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«Bossi, il dottor “Ce l’ho duro”»

(da «il Fatto Quotidiano» – martedì, 10 agosto 2010)

di Evelina Santangelo

«Voglio proprio vedere chi avrà il coraggio di mettere in dubbio il buon diritto di Umberto Bossi, che è parte della storia di questo paese, a ricevere una laurea honoris causa». Parole del ministro della Pubblica istruzione e dell’università Mariastella Gelmini.

Che un ministro caldeggi la laurea di un altro collega ministro presso un ateneo è già un fatto «irrituale», diciamo. Che questo ministro sia il ministro dell’istruzione e dell’università rende la proposta ancora più sconveniente. Se poi il ministro per il quale si propone la laurea honoris causa in Scienze della Comunicazione si chiama Umberto Bossi con tutto quel che evocano proprio i modi e il linguaggio stesso di Umberto Bossi: dal disprezzo ostentato di ogni valore addirittura intellettuale al turpiloquio più greve, dal più spregiudicato elogio dell’egoismo particolaristico al più cinico ricorso a linguaggi violentemente discriminatori (perché la «comunicazione» veicola anche significati, messaggi, idee)… allora la questione, apparentemente marginale nella drammaticità del momento, assume tratti che sarebbe errato liquidare come una delle bizzarrie più o meno grottesche cui siamo ormai avvezzi in questo paese. Perché, in realtà, non c’è cosa peggiore che abituarsi a «piccoli» sistematici e apparentemente innocui abusi del genere, che spostano sempre più in là i limiti della decenza e la deriva dell’idea stessa di cultura.

Che la proposta suoni come una contraddizione in termini per chi abbia una qualche cognizione del significato che ancora oggi, nonostante tutto, si tende ad attribuire a una laurea honoris causa, che insomma ci sia un che di paradossale in una laurea in Scienze della Comunicazione, in una laurea tout-court, assegnata a una figura come Umberto Bossi rende l’interferenza del ministro Gelmini non solo inopportuna, ma ne fa la manifestazione di una dissimulata prova di forza da parte di un potere dal volto mite che, dopo aver messo pesantemente le mani nei bilanci della scuola e dell’università, spacciando una questione di cieca contabilità per una riforma, rivendica il diritto di mettere becco (e beccare chiunque si azzardi a dissentire) in scelte prettamente accademiche come l’attribuzione di una laurea, e lo fa, non a caso, sul filo del paradosso. Se si accetta un paradosso, d’altro canto, cosa si potrà non accettare, dopo?

È proprio su questa logica perseguita in modo più o meno scoperto in ambiti diversi della cultura istituzionale, che vorrei riflettere. E il fatto che, in questo caso, una tale logica di potere sia dissimulata nella innocenza di un omaggio al senatore Bossi chiesto dal ministro dalla faccia mite (Mariastella Gelmini) al rettore dell’università dell’Insubria di Varese, dà solo la misura di come sia capillare il processo in atto.

Indispensabile riconoscimento

Sarà un caso, certo, ma mentre il presidente della provincia di Varese scrive la sua bella lettera alla «Prealpina», chiedendo anche lui all’università dell’Insubria di conferire l’«indispensabile riconoscimento accademico all’uomo politico… più significativo degli ultimi 30 anni» che, con la sua «incredibile capacità di comunicazione di massa» ha reso possibile il «miracolo leghista», presentando il gesto insomma come un atto dovuto a un figlio illustre della Padania, in Sicilia, il presidente della regione Raffaele Lombardo (che tra «lombardi» del nord e del sud, oggi in Italia, ci si capisce più di quanto non sembri) istituisce, con tanto di decreto pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, tre onorificenze per premiare «l’identità siciliana» riservando all’assessore ai Beni Culturali il compito di presiedere una commissione ad hoc e a se stesso la scelta finale dei «meritevoli».

Verrebbe da pensare che dopo «l’egemonia sottoculturale» – come la definisce Massimiliano Panarari – di veline tronisti grandi fratelli imposta per via televisiva, sia arrivato il tempo dell’assalto alla diligenza o della vera e propria occupazione, da parte del potere politico, dei piani alti della cultura, di quella che dovrebbe cioè dar lustro a un paese o comunque dar conto della sua vitalità culturale o artistica, passata e presente.

È forse un caso che uno dei primi atti del ministro ai Beni Culturali Sando Bondi sia stata l’istituzione di quella Direzione Generale che ha, di fatto, esautorato il potere delle soprintendenze (come sottolineato dal Consiglio Superiore dei Beni culturali) per passarlo nelle mani dell’ex amministratore delegato di McDonanld’s Mario Resca? È forse un caso che anche l’assessore ai Beni culturali e all’identità siciliana della regione Sicilia, Gaetano Armao, abbia avocato al proprio dipartimento la gestione di tutti i musei e i siti culturali della soprintendenza di Palermo? È forse un caso che oggi il sovrintendente di Fondazione Arena, a Verona, sia tal Francesco Girondini, perito agrario, fedelissimo del sindaco Tosi…?

E tutto questo mentre si moltiplicano i casi di censure dirette indirette: dai tagli indiscriminati, vessatori, ciechi a teatri stabili, enti lirici e istituti culturali in genere, alle sempre più frequenti «valutazioni» espresse dalle amministrazioni pubbliche riguardo all’opportunità di mettere in scena opere ora perché «non in sintonia con le linee culturali dell’assessorato» (come nel caso di due testi di Renato Sarti, del Teatro della Cooperativa di Milano) ora perché «toccano temi scabrosi come l’omosessualità» (come è accaduto per Orgia di Pasolini che l’assessore alla Cultura della Provincia di Milano ha chiesto di cancellare dal cartellone di «Invito a teatro»), valutazioni che non si preoccupano nemmeno di dissimulare la precisa volontà di allineare la cultura o addomesticarla in base a linee-guida dettate o meglio «consigliate» (il volto mite del potere) da chi sempre più spesso scambia l’amministrazione della cosa pubblica con l’esercizio di un potere appunto che non ammette disallineamenti sino al caso esemplare di Morgan cui il sindaco di Verona, Tosi, ha vietato di esibirsi all’interno della rassegna Cantautori doc… work in progress adducendo motivazioni siffatte: «Uno che si vanta di fare uso di cocaina non può venire ad intrattenere il pubblico veronese», in cui evidentemente la «valutazione» passa addirittura dall’opera all’uomo, anzi all’immagine dell’uomo esemplare.

Il culturame parassitario

Il tutto accompagnato da un accanimento che, nella sua indiscriminata aggressività, mostra l’insofferenza dell’odierna classe politica nei confronti degli artisti tout-court che, qualche tempo fa, il ministro Sandro Bondi ha definito con precisa cognizione di causa «accattoni genuflessi» (il «culturame parassitario» del ministro Brunetta fa ormai letteratura). E citare oggi il nostro ministro ai Beni culturali significa anche evocare l’unico poeta (non ancora laureato) in grado di vantare spazi televisivi (Porta a Porta) e addirittura una propria rubrica in un settimanale (Versi diversi, in «Vanity Fair») dove poter pienamente dar conto dei suoi nobili componimenti d’occasione «A Rosa Bossi in Berlusconi», «A Silvio», «A Pierrenato Bonaiuti», «A don Lorenzo Milani», «A Barack Obama», «A Luciana Littizzetto», «sbirulino dispettoso» persino (il volto mite, accogliente del potere).

Questo accade in un paese dove i poeti vivono vite clandestine, e in cui la maggioranza degli italiani probabilmente non ha mai sentito nemmeno nominare un tal Luciano Erba, un poeta appunto, capace di cogliere il nonsenso e l’assurdo di cui è intessuto il nostro quotidiano vivere in versi così: «Scale/che non portano/da nessuna parte/scale/che salgono soltanto per scendere/è difficile orientarsi/nei dintorni del nulla».

Speriamo che nessuno si ricordi che anche Bossi ha scritto poesie (in dialetto lombardo per di più).

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32 Commenti

  1. “Voglio proprio vedere chi avrà il coraggio …” Ecco, appunto, chi lo avrà? Quando si arriva a laureare i due V.Rossi come lo si trova poi il coraggio? (In proposito ho spulciato in rete, leggere qui offre piccole-grandi illuminazioni:
    http://www.jugo.it/modules.php?name=News&file=article&sid=1461
    per Vasco
    http://www.jugo.it/modules.php?name=News&file=article&sid=3469
    per Valentino)

    Eppure, è proprio questo che si deve trovare, oltre a pezze giustificative inattaccabili perchè ancorate a un fondo condiviso (?).
    Quando ieri AMA, nel thread sulle icone, ha tirato fuori la proposta di analizzare il linguaggio violento della Lega e l’icona Bossi, mi era venuto d’istinto di scrivere questo:
    Il discorso dei leghisti è il discorso del risentimento, quello berlusconoide è il discorso del di-vertimento. Sono due retoriche complementari che coesistono perfettamente perchè corrispondono al normale vissuto prepolitico, anzi apolitico, di milioni di italiani. Un grimaldello retorico per fare leva sul vissuto, questo è quanto manca alla sinistra. Cosa c’è, nel vissuto degli italiani, che, prepoliticamente e apoliticamente, non sia nè risentimento nè di-vertimento? E che non siano neppure malinconia e lutto di cui sono infarciti tutti i discorsi della sinistra?
    Vendola e Saviano evocano il coraggio, ad esempio. lo sguardo diretto senza sfrontatezza nè arroganza, la speranza senza illusione.

    Insomma, il coraggio. Chi ce l’ha? E’ un sentire abbastanza diffuso che possa spingere ad attivare un’ efficace pragmatica della comunicazione?

  2. Bossi CELAVEVADURO… prima che, come, ha raccontato, bene Pietro Citati, non, fosse stato sorpreso a tirare, tardi, in un albergo, dove si sospetta, facesse l corna alla moglie (forse ho tirato, a indovinare le virgole?)

    Comunque, Evelina, ce ne ha di stomaco per occuparsi di tutta questa feccia! A parte Bossi, che politicamente parlando è un genio, dato che insieme a quattro deficienti ha occupato lo spazio vuoto del populismo identitario di destra (che sarà il vero mostro d abbattere nei prossimi decenni!), nello stesso momento in cui i partiti tradizionali, diciamo per ragioni di europeismo, si allontanavano dal popolo straccione (e postulante!) più che potevano. Perché vi dev’esser chiaro, se qualcuno vuol fare le riforme, in questo paese, deve stare lontano il più possibile dal popolo (DAL TERRITORIO), che dalla politica vuole protezione per sé e i propri famigli, niente altro. In questo senso il popolo non fa sconti ai politici, solo in questo senso.

  3. Permettetemi di dissentire, la Gelmini non è rassicurante è totalmente inespressiva poverina, mi ricorda tanto la mia insegnante di “sistemi e automazione”(è una delle materie che si insegna negli istituti tecnici), che poverina anche lei, non ci capiva una mazza di quello che spiegava, perché si era laureata in matematica è aveva forse dato un esame per poter spiegare quella materia; aveva la stessa espressione.. senza espressione, e un linguaggio del corpo tutto “stretto” come in preda ad una persistente stitichezza. Tutto questo per darsi un tono. Nessuno ci capiva niente, però quella sua freddezza dava a tutti la senzazione che dovesse andare così, che la materia fosse ostica di per sè. Per circa tre mesi ci a fregato tutti: tutti eravamo convinti di essere dei cazzoni. Poi un giorno le chiesi, quella domanda mi venne fuori dalle viscere: ” Ma è sicura “, il quell’occasione l’insegnante avvampò, “io non ci capisco niente quando lei spiega” incalzai, allora tutta la classe cominciò a vociare ripetendo “non si capisce niente”. Mi spiace ancora adesso.. si mise a piangere compostamente e uscì dall’aula.

    Forse la Gelmini è solo stitica..

  4. Io comunque a Bossi la laurea la darei, dopotutto l’efficacia della comunicazione dipende dalla capacità che ha l’emittente di raggiungere il destinatario, e dalla capacità che ha, sempre l’emittente, di farsi capire perchè la comunicazione avvenga nel migliore dei modi.. e dalla capacità dell’emittente di scegliersi i destinatari giusti; ecco l’unica cosa che si puo’ contestare a Bossi è che la sua comunicazione è efficace solo per uno stretto numero di individui, localizzati in precise aree geografiche(se cambia la legge elettorale si “attacca”); e la qualità dello stile è basso(rozzo direi).. e pero’, se assumessimo l’assioma che lo stile e il contenuto coincidono.. nel suo piccolo Bossi ha fatto il suo piccolo capolavoro di comunicazione, grazie a una legge elettorale che lo favorisce; ha, come dire, superato l’esame con un aiutino; un po’ come ha ottenuto la laurea la Gelmini(si dice), così si spiega anche come mai proprio lei caldeggi la laurea per Bossi. Dai facciamolo uscire con il minimo dei voti e consegnamogli la laurea con l’aiutino, dopotutto il Bossi ha solo approfittato di un aiutino contingente, che l’ha favorito.

  5. a ares vorrei dire che non vorrei che è invidiosa della germini anche se la stimo per la sua grande femminilità. infatti è sexy grazie a quegli occhiali da segretaria disponibile in cui il datore di lavoro può soddidfare le sue voglie bestiali e poi tornare a casa dalla moglie che è sicuramente un water e non le soddisfa. tra l’altro ho saputo delle cose incredibili che ha spiegato guzzanti ha proposito di certi rapporti non graditi con il presidente in cui sono sicuro che sul finale erano convolti anche gli occhiali ma questo non l’ha detto. a lerri invece vorrei dire che ho capito la sua ironia quando dice corna infatti anche a me un’amico dei dervizi segreti non deviati mi ha spiegato che bossi quando ebbe il tocco era a letto con maria luisa corna e pare che stavano avendo un rapporto bestiale in cui sicuramente il senatour ce l’aveva duro anche perché sinceramente la corna oltre a sapere cantare e presentare è bona. grazie e scusate

  6. Una sola osservazione. Se ho scritto questo articolo, l’ho fatto non tanto (o soltanto) per stigmatizzare la proposta ministeriale di una laurea a Bossi, il suo signigificato, nonché i modi e i termini con cui una tale laurea è stata caldeggiata, ma anche (e soprattutto) per affondare lo sguardo su un territorio più ampio: quello che oggi vede il potere politico occupare o gestire con arroganza, noncuranza, spudoratezza le istituzioni culturali: come nel caso di Tosi con l’arena di Verona o nel caso di Armao e Bondi con i beni culturali di questo paese, mentre, come cerco di spiegare nell’articolo, si moltiplicano gli interventi (vere e proprie interferenze nemmeno dissimulate) che in modo diretto o indiretto tentano di impedire ai «non graditi» (per i temi trattati o «modelli» rappresentati) di lavorare liberamente, anzi spesso di «lavorare» proprio. E il fatto che tutto ciò avvenga in modo spudorato, appunto, è più significativo, a mio avviso, di quanto non sembri.

    Il caso Bossi mi è sembrato insomma l’ennesimo eclatante gesto (e messaggio) di arroganza, l’ennesimo eclatante tentativo di promuovere un certo devastanate e devastato modello (sub)-culturale, e imporlo come tale. Nessuna smania di mettere le mani nella feccia, solo la convinzione che è nei «partcolari», nei «dettagli», direi, e nella «sistematicità» di certe scelte e procedure che si riesce probabilmente a leggere fino in fondo lo stato di cose in cui versa il nostro paese. Stato di cose in cui, ahimè, le responsabilità sono, per molti versi, condivise: che sia per inettitudine, per debolezza, per collateralità o per mancanza di visione, beh, poco importa.

  7. Un’ultima osservazione: che la notizia della proposta di una laurea a Bossi sia venuta fuori appena qualche giorno dopo la morte di un poeta dimenticato come Luciano Erba rende solo più evidente come in questo paese, in verità, ci sia ancora, nonostante tutto, una ricchezza che a tutti i costi, da un po’ di tempo, si cerca di tenere nell’oblio o di soffocare.
    Il giorno della morte di Luciano Erba la vera notizia era infatti: non «è morto Luciano Erba», ma «in Italia viveva ancora un poeta come Luciano Erba solo che non lo sapeva nessuno, come nessuno domani si ricorderà che è esistito». Lo stesso vale per tutti quei talenti che «vivono» ancora in Italia o che se ne sono dovuti andare via in questi anni, mentre i Bondi e le loro poesie imperversano e danno la misura (sbagliata) di un paese senza «intelligenze», senza «cultura», senza «spirito critico». Che il paese, nella sua opinione pubblica, sia messo malissimo non ho molti dubbi, ma è della cosiddetta «intelligenza» che vorrei parlare per un attimo.
    Da un po’ infatti ho un sospetto: a chi giova dire che l’Italia è ormai un paese la cui intelligenza è fatta solo di «accattoni genuflessi», di «culturame», di ricercatori matenuti, di insegnanti inutili… da disprezzare e umiliare, se non addirittura da eliminare del tutto, come sostengono i vari Bondi, Brunetta, Gelimini, Tremonti (che gestisce le casse, e dunque le risorse), mentre si mettono periti agrari e manager di McDonald’s a gestire il patrimonio culturale di questo paese? Forse in questo paese c’è più intelligenza e più cultura di quel che sembra, solo che si fa di tutto per schiacciarla, offenderla, limitarne la visibilità, scacciarla all’estero… e soprattutto per impedirle di generare altra intelligenza… Ci sono certo peccati originali terribili da parte di chi, nelle istituzioni culturali e nelle accademie, ha fatto terra bruciata in tutti questi anni attorno a sé, ma adesso, a mio avviso, quel peccato (quella colpa gravissima) è diventata «sistema», scelta politica precisa, LINEA-GUIDA DI PROPAGANDA, addirittura.
    È questa sensazione e il corollario di considerazioni ad essa connesse che mi premeva condividere con voi, a partire da quell’articolo su un fatto «così marginale»…

  8. Evelina il ” peccato ” cultura, purtroppo per chi non può fare a meno di esprimersi, è nato sistema: ha visto che guerre si fanno, ovunque, per controllarla? Le sembra un caso che Berl controlli con le sue imprese tv, pubblicità, editoria letteratura compresa, cinema, fiction, cioè gran parte del macchinario di narrazione del paese? Il discorso sarebbe lungo, ma dia retta, prima ci se ne disfa, del concetto di cultura, e meglio è sia per gli artisti che per i bisognosi di bellezza. Almeno psicologicamente…

  9. Adesso non cominciamo ad attaccar brighe, fate i bravi..

    è chiaro che il concetto di cultura non si puo’ eliminare, anche perche si dovrebbe eliminare pure il concetto di anti cultura, bassa cultura.. ecc..

    .. e queste sono dure a morire..

  10. Evelina provo a spiegarle la questione coi soldi, facendo un esempio non a caso. Io stesso mi sono occupato per 20 anni di teatro. Sa dove finiscono i copiosi finanziamenti pubblici? Almeno per il 70% in burocrazia, nel funzionamento degli Enti Culturali (questo io chiamo sostanzialmente ” cultura “, quella di cui vorrei fare a meno). Il 30% che rimane per gli artisti, a sua volta, viene speso in gran parte in burocrazia e tasse. Agli artisti, per lavorare, non rimane nemmeno il 20% dell’investimento. Ecco, io vorrei che i soldi destinati all’arte andassero agli artisti. Il ragionamento le risulta così pericoloso per l’arte? So anche che questa benedetta cultura, di fatto controllata dai politici (e dalle massonerie), fa da omogeneizzatore dei contenuti, tende a schiacciarli verso il basso, magari perché deve soddisfare I BISOGNI DEL TERRITORIO… CHE SONO LE SOLITE CLIENTELE. Vede Evelina, che le piaccia o no, la forma nella quale il sistema cultura distribuisce contenuti, è una forma che tende a escludere qualsiasi discorso di pertinenza linguistica (ciò vale a maggior ragione per le aziende editoriali). I palchi dei teatri, oggi, sono affollati di morti di fama televisivi, che lo usano come parcheggio in attesa di contratti tv, e peggio ancora di giornalisti-scrittori Savonarola. A tutto danno dell’estetica teatrale, che, le ricordo, in Italia ha prodotto tra l’altro Eduardo de Filippo e Carmelo Bene, quanto di meglio in Europa, i quali si erano battuti, a suo tempo, per l’abolizione del ministero al turismo e spettacolo, così come per l’abolizione dei contributi di Stato al teatro (volevano solo essere detassati). Se poi lei si sente più protetta da quest’inverosimile involucro di ipocrisia chiamato cultura, peggiore di qualsiasi barbarie, attraverso il quale si danno finanziamenti e patenti di artista o di operatore culturale a qualsiasi cialtrone che sia amico di un politico o di un massone, mi lascia almeno sognare che esiste una via di fuga? E non si preoccupi, finché c’è Berlusconi nessuno brucerà la cultura, dato che è quasi tutta sua… e quella che non è sua porta acqua al suo mulino, visto che non riesce in nessun modo a rappresentare gli elettori a lui avversi.

  11. .. a ma qui stiamo proprio ribaltando il concetto.. adesso mi è un po’ piu’ chiaro..

    .. hem pero’ non tutti i teatranti sono così, molti rispondono solo a se stessi, alla compagnia e al pubblico(non inteso come pubblico ufficio)

  12. .. questi muoiono di fame .. è chiaro… è quasi volontariato..

    .. le tasse e i vincoli SIAE sono la vera spina nel fianco…

    azz.. dimenticavo gli spazi teatrali.. quelli o non ci sono o sono effettivamente occupati da altri..

  13. Però diciamolo che noi incanutiti frekettoni abbiamo goduto come dei ricci per la laurea al blasco, per l’affermazione glorificata della nostra “generazione di sconvolti che non ha più santi ne eroi”, diciamolo che il Vale nazionale ha legittimato in facoltà tutti quelli che andavano veloci. Diciamolo che siamo la cultura della debolezza che deve cercare il coraggio nei Saviano mondatori e nei Vendola affabulatori. Diciamo che noi siamo più bravi, perché il nostro tessuto antagonista di rappresentanza la sua laurea vera ce l’ha gia, ma diciamo pure che è quella di Di Pietro e le alternative comunicative sarebbero la Bindi e Franceschini.
    Piantiamola di raccontarci fregnacce e chiediamo a Morgan perché non è venuto a suonare lung adige gratis una volta che è stato cacciato…il cielodurismo sta ai finanziamenti come la cultura bondiana ai Vanity fair così scopriamo l’acqua calda. E diciamo anche che questo è l’ennesimo piantino da intellettualini gracili, l’ennesima rivendicazione di chi non riesce più a scrollarsi l’odore di aver perso.
    Un caro saluto

  14. Gentile Alessandro Assiri, mi dispiace che lei legga «piantini» dove c’è solo la volontà di allargare lo sguardo su alcune evidenze che solo se messe insieme in un discorso unico acquistano un senso. Quel che ho provato a fare nel mio articolo è questo: mettere insieme le cose e «leggerle» da questa prospettiva.

    Non so, oltretutto, di che rivendicazioni stia parlando. Personalmente (e per me) non rivendico un bel niente, anzi rivendico solo il diritto (il dovere) di provare a capire il mio tempo e le circostanze in cui mi ritrovo a vivere. Cosa che ritengo sia, in realtà, dovere di tutti noi, ognuno a suo modo certo, ma il «modo» non dovrebbe mai sfuggire al confronto con la realtà e a una «lettura» che tenti di andare un po’ al di là della provocazione o del ringhio rabbioso o ancora del dettaglio isolato dall’insieme (il dettaglio «laurea a Bossi» isolato dal resto diventa quasi irrilevante, infatti). Nel mio articolo non si rivendica un bel niente, dunque, si constata quel che accade in questo paese, in cui in verità si rischia di «perdere» tutti (a prescindere dalle appartenenze, direi), tranne i furbi e chi, in ogni ambito, sa come farsi gli affari propri, anche standosene in silenzio.

    Ares,
    grazie. Almeno qualche volta qualcuno prova a «leggere» quello che qualcun altro cerca di dire, mentre troppi, come Larry Massino, fanno di tutto per spostare il discorso altrove, dove fa comodo (magari anche solo per fare un po’ di polemica… sui soldi pubblici spesi inutilmente in enti inutili… come – dovrei aggiungere io in contropolemica in questo gioco di piccole polemiche – centri per la ricerca quale quello fondato da Rita Levi Montalcini… giusto per citare chi la ricerca l’ha fatta davvero e ha cercato di farla fare anche in Italia, invece di regalare all’estero i nostri cervelli migliori… e lo dico, tra l’altro, con personale cognizione di causa, direi: da sorella di un astrofisico che se ne è dovuto andare in Germani per poter lavorare, far ricerca, insegnare e oggi, oggi dà lezione di astrofisica ai giapponesi… mentre in Italia viene solo per farsi qualche vacanza con la famiglia…)

  15. Ha ragione il premier: un modo per far rientrare i cervelli in fuga è diventare uno stato che fonda la sua economia sul turismo, per fare in modo che questi tornino per le vacanze. °-°

  16. Santangelo, che ne sapevo io della cognizione di causa? Se lo diceva prima che ha il fratello astrofisico! In questo caso è ovvio che i suoi argomenti sono autodimostrativi. Magari in coda al prossimo articolo metta anche gli argomenti coi quali si può discutere con lei. Se ci tiene ad avere un commento mio, però, ne metta almeno uno in più al possibile commento elogiativo.

  17. Evelina Carissima, mai sostenuto che lei rivendichi alcunchè, è il rischio strumentale della notizia che diventa un pianto in sè, come tutto, come purtroppo tutte le cose, come un certo atteggiamento alleggiante del quale credo converrà
    un caro saluto

  18. Gentile Larry Massino,
    vedo che confonde (intenzionalmente, ritengo) piani e argomentazioni. Il riferimento più significativo riguardava i fondi negati alla ricerca del centro della Montalcini… per il resto, (in questo ping pong di botta e risposta tra lei e me, non nell’articolo, che difficilmente faccio riferimenti personali nei miei articoli), per il resto, ripeto, beh, non c’è nulla che accomuni la vera ricerca scientifica con questo genere di iniziative che, ribadisco, sono solo emblematiche di un clima e di un modo di gestire e concepire le istituzioni nonché il patrimonio di intelligenza e cultura di questo paese che in molti casi continua, grazie a dio, a lavorare benissimo altrove. Non è «pro domo mea» che ho fatto riferimento a uno scienziato andato all’estero. Il rammarico è semmai più per l’Italia, le assicuro, che credo a buon diritto molti di noi vorremmo migliore di quel che oggi esprime, se non altro, nelle scelte appunto della sua classe dirigente, che troppo spesso gestisce e taglia fondi in modo scriteriato, anzi, forse a ragion veduta (come dice lei). Il fatto è che quelle «ragioni», personalmente le trovo devastanti, ecco. Tutto qua.

    Gentile Alessandro Assiri,
    capisco a cosa si riferisce e condivido, però questo non significa che non si possano fare delle analisi a partire da fatti che si ritengono particolarmente significativi, anche per i modi e i termini in cui si presentano.

  19. Come si sa bene qui al nord, Bossi è uno che è rimasto iscritto a Medicina per non so quanti anni, fingendo coi genitori che lo mantenevano di dare esami che non dava. Il classico vitellone disutile fino a trentanni, quando poi non ha potuto più fingere e si è inventato qualcosaaltro e altri gonzi da cui ricavare pane e companatico.
    Quindi la laurea honoris causa è un premio alla carriera (di ciarlatano).

  20. IL BOSSI DICE DELLE GRANDI VERITà MA HA VOLTE SPARA ANCHE
    DELE BELLE M I N G H I A T E . PER QUESTO LAMO E CI ANDREI HA
    PESCA SPERANDO CHE NON SPAVENTI I PESCI.
    ANTONIO BONARIO.

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