porte. Le varchi.
    E faccia pace con quello che trova dall’altra parte.

  9. caro harzie, grazie, ma non sarò mai un recensore:
    a) per questioni diciamo così contingenti (sono troppo stupido, o comunque non sono dotato: mi ci vuole troppo tempo);
    b) perchè faccio un altro lavoro, e credo che la critica debbano farla i critici, visto che è invece, o appunto dovrebbe essere (vedi il caso presente), il loro mestiere;
    c) più importante: perchè, considero gli altri scrittori dei colleghi, non degli oggetti di studio; colleghi che hanno gli stessi miei problemi linguistici e “di contenuto”; come dire, non mi interessa affatto giudicarli (e del resto so benissimo quello che valgono e quello che non valgono, lo capisco, non vorrei sembrare presuntuoso, in 10 linee); mi interessa vedere “come se la cavano loro”; perchè vedo una fratellanza – l’ho già detto in altre occasioni – che non sento per altri scrittori stranieri magari ben più grandi; sono fermamente convinto che, a dispetto della mondializzazione e del carattere intrinsecamente internazionale del romanzo, da sempre, la realtà della scrittura sia ancora questa: i problemi che ci si trova davanti sono identici; e l’empatia naturalmente vale in particolar modo per quegli scrittori che toccano i registri e/o i temi ai quali sono più sensibile, ed è in qualche modo indipendentemente dal valore/riuscita dei testi (sono assolutamente convinto che si impara, o almeno a me succede così, anche dai cattivi scrittori: si imparano gli errori da evitare);

    questo pezzo è nato quindi, più che da una volontà di giudicare il romanzo di Pennacchi, da una profonda indignazione; indignazione non tanto suscitata dal testo, perchè ciascuno è libero in fondo di avere il rapporto che vuole con il fascismo, e anche di non averlo digerito; indignazione suscitata dal fatto che nessun critico, e nessun lettore, nessun gruppo di lettura, nessun libraio … (mi scuso se mi sbaglio), ad eccezione di Cordelli, sia insorto, e abbia provato a smontare la retorica del libro;
    ma per carità, “Canale Mussolini” di per sè ha anche delle qualità, e si legge volentieri;

  10. Ho trovato parzialmente conforto allo sconforto avuto dopo la lettura di Canale Mussolini.
    Ritengo l’operazione di Pennacchi affatto innocente e molto più pericolosa di qualsivoglia revisionismo storico operato negli utimi decenni.
    Al lettore rimane una sensazione di simpatia e comprensione inquietante. Con “Ognuno gà le so razon” ha giustificato ogni abominio senza dover renderne il conto .

  11. rinnovo il mio modesto apprezzamento per la recensione per il coraggio e l’onesta’ intellettuale dello scrittore nei confronti di un’altro scrittore.

    rispetto l’opinione di chi non vuole giudicare persone che fanno l ostesso mestiere di scrittore ( a ognuno il suo mestiere)

    mi permetto di dissentire sulla giustificazione:
    “””…perchè vedo una fratellanza – l’ho già detto in altre occasioni – che non sento per altri scrittori stranieri….”

    mi sembra un’affermazione non so come definirla, se omertosa provinciale e un po’ demoscristiana

    Sono sicuro che anche in questo paese, nella prossima generazione di scrittori “che scriveranno in lungua italiana” molti saranno stranieri.
    Cosa’ fara’ sartori? chiedera il passaporto?

    l’unica discrimante che puo’ esistere è quella che passa per la qualità della scrittura.
    E guarda caso i piu’ grandi scrittori non hanno mai mancato di essere feroci nei confronti dei loro connazionali quando cio’ era necessario.
    Per esempio bolano, che non ha nessuna difficoltà a definire grande Manganelli e scribacchina la allende (sua connazionale).
    “””E c’e’ anche, naturalmente, il tentativo di scrivere un romanzo-fiume di 150 pagine, così come voleva Giorgio manganelli, uno dei grandi scrittori del XX secolo e che pochi hanno letto.

    “”””””
    estinguere quella specie di monarchia chiamata letteratura nazionale. Resto eliotiano (sebbene di un Eliot illuminato e tradotto da Seferis, un poeta-chiave per me): «Il sentimento dell’arte è impersonale». E resto gombrowicziano: nel suo Diario, scritto quasi tutto durante il suo esilio in Argentina tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, affermava che la cultura polacca doveva, per emanciparsi dalla sua «polacchità», abbandonare ogni culto nazionale. Borges, non proprio un poeta e scrittore amato da Gombrowicz, nella stessa epoca pronunciava una conferenza intitolata Lo scrittore argentino e la tradizione nella quale si domandava: «Qual è la tradizione argentina? […] Credo che la nostra tradizione sia l’intera cultura occidentale». Queste parole furono pronunciate nel 1953. Più di cinquant’anni dopo, nel nostro mondo che si vuole così emancipato e «multiculturale», non hanno forse assunto un significato ancora maggiore? [massimo rizzante qui su NI]
    https://www.nazioneindiana.com/2010/09/10/scuola-di-calore-ii/#comment-140350

  12. Hai scritto un’ottima recensione. Quanto alle perplessità sul fatto che Pennacchi potesse scrivere un romanzo di pacificazione – e non l’ha fatto – credo siano condivisibili. Forse in questo Pennacchi ha ingannato un po’ l’Italia. Tutti i suoi concittadini sanno che è un ex sindacalista della Fulgorcavi, di grande cultura personale, certo, ma anche di grande ingegno, fumettistico, istrionico… insomma, quasi un ‘personaggio’. Ricordo un convegno in Archivio di Stato, professoroni di qua e di là, era appena finito un intervento di un ordinario di storia contemporanea ed inizia il suo, con le seguenti parole: “Certo che a Latina gli fosse venuto in mente a qualcuno di conservare una cazzo di foto degli anni 50”. Pennacchi è questo. Irriverenza, sregolatezza e uno a cui credo non importi un fico secco di pacificarsi con chicchessia. Così, scusate la testimonianza.

  13. Un lume sacro ci risparmia innumerevoli libri compresi quelli della Allende e ci evita agevolmente “Canale Mussolini” eppure, anche quando non leggiamo, afferriamo o subodoriamo qualcosa e scorrettamente ci facciamo un’idea.
    In fondo al pensiero di Pennacchi sento un nodo durissimo da sciogliere ed è questo: ogni insetto, ogni cane, ogni uomo, tutti hanno la pretesa vivere. Pennacchi capisce tale istinto o sentimento e, almeno per quanto riguarda l’uomo, tenta di assecondare la pretesa. L’uomo avrebbe dunque anche il diritto di prendersi lo spazio che gli serve per campare dignitosamente. Come riuscirà nella sua impresa dipende dalle circostanze e dal carattere, ma forse è secondario.
    Peccato però che non abbiamo altre paludi da prosciugare e che la gran parte degli insetti non arriverà comunque a dicembre.
    Non so se quello di Pennacchi sia umanesimo, pietismo cristiano o forse democraticismo, in tutti i casi non mi sembra uno strumento indispensabile.
    Sarà pure naturale la coazione maledettissima a stare al mondo, ma forse proprio per questo motivo il problema di oggi sembra essere piuttosto quello di non incentivare con troppo entusiasmo lo slancio.

  14. A me sembra una critica superficiale e contraddittoria. Forse la “lettura in spiaggia” non ha giovato. Mi riservo di rispondere in maniera più articolata.

    Trovo molto inquietante l’operazione (commerciale) de Il Manifesto e delle sue riviste collegate. Si dà del ‘venduto’ – a Saviano – e del ‘fascista’ – a Pennacchi – solo per colpire bersagli grossi, in vista. Magari pure Mondadori. La tattica è famosa: quella del sospetto. La usava anche l’Ovra, se può farvi piacere. Ci si domanda tutto, tranne il perché della stroncatura di Canale Mussolini da parte di F. Cordelli – che pubblica sul Corriere della Sera, della Rizzoli – in concomitanza con il premio Strega che è stato tolto di mano alla Avallone (Acciaio, Rizzoli).

  15. opera minore, paragonabile a Roma città aperta di Rossellini, dove la sintassi vacilla e i chiaroscuri restano come in una canzone di de Gregori (il cuoco di Salò?)

  16. @ Thomas: la lettura in spiaggia era una battuta (= si vedevano molti Pennacchi sotto gli ombrelloni, così come in treno …); quindi le ragioni della supposta superficialità vanno cercate altrove; forse nel mio segno zodiacale?;

    operazione commerciale del Manifesto? e lo hai letto il pezzo di Cordelli (anche senza sapere niente di lui), ti sembra che la tua teoria possa tenere un millesimo di secondo?

    @ Carmelo: forse mi sono espresso male, forse “fratellanza” è eccessivo, e certo andrebbe riservato agli scrittori che in qualche modo ammiro;
    (ma ti prego, democristiani saranno tua sorella e i tuoi fratellini; accusami di tutto, compreso l’assasinio di vecchiette, ma non di quello)

    il fatto è che la lingua (nel nostro caso quella italiana; e poco importa se a utilizzarla sono degli immigrati, che per quanto mi riguarda, tanto più avendo io sempre fatto l’immigrato in altri paesi, sono italiani a parte intera) e la cultura (nel nostro caso italiana; e nella cultura è compresa anche per esempio la mancata presa di distanza del fascismo della nostra società) creano dei legami fortissimi; come dire, nolenti o volenti si fa parte della stessa famiglia, con gli stessi tic, le stesse rimozioni, le stesse meschinità, la stessa possibilità di utilizzare la tale parola o la tal altra, la stessa paletta di registri…;
    i fratelli li si può odiare, e se non si ha nessuna nozione di psicanalisi si può pensare che il nostro odio (tu parli di ferocia) sia mancanza di legame, e invece rimangono pur sempre nostri fratelli, perchè l’odio e la ferocia e l’amore sono pur sempre legame (e dipendenza);

    naturalmente poi ogni scrittore ce ne viene fuori più o meno bene, da questo invischiamento nazionale (= leggi lingua e cultura); e naturalmente c’è il piacere immenso di leggere Bolano e Peixoto altri autori delle altre lingue, di esserne influenzati;

    però Pennacchi ha potuto scrivere questo romanzo perchè l’Italia non ha fatto i conti col fascismo, altrimenti non potrebbe dire quelle cose utilizzando quella lingua (e quei sotterfugi); e il problema è che anch’io scrivo, nell’ambito di quella stessa cultura, utilizzando quella stessa lingua omertosa che si porta dietro le tracce della mancata “chiusura” del fascismo; per questo, ferocia o non ferocia, ci sono delle oggettive prossimità;

  17. @sartori
    la ferocia di cui parlavo nasce dall’amore, un’amore che fa i conti con le proprie radici, quelle della stessa famiglia, con gli stessi tic, le stesse rimozioni, le stesse meschinità, la stessa possibilità di utilizzare la tale parola o la tal altra, la stessa paletta di registri

    e come pensi di poter fare i conti con la nostra storia, con il fascismo se ti rassegni in questo modo disarmante:

    come dire, nolenti o volenti si fa parte della stessa famiglia, con gli stessi tic, le stesse rimozioni, le stesse meschinità, la stessa possibilità di utilizzare la tale parola o la tal altra, la stessa paletta di registri…;

    ma perchè dici questo ? perchè ti condanni alla cecità

    il tuo punto di vista non sarà democristiano (scusami se ti sei sentito offeso) ma è un punto di vista sfocato e ricorda molto l’autarchia, la chiusura cui ci aveva costretto il fascismo

    in “un cuore cosi bianco” (einaudi), alla fine del libro viene riportato un discorso pronunciato da Javier Marias a Dortmund nel 1997; voglio citare solo la parte finale

    La letteratura è anche una forma di pensiero, e una delle principali, e non credo che il mondo vi possa rinunciare, soprattutto perchè questo pensare letterario sotto forma di narrazioni o storie o versi o dialoghi o monologhi ci accompagna da troppi secoli. Ci sono cose che conosciamo solo perché ce le ha mostrate la letteratura, o ci ha consentito di prenderne coscienza e di riconoscerle. Ci sono saperi e intuizioni impossibili da esprimere o che non si manifestano in un linguaggio esclusivamente razionale: né tecnico, né filosofico, né economico, né religioso, né scientifico, né ovviamente politico, e tantomeno psicologico.
    Esiste un’enorme zona d’ombra in cui solo la letteratura e le arti in genere possono penetrare; di certo, come disse il mio maestro Juan Benet, non per illuminarla o rischiararla, ma per percepirne l’immensità e la complessità: è come accendere una debole fiammella che perlomeno ci consenta di vedere che quella zona è lì, e di non dimenticarlo. La letteratura ci permette di comprendere un pò meglio noi stessi e il mondo, che finiscono comunque per coincidere……….

    I tedeschi di domani avranno il privilegio di continuare a leggere il Quijote nella lingua tedesca di domani e non in una arcaica; noi spagnoli avremo quello di continuare a leggere La metamorfosi o La montagna incantata nello spagnolo che ci appartiene e non in uno arcaico. Onorare e premiare un autore straniero presuppone un atto di generosità, certamente, ma anche di vera comprensione del fatto leterario, e del suo mistero.”

  18. @ zaphod (non avevo visto il suo commento)

    il problema è che i personaggi di Pennacchi (compresi i personaggi storici, compreso Mussolini) non sono mai abietti; se uccidono un prete, in particolare, è per errore, perchè il prete reagisce inconsultamente (stesso artificio utilizzato per riportare il delitto Matteotti); l’abiezione non è mai mostrata, è solo suggerita come contesto storico (ma appunto non appare mai nella vicenda raccontata);

    nell’alternativa showing/telling, dire l’abiezione invece di mostrarla (da parte di uno scrittore che sa mostrare così bene), è un modo di depotenziarla, di minimizzarla; una connivenza;

    e proprio questa “la falsità” che rimprovero allo scrittore, il nascondere accuratamente l’abiezione; se questi fascisti fossero anche un po’ abbietti, non dico solo abietti (ma ammetterà, per massacrare un prete a randellate un po’ abbietti bisogna esserlo, anche se Pennacchi ha la capacità di evacuare dalla scena qualsiasi abiezione), se questa abiezione fosse MOSTRATA, tutto rientrerebbe nell’ordine;

    il peccato originale, come lo chiama lei, prima di poterlo archiviare (cosa assolutamente auspicabile, sono d’accordo con lei), bisogna pure che venga ammesso, non trova? trova davvero adolescenziale pretendere che si ammettano le colpe?

    purtroppo, è questo il dramma, la pacificazione non può essere un fatto personale (per quanto mi riguarda sono completamente pacificato, stia tranquillo); ha bisogno di ammissioni, di presa di distanze, di pentimento, di condanne, di richiesta di scuse, di concessione di perdono, di cerimonie e simboli che suggellino questo difficile percorso; tutto un lavoro che l’Italia non ha fatto; e se ne vedono i risultati;

  19. ….e se ne vedono i risultati… ( da le ultime par
    ole di G.S.)
    AL DI FUORI DELLA SPECIFICA CRITICA LETTERARIA:
    Attualismo fantasma dell’Italia casereccia: piaghe retroattive puro lente che dicono: ” povero fascio,una lacrima non la si nega a nessuno”.
    Attention,please—ai ventenni au dehors dei letteratandi questi libri confondono il panorama,ai cinquantenni au dehors lo assecondano,ai novantenni lo avvelenano……E’ un campo pericoloso,minato.Sta a vedere che.chissà, qualcuno racconterà che i partigiani sono stati bravi in quanto allevati con i metodi vitalistici delle gioventu’fascista……
    Ma se non c’era il fascio,le parentele ignobili,i lager e la poetica dei fratelli Cervi ( including Gino Cervi e Fernandel ), i Peccati e le Vergogne di Canale 1,
    su cosa cavolo scriverebbero i nostri autori?
    …” senza PENNACCHI e galloni dorati
    ma sul berretto e scolpiti nel cuor
    porta la falce e il mart…….-……”
    MOLTO DISPLACED……….e grazie Sartori

  20. tesi: canale mussolini voleva essere il romanzo della pacificazione.
    antitesi: canale mussolini non spiega l’abiezione del fascismo, delle sue imprese e delle conseguenze.
    sintesi: canale mussolini è romanzo di parte, i suoi simpatici protagonisti non chiedono mai scusa, non chinano la testa, e offrono l’immagine vincente di fascisti fino alla fine, un po’ mascalzoni ma per niente mostruosi; canale mussolini non è riuscito ad essere romanzo della pacificazioni. che l’autore si rassegni, ha fallito. l’obbiettivo che sartori gli ha posto è stato mancato.

    pennacchi condanna sì il fascismo, le leggi razziali, la guerra, ma non abbastanza da chiedere scusa. non pacifica, assolve, piuttosto.

    la scrittura poi, è tutta tesa a spargere assoluzione sui peruzzi, è strumentale, un subdolo grandangolo linguistico che ammalia e distoglie. una merda furba e malevola, concepita per dire esattamente il contrario di quello che vorrebbe sartori.

    i fascisti, si sa, vengono da marte. con noialtri non c’entrano. essi sono mostri con 3 teste, animati solo da odio e violenza, ignoranti e rozzi. se ne faccia una ragione pennacchi; e la finisca di raccontarceli come noi, uomini.
    per loro, per capirli e riconoscerli, vanno usate le tinte mostruose; così, quando li vediamo, ci ricordiamo chi sono e mai più succederà che ci facciamo fregare dai primi due marziani che si presentano.

  21. @ cameriere: io non vorrei nulla, leggo il testo di Pennacchi e ci ragiono sopra;
    mi sembra solo che il romanzo di Pennacchi, e ho cercato di elucidarlo e provarlo, NASCONDA alcuni aspetti del fascismo; ho cercato di mostrarne, nel poco spazio che avevo (sarebbe stato più facile se avessi potuto fare più esempi…) i meccanismi retorici e stilistici utilizzati dall’autore per ottenere questo effetto; mi piacerebbe che si parlasse di questo, portando se necessario degli esempi o letture diverse che le mie affermazioni;
    e ho cercato di spiegare che vedo una corrispondenza tra l’atteggiamento di Pennacchi e “l’infantilismo” che caratterizza la cultura italiana (anche quella di tutti i giorni, non parlo del lavoro degli storici) nei confronti del fascismo; anche qui, mi piacerebbe discutere di questo;

    ma a quanto pare sono argomenti delicati, dove regnano pregiudizi che difficilmente le parole e le argomentazioni possono infrangere

  22. Sartori, ripeto, risponderò punto per punto a tempo debito. L’analisi rimane superficiale e denota una lettura ‘da spiaggia’, superficiale.

    Su Cordelli: pur conoscendo storia e scritti, i dubbi rimangono. Non c’è nessuno, a questo mondo, al di sopra di ogni sospetto. Neanche io, neanche lei.

    Su Il Manifesto: la strategia culturale è chiara. Sparare ad alzo zero su tutto ciò che non è conforme. A casa mia è fascismo anche questo.

    Lo spazio di un commento non credo basti per spiegare queste tesi. Le farò leggere un pensiero più articolato, non si preoccupi.

  23. Tanselle: per me va benissimo di essere tacciato di superficialità (ma non di democrastianità, questo no!), qualche volta lo sospetto io stesso;

    in attesa delle sue illuminazioni, vorrei però sapere come definisce allora le recensioni e i ragionamenti che sono stati dalla sua uscita fino ad ora su Canale Mussolini; deliri? vaneggiamenti?;
    o forse il suo metro di giudizio è invertito rispetto al mio?

  24. Ho visto Pennacchi al Festival della letteratura a Mantova (io ero lì per sentire Helena Janeczek, anzi parlate di questo libro per favore che merita secondo me più di Pennacchi!). In breve espongo qui per sommi e brevi capi le sue teorie in merito alla elaborazione del suo romanzo:
    1) non esiste bianco e il nero negli uomini. Sono tutti grigi e tutti risentono dell’ambiente e della formazione dove sono vissuti. L’esempio del mostro di Firenze è nel nome “mostro” per cui lui diventa il cattivo e noi tutti che lo chiamiamo così siamo buoni e ci giustifichiamo. Da questo la sua visione “neutra” sul fascismo nonostante sia “uomo di sinistra”.
    2) Il libro si intitola Canale Mussolini perchè quello è il nome del canale attorna la quale ruotano le storie della sua famigli e quindi non si vede perchè dargli un altro nome.
    3) Rifacendosi al punto 1 Pennacchi si fa carico della “pietas” nel descrivere i personaggi. Per la loro famiglia i fascisti erano quelli che gli avevano dato delle terre ed i cattivi erano ad esempio gli americani che sembravano voler invadere e conquistarle.
    4) Querelle Mondadori-scrittore: “Ma a me m’hanno rifiutato Feltrinelli e Rizzoli mentre invece Mondadori mi ha pubblicato ed ora dovrei sputare nel piatto dove mangio?”
    5) La mia è la storia della mia famiglia. Bene o male è quello che è stato. E dovevo scriverla per un tarlo interiore che dall’età di sette anni mi rodeva.
    Questo è quello che ricordo e che scrivo ora frettolosamente. Il tutto infarcito di battute in romanesco e di dotte citazioni (soprattutto di Croce).

  25. Seconda parte:
    Pennacchi concludeva infine dicendo che con lui il romanzo storico non è morto e chi pensava questo era un trombone!

    Le mie impressioni che mi piace condividere con Voi.
    Ecco sì il romanzo storico non è morto ma non vive grazie a Pennacchi ma ad altri autori come Janeczek, come Moresco, come Saviano, come Genna (per certi versi), ecc. Pennacchi ha raccontato la storia della sua famiglia, dal punto di vista della sua famiglia e quindi del tutto accondiscendente con la mentalià fascista dell’epoca. Condivisibile? Si No Forse ma del tutto lecito per lui scrivere. Quello che mi sembra esagerato è l’importanza data a questo romanzo dove forse ha avuto un ruolo dominante la forza pubblicitaria di Mondadori. non credo vada iscritto a teorie revisinioniste, lo sguardo è soggettivo perchè visto da un “piccolo” (nel senso di persona che non comanda gli eventi ma li subisce) che scrive quello che vede e che viene in parte contaminato dalla Storia con la esse maiuscola. Non è epopea è solo una delle tante storie, che alla fine Pennacchi in quell’incontro ci invita tutti a scrivere, la storia della nostra vita. Ma alla fine mi domando c’è un motivo, oltre alla capacità di scirttura, per cui certe storie prendono la S maiuscola ed altre no? Fin dai Promessi Sposi si partiva da una piccola storia per raccontare un mondo ed una realtà bene impressa nelle nostre menti ancora oggi. Pennacchi no, si accontenta di raccontare quello che si vede con lo spirito di non conoscenza di allora. Ed in questi ultimi ragionamento sta la mia critica all’autore: è la sua storia, non è la mia e neppure la nostra, al fianco di capitoli, per carità anche piacevoli, andavano inseriti contesti storici per definire meglio quello che succedeva intorno. Altrimenti sul serio i fascisti erano buoni e gli altri (resistenza ed amerincani) i cattivi. Non non è assolutamente il romanzo della pacificazione.

  26. Secondo me la conciliazione autentica ci può essere quando c’è la comprensione, ed essa presuppone una vsione non dissociata ma itegrale di un fenomeno storico.
    Sartori nel suo pezzo dà per scontato, ad esempio, che il fascismo sia superato come fenomeno storico: cosa che invece Pennacchi nega. Infatti , a ben guardare, il romanzo di Pennacchi è una profonda disamina del presente, e se utilizza, anche in maniera emblematica, il genere epico, si presenta come un libro sulla contemporaneità dell’italia berlusconiana.
    E, questo, paradossalmente, proprio scrivendo per Mondadori. Usando una sottitle metafora: “Ve l’ha messo in culo a tutti”. Per Primo a chi lo usa, ora, come un esempio di laudatio mussoliniana.

    Ps. Stessa critica si fece su “La chiave a stella” di Primo Levi. Dissero: come si permette questo di parlare bene del lavoro degli operai senza dire che è alienato? non è comunista! Insomma, allora è un po’ fascio. O almeno un po’ confindustriale!! E che cazzo, non si fa!!!

    pps. Spero che quel commento che parla male di Roma città aperta stesse scherzando.

  27. Ho letto il libro e seguito due interviste fiume a Pennacchi (Repubblica TV, e RAI 1). Pennacchi difende tutto e tutti perché in ogni uomo c’è il bene e il male. Difende/mitologizza la grande impresa della bonifica della palude pontina e la grande impresa della costruzione del ponte sullo stretto, perché c’erano le zanzare e la malaria, perché il fascismo ha tolto la terra ai ricchi per darla ai poveri, perché dobbiamo dimostrare di saper compiere grandi imprese (il superponte) e allora ce ne chiederanno altre.
    Ricordato di essere stato operaio e sindacalista, per un attimo tenta di difendere alcuni operai in sciopero, ma si ferma prima di fare i nomi delle fabbriche e torna a difendere e salvare giustificare tutta l’umanità, e la disumanità.
    Forse anche noi verso la fine dei nostri giorni conosceremo quest’aria di pacificazione, ma oggi questo libro e queste interviste non aiutano altri che il padrone, e il rischio concreto è quello di scivolare verso il pansismo (da G.Pansa).

  28. non sta scritto da nessuna parte che tu, LUCIO, debba sapere tutto di pennacchi.
    ti correggo su una cosa:
    pennacchi fa nomi e cognomi delle fabbriche.
    per esempio, la nexans l’ha nominata ovunque, anche alla premiazione allo strega, premio appunto dedicato agli ex comopagni di fabbrica e alla nipote appena nata.

  29. Cameriè, lasciamoli stare a questi. pensano che siamo con la sveglia al naso.
    Nemmeno sanno cosa sia la psicoanalisi, e parlano…

  30. A: Canale Mussolini non mi è sembrato proprio un libro sul presente; neanche indirettamente; avrò perso qualcosa…;

    che il fascismo sia superato o meno, per usare il tuo linguaggio, lo lascerei dire agli storici; quello che so io, per quello che ho imparato del fascismo dai testimoni diretti – io che non sono uno storico e nemmeno un intellettuale – e beninteso anche dai libri, la visione di Pennacchi è profondamente tendenziosa, alias falsa;
    il problema è: si può fare un buon romanzo su queste basi?; non dico distorta, non dico parziale, non dico partigiana, non dico sbagliata (l’esempio appunto di Mazzantini, che ha scritto, da fascista non pentito, un bellissimo romanzo), ma “colpevolmente falsa”; io non credo; i romanzi non dicono la verità, lo sappiamo, e anzi mentono sempre; ma come dire, non dicono nemmeno le bugie; raccontano la vita nella sua complessità e contradditorietà, non cercano di nascondere a tutti costi qualcosa, come raccogliendo la polvere sotto il tappeto; perchè il lettore accorto se ne accorge;

  31. “Colpevolmente falsa”, è un giudizio pesante. Lo dicesse almeno uno storico, capirei.
    Basta così, comunque, abbiamo capito che tutto quel pezzo mirava soltanto a esplicitare un pregiudizio.

    Ps. Per usare il suo linguaggio, lo dice a qualcun altro. Non vedo nessun Gadda, qui nei paraggi.

  32. @ A: naturalmente se faccio un’affermazione, soprattutto se pesante, me ne prendo le responsabilità;
    quest’affermazione la faccio io, che non sono nessuno, ripeto, per l’indignazione che non lo abbia fatto, Cordelli escluso, nessun altro;

    un giudizio, a differenza di un pregiudizio, è argomentato, e in questo caso aperto, vista la possibilità appunto di commentare, alle eventuali smentite; ma appunto argomentate; e basate sul testo

  33. Forse non lo sa, ma tra i commentatori ci potrebbe essere chi il testo lo conosce molto bene. E anche il contesto. E persino il pretesto.
    Non si deve avere fretta, tuttavia, di avere una risposta argomentata. C’è tempo. La fretta è nemica del critico. Talvolta meno dello scrittore, ma questo è un altro problema.
    Comunque anche un pregiudizio può essere argomentato, anzi lo è sempre. (E non sto parlando soltanto di ideologia. O forse sì.)

    Dio ci guardi dai nazindiani :)

  34. @ A:visto che lei sembra essere così informato, mi piacerebbe che mettesse giù qualche carta, che forse chiarirebbe un po’ il suo discorso, e ci porterebbe un po’ di luce (non sono ironico);

    la prego di credere, se non si è capito, che quello che mi interessa non è certo stroncare, perchè appunto non è il mio mestiere (e nemmeno, e sempre meno con l’età, fa parte della mia indole; lasciamolo fare al commentatore Carmelo, con le sue giovanili sicurezze);
    mi interessa piuttosto vedere – nel contesto della narrativa italiana, nel quale “mi muovo” anch’io, e nella fattispecie in quella che ha che fare con il fascismo, al quale ho dedicato io stesso in passato un romanzo, e poi un altro che uscirà a gennaio – come un testo nasce, e come può portarsi dietro dei clichè della “cultura dominante”, o comunque pur sempre dei clichè di varia natura, anche se non propriamente dominanti;
    io credo che moltissima narrativa italiana sia inficiata dai luoghi comuni di una nostra cultura molto asfittica e conformista; cosa appunto evidentissima quando si toccano certi temi delicati, come per esempio il fascismo;
    nel caso di Pennacchi le cose stanno forse in modo un po’ diverso, visto il suo posizionamento “atipico”, e esplicitamente “trasversale”; ma appunto, vedo pur sempre in lui dei pesanti cliché, i quali secondo me si ritrovano nel (o si ripercuotono sul) testo, e in definitiva ne abbassano il valore; quindi la mia disanima, mi creda, vuole essere molto più “stilistica/linguistica”, che ideologica (ripeto: ho apprezzato dei romanzi scritti da fascisti puri e duri); per questo trovo poco appropriato che mi si appioppi l’accusa di avere dei pregiudizi (tra il resto non ho letto i libri precedenti dell’autore, quindi ero per così dire “vergine”)

  35. L’ho letto e non mi piace. In un documentario, parlando del rapporto fra la sua città e il Fascismo, un Pennacchi più giovane disse all’incirca, con fine metafora, che “anche i figli di mignotta vogliono conoscere la madre”. Il nodo è tutto qui, se si considera il microcosmo affatto singolare da cui viene l’autore e che lo ha formato e deformato. La recensione (attenta, onesta e fin troppo indulgente) ha il merito di porre in vista moduli retorici e frame discorsivi che rendono Canale Mussolini un fumettone largamente assolutorio, purtroppo tendente al farsesco. Si ride, sì, ma con un imbarazzo da complici o una fatuità da pubblico circense. Il rischio della farsa è implicito se mancano gli strumenti letterari e la distanza di sguardo per provarsi nell’ “epica corale”. E giù a far collezione di figurine piatte, burattini ammiccanti, e a ridurre crimini e ammazzamenti a questioncelle da dirimere ermeneuticamente con un vaffanculo. Ne derivano grossolanità e semplicismo. Altro che epica: è il familistico mito privato di una mai vissuta gioventù, che si pretende imporre su un piano universale.
    Ma è un’opera di fantasia, si dirà. Menomale. Che “ognuno gà le sò razon” è massima buona a funzionare solo in uno scannatoio anarchico o in un cosmo religioso dove è Dio a detenere le chiavi del senso (non è che Pennacchi è uno scrittore criptoreligioso?) E poi la lingua: il tanto decantato “parlato” dell’autore sembra piuttosto chiacchiera da osteria intensificata, priva di linfa, per non dire *petite musique*, con un brutto effetto di gesticolazione, gonfio e ripetitivo: un simulacro di vitalità tutta esteriore e *matter-of-fact* che risulta invece mortifero, becero, ricattatorio in quanto sospinge il lettore a tuffarsi nella sua pseudoautenticità: “io sono il popolo, per questo dico le cose come stanno, per questo mi devi credere: il mondo è così e gli uomini così”. Ecco, tornando ai summenzionati figli di mignotta il modulo retorico con cui si inganna il lettore è proprio quello del “riscatto”: dei coloni, di Latina buco nero d’Italia, di Pennacchi personaggio-scrittore “proletario”, come ama narrarsi nelle interviste. Ma dal riscatto al ricatto non c’è che un passo, che lo stile sia o no l’uomo il romanzo non può nascondere la propria natura, per quanto abilmente (pre)parato/elaborato. Cordelli l’ha notato con prontezza e Sartori ha com’è giusto rilanciato criticamente i dubbi. Argomentandoli con umiltà, come pare evidente.

    P.S. Certe madri è meglio conoscerle, ma per aggiustare la mira degli sputi.

  36. …pensi alla sua di madre, signor Oscar.

    …riguardo al testo che – concordo con Sartori – deve essere sovrano rispetto a una discussione di questo tipo (che mi dispiace non poter seguire in maniera più serrata e, soprattutto, argomentata, ma purtroppo il mio lavoro non è quello di difensore di Pennacchi né tantomeno, di fine intellettuale come voialtri) volevo sottoporre alla vostra attenzione un paio di esempi.
    Il primo è il grido di dolore di questa terra – l’Agro Pontino – nella descrizione della distruzione seguita alla guerra. Un grido di dolore che addossa tutta la colpa a quel regime che – pur avendolo creato – ha poi gettato la rovina su quel “paradiso terrestre”.
    Il secondo l’ho letto in lungo e in largo in giro per l’Italia come Pillola Horror dell’Anonima Scrittori: è l’atroce discorso di zio Adelchi (“Che dovevamo fare?” si intitolava) sugli eccidi seguiti all’attentato a Graziani in Africa. Dovunque l’ho letto – dai pub fighetti ai circoli partigiani – alla fine si sono levati applausi liberatori e catartici. Nel romanzo c’è un aggiunta: il protagonista degli episodi “prende coscienza” del male fatto. Si pente. Si autogiustifica. Ma la pena è entrata dentro di lui. E nel lettore.
    Questo è testo -Sartori – e va letto, e ogni lettura è un’interpretazione, lo sappiamo bene, con empatia. Non col bilancino.
    Per quello c’è la par condicio. Ed è faccenda televisiva.
    Non ho mai letto niente di suo. Spero di provvedere.
    Spero però che scriva diversamente da come legge.

    un saluto.
    a tutti

  37. Ecco, ora che vi ha risposto il fondatore dell’Anonima Scrittori, (con cui da anni Pennacchi lavora), dovreste farne tesoro.

  38. Quoto Larry Massino, Pennacchi crede magari ingenuamente di muoversi contro il sistema, ma in realtà è forse funzionale ad esso, sembra simile a una specie di nonnetto un po’ alticcio o di trickster, tollerato ma anche incoraggiato, perché si può strumentalizzarlo molto facilmente . Andate a vedere la ricezione esaltata del suo romanzo sui giornali destrorsi. In Germania hanno avuto il coraggio di fare i conti con le colpe dei padri e l’eredità nazi, hanno avuto Lenz, Sebald, Uwe Timm, per fare solamente qualche nome, in Italia c’è Pennacchi. Ognuno ha quello che si è meritato. I tedeschi hanno saputo ammettere la necessità della vergogna. Hanno sentito il bisogno di analizzare seriamente il passato e gli effetti sul presente. Ha ragione l’autore della recensione, il ‘Canale mussolini’ è la riprova che l’Italia non sa ancora fare i conti con il fascismo: capisco lo sdegno dei ferventi discepoli, ma riflettete, ma vi rendete conto di cosa significa accusare Il Manifesto di complottare contro Pennacchi, in combutta con Cordelli (!) perché ‘non conforme’? Quale sarebbe l’anticonformismo di Pennacchi, quando dice che Pasolini era di destra o difende a spada tratta le centrali nucleari? Quando manda a quel paese don Gallo, reo di rifiutarsi di pubblicare ancora con Mondadori? Ripeto, non credo che lo scrittore sia in malafede, magari ci crede pure a quello che dice, a certe sparate, ma restano delle ambiguità non risolte.

  39. Certe madri è meglio conoscerle, ma per aggiustare la mira degli sputi

    questa me la sono segnata! :)

    ho preso in mano canale mussolini e l’ho mollato subito perchè nella vita bisogna fare delle scelte ed il tempo è poco
    mia sorella l’ha letto in due giorni e mi ha riferito di averlo apprezzato perchè è scorrevole , perchè ha imparato qualcosa che non conosceva e perchè nel frattempo il tempo le è passato velocemente
    io e mia sorella ci vogliamo molto bene e spesso lei mi sgancia delle ricette facili e veloci
    io l’amo per questa sua capacità di passare da dostoieschi a pennacchi con una soavità e leggerezza che se non fosse mia sorella le toglierei il saluto :)
    la critica non è il mio forte, in cucina me la cavo meglio a letto non parlamo :)
    molti baci
    la fu

  40. Giusto per precisare, il sottoscritto fervente discepolo, ha contribuito a organizzare e dare vita a una serata di sottoscrizione al manifesto proprio all’inizio della carriera dell’anonimascrittori, è l’unico quotidiano che legge regolarmente fin da quando (1991) prendeva l’autobus tutti i giorni per il servizio civile fino a Genzano di Roma, è iscritto al Partito della Rifondazione Comunista sezione di Latina e con Pennacchi ci è andato più volte in piazza a inveire contro le amministrazioni di destra di Latina.
    Ieri sera proprio a cena – offertaci dall’organizzazione di Lib(e)ri sulla carta, fiera dell’editoria indipendente, (non la festa del Popolo della libertà, quindi) una realtà giovanissima e vitale che in Sabina sta facendo miracoli e a cui Pennacchi e l’Anonima scrittori hanno voluto partecipare nonostante un disguido avesse accavallato due impegni – discutendo di tutto l’ambaradan suscitato dal Canale, si notava come fosse proprio di certa sinistra un “atteggiamento fascista” di negazione delle opinioni altrui. Mentalità fascista con cui l’Anonima Scrittori si è trovata a scontrarsi ogni volta che ha provato a scrollare le coscienze addormentate di persone arroccate su posizioni di conservazione delle mentalità dominanti. Per cui ogni tentativo di maneggiare una realtà a cui per molti è comodo pensare in termini di “noi buoni/gli altri cattivi” ha portato all’accusa di revisionismo e all’effettivo ostracismo.
    In questo percorso l’Anonima Scrittori (e Antonio Pennacchi) si imbattono in realtà che a questa dicotomia cercano di sfuggire, l’organizzazione di Liberi sulla carta è una di queste, e con difficoltà si cerca di creare occasioni di crescita e confronto.

    …nazione indiana… nazione… ma non era un concetto di destra? … e La Russa non ha chiamato il figlio Geronimo? Porca troia, vuoi vedere che non ciò capito un cazzo e questi sono fasci per davvero…

  41. Secondo me, che non sono se non una lettrice sia di questo che del loro blog, l’Anonima scrittori è la vera realtà emergente e nuova della scena letteraria di sinistra non fighetta in Italia. Per la sinistra radical chic ci basta Nazione Indiana.
    Ma si potrebbe anche collaborare, perchè no?

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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