ad aziendam
[continua il dibattito iniziato con Pubblicare per Berlusconi di Helena Janeczek e proseguito con numerosi contributi sia in rete sia sui quotidiani e i settimanali nazionali. L’ultimo apparso su Nazione Indiana è Pubblicare per Mondadori? di Andrea Cortellessa.]
di Stefano Petrocchi
Sto seguendo con interesse il dibattito innescato su Repubblica dall’inchiesta di Massimo Giannini (19 agosto) e dal corsivo del teologo Vito Mancuso (21 agosto) sulla cosiddetta legge “ad aziendam”, che ha consentito alla casa editrice Mondadori di estinguere, in modo piuttosto vantaggioso per le proprie casse, un contenzioso ventennale con il fisco. Mancuso solleva un dubbio etico: è giusto pubblicare per un editore che approfitta di leggi promosse da un governo il cui capo è l’editore stesso? Molte risposte a questa domanda, contenute sia in interviste estemporanee sia in interventi più meditati, lasciano emergere tra osservazioni non sempre pertinenti un tema di grande rilievo: come percepiscono il proprio ruolo gli scrittori, specie in relazione a chi oggi organizza la produzione e la diffusione della letteratura (cioè gli editori)?
Ci stavo riflettendo su quando un’amica mi ha invitato a guardare l’editoriale di Giovanni De Mauro sul numero 861 di Internazionale. Il modo in cui qui viene risolto il dilemma posto da Mancuso è in effetti limpido: «Questione di principio interessante, ma che obbligherebbe tutti gli autori di ogni casa editrice a indagare sul corretto comportamento del loro editore». Ineccepibile. Eppure mentre leggevo mi è tornato in mente un pezzo dello stesso De Mauro di alcuni (non molti) mesi fa. Ci tornerò al momento opportuno su questo primo editoriale, per ora registro che mi è stato più utile del secondo per individuare meglio i contorni della discussione in corso.
A me pare che la maggior parte degli interventi soffra di una visione doppiamente riduttiva del caso: si tratterebbe per un verso di una vicenda che attiene all’amministrazione – sia pure disinvolta – dell’azienda, di cui i funzionari editoriali con cui un autore si rapporta non possono che essere all’oscuro, e per l’altro dell’ennesimo caso di legislazione occhiuta, come per esempio la depenalizzazione del falso in bilancio, fatto che comporta un livello di allarme civile ben maggiore, ma da cui le responsabilità di quei funzionari sono, di nuovo, sideralmente lontane.
Le due affermazioni sono senz’altro vere, ma trascurano un punto su cui anche Mancuso, forse per carità di patria, è molto sfumato. Scrive infatti che la Mondadori avrebbe goduto di «favori parlamentari ed extra-parlamentari». Giannini ne fa invece uno dei focus della sua ricostruzione, ipotizzando due cose: che prima della soluzione legislativa si sarebbe tentato di venire a capo della vertenza attraverso pressioni indebite sulla Corte di Cassazione; che questa attività illecita non sarebbe stata efficace senza l’approvazione in Parlamento di una norma che, rinviandone il pensionamento, avrebbe consentito al presidente della Cassazione di dirottare la decisione verso una sezione più malleabile della Corte. Giulio Mozzi ha condotto su Vibrisse una scrupolosa decostruzione, o per dir meglio una demolizione, del testo di Giannini, ma su queste circostanze ammette che «il vicedirettore di Repubblica continua a dire cose che sembrano un po’ dubbie», il che non vuol dire palesemente infondate. In ogni caso, la magistratura sta indagando sulla presunta «rete criminale creata per condizionare i magistrati nell’interesse del premier» (ancora Giannini). Ora, a me sembra che l’intreccio di azioni criminose e iniziative parlamentari ci porti ben oltre l’annoso problema del conflitto di interessi. Mi sarei aspettato perciò che i risvolti più oscuri del caso ricevessero un’attenzione maggiore, magari dubitativa, oltre che dalla matita blu di Mozzi anche nel resto degli interventi che ho letto.
Ho trovato invece, in quasi tutti, l’attestazione di come la struttura editoriale del gruppo Mondadori consenta a uno scrittore di sviluppare al meglio, e far conoscere a un pubblico vasto, le proprie capacità creative. Alcuni autori testimoniano il legittimo orgoglio di far parte di un catalogo prestigioso, per i nomi di ieri e per quelli di oggi, e la libertà intellettuale di cui godono all’interno delle diverse case editrici del gruppo. C’è chi elenca infine i rapporti di amicizia nati nell’open space di Segrate, e mentre snocciola nomi e cognomi si avverte il sapore stucchevole che in un dibattito pubblico assumono sempre le mozioni degli affetti.
Ciò che dà da pensare è anche qui un elemento di sottovalutazione. È come se lo scrittore (che ne sia consapevole o no) si autocollocasse a monte di una catena produttiva che prevede nelle fasi successive l’intervento paritetico di altri operatori (editor, redattori e così via). «Sono loro i miei compagni», dice Pennacchi con l’enfasi del sindacalista che è stato, ma anche quando Piccolo avverte «Come scrittore voglio essere giudicato per quello che scrivo e non per l’editore con cui pubblico», ho la sensazione di assistere a un paradossale tentativo di sottrarsi al rapporto fondante con i propri lettori in carne e ossa. Non più interlocutori privilegiati dell’autore per il tramite dell’editore, ma utilizzatori finali di un prodotto alla cui realizzazione collaborano diverse figure professionali tra cui l’autore (estremizzo ma non credo poi molto).
Dico paradossale perché si può leggere l’intervento di Piccolo sul giornale per cui scrive regolarmente (L’Unità, 26 agosto) e su cui negli scorsi mesi ha espresso preoccupazione, per esempio, per il lodo Alfano e per la legge bavaglio. Dunque si tratta di giudicare Piccolo non solo per i libri che pubblica con Einaudi, ma per ciò che dice su tutti gli argomenti sui quali accetta di intervenire. La separazione del maschio è un libro molto bello come i precedenti editi da Laterza, Feltrinelli, minimum fax, ma Francesco Piccolo rappresenta per i suoi lettori (posso dirlo perché sono da tempo fra questi) più dei libri che ha scritto.
Se Augias (Repubblica, 22 agosto) trasforma lo scrittore da auctor in audience, «Al Festival di Mantova, presentando il nuovo libro, solleverò pubblicamente la questione e ascolterò i lettori», siamo molto oltre l’epoca della scomparsa dei maître à penser. Del resto, si può immaginare Moravia che chiede ai suoi lettori cosa pensare? Antonio Moresco, dopo aver rivendicato su Il primo amore la necessità di elevarsi come scrittore al di sopra della contingenza (come se pubblicare per altri gli impedisse di pensare alle cose ultime), si chiede retoricamente quale responsabilità avesse Tiziano degli errori e orrori compiuti da Carlo V. Quel tipo di artista aveva però un nome preciso: era un cortigiano. È questo a cui ambisce Moresco? È questo che i suoi lettori gli chiedono?
Scrive Giovanni De Mauro sul n. 836 di Internazionale: «Tecnicamente si può già parlare di dittatura». È una questione di sostanza, specifica, non di forma. Seguono le coordinate esatte della situazione politica italiana a marzo 2010 – ma a settembre nulla è cambiato. Allora, tra le molte buone ragioni con cui autori come Ammaniti, Fois, Lucarelli, Moresco, Pennacchi, Piccolo motivano l’intenzione di non abbandonare (proprio adesso) il loro editore, ne manca una. Detta nel modo più semplice e diretto: perché l’opzione di pubblicare altrove deve restare aperta, almeno fin tanto che dura questo stato di cose. Aggiungerla sarebbe tutto quello di cui i loro lettori (posso dirlo perché sono da tempo fra questi) hanno bisogno. Sarebbe un modo per prendersi cura della sostanza del nostro vivere qui e ora.
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aggiungo però che Mancuso ha compiuto un gesto personale concreto che non riesco a non apprezzare molto; e che Andrea Inglese pubblicherà qui a breve un suo contributo sull’argomento arricchendo e completando quello che ha scritto su Il Manifesto di ieri (La vera alternativa è l’autoproduzione).
@Stefano
Mi pare un pezzo ricco di spunti importanti e molto equilibrato, ma temo di non avere intelligenza precisa del finale. Che cosa significa: “detta nel modo più semplice e diretto [appunto]: perché l’opzione di pubblicare altrove deve restare aperta, almeno fin tanto che dura questo stato di cose. Aggiungerla sarebbe tutto quello di cui i loro lettori (posso dirlo perché sono da tempo fra questi) hanno bisogno”? Il “la” proclitico in coda ad “aggiungere” si riferisce all'”opzione”, cioè alla possibilità, grazie al cielo ancora viva, di pubblicare per altre sigle? Stai dunque chiedendo, da lettore, agli autori elencati di esprimere coram populo quest’opzione come possibilità concreta, qualora determinate condizioni non mutino? E, in tal caso, sei proprio certo che servirebbe a qualcosa o, nella tua ottica, che i lettori riceverebbero con questo adeguata contropartita etica o, semplicemente, civica, e che il “rapporto fondante” di cui giustamente parli sarebbe così ripristinato?
L’articolo cita una quantità d’altri articoli, credo tutti reperibili in rete, e non si degna di fornire un solo link.
Analizzo questo pezzo di Petrocchi e lo sintetizzo per comodità:
Par.1 il cuore della questione sembrerebbe questo:
« come percepiscono il proprio ruolo gli scrittori, specie in relazione a chi oggi organizza la produzione e la diffusione della letteratura (cioè gli editori)? »
Par.2
Non sviluppa il cuore del par 1, che sarebbe stato interessante, ma un’altra affermazione di De Mauro che lo chiude: «Questione di principio interessante, ma che obbligherebbe tutti gli autori di ogni casa editrice a indagare sul corretto comportamento del loro editore».
Par.3
Tutto il paragrafo è al condizionale. Questo ovviamente è un problema, quando si parla di reati. Io però vorrei ipotizzare, accettando per comodità questa affermazione di Petrocchi: « Ora, a me sembra che l’intreccio di azioni criminose e iniziative parlamentari ci porti ben oltre l’annoso problema del conflitto di interessi.» che il gruppo Mondadori abbia effettivamente approfittato della legge ad aziendam per risolvere un contenzioso fiscale che nonostanto i due gradi di giudizio a suo favore la vede oggettivamente colpevole.
Ma ancora non capisco dove vada a parare.
Par. 4
Qui Petrocchi riassume, necessariamente impoverendole e schiacciandole le une sulle altre, le motivazioni con cui tutti gli scrittori a parte Mancuso dichiarano di voler restare, almeno finora [“almeno finora” è importante, perché esclude il caso di censura] dove sono.
Par 5
Petrocchi dice due cose, la prima riprende la questione sulla percezione del proprio ruolo da parte degli scrittori posta nel par 1:
« È come se lo scrittore (che ne sia consapevole o no) si autocollocasse a monte di una catena produttiva che prevede nelle fasi successive l’intervento paritetico di altri operatori (editor, redattori e così via).»
Petrocchi la riprende, dunque ma non la approfondisce, bensì gliela serve senza discuterla, e cioè così:
« ho la sensazione di assistere a un paradossale tentativo di sottrarsi al rapporto fondante con i propri lettori in carne e ossa. Non più interlocutori privilegiati dell’autore per il tramite dell’editore, ma utilizzatori finali di un prodotto alla cui realizzazione collaborano diverse figure professionali tra cui l’autore (estremizzo ma non credo poi molto).»
E qui comincio a capire: il ruolo dello scrittore starebbe nel rapporto fondante con i lettori (inteso qui mi pare con tutti i lettori, indiscriminatamente) che sarebbero «interlocutori privilegiati» e non «utilizzatori finali di un prodotto»
Questa convinzione mi interessa molto. Mi chiedo dove sia nata, scivolando per un attimo dalla letteratura a teatro ricordo un Carlo cecchi irritatissimo con il pubblico che bisbigliava, era il suo pubblico, sì, ma non gli piaceva per niente, e se avesse potuto cambiarlo lo avrebbe cambiato subito. Nel caso dei lettori, della massa dei lettori, lo scrittore non ha nemmeno la possibilità di vederli fisicamente. (Salvo forse e per alcuni il breve momento dei festival) Non sa chi sono, non parla con loro, non sa cosa pensano, non sa se comprano il suo libro per buone o cattive ragioni, se sono interlocutori dello scrittore, sono interlocutori misteriosi e oscuri. Altra cosa è per l’opera, quella interloquisce, ma sempre, nei grandi numeri di cui si parla qui, all’insaputa dell’autore, che una volta stampato il libro non può che lasciarla andare per la sua strada.
Par. 6
Per provare la sua convinzione a mio avviso – certamente discutibile – mal posta, Petrocchi cita Piccolo che:
« ha espresso preoccupazione, per esempio, per il lodo Alfano e per la legge bavaglio. Dunque si tratta di giudicare Piccolo non solo per i libri che pubblica con Einaudi, ma per ciò che dice su tutti gli argomenti sui quali accetta di intervenire.»
quel «dunque» mi lascia perplessa, è vero che si può giudicare Piccolo per quello che dice sul lodo Alfano, esprime una preoccupazione che condividiamo, perciò la giudichiamo bene, ma perché quel «dunque»? Il giudizio sui suoi libri è un giudizio estetico, il giudizio sulle sue opinioni è un giudizio su un cittadino che dice pubblicamente quello che pensa. La contraddizione che Petrocchi vede tra i due piani è posta evidentemente senza motivarla, ma tacitamente, da Petrocchi, – e sarà, come sto cominciando a capire, nel ruolo non tanto dello scrittore, ma della centralità del lettore – chiaramente Piccolo non la vede o se la vede la ritiene risolta nel momento in cui si esprime chiaramente e pubblicamente contro il politico che è anche proprietario del gruppo presso il quale pubblica.
Par. 7
L’esposizione a mio avviso si ingarbuglia, ma vediamo:
Nella prima parte, Petrocchi cita Augias:
« Se Augias (Repubblica, 22 agosto) trasforma lo scrittore da auctor in audience, «Al Festival di Mantova, presentando il nuovo libro, solleverò pubblicamente la questione e ascolterò i lettori», siamo molto oltre l’epoca della scomparsa dei maître à penser. Del resto, si può immaginare Moravia che chiede ai suoi lettori cosa pensare?»
Capisco sempre meglio: penso che significhi che non più auctor e non più maître à penser, lo scrittore è diventato solo megafono dei suoi lettori, quello che conta è il loro parere, il loro sentire.
E cita Moresco: « Antonio Moresco, dopo aver rivendicato su Il primo amore la necessità di elevarsi come scrittore al di sopra della contingenza (come se pubblicare per altri gli impedisse di pensare alle cose ultime), si chiede retoricamente quale responsabilità avesse Tiziano degli errori e orrori compiuti da Carlo V. Quel tipo di artista aveva però un nome preciso: era un cortigiano. È questo a cui ambisce Moresco? È questo che i suoi lettori gli chiedono?»
E io mi chiedo, Moresco deve diventare cortigiano dei suoi lettori? Della massa a lui sconosciuta e inaffidabile dei suoi lettori? Del lettore massa?
Par. 8
Qui, lasciando al loro destino le questioni aperte, Petrocchi affastella parecchie cose:
Che viviamo in una dittatura.
Che poiché viviamo in una dittatura è meglio pubblicare con altri (in un paese dittatoriale però mi sembra difficile) perché di questo hanno bisogno i «lettori» e questo «Sarebbe un modo per prendersi cura della sostanza del nostro vivere qui e ora.»
Ora, a me, questa importanza del lettore massa fa molta paura. E perché uno scrittore che si pieghi alle richieste – QUALI CHE SIANO, ANCHE ETICHE – dei suoi lettori è uno scrittore morto. E perché avremmo sul groppone non solo la dittatura politica, ma la dittatura commerciale, che è già all’opera, ma che può essere contrastata solo con l’assoluta indipendenza dello scrittore sia dalle richieste di gusto che dalle richieste politiche che dalle richieste etiche di qualsiasi altra istanza che non trovi in se stesso.
Sottolineo che qui non è tanto la questione Mondadori che mi interessa, ma il modo in cui viene posta come buona e naturale la dittatura del lettore massa, unica istanza, benché variegata, instabile, inaffidabile, della cui qualità non è dato sapere, eccetera.
In fondo è la stessa ottica del grande gruppo editoriale, se i lettori ti premiano e vendi molto, va bene, altrimenti vai pure e passa a un altro editore. Che diventa, pensa e agisci come i tuoi lettori ti chiedono.
Al di là, ribadisco, della questione Mondadori, se fossi uno scrittore a questo punto mi auto-pubblicherei facendo girare quello che scrivo tra pochi lettori scelti da me.
Tutti gli scrittori che si pronuniati pubblicamente, manifestando la loro volontà di continuare a pubblicare con il gruppo mondadori, lo hanno fatto adducendo motivazioni del tutto personali e diverse tra di loro. Tutte legittime e meritevoli di rispetto anche se per me non condivisibili e soprattutto che condizionano il mio giudizio di letteroe sulle loro opere.
Diversa è la posizione del sig.Giulio Mozzi che qui su nazione indiana, per un giorno intero ha proclamato l’innocenza e la legittimità del comportamento della mondadori, ripetendo ocme una nenia che
e’ stata assolta in due gradi di giudizio (vero) ma evitando di spiegare perche’ è stata così magnanima e aziendalmente sconsiderata nel regalare allo stato 9 milioni invece di avere l’onore di essere assolta in terzo gardo.
Il sig Giulio Mozzi in un eccesso di zelo ha anche sostenuto che la legge criminale di cui parliamo è utile perche’ consente allo stato di guadagnare qualche soldo, giustificando, implicitamente, inta modo i condoni fiscale.
Cio’ che non è tollerabile è che si possa dare una giustificazione politica a questa scelta degli scrittori e che addirittura si critichi la scelta di chi se ne va.
Siamo di fronte a un crimine contro lo stato e (ohibò !) e contro le regole del mercato.
Lo scrittore è anche cittadino e se come scrittore ciò che conta è la sua opera, come cittadino cio’ che conta sono i suoi comportamenti.
Chi resta non solo contribuisce al rafforzamento della posizione di mercato dominante del gruppo(ai danni delle altre case editrici e degli altri autori) e ai suoi profitti.
Ma spinge e legittima il comportamento illegale del gruppo medesimo.
Tutti noi abbiamo una soglia oltre la quale stabiliamo che la misura è colma
Io penso che la misura è colma e che ogni cittadino deve assumersi le sue responsabilità
scusate
che NON condizionano il mio giudizio sulle loro opere
[corrigo: “‘la’ ENclitico”, non proclitico, ovviamente…]
Un articolo che purtroppo mette molta carne al fuoco per arrivare al risultato di non concludere nulla e di non proporre nulla.
E termina con due frasi incomprensibili, l’esatto contrario di quello che vorrebbero essere: semplici e dirette.
E’ triste constatarlo, ma alla fine pare che si stia facendo, da parte degli scrittori e dei saggisti, e dei letterati tutti che si sentono chiamati in causa da Mancuso, un dibattito fine a se stesso, quasi per dovere, ma che come spesso accade, poi ci si prenda gusto e si continui ad arrovellarsi per sviscerare ogni possibile variazione sul tema a PATTO DI NON RISOLVERSI A FARE CONCRETAMENTE NULLA DI DIVERSO rispetto a quel che si fa ora. Il risultato che si sta ottenendo è un rafforzamento del monopolio editoriale e del regime berlusconiano.
A proposito di un gesto, che diviene simbolo, e a proposito di resistenza dall’interno. Oggi c’è questo:
http://www.corriere.it/cultura/10_settembre_06/vespa-avallone-campiello_f2af3118-b97e-11df-90df-00144f02aabe.shtml
Condivisibile l’indignazione della Murgia, ma rifiutare il premio no? Il famoso gesto che misura la qualità dell’intenzione. No, rifiutare il premio no. Andare a casa, telefonare, protestando dall’interno, con discrezione.
Avanti così.
Esistono tanti piccoli editori di qualità.
Perché ostinarsi a lavorare per Berlusconi?
Qui gatta ci cova…
ma dài, rifiutare il premio a causa di una cazzata detta dal presentatore… il Campiello assimilato a Bruno Vespa mi sembra decisamente più pretestuoso dell’Einaudi/Mondadori assimilate a Berlusconi – questa corsa alla purezza a tutti i costi mi sembra controproducente: scegliamo le battaglie su cui concentrarsi. Oppure salviamoci l’anima solo in due-tre, compreso il gatto.
La cazzata detta dal presentatore è solo un sintomo di quello che si vede tutti i giorni tutto il giorno a tutti i livelli. Cosa sacrificio? Certo, me lo immagino. I sacrifici si fanno per le cose importanti, infatti. Opinione mia, come sempre, mica ho la verità in tasca.
Costa sacrificio, pardon.
“Se Augias (Repubblica, 22 agosto) trasforma lo scrittore da auctor in audience, «Al Festival di Mantova, presentando il nuovo libro, solleverò pubblicamente la questione e ascolterò i lettori», siamo molto oltre l’epoca della scomparsa dei maître à penser”.
Mi sorprende il nome Augias in questo ragionamento. Il suo valore per Mondadori sta soprattutto nella posizione che occupa nello spazio Rai. Per Vespa è uguale. Si tratta dunque di una specie di scambio merci? Pubblicassero l’entità dei resi, potremmo constatarlo. Il contenuto di tali libri non conta nulla, che vengano comprati o persino letti è secondario.
Altro che maitre à penser!
@ansuini
giusto per spiegarmi meglio: non mi sembra un problema di sacrificio, mi sembra un problema di distinguere chi e cosa fa cosa e come.
Il Campiello si ritira o meno a seconda di quello che dice Bruno Vespa? Questo in quanto BV è un sintomo di una degenerazione generale? Allora si rifiutano tutti i premi, non si pubblica con nessuna casa editrice, ci si salva l’anima da soli.
Volevo solo dire che sputare in faccia a tutti i quanti, per quanto a volte sia un istinto difficilmente sopprimibile, significa stare da soli (senza Campiello, e chi se ne frega, ma anche senza tante altre cose che tecnicamente con Berlusconi non c’entrano niente)
S’, in effetti come qualcuno diceva sopra la discussione su mondadori and co. si sta dilungando con effetti soporiferi.
Poi trovi articoletti così,
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/30/cancro-e-denari/54491/
e ti chiedi…adesso Mancuso e tutti il resto, quali dubbi etici si faranno venire?
Per chiudere sulla Avallone, certo ieri Vespa non ha dimenticato di ricordarci che tipo d’uomo è. Mia madre gli avrebbe quantomeno rotto la mascella. Per Ansuini, dici bene, avrebbero almeno dovuto incazzarsi ma mi chiedo: perché sempre stare ad esaminare le reazioni di questo o di quello, manco fossimo in un tribunale…e mi chiedo…ma davvero tu tutte le volte che succede qualcosa di schifoso intorno a te, te ne vai, molli il tuo posto di lavoro, abbandoni baracca e burattini.
Certo è la cosa da fare ma davvero nella vita privata lo facciamo?
Io l’ho fatto e un lavoro decente col cazzo che lo trovo.
Perdona Limmershin, forse anche io mi sono spiegato male. Non è che doveva rifiutare il campiello per quello che ha detto vespa, ci mancherebbe. Ma la sua lamentela, in difesa delle donne e di un atteggiamento piuttosto diffuso nel mondo della spettacolo (che ahinoi ha inglobato anche la letteratura) poteva avere una valenza maggiore se accompagnata da un gesto eclatante che alzasse la questione dal livello del gossip, dove finirà, a un “caso”.
Magari bastava uno schiaffone. Il gesto sarebbe divenuto memorabile e il perché del gesto – combattere contro il rendere veline tutte le donne, secondo me avrebbe avuto un peso diverso. fa parte di tutta una discussione sui gesti che stiamo affrontando da un qualche post a questa parte. E come sempre, mica per fare un dispetto alla Murgia, solo per indicare strategie, secondo me, più incisive quando si vuole difendere una propria diea.
And, si lo faccio. Poi resterai col dubbio perché non ho documenti o pdf da mandarti ma cerco di essere coerente con le cose a cui tengo. Comunque non è un discorso generale sulla purezza, è un discorso di prendersi dei rischi per delle cose che riteniamo importanti. Rischi che comprotano sacrifici magari, come perdere il posto di lavoro.
Io ho un esempio di uno scrittore che si sta affermando che ha rifiutato Einaudi, non lo tiro fuori perché mi sembra inelegante, ma qualche “alieno” c’è.
@Ostuni e Alcor
«Stai dunque chiedendo, da lettore, agli autori elencati di esprimere coram populo quest’opzione come possibilità concreta, qualora determinate condizioni non mutino?» (Ostuni)
Proprio così. Lo ha fatto il collettivo Wu Ming: «noi crediamo che la contraddizione debba acuirsi, per questo seguiteremo a lavorare con l’Einaudi, finché questo sarà possibile». Potremmo dire che Wu Ming ama muoversi al confine con il movimentismo e la provocazione culturale, mi piacerebbe perciò che un’affermazione simile provenga (non è mai troppo tardi) anche da autori con uno status diverso. Chi sicuramente ha cura della sua dimensione autoriale è Saviano: «pensavo che [la Mondadori] avesse gli strumenti per convalidare anche posizioni forti, correnti di pensiero diverse. Dopo le sue [del presidente del consiglio] parole non so se sarà più così». Non ho citato anche questi due interventi nel pezzo perché non era mia intenzione stabilire una graduatoria di merito tra quanti sono intervenuti nel dibattito (altrimenti avrei dovuto ricordare anche Veronesi, che com’è noto ha abbandonato la Mondadori in polemica con la proprietà al momento della famosa “discesa in campo”). A me interessava notare ciò che negli interventi che ho citato non c’è, in quanto allusivo di qualcos’altro. Questo qualcos’altro è una posizione eccessivamente vicina alle ragioni dell’azienda, al punto da schiacciare sulla catena produttiva la figura dell’autore. Porre così grande enfasi sul rapporto autore-editore in quanto essenziale al concretizzarsi dell’opera mette in ombra l’altro rapporto, autore-lettore. Non si scappa. Del resto, il dibattito ha preso subito la piega del discorso esoterico, travestendosi in una serie di excusatio fornite da chi resta dentro a quelli che stanno fuori.
Aggiungerla esplicitamente – l’opzione, la ragione per cui per ora si resta, però anche nel senso che si resta vigili, attenti a che la misura non raggiunga il suo colmo, prendendosi come cittadino e scrittore e intellettuale, e non separandosi in alcun momento da queste tre componenti del proprio essere nel mondo, la responsabilità di stabilire quella misura e quel colmo –, aggiungere questa opzione, mi chiede Ostuni, sarebbe necessario e sufficiente? Questa non è una terza via tra quelli che vorrebbero gli autori Mondadori e Einaudi tutti partenti e quelli che li vorrebbero fedeli.
Non so cosa sia il lettore massa. Credevo di usato a sufficienza i deittici come “qui e ora”, “in carne ossa”, “sono tra questi”, non rilevati dall’analisi puntuale di Alcor (di cui tuttavia lo ringrazio), per specificare che il lettore di cui scrivo è colui al quale l’autore consegna i propri scritti: dunque (a meno che non scriva solo per i posteri) uno che vive in un certo momento sotto un certo cielo. Gli uomini di spettacolo di una volta dicevano “il mio pubblico”, perché era qualcosa di concreto anche se inafferabile che sapevano di dover coltivare (non sto dicendo blandire, né compiacere). Ne avevano semplicemente rispetto.
Ad Alcor è sembrato imbrogliato il filo del mio discorso: è un fatto che le manovre oscure che precedono l’approvazione della legge ad aziendam abbiano ricevuto poco o punto interesse (perfino Scalfari non ne fa cenno). A me pare strano perché, pur non essendone responsabili i dirigenti editoriali, sono manovre fortunatamente abortite che tuttavia gettano una luce sinistra su chi se ne sarebbe avvantaggiato. Invece che a un sereno ragionamento intorno al concetto di usque tandem, abbiamo assistito a una serie di fughe al di là della contingenza, attestazioni di solidarietà verso i lavoratori Mondadori (che c’entrano?), reazioni addirittura stizzite contro chi quanto meno si è posto il problema, e altre amene divagazioni. Il tutto reso possibile da una sottovalutazione del proprio rapporto con i lettori, dai quali si pretende di essere giudicati solo per i propri libri ma a cui contraddittoriamente ci si rivolge anche come opinionisti per testate importanti, nei festival letterari eccetera eccetera.
Sono le osservazioni più oneste e lucide che abbia letto fino ad ora intorno a questa (triste) vicenda. Mi piace l’eleganza non offensiva con cui si replica alle giustificazioni degli autori Mondandori, e soprattutto apprezzo l’aver messo al centro della questione “il rapporto fondante con i lettori”.Se quello che questi intellettuali vogliono preservare è la propria libertà di pubblicare per chiunque essi vogliano senza remore di sorta; se non vogliono auto-condizionarsi, nella pratica della pubblicazione, da valutazioni che hanno a che vedere con la ‘sostanza’ del fare cultura, continuassero pure. Ma non sfugga il fatto che un cambiamento è avvenuto, e non è pura forma.
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«Stai dunque chiedendo, da lettore, agli autori elencati di esprimere coram populo quest’opzione come possibilità concreta, qualora determinate condizioni non mutino?» (Ostuni)
Proprio così. Lo ha fatto il collettivo Wu Ming: «noi crediamo che la contraddizione debba acuirsi, per questo seguiteremo a lavorare con l’Einaudi, finché questo sarà possibile».
“””””””””””
Insomma Ponzio Pilato che chiede al popolo se gesù è colpevole oppure no.
Lo trovo molto ridicolo.
Quanto a WU MING vorrei far notare che sono 17 anni che la contraddizione si acutizza, da quando cioe’ e’ stato commesso un reato (precritto) sul quale pero’ pende una causa civile di cui è gia’ stata emessa sentenza di prim ogrado.
faccio una domanda semplice semplice alla quale nessuno mi ha dato fin ora risposta.
Che cosa ha fatto WU MING e gli altri autori che lavorano per “l’acuirsi delle contraddizioni” quando einaudi ha censurato saramago?
hanno indetto un referendum presso i loro elettori, hanno fatto un sondaggio per decidere cosa fare?
seconda domanda:
Ci sono mille motivi per restare e sono tutti rispettabili.
Ma per favore, smettiamola di inventarci teoremi politici e pretesti di ogni genere e sorta!
Questa frase:
“Proprio così. Lo ha fatto il collettivo Wu Ming: «noi crediamo che la contraddizione debba acuirsi, per questo seguiteremo a lavorare con l’Einaudi, finché questo sarà possibile».”
NON SIGNIFICA NULLA.
@lorenzo galbiati
non significa nulla ma aiuta a capire perchè certi fatti possano succedere.
aiuta per esempio a capire forse perchè la sinistra cosiddetta estrema di bertinotti, nel primo governo prodi non abbia imposto la famosa legge sul conflitto di interesse. Perchè pensava che così le contraddizioni si sarebbero acuite e avrebebro fatto esplodere il sistema?
L’idea poi di delegare le proprie scelte, di cittadini liberi, “all’opinione dei lettori”(?????!!) – senza specificare quali lettori ne’ come questi lettori si dovrebebro ersprimere (per refferendum? per lettera? attarverso un sondaggio? o un plebiscito) mi fa pensarer a qualcuno che sappiamo bene chi, che ogni volta che prende una decisione scellerata la giustifica tirando fuori il sondaggio.
Carmelo,
a margine, la sinistra estrema non ha imposto una legge per sul conflitto di interessi perché non poteva imporre nulla, si è pure piegata a una finanziaria che ha colpito sanità e scuola come quella di Padoa Schioppa.
E Bertinotti neo eletto presidente della camera, o ancora candidato alla camera, non ricordo se è stato prima o subito dopo, a 30 minuti della Lucia A. quando ha detto che occorreva togliere canali a Mediaset ha ricevuto un attacco come non mai dai giornalisti della tv tutti e da quelli della stampa (ché i giornalisti italiani per me son peggio dei politici) senza essere difeso da nessuno dei suoi alleati. Lasciamo perdere Bertinotti e RC, che avranno avuto mille difetti ma che ogni volta che chiedevano qualcosa (il rispetto del programma nel 90% dei casi) venivano bollati da giornalisti e politici di destra, centro, e centrosinistra (governo) come gente che faceva dei “ricatti” (era questa la parola: i “ricatti” della sinistra radicale ecc.).
mi dispiace doverti contraddire
stiamo parlando del primo governo prodi che bertinotti fece cadere per motivi futili e pretestuosi.
La legge non la fece prodi, non la chiese bertinotti e non la fece dalema.
“a dittatura commerciale, che è già all’opera, ma che può essere contrastata solo con l’assoluta indipendenza dello scrittore”
quindi per non essere sotto dittatura, lo scrittore deve continuare a dimostrare la propria indipendenza che consisterebbe nell’arricchire il dittatore con le sue opere.
Con “indipendenti” così, a che serve proclamare apertamente la dittatura?
sulla questione di Vespa, penso che l’unico motivo ragionevole per rifiutare il Campiello sia che lo presenta Vespa, il resto va di conseguenza.
“davvero tu tutte le volte che succede qualcosa di schifoso intorno a te, te ne vai, molli il tuo posto di lavoro, abbandoni baracca e burattini. Certo è la cosa da fare ma davvero nella vita privata lo facciamo?”
ovviamente dipende dal potere contrattuale che abbiamo. Di sicuro i signori tirati in ballo da Mancuso non muoiono di fame se cambiano editore. Eppure continuano a piegarsi battendo ogni record di arrampicata sugli specchi a mani libere.
“a sinistra cosiddetta estrema di bertinotti, nel primo governo prodi non abbia imposto la famosa legge sul conflitto di interesse”
furono altri a promettere a Berlusconi che quella legge non ci sarebbe mai stata, fin dalla sua discesa in campo.
http://www.youtube.com/watch?v=GJUamGyaANY
Ufff…
per favore, “intellettuali”: fatti, non pugnette.
Luigi B.
carmelo,
se parliamo del primo governo prodi, ricordati che prodi ha fatto una campagna elettorale rassicurando tutti che avrebbe avuto la maggioranza anche senza RC: ma non fu così.
E allora RC sostenne il governo prodi pur non facendoci parte, dall’esterno, e rischiando già allora una scissione dei trozkisti.
Se quel governo avesse davvero lavorato bene e fosse caduto per motivi futili la cui colpa era da riversare unicamente su bertinotti, non si capisce perchè la sua maggioranza non ha voluto tornare alle urne, come chiese berlusconi quando fu scaricato da bossi. invece, se ti informi (mi dirai che è dietrologia, ma se vuoi dovrei riuscire a recuperare dei link) la sua maggioranza, insieme a cossiga e mastella, si accordò per far le scarpe a prodi e fare la guerra al kossovo (ma mediaticamente tutta la colpa della caduta di prodi e del successivo ritorno di berlusconi è stata data a bertinotti), di cui D’Alema si vantò (abbiamo “sdoganato” la guerra a sinistra, disse).
Tornando al tema:
D’Alema: non possiamo colpire la Fininvest perché è un “patrimonio” di tutto il paese.
Cortellessa: non si può abbandonare Mondadori perché è una “istituzione”… per Alcor, se non ricordo male è una “nobile” istituzione….
Da duemila anni riflettiamo sul gesto avventato di Bruto.
Il Bruto di oggi si avvale di duemila cartelle per riflettere.
Problemi di cesarismo? Si ricorra al regicidio per vecchiaia.
PS
Per Petrocchi invece, dopo
-16 anni di regime berlusconiano
– decine di leggi per persone (lui) o aziende specifiche (le sue, comprese le sue case editrici)
– decine di leggi incivili se non razziste
– decine di processi a carico di Berlusconi e del suo gruppo, compresi quelli su come si è costruito il suo impero editoriale
-anni di campagna mediatica volta a scardinare ogni residue di resistenza o anche solo dissenso, compresa la non pubblicazione per Mondadori o Einaudi di libri di autori famosi che si permettevano di criticare apertamente Berlusconi,
occorre restare a lavorare per Mondadori/Einaudi, ma stando “attenti a che la misura non raggiunga il suo colmo, prendendosi come cittadino e scrittore e intellettuale, e non separandosi in alcun momento da queste tre componenti del proprio essere nel mondo, la responsabilità di stabilire quella misura e quel colmo”.
Se non fosse che in Italia ci abito anch’io, gli augurei di trovarsi presto dentro una vera dittatura: forse in quel caso si renderebbe conto che la misura è colma – se non altro perchè gli impedirebbero di pubblicare per dirlo.
@galbiati
non m isembra il caso di mettersi qui a rifare la storia di quel che è successo.
La responsabilità di non aver fatto la legge di cui parliamo ricade su tutta la sinistra: moderata riformista rivoluzionaria troskista antagonista cattolica socialdemocratica, chiamala come ti pare. Nessuno ha mai posto come pregiudiziale che si facesse questa legge.
@ galbiati
«per Alcor, se non ricordo male è una “nobile” istituzione….»
ricordi male, e visto che lo sai, è doppiamente scorretto
Hai ragione sul fatto che la legge sul conflitto di interessi non è stata una priorità per la sinistra, chi l’ha invocata maggiormente è stato Di Pietro, e certo questo è stato un difetto della sinistra radicale, ancora centrata su temi del lavoro e poco su quelli che il berlusconismo avrebbe dovuto far diventare priorità: la giustizia e il conflitto di interessi.
Detto questo, non possiamo però paragonare chi è stato al governo D’Alema e Prodi, e non solo non ha fatto nulla, ma ha difeso la proprietà di Berlusconi e chi, come RC e in generale la sinistra radicale, non aveva voce in capitolo nel governo ma avrebbe volentieri fatto una una legge sul conflitto di interessi (e anche sulla giustizia, indulto a parte, non ha votato leggi per favorire a Berlusconi in cambio di una legge elettorale).
la Coscienza è femminile la Letteratura
femminile l’Etica della Letteratura è un
doppio femminile – possibile un sano
lesbismo Scrittura e Realtà? E’ raro
Tolstoi nella pendula mutria Virginia
di mare ronzina – solo un Ibrido trapassa
la carta e la lingua di storie indicibili
su resti rodei omerici di vagoni errati
memorie di Iddii sotterra Goya estatici
dei mattini – lo Scriba lunario infame.
Alcor,
io mi ricordo un “nobile” usato da te in un commento sul post di Cortellessa o Cordelli. Quella parola mi ha colpito. Ma forse non è tua, hai scritto troppi commenti per rileggerli uno a uno e controllare. Posso quindi aver fatto un errore. Ma tu dicendomi che oltre a sbagliarmi so di sbagliarmi, imputandomi cioè della cattiva fede, mostri che sei tu in cattiva fede nei miei confronti. E questo mi fa dubitare della tua capacità di distinguere tra commentatori seri, che si espongono con nome e cognome, e che sono legati a NI da un rapporto di collaborazione di anni, e trolls o anonimi vari dai tipici comportamenti superficiali, irresponsabili o scorretti.
Segnalo dal primo amore:
http://www.ilprimoamore.com/testo_1940.html
e da carmilla:
http://www.carmillaonline.com/archives/2010/09/003608.html
Per inciso mi sembra che su questi lidi sia abbastanza noto, come la penso. Sempre per inciso trovo proprio scarsi quasi tutti gli interventi della “quinta colonna”. Mi sembrano sempre deviare il problema centrale. Trovo pessimi quelli di Moresco e Pennacchi, alla stregua di Mauro Corona. Anche gli altri non è che mi fanno sorridere granché. Però c’è un fatto. C’è stato una sorta di gioco della palla avvelenata, le squadre si sono fatte. Più dichiarazioni si aggiungono, più ho chiara una cosa. Dichiarare di restare, in questo momento, in contrasto dall’interno, è un gesto simile all’andar via. Si afferma di restare per dei motivi, spesso molto fumosi. Ma lo si afferma, per iscritto, quindi si fa una scelta. A questo punto non c’è da litigare, non si può costringere nessuno a fare niente. Nelle squadre, al momento, da una parte è pieno, dall’altra c’è un teologo da solo. Questo è un fatto. Siamo alla finestra.
sai, @galbiati, se uno vuole c’è la funzione “cerca”, è rapida, permette di non mettere in bocca agli altri parole decontestualizzate facendoli passare per quello che non sono, e di solito funziona
http://www.ilprimoamore.com/testo_1938.html
siccome voglio diventare acculturato non solo tutti i giorni compro il giornale la repubblica ma seguo tutti gli articoli che parlano dei scrittori ribelli della mondadori e enaudi e oggi ho letto la dichiarazione della vincitrice del premio cappiello in cui dichiara che il sogno segreto di berlusconi è di cacciare tutti gli scrittori di sinistra come lei per pubblicare tutte le cose di destra senza correre rischi. io non solo sono d’accordo con questa scrittrice e sicuramente leggerò il suo libro che sicuramente è bellissimo sia perché è riuscita a pubblicarlo sia perché ha vinto tale premio ma poi vorrei fargli anche i complimenti perché è riuscita a capire una cosa che nemmeno cortellesi (e forse nemmeno saviani) erano riusciti a capire di berlusconi che anche se non caccia quei scrittori come lei essendo furbo, anche se si rende conto che lei e gli altri ribelli sono pericolosi per il suo potere, dentro di lui vorrebbe farlo ma loro riescono a resistere. io spero che tutti quei ribelli continueranno a resistere per sempre avendo più plurarismo e continuando a spiegare tutti i giorni la loro posizione mettendo sicuramente in difficoltà berlusconi proprio pubblicando per lui. grazie e scusate
Corrado Stajano, da un articolo del 2004 http://www.golemindispensabile.it/index.php?_idnodo=7932&_idfrm=61
A Simonetta Fiori, che ne riferì su “Repubblica”, dissi che “preferivo scrivere sui muri piuttosto che pubblicare libri nell’Einaudi di Berlusconi”.
” Perché, qualcuno può chiedermi, non restare, non tentare ogni volta una convivenza, sia pure in armi, per cercare di mutare dall’interno le cose?
Perché non credo per niente nell’entrismo, nella sua fattibilità e utilità. Perché quando arriva il momento dell’inconciliabilità e lo si sente nel cervello, oltre che nel cuore, non resta altro che andarsene. Penso anche che persino in un paese come il nostro, dove si accarezza l’ambiguità quasi fosse una valore, si possa ancora dire di no “.
@Rotowash, mi scuso per gli stucchevoli complimenti che vorrei farti quasi a ogni intervento, che possono sembrare violenti come schiaffi, ma certe volte, come si dice, te li meriti, li strappi dalle mani… spero proprio che non ti vendicherai…
E’ giusto fare complimenti a @Rotowash, infatti i suoi post sono anche migliori dei post intelligenti.
Anche a me fa morire dal ridere. il giorno che il signor rotowash pubblicherà per mondadori giuro che farò di tutto per rubare il libro, mica solo prenderlo in prestito in biblioteca. ;)
Straordinario Rotowash. Anch’io stamani leggendo le dichiarazioni di Murgia avevo un po’ sorriso; lui invece m’ha fatto scompisciare.
A proposito dell’intervento di Caliceti sul Primoamore, linkato sopra da Ansuini, in cui viene riportata la lettera di Paolo Chirumbolo in cui si dice che Sanguineti ha lasciato l’Einaudi appena ha saputo che era diventata di proprietà di Berlusconi, mi chiedo con una certa perplessità in che modo io stessa sia arrivata a procurarmi un libro che ho qui sul tavolo:
Edoardo sanguineti, «Quaderno di Traduzioni. Lucrezio-Shakespeare-Goethe, uscito nella bianca di Einaudi nel 2006.
Forse me lo sono stampata da me, oppure la bianca non conta e i poeti nemmeno.
La questione non è semplice…ma sicuramente prendere soldi da un tizio come il berlusca suscita sempre uno strano effetto…volevo segnalare un’inchiesta pubblicata su Infiltrato.it sui legami tra Berlusconi, lo scandalo Lockeed e l’inchiesta Why Not..così giusto per rinfrescare la memoria di chi pensa che i soldi non abbiano odore..
A Roberta De Monticelli che criticava la leccata di don Verzé alla neolaureata Barbara Berlusconi, il prorettore Massimo Cacciari ha obiettato che la leccata era bonaria. Tecnicamente si chiama: “dittatura del prorettorato”.
Interessante la nota di Alcor. Anche a me, per pura curiosità, piacerebbe sapere perché Sanguineti dopo trent’anni diede alle stampe un libro per Einaudi.
Rotowash, senza di te il commentarium non avrebbe senso alcuno…
Grazie di esistere…
Il dilemma Sanguineti restò misterioso. Linko una nuova puntata:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/09/11/mondadori-mi-si-nota-di-piu-se-me-ne-vado/59350/
[…] il volume di fuoco della propaganda berlusconiana”. Dopo di lui Stefano Petrocchi (“ad aziendam”) difende la ragioni di chi sceglie di lasciare Mondadori (“…ho la sensazione di […]