Pietre da succhiare – Samuel Beckett
di Marco Rovelli
Perché amo i romanzi della Trilogia di Samuel Beckett? Perché è come gustare, con il massimo godimento possibile, pietre. E’, letteralmente, gustare la verità dell’essere. Nella Trilogia Beckett mette in scena il puro slittamento dell’essere. Da una parte limite dell’organico con l’inorganico, il punto di continuità tra l’uno e l’altro, e insieme la distanza siderale – e siderea nella sua fissità di ghiaccio – tra l’essere e la parola che lo dice, una parola votata ala fallimento. Racconta quello scarto attraverso un discorso “senza nome”, senza capo né coda (dove la coda è già compresa nel cominciamento; e il cominciamento non c’è), in flusso di identità, spazi, tempi: un discorso “mimetico” con lo stesso slittamento dell’essere, anzi doppiamente mimetico in quanto esibisce il suo fallimento di essere-in-quanto-parola. Si mette in scena questo fallimento raccontando un margine, un limite: la vita di un Molloy qualunque, un racconto vittimario, di un persona non più persona, dove il fatto che le qualità eminenti dell’umano siano scivolate via da lui non fa che denudare l’inumano stesso, innominabile, al cuore dell’umano. E’ un discorso, dunque, che mima lo slittamento in quanto discorso che tracima da sé, che include nel suo “contrario”: ovvero esso fa vivere, fa fare esperienza – un’esperienza impossibile – di quel flusso dell’essere, portando nel medesimo movimento alla coscienza quell’inabitabile scarto con essa, l’impossibilità di aderirvi compiutamente.
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Il video A store of sucking stones è stato realizzato dai performer newyorkesi Zach Steel, che lo ha filmato, e Jeff Larson, che ha impersonato e letto brani da “Molloy”.
…e intanto l’einaudi continua a non volerla ripubblicare, la trilogia… non dico in edizione economica, ma nemmeno nella NUE! salvo far uscire i primi due capitoli (in edizione rilegata con sovraccoperta, naturalmente) autonomamente… ma solo i primi due, eh!
Però chiamare quegli slittamenti, scarti ed impossibilità, per quanto intriganti e suggestivi, “verità dell’essere” mi sembra esagerato. D’altronde ogni misticismo lo pretende.
Non so se sia esagerato, ma non credo che lo sia in relazione all’ontologia beckettiana: l’essere è cavo, vuoto, sempre mancante a se stesso. Per dirla con Bataille, che non a caso fece una recensione su Critique, tra i primi a capire il negletto Molloy, l’etre glissant, l’essere scivolante/scivoloso, incessantemente di là da se stesso.
Non si capisce davvero, Dario, perché Einaudi continui a tenere fuori catalogo la trilogia. Uno dice, perché non vende: ma è immaginabile che la trilogia di Beckett non venda? Vorrei conoscere la grande mente che sta dietro questa operazione di non ripubblicarla, e di scorporarla nel frattempo…
Forse è un modo per saggiare il mercato: se vendo lo scorporato… potrebbe essere che vendo la trilogia .. no?
..e quindi vendo lo scorporato e la trilogia..
.. va bè, è fanta marketing.. °-°
Però la trilogia è stata in catalogo per molto tempo, dei dati reali li avevano già… Pensandoci meglio, riflettendo anche sul fatto che tra i tre romanzi l’unico non più pubblicato è l’Innominabile, che è il più – come dire? – esploso (ma anche imploso), probabilmente l’edizione integrale non vendeva abbastanza per coprire i costi, e pubblicando i libri scorporati il margine di utile aumenta…
vendo trilogia praticamente nuova al miglior (s)offerente
[…] Jeff Larson, Marco Rovelli, Molloy, Samuel Beckett, Zach Steel Su Nazione Indiana Marco Rovelli parla di Molloy. è anche una videoperformance di Steel e Larson. Archiviato in The Beckett […]
MIA! NON SE SI TRATTA DELL’EDIZIONE SUGARCO POI OSCAR MONDADORI, NATURALMENTE…..