Avventure 2 – Occhi azzurri
di Giacomo Sartori
Aveva saputo che sarebbe avvenuto con lui fin dalla sera che l’aveva visto vomitare sulla moquette del corridoio. Vomitava con una dedizione pacifica e distaccata, tirandosi ogni tanto pigramente indietro i fluenti capelli biondi, come si immaginava vomitassero gli arcangeli. La sua non era stata una decisione, era una certezza che le s’era avvinghiata ai polmoni, come un seme che germina casualmente in una data zolla e poi diventa un albero impossibile da abbattere. Lui era molto bello, e andava solo con ragazze molto belle, sempre con quel suo sguardo alto quasi qualcun’altra lo aspettasse un po’ più avanti, ma lei presentiva che con la pazienza ce l’avrebbe fatta. Lo vedeva tornare a casa da scuola con suo fratello, sorvegliato da un branco di pupille femminili che anelavano un involontario guizzo di assenso. Ma nei suoi placidi azzurri occhi gli affanni e la sete degli umani si smarrivano e perdevano realtà, come un grido d’uccello nel cielo dell’estate. Era gentile e affabile con tutti: la sua affabilità era appunto un’alta e uniforme muraglia. Solo con suo fratello era diverso, forse proprio perché anche lui aveva sempre avuto difficoltà a mescolarsi con i comuni mortali.
Con l’avvicinarsi dell’estate prese a venire da loro a fingere di fare i compiti. I due compagni di classe si facevano le canne sul tettuccio dal quale era precipitato il siamese della vicina calva. Chiudevano a chiave la porta della camera, ma lasciavano spalancata la finestra per cullarsi nell’inesauribile nenia reggae del mangiacassette. Qualche volta lo incrociava in corridoio, e lui la fissava attraverso la bonaccia dei suoi occhi azzurri, con lo stesso accenno di sorriso indulgente che offriva anche al loro cane. Certo c’entrava anche il fumo, ma lei sapeva che il vero problema era un altro: non era abbastanza grande. Quando sarebbe stata più grande l’avrebbe guardata in modo diverso. Forse un po’ alla volta sarebbe diventata più bella (anche se certo bellissima non sarebbe stata mai), e quindi a maggior ragione la liquida onda azzurra del suo sguardo si sarebbe infranta producendo un’esplosione di spuma.
Aveva contato che sarebbe successo al compleanno di suo fratello. Solo che alla festa del fratello lui era lasciato avvinghiare da una rossa che per la foga del ballo puzzava di rossa. E quando la rossa se ne era andata si era avviticchiato, con la scusa che era fatto, a una bionda più bionda di lui. Senza che lui muovesse le sue attonite sopracciglia le ragazze si torcevano di tenerezza e tendevano le mani in avanti come fanno i neonati nelle loro carrozzelle. Si disse che probabilmente sarebbe successo al compleanno successivo. Per tutto l’inverno misurò i lentissimi progressi del suo seno. Se andava avanti così avrebbe dovuto anche lei accontentarsi della seconda misura, come sua madre! E comunque esattamente due settimane prima della data fatidica suo fratello si aprì la testa contro il supporto di cemento di un semaforo, e quindi di festa neanche parlarne. Poi una sera che proprio non se lo aspettava lo incrociò in corridoio, e lui stringendole leggermente la spalla la guidò fino al bagno, come si sospinge nell’aria un impalpabile vestito di seta appeso a una gruccia. Mentre lui le stava sopra con i suoi paralizzanti occhi azzurri lei pensava che era finalmente felice. Sentiva le frange del tappetino sotto le sue chiappe, qualcosa come il solletico di un brufolo che sta per schiudersi. Il tappetino aveva qualche chiazza bagnata, perché sua madre prima di andare al cinema s’era fatta una doccia.
[l’immagine: Luca Coser, “L’Avventura”, 100 disegni tecnica mista su carta, cm 18×21,5]