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Il vicolo cieco delle icone


di Christian Raimo

La scena politica italiana presente assume ogni giorno tratti più spettacolari e tardo-imperiali: un’apocalisse di serie b, un viale del tramonto scalcinato, una tragedia che si è già trasformata in farsa e che si ripete come in una sit-com in sindycation sui canali satellitari, l’audio delle risate registrate ormai usurato. Le varie narrazioni che Berlusconi ha sdoganato negli ultimi anni sono diventate un modello pervasivo, ritrovabile in mille ambiti sociali e culturali, sono le forme di vita con cui si presenta spesso lo scenario politico, quello culturale, quello semplicemente umano: è l’Italia che si racconta, e si lascia guardare, sfatta e mostruosa, senza pudore. C’è la storia di quello che lo beccano con le mani in pasta e non si giustifica, c’è quello che dice una bugia e dichiara appena dopo di non averla detta, c’è quello che fa il gallo con le donne e si vanta con gli amici, c’è quello che dice che qualsiasi problema c’è lo aggiusta lui… Berlusconi è un carattere sempre più poliedrico, autocontradditorio, imprendibile ma definitivo, di questa commedia all’italiana acida e ripetitiva. Per questo suo diventare “carattere”, Berlusconi è oggi ancora più pericoloso: anche quando sarà uscito dalla dimensione pubblica, la sua figura (le sue infinite figure) – non le sue idee politiche, beninteso – resteranno. Questo è quello che si dice il berlusconismo oltre Berlusconi: la sua forza è di essere riuscito a rendere il linguaggio pubblico non più referenziale, ma perennemente performativo, attoriale. Non importa cosa Berlusconi dica – il significato non è più passibile di verifica (come è per Frege un enunciato linguistico), ma è solo performance: il senso di quello che viene pronunciato è il suo effetto.
Ma se vogliamo forse focalizzarci su quali sono i due tratti che meglio rappresentano la sfaccettata, inafferrabile maschera di questo commediante dobbiamo rifarci ad altri personaggi emblematici del nostro tempo. Cogliere le ragioni di successo del personaggio in altre figure, provare a considerare come – è così in ogni tradizione drammaturgica che si rispetti – Berlusconi sia oltre che seminale anche derivativo.
Tra i personaggi che più ci svelano il senso del “carattere” Berlusconi possiamo trovare Jean Claude Romand, Telespalla Bob, e Rupert Pupkin. Ricordiamo chi sono.
Jean Claude Romand sale alle cronache il 9 gennaio 1993, perché in un incendio nella bassa Lorena muoiono sua moglie, i suoi figli, i genitori, i suoceri, il suo cane, mentre lui la scampa per un pelo. Subito si scopre in realtà che è stato proprio Romand a aver appiccato fuoco alla casa, e a aver sterminato la sua famiglia. Ma questa scoperta atroce non è la più sconvolgente. La verità impensabile che sta dietro alla vicenda è che quest’uomo mente sistematicamente da diciotto anni. Come ricostruisce Emmanuel Carrère nel romanzo-inchiesta L’avversario, Romand ha cominciato a fantasticare la propria vita quand’era all’università, millantando con i suoi la buona riuscita di un esame che invece non aveva passato, per poi continuare senza interruzione a mentire fino a quando non poteva più non essere sbugiardato: a quel punto ha dato fuoco al suo mondo. Nel frattempo ha inventato di essersi laureato, ha finto di essere un importante medico dell’Oms, si è sposato e ha condotto una vita borghese per cui è stato ammirato, come marito, padre, uomo, professionista. In realtà la sua esistenza è stata uscire di casa tutte le mattine dicendo di andare al lavoro e passare invece intere giornate, per anni, per decine d’anni, a passeggiare nei boschi o a bere caffè in qualche bar dell’autogrill. Si è sostentato per tutto questo tempo grazie ai soldi affidatigli dai parenti a cui ha promesso fruttuosi (ma inesistenti) tassi d’interesse in banche svizzere. Quando non è riuscito più a controllare questa montagna di invenzione, ha preferito far esplodere tutto ciò che aveva intorno a sé.
Telespalla Bob è invece un personaggio dei Simpson. Il suo vero nome è Robert Underdunk Terwilliger, ma in è conosciuto come Telespalla Bob (Sideshow Bob, nell’originale) perché è stato la spalla televisiva di Krusty il Clown, prima di finire in prigione proprio per aver cercato di vendicarsi contro Krusty, colpevole ai suoi occhi di averlo vessato per anni, relegandolo a un ruolo infimo di spalla. Il suo piano di rivalsa è fallito perché Bart Simpson l’ha scoperto attirandosi così proprio l’ira omicida di Telespalla. Nelle varie puntate successive in cui compare, Telespalla Bob segue una lunga parabola circolare di tentativi di uccidere Bart, carcerazioni, redenzioni, nuovi piani assassini, etc… Nel finale di una delle più belle puntate dei Simpson, “Il promontorio della paura”, nella quinta serie, Bart riceve alcune lettere anonime scritte col sangue che lo minacciano di morte: l’autore, noi spettatori lo sappiamo, è proprio Telespalla Bob, desideroso di vendetta, che in carcere pur di griffare col proprio sangue la carta, vediamo cadere più volte svenuto.
Quando Telespalla Bob viene rilasciato (riesce a convincere la giuria che il tatuaggio che ha inciso sul petto, Die Bart Die, non vuol dire “Muori Bart Muori”, ma è tedesco e sta per “Il Bart Il”), la famiglia dei Simpson chiede dunque aiuto all’Fbi, che decide per un programma di protezione testimoni, facendo cambiare identità a Homer e compagnia. Non sono più i Simpson, ma i Thomson: che si trasferiscono in una casa-barca in riva a Horror Lake. Nel viaggio transamericano non si accorgono però che Telespalla Bob li riesce a pedinare agganciandosi al sotto della macchina. E una notte scatta l’agguato: Telespalla Bob sale a bordo della barca-casa, lega tutti i Simpson tranne Bart e si appresta a compiere la sua vendetta. Bart, ormai condannato a morte, gli chiede allora di poter veder esaudito un ultimo desiderio: assistere alla rappresentazione del Fantasma dell’opera. Telespalla Bob è incerto, ma alla fine accetta, e ingegnandosi con costumi super-improvvisati (stracci come parrucche…) interpreta tutti i personaggi dell’opera, in un’intensa performance da one-man show che dura ore. È il tempo che serve perché la barca, senza nessuno al timone, finisca per arenarsi sugli scogli e perché la polizia allertata dalla scomparsa dei Simpson, arresti Telespalla Bob.
Il terzo personaggio, Rupert Pupkin, è invece frutto della fantasia di Paul Zimmermann, sceneggiatore di Re per una notte, film di Martin Scorsese del 1983. Rupert Pupkin è un comico dilettante ma assai convinto del proprio talento, interpretato da Robert De Niro. All’inizio lo conosciamo come un semplice fan del comico televisivo Jerry Langford (impersonato da Jerry Lewis), ma dopo un cordiale incontro fortuito, Pupkin comincia a perseguitarlo, si apposta di fronte gli studi: vuole a tutti i costi un’audizione. Jerry Langford passa dalla cortesia all’insofferenza. E Pupkin decide con la complicità di una sua amica di sequestrare Langford e di ricattare la polizia: lo ucciderà se non gli lasciano fare un’apparizione nello show televisivo di prima serata. La polizia accetta e la performance di Pupkin, che lui chiosa con la frase del titolo “Meglio re per una notte che buffone per tutta la vita”, avrà un enorme successo. Subito dopo la serata, viene arrestato. Ma dopo qualche anno di prigione che gli servirà a scrivere la sua biografia di artista incompreso e folle, otterrà la fama agognata.
Dove sono le somiglianze tra questi tre personaggi e il personaggio Berlusconi? Nella dialettica quasi schizoide tra il desiderio di piacere, la potenza narcisistica, e la rabbia cieca che si scatena nel caso questo desiderio venga frustrato. Romand non riesce ad accettare il suo insuccesso e costruisce un ricatto paralizzante con se stesso: sceglie di rinunciare all’intera autenticità nella sua vita pur di vedersi riconosciuto in un ruolo che susciti l’ammirazione degli altri. Telespalla Bob vuole vendicarsi delle angherie di Krusty il clown che non lascia emergere il suo talento, e trasforma la sua voglia di palcoscenico in pura violenza omicida diretta contro Bart; il quale Bart però, intuendo la personalità scissa di Telespalla Bob, per salvarsi, fa leva proprio sul suo desiderio wagneriano di esibizione, e gli chiede di rappresentargli da solo un’intera opera teatrale. Rupert Pupkin è invece più efficace nel gestire questi istinti narcisistici: il ricatto che mette in atto pur di poter apparire in tv sa che lo priverà di anni di libertà, ma gli consentirà anche di diventare famoso e ammirato, ammirato anche in quanto ha perseguito il proprio obiettivo senza sconti.
Il desiderio di piacere a tutti i costi e la violenza di rappresaglia nel caso il mondo non risponda più alla propria proiezione narcisistica sono proprio le caratteristiche della psicosi berlusconiana (sua e nostra, della società che gli è intorno) di questo ultimo tratto della sua commedia quasi ventennale (diciott’anni, proprio come il tempo in cui regge la menzogna di Romand, viene da riflettere). Da una parte il suo atteggiamento suasivo, seducente, le barzellette ripetute in modo sempre più compulsivo, l’assoluta assenza di autocritica, l’ergersi a modello di successo in ogni campo (politico, economico-sociale, ma anche sessuale, relazionale, genetico…); dall’altra il livore con cui viene affrontata la possibilità di opposizione a questa sua idea proiettiva del mondo. Non sono le critiche dei giornali o degli altri partiti politici o dei finiani che Berlusconi non tollera, ma gli è letteralmente insopportabile qualunque cosa che scalfisca la sua realtà. Il prezzo del delirio narcisistico è illimitato. Romand fa esplodere la sua casa e stermina la sua famiglia, Telespalla Bob impazzisce nell’ultima puntata in cui appare, Rupert Pupkin è capace di sequestrare e uccidere, pur di portare a termine il suo disegno. È chiaro che stretti tra le corde di questo ricatto portato alle sue estreme conseguenze ci siamo ancora noi.
E questa non è una semplice metafora. Possiamo ragionare proprio come in realtà le più efficaci e condivise forme di opposizione culturale a questo dilagare berlusconiano, abbiano dei toni simili: speculari, o complementari.
Non sembrerà un caso che negli ultimi anni, meccanismi di difesa narcisistica si siano annidati anche nei più strenui oppositori del “discorso” berlusconiano. Prendiamo ancora due casi simbolici: Daniele Luttazzi e Roberto Saviano.
Il caso di Daniele Luttazzi, emerso in rete un paio di mesi fa, ha delle assonanze inquietanti con la vicenda di Romand. Il comico di Santarcangelo – il leader della satira, studioso dei meccanismi delle narrazioni emotive, teorico raffinato della retorica comica – viene accusato da una serie di fan (diventati ex dopo la vicenda) di aver attinto in modo massiccio al repertorio di comici americani perlopiù sconosciuti in Italia, come Bill Hicks, Emo Phillips, George Carlin… L’accusa è più pungente: quello che gli si rimprovera è di non aver mai ammesso questi debiti, anzi di essersi sempre scagliato a gran voce contro coloro, come Paolo Bonolis o Silvio Berlusconi stesso che copiavano le sue battute. Per esempio a Bonolis rivendicava la paternità della freddura “Come si fa a capire quando una mosca scoreggia? Vola dritta”, e a Berlusconi di essersi appropriato della di quella che dice: “Quanti hai anni hai, bambino? Cinque? Pensa che alla tua età io già ne avevo sette”. Il problema è appunto che anche queste due battute sono rispettivamente di George Carlin e di Eddie Izzard. Di fronte a un sito come ntvox.blogspot.com che elenca centinaia di plagi per una massa di un terzo del suo intero repertorio comico, Luttazzi si è difeso dichiarando di seminare questi omaggi-plagi nei suoi spettacoli per cautelarsi in caso di processi per volgarità, vilipendio: un metodo che ha copiato, questo sì esplicitamente, da Lenny Bruce – quando questo venne processato dimostrò che le battute più oscene dei suoi monologhi erano farina del sacco di Aristofane.
Ma il punto che Luttazzi non coglie è un altro: è come se si fosse messo in una posizione in cui lui ha deciso di non poter essere più attaccabile. È il paradosso della vittima, che è stato e che è. Un artista di valore estromesso dal fare il suo mestiere – una mortale censura di stato. Purtroppo però in nome di questo paradosso, sembra che nessuno possa muovere più nessuna critica a Luttazzi, o quanto meno che lui non le recepisca. E così i suoi fan o ex-fan alzano il tiro, fino a spulciare ogni iota del suo repertorio in cerca di plagi e fino a massacrare la sua credibilità artistica. Ne valeva la pena?
Potremmo chiamare questo paradosso della vittima nella sua versione estrema “il cul-de-sac di Eric Clipperton”. Eric Clipperton è un personaggio di Infinite Jest di David Foster Wallace: un bravo tennista incapace di perdere che gioca sul campo con una racchetta in una mano e una pistola puntata alla tempia nell’altra, che pone ai suoi avversari un ricatto costante: se non vinco, mi sparo. L’assurdità geniale che coglie Wallace è che Clipperton non è una schiappa, ma è un atleta di talento: probabilmente vincerebbe gran parte dei match a cui partecipa, ma non sa perdere.
Non vi sembra – e qui arriviamo a un punto delicato – un vicolo cieco in cui si è infilato l’unica figura veramente contrastiva a Berlusconi degli ultimi anni: Roberto Saviano. Saviano è quanto di più conflittuale l’opposizione culturale abbia saputo creare nei confronti della maschera berlusconiana. Uomo del Sud, giovane, intellettuale, stigmatizzatore morale fino al suicidio civile… Saviano rappresenta – da un punto di vista dell’immaginario – la vera opposizione al berlusconismo. Eppure ne incarna specularmente una debolezza struttuale: il narcisismo portato alle sue estreme conseguenze. Anche Saviano non è criticabile a meno di rendersi complice di una sua gogna. Anche Saviano come Eric Clipperton si è messo nella posizione terribile per cui se non gli viene data visibilità continuamente, se l’attenzione dei media cala su di lui, se non viene difeso, noi lettori saremmo più ignari della criminalità di questo paese e alla fine la malavita avrà buon gioco a vendicarsi delle sue denunce. Anche Saviano in fondo, dice: se non mi leggete, se non siete d’accordo con me, a me mi fanno fuori – o comunque chi mi critica, fa il gioco sporco della calunnia mafiosa (quella di un Roberto Castelli o di un Emilio Fede per dire che hanno fatto loro rispetto a Saviano la formula camorristica: che vuole questo che ha fatto i soldi?). Il libro di Dal Lago, molto impreciso e pretestuoso in vari punti, coglieva però questo nodo.
E il ricatto di Saviano è assurdo per due motivi. Uno perché appunto è uno scrittore di talento, un ottimo giornalista, e in definitiva – ed è questo un altro equivoco che andrebbe chiarito – un perfetto uomo politico. Due, perché questa strategia comunicativa di Saviano non intacca l’avversario con cui se la prende in un punto fondamentale: quello del narcisismo mediatico. La faccia di Saviano sparata sull’Espresso o su Vanity Fair o moltiplicata per mille nelle pubblicità ma anche la sua ammirazione per personaggi-icona come Bono Vox o Leo Messi impedisce a chi lo ascolta di non associarlo anche a una maschera promozionale che è la stessa di Berlusconi o di un Fabrizio Corona: finisce per farlo diventare un corpo-icona. Compie, non volendo probabilmente, una conferma implicita a quel linguaggio berlusconiano che ci dice: si è ciò che si appare. L’unico obiettivo a cui aspiriamo tutti in fondo è avere attenzione dagli altri, essere sotto l’occhio dei riflettori.
Da questo cul-de-sac Saviano come ognuno di noi dovrebbe cominciare a svincolarsi, provare a guarire da quel ceppo virale del berlusconismo per cui il mondo è proiettato su di noi.
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93 Commenti

  1. Interessante. Merita un commento “musicale” adatto, tanto per rompere il ghiaccio e stimolare, invece, una ricca discussione, con tutte le implicazioni culturali e politiche del caso.

    http://www.youtube.com/watch?v=YNMDouGmvH4

    HEROES NO MORE
    Lyrics by Gentle Giant

    They were standing there – they were so near, yet so far away
    Were they so unreal?Just a dream of someone to be one day?

    There was endless fame.They were heroes, now they’re souvenirs
    And through changing years I can still remember – no quite so clear

    Heroes no more –
    Stay with me still
    I dream.I hope.I always will.

    Now they’re mine no more as they stand there in the glowing light
    I see every face like my own, but that was another night

    Now they’re just a dream of the time known ever left to fall
    Soon the game begins, but those heroes yours always to recall

    Heroes no more –
    Stay with me still
    I dream.I hope.I always will.

    Heroes no more –
    Stay with me still
    I dream.I hope.I always will.

    They were standing there – they were so near, yet so far away
    Were they so unreal?Just a dream of someone to be one day?

    There was endless fame.They were heroes, now they’re souvenirs
    And through changing years I can still remember – no quite so clear

  2. Siami (pl) sicuri che Roberto Saviano è stato prodotto dall’opposizione culturale? Sicuri che sia uno scrittore di talento e un ottimo giornalista? Ottimo giornalista no perché le sue fonti sono spesso traballanti. Scrittore di talento bisogna vedere cosa si intende per talento… Per me, per limitarsi all’Italia del novecento, viene dopo altre decine di scrittori viventi, nonché dopo centinaia di scrittori deceduti: quanto basta per non leggere di lui una riga.

    Raimo si è anche dimenticato le indecenti dichiarazioni di poetica letteraria fatte da Saviano nel salotto di Fabio Sazio. Ma penso lo faccia per ” amicizia “… Per il resto sono assai d’accordo con lui, a parte la farsa, che è l’unica cosa seria che abbiamo in Italia.

  3. Questa analisi è frutto di un’impazienza di fondo che non crede essere la Verità il piedistallo a sostegno della realtà. La Verità ha i suoi tempi, stabiliti dalle sue ragioni, spesso di non facile comprensione per chi vorrebbe tutto e subito. Il piedistallo della “cultura” e dei “valori” berlusconiani non è la Verità o meglio è la “verità della falsità”, e crollerà miseramente come i princìpi educativi a cui ha dato forma e sostanza, ma non essenza.

  4. Posto qui il link alla risposta che ti avevo dato nel post precedente:
    https://www.nazioneindiana.com/2010/08/13/la-performativita-vuota-di-berlusconi-idee-per-un-nuovo-discorso-di-sinistra/#comment-138373
    Non comprendo, in tutta franchezza, la tua risposta (che è di là): in che senso Saviano, in quanto politico, sarebbe sempre dalla parte del giusto? Tutt’al più vale il contrario, ponendosi come soggetto politico (il che è nel suo pieno diritto: per dire, anche Vaclav Havel è passato dalla letteratura alla politica) si è collocato in un campo nel quale per definizione c’è un’opposizione alle sue parole. Che poi l’opposizione si manifesti non entrando nel merito di quel che dice, ma con infamate del tipo “zitto tu che hai fatto i soldi, che vieni dl sud, ecc.” è segno della pochezza argomentativa dei suoi avversari, ma non può certo essergli addebitata. Ma è banale che, rispetto al “politico” Saviano, chiunque possa condividere le sue analisi, ma dissentire sulle proposte: la politica è questo, o no? E cmq, perché dovrebbe prendere lui le distanze dalla sua icona, se di questa icona non ne è l’autore? Perché non dovremmo prendere noi le distanze non trattandolo come un’icona, ma accettando o meno quello che scrive? Nel pezzo che abbiamo scritto su “carmilla”, se vedi, le critiche a questa o quella posizione di Roberto ci sono, senza alcun problema. E in ogni caso (vedi l’esempio della rivista che lo ritraeva morto su un tavolo da obitorio in copertina) da certe strumentalizzazioni Saviano le distanze le prende.

  5. Saviano unica figura contrastiva a Berlusconi?
    Mi sono perso qualcosa…
    Saviano è funzionale al sistema. E’ il fratellino coraggioso di Fazio.
    Addolcisce la cattiva coscienza del residuo coglioname di sinistra e fa un po’ incazzare i tagliagole della destra. Di più non si può pretendere.
    Quando Berlusconi uscirà di scena definitvamente (al massimo entro il 2020) gli assetti geopolitici saranno ancora cambiati e delle scorie novecentesche destra-sinistra rimarrà qualche trafiletto su vecchi giornali. E chi vivrà potrà perfino tentare di pensare qualcosa di nuovo…
    non sia mai che ci si riesca pure…

  6. io vorrei dire a lerri massimo che è inutile che fa domande contro il grande saviani anche se lo stimo. larry devi capire che saviani è effettivamente il prodotto che dice ramo perché infatti esiste proprio una linea della mondadori. alla mondadori hanno proprio una linea contro il potere e la società e la mafia ecc. e questo perché sono coraggiosi volendo accontentare tutto il pubblico. se a te piace la mafia compri magari il libro di dellutri o veneziani o sgarbi ecc. se invece sei contropotere allora c’è saviani e anche altri libri. addirittura mi ha detto un mio amico che la mondadori pubblica addirittura i libri contro il sav. e questo proprio per accontentare il pubblico e dimostrare di avere coraggio essendo democratici

  7. Raimo, come ho commentato nel post precedente (ma i miei commenti li mettono in moderazione e ricompaiono dieci ore dopo, se va bene), non capisco questa insistenza nell’identificare la politica con il suo linguaggio: prima la retorica, adesso le icone. Non che l’analisi non abbia un suo senso, condotta con la tua consueta lucidità, ma se si vuole davvero dare un contributo a ricostruire un fronte politico d’opposizione, bisognerà pur rendersi conto che il consenso politico nasce da questioni reali, e nella fattispecie quello dato a Berlusconi e a Bossi rispettivamente dalla frustrazione del ceto medio che chiede un nuovo boom economico per dare ai figli almeno quanto ha ricevuto dai padri e dalla zavorra di un sud infeudato alla mafia e improduttivo per la cosa pubblica.
    E’ con questi elettori e con questi problemi che ci si deve misurare, magari spiegando ai primi che la fase rampante dell’economia di scala è finita e non ritornerà, e offrendo ai secondi un federalismo che non sia l’anticamera della secessione. O no?

  8. Girolamo. Saviano ha una responsabilità su di sé enorme. Io al suo posto la gestirei molto peggio che lui. Se vedi i commenti che emergono anche qui, o se vedi quello che hai dovuto controbattere, capisci come il discorso performativo vuoto di cui parlavo nell’altro post ha il suo senso. Abbiamo a che fare con pseudo-oggetti linguistici e non basta fare la sacrosanta ricostruzione filologica o analisi logica di quello che accade. Occorre prendersi la briga di contrastare gli effetti del proprio discorso, anche quando sono opposti alle intenzioni. L’icona Saviano ha successo (e Berlusconi infatti lo attacca) perché ha delle caratteristiche simil-berlusconiano: iperesposizione, solitudine del discorso, (Saviano non va in televisione e fa un dibattito, pontifica; Saviano se scrive qualcosa su un settimanale ha la copertina; Saviano è l’unica figura che non sia del mondo dello spettacolo insieme a Berlusconi che ha avuto una copertina su Rolling Stone).
    Ed è difficile attaccare la posizione intellettuale di una persona che rischia ogni giorno la vita. Non per questo mi metto a fare la merda à la Fede che sminuisco il pericolo reale della sua incolumità. Mi dico semplicemente che Saviano dovrebbe prendere atto che qualsiasi cosa dice o scrive, viene recepita come messaggio politico, come programma. Non era nelle sue intenzioni, o almeno non del tutto. Ma gli è sempre più difficile fare l’intellettuale, e dovrebbe forse avere l’umiltà di agire la figura che in fondo incarna: quella dell’uomo politico.

  9. A me sembra che chi non ‘fa’ chi è ma quello che vuole apparire di essere, sia lui medesimo la sua stessa ipocrisia; ipocrisia che è la stessa sua verità. E ogni protagonista – vero o falso che sia, e che è lo stesso – non ama non lo si creda quando mente la sua verità e lo si contraddica, in questo gioco che somiglia molti.
    Chiaro che raggiunto quel che vuole, poi lo perda perché anche altri lo vogliono.
    Spesso si sa cosa si desidera avere per sembrare d’essere, ma non tutti il talento di sapere di come si fa.

    Poi quelli che sembrano essere i sottoprodotti in una società e la sua cultura, e che sono ladri ad altri di qualsiasi cosa e senza l’amore curioso di sapere; e il che somiglia un’intera umanità fatta talvolta di genuini utilizzatori finali.

    E la sorella che è sorella a tutti, poi: l’invidia che si sa vestire in tante guise a sembrar falsa per essere vera.

  10. Valter non identifico la politica con il linguaggio, identifico la politica con la prassi. il punto è che in una società della comunicazione, la prassi spesso coincide con il linguaggio.
    in questo senso sono cattolico credo.
    Se Gesù non fosse il Logos, la sua resurrezione sarebbe semplicemente fosse un bell’atto politico, e avrebbe ragione Giuda.

  11. @Christian
    In termini di effetto pragmatico della comunicazione, sono daccordo con quello che dici su Saviano. La sua icona pubblica è ormai di fatto una presenza politica (anche se non credo affatto, come dice anche Girolamo, che questa fosse la sua intenzione e che lui abbia il potere di controllare questo effetto). Se prendesse atto di questo, potrebbe offrire a questo paese l’unica faccia credibilmente “costituzionale” e capace di spacciare il berlusconismo, e forse sarebbe anche il modo per lui di risolvere la sua situazione personale. Girardianamente: al centro può stare solo il re, il buffone o la vittima sacrificale.
    Saviano for president. L’ho pure scritto qui
    http://valterbinaghi.wordpress.com/2010/06/22/saviano-for-president-di-valter-binaghi/

  12. new iconomy a sinistra
    parole (paradigmi ) invecchiate prima ancora di fare la loro “rivoluzione” scientifica. mi sembra.
    una nuova era per gli iconoclass?
    effeffe

  13. @assimo: se Saviano è il fratellino coraggioso di Fazio tu sei il cugino povero di Sgarbi che, con leggerezza incosciente, critica chi sacrifica la propria vita per il bene comune ma, purtroppo, fa anche latrare critici d’accatto seduti comodi nell’anonimato della loro assenza.

  14. Nazione Indiana sta deragliando sempre più nel salotto inutile dei pareri “colti” d’avanzo, che mostrano il vero volto della “cultura” deleteria di chi nulla fa dopo aver detto nulla. Non valori, nemmeno princìpi e neppure il bisogno di averne. Soltanto dialoghi da banchetto matrimoniale, dove non ci sono invitati mafiosi solo perché non se ne conoscono.

  15. Scrive Girolamo: «Perché non dovremmo prendere noi le distanze non trattandolo come un’icona, ma accettando o meno quello che scrive?».

    Perché quando tenti di prendere le distanze dall’icona, piuttosto spesso (mi rendo conto che «piuttosto spesso» non è un’indicazione scientifica di frequenza, ma non ho effettuato misurazioni precise) la reazione è uguale a quella che si riserva a chi dice a Saviano «zitto tu che hai fatto i soldi, che vieni dl sud».
    Hai senz’altro notato quante volte viene scomodato l’argomento dell’invidia, per esempio.

    Io non ne sono certa, ma a volte ho l’impressione che la «difesa» (il termine è improprio, chiedo scusa) di Saviano serva a «difendere» in modo altrettanto preconcetto il milieu che gli è sincrono, vicino.
    Non penso, naturalmente, che per un qualche motivo questo sia sbagliato; ma mi piacerebbe di più se fosse esplicitato.

    Per esempio, l’ultima parte del libro di Dal Lago tratta di alcuni scrittori italiani facendone un ritratto pungente e aspro.
    La risposta di quegli scrittori italiani si è concentrata sulla «difesa» di Roberto Saviano.
    Come se Dal Lago su di loro non avesse scritto niente.
    Può ben essere la reazione di chi considera un interlocutore tanto basso da non concedergli nemmeno il riconoscimento della replica.
    Però a me ha lasciato un gusto strano leggere censure moralistiche su Dal Lago – che si può condividere o no, ci mancherebbe anche altro – del tipo «vergognati, Dal Lago».

    Infine, il fatto stesso che ogni intervento su Saviano debba contenere una specie di clausola liberatoria del tipo «è tremendo che egli sia stato privato della sua libertà di movimento, è incredibile che un Paese civile debba mettere sotto scorta uno scrittore» a me sembra singolare.
    Capisco che Fede o gente di quel tipo possano essere felici per la vita difficile di Saviano. Ma molti di quelli che criticano le sue affermazioni non riescono nemmeno a pensare che la sua condizione di uomo scortato sia anche minimamente comprensibile, accettabile, e stanno dalla sua parte; non da quell’altra.

  16. @ Federica
    Parte di quegli scrittori criticati da Dal Lago sono nella redazione di “carmilla”, e su “carmilla” gli hanno risposto qui (nella terza parte). Naturalmente era la cosa meno importante: ma conferma che Dal Lago sembra aduso a parlare di libri che non conosce direttamente, o di prima mano, o che legge affrettatamente.
    Resta il fatto che da un lato il meccanismo dell’icona è inevitabile (per fare un esempio: Vendola è trattato da “icona poetica”, qualunque cosa dica, e le sue dichiarazioni sono oggetto di analisi stilistiche, ma quasi nessuno va a spulciare tra gli atti legislativi della regione Puglia per vedere se c’è corrispondenza tra le parole e i fatti), ma non è inaggirabile. Ma è un meccanismo che si crea nel dispositivo della ricezione, non dell’enunciazione: e quindi, qualunque sia ciò che dovrebbe o non dovrebbe fare Saviano, sta ai ricettori (cioè noi) adottare strategie alternative.

    @ Christian
    Se il logos esistesse, e se fosse uno, e se fosse presso un dio, anche B. sarebbe parte del piano divino (o, per dirla con Kafka, del cattivo sogno nella mente di un dio) (suppongo che il dio di Kafka non sia il tuo)

  17. Quando racconto ad amici scrittori, poeti o romanzieri, non italiani, che hanno letto “Gomorra”, quale fiume di discredito suscita Saviano in Italia, a partire dall’ambiente letterario, rimangono davvero sorpresi. Per loro Saviano è semplicemente il nome dell’autore del libro che hanno letto. E quando ragionano su Saviano ragionano semplicemente sul libro, su quanto li ha toccati, coinvolti, ecc.

    Sinceramente, non posso che condividere il commento di Girolamo.

    Poi, sul tuo pezzo Christian, nonostante sia pieno di cose interessanti, trovo fuori bersaglio proprio la tesi di fondo.

    Tu fai di Berlusconi un problema psicologico. Come se il problema politico (cioè nostro degli italiani) fosse la psicologia di Berlusconi: la postura della vittima o cose del genere. Ovviamente il problema non è la psicologia di Berlusconi, ma i fatti pubblici che Berlusconi fa, ha fatto, vuole fare.

    Tu costruisci una sorta di ritratto piscologico: poi dici, guardate esso può essere adeguato alla tipologia Berlusconi e alla tipologia Saviano. Saviano è l’opposto politico di Berlusconi, ma incarna lo stesso profilo psicologico: la vittima non criticabile, quindi Saviano è, in qualche cosa di fondamentale omologo al suo oppositore politico, Berlusconi. La sua quindi non è una vera opposizione.

    Innanzitutto porre Saviano come l’anti-berlusconi è una semplificazione sbagliata, che non fa che produrre l’effetto che pretende di criticare: ossia il divenire icona di Saviano.

    Poi, fingere di non vedere l’enormità che passa dai modi d’essere vittima di Berlusconi e quelli di Saviano, è peggio che un errore di ragionamento. Rischia la malafede. E sto pesando le parole.
    Berlusconi è un persecutore. Una grossa fetta degli italiani lo combatte come può, perché agisce contro il loro bene collettivo (istituzioni, forme di vita degne, valori). Berlusconi è qualcuno che fa i salti mortali da decenni per sfuggire a dei legittimi processi in cui deve comparire come imputato. Berlusconi elogia dei mafiosi. Saviano si è speso contro la criminalità organizzata e il suo complemento liberista, che avvelenano la vita quotidiana di migliaia di persone. Per questo motivo ha suscitato l’inimicizia della camorra (e in second’ordine di un esercito sia di bravi che di sfigatissimi scrittori – ma questa è la parte comica della faccenda) e poi del governo. In un caso abbiamo quindi una falsa vittima, nell’altro abbiamo uno che, volente o nolente, è, come la lingua stessa dice, “vittima di minacce”, quindi vittima autentica.

    Come è possibile allora imbastire un discorso come il tuo, su un presupposto come questo?

    A me questo modo, sembra un fare le pulci. Se si vuole criticare Saviano, lo si critichi per quello che scrive e per come lo scrive (possibilmente leggendolo prima!), o per le precise posizioni che prende, ma non “perché appare in copertina”. Nonostante tutte le sottigliezze del mondo, “apparire spesso in copertina” non è – di per sè – ragione perché le proprie posizioni politiche diventino inconsistenti o omologhe a posizioni politiche opposte.

  18. Mi sento in totale sintonia con andrea I. nello specifico del testo che Christian ha scritto. Per quanto riguarda i commenti, in particolare le osservazioni di federica, mi piacerebbe ritornarci su appena ho un po’ di tempo
    effeffe

  19. questa formidabile messa in campo di cervelli, di analisi sofisticatissime di menti raffinatissime, sulla vicenda Saviano, mi fa ricordere le stesse polemiche e gli attacchi feroci di cui fu vittima Salman rushdie.
    Povero Saviano.
    L’italia va a pezzi, la sinistra (tutta la sinistra, compresa quella che si fregia di essere”radicale” (?!) e antagonista (?!) ) brancola nel buio e nell’impotenza ma è tutta compatta nel passare il suo tempo e spremere le sue meningi nel dire:
    come scrittore non vali un cazzo
    come politico non ne parliamo
    sei vittima di unamistificazione
    tante altre cose sofisticate e complesse che non ho ben capito. Di sicuro il fatto che la brava mamma e la brava zia che di solito guardano e si coccolano Berlusconi in TV e che ora guardano e ascoltano pure te, sono il sintomo che tu sei una persona degna della massima disistima e disprezzo e critica.
    Chi te lo ha fatto fare roberto quando non eri nessuno, di prenderti la briga di guardare lo squallido mondo che ti circondava e di ribellarti alla rassegnazione e denunciare rischiando la pella che, ohibo’, nella campania c’e’ la camorra, la camorra e’ un sistema che permema tutte le relazioni economiche e sociali e politiche.
    Ma perchè non hai fatto come tanti che si sono messi in politica, magari con bassolino e quell’altro che non ricordo il nome ah si certo mastella?
    perche’ non hai cercato di farti raccomandare da qualche professore per entrare all’universita’ che in 20 anni non ha prodotto niente di decente, nessuno straccio di analisi sulla realta’ criminale socioeconomica della tua regione?
    A questo punto caro roberto vedi un po’ di scomparire, cosi’ fai contenti tutti questi signori, la camorra perche’ non rompi piu’ i coglioni, berlusconi e i napoletani scic perche’ non danneggi l’immagine e il turismo campano, qualche napoletano non dico cento, ma almeno uno che leggendoti o ascoltandoti che magari ha preso coscienza e rischia di finire male a causa tua.
    E gli intellettuali della nostra sinistra, così magari avranno qualcosa di piu’ intelligente a cui pensare, chesso’ lavoro culturale serio, magari qualche inchiesta alzando il culo dal pc e venendo a napoli oppure in calabria o a palermo e rischiando un po’ la pelle e sporcandosi le mani, per vedere come stanno le cose e cercare di capire.
    Si la tua presenza è ingombrante caro saviano, dai fastidio a tutti, e poi come ti è stato spiegato da questi dotti signori, non sai scrivere, non capisci niente di politica e non è giusto che te ne approfitti, per il solo fatto che a quanto pare, sai comunicare, che guadagni tanti soldi e tanta glioria

  20. ho appena letto il commento di Andrea Inglese e lo ringrazio perche’ dice con stile e con chiarezza quello che io ho tentato di dire in modo un po’ arruffato e nervoso.
    c’e’ un articolo molto interessante di javier cercas Print the legend che affronta il tema della mitizzazzione e mistificazione cui a volte per diversi motivi sono “vittime” gl iscrittori, quelli cattivi e quelli buoni
    http://rassegnastampabolano.blogspot.com/2010/07/print-legend.html

  21. sono d’accordo con te carmelo, sullo spreco dei tanti savianologismi…

    ma non generalizziamo: c’è anche un sacco di gente a sinistra, per cui Saviano in quanto scrittore e giornalista politico ha fatto un ottimo, raro e coraggioso lavoro

  22. Mi scuso con tutti, il commento è lungo, ma più corto non mi viene. Dico preventivamente ad Alcor che non mi leggesse, e alla redazione tutta che mi appello al loro buon cuore.

    @Federica Sgaggio, è come dice lei, ha ragione a temere che la ” «difesa» (il termine è improprio, chiedo scusa) di Saviano serva a difendere» in modo altrettanto preconcetto il milieu che gli è sincrono, vicino ” . Infatti loro, quelli del milieu, sostengono principalmente che la letteratura ha da essere civile e impegnata. Inutile che tu gli dica che c’è stato già il realismo socialista a sciagurare quanto poteva… anche in Italia. Inutile che tu gli dica che la nostra tradizione letteraria è fatta di nomi che con il civile hanno poco a che fare (a parte Leopardi, che però non faceva prediche ai delinquenti assassini dalle prime pagine dei giornali primari… ma parlava allo spirito dell’intero popolo da complicate pagine diaristiche) e che invece ha tanto a che fare con l’immaginazione, da Collodi a Pirandello a Manganelli. Lato civile c’è stato anche molto, ma roba del calibro di Primo Levi, Luciano Bianciardi, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia, Paolo Volponi, Giulio Bollati… Sono chiaro Federica? Scusi se glielo domando, di soliti i detrattori dicono che mi spezzo ma non mi spiego.

    Per fortuna il mondo è grande, soprattutto quello dell’immaginazione. Se il milieu vuole il dominio della realtà lasciamogli l’illusione, tanto noi sappiamo che la realtà non esiste finché noi stessi non la descriviamo. Rispetto a Saviano bisogna farsene una ragione, specialmente qui: gli si è creata intorno una specie di catena alimentare che dà da mangiare. Spero che non le sia estraneo, Federica, che Saviano risulta, del tutto legittimamente, uno dei componenti di NI.

    Larry Massino è un essere di pochi mesi. Il suo diciamo proprietario, finché ha potuto si è tenuto lontano il più possibile dal mondo della letteratura (ora capisco meglio il perché), pur avendo razzolato da sempre in altri ambiti artistici, a loro volta corrotti fino al midollo, né più né meno degli italiani medi, che Leopardi lo leggono poco. Come qui, a Carmilla, a Flipperatura, sono quasi tutti poco lettori di Leopardi, alla pari degli italiani medi, che quando c’è da fare parrocchia fanno parrocchia, condominio fanno condominio, corte fanno corte. La cultura, pare di capire, in Italia è questa roba qui, non c’è nulla da fare. Senza vergogna ha dato e dà vita a forme organizzative che quasi sempre una volta affermatesi al centro della scena non si limitano a somigliare al malcostume italico medio, ma vanno oltre, parecchio oltre, somigliando troppo alle cricche politico-economiche (per questo dicevo ieri che la farsa è quanto di meglio abbiamo in Italia, con rispetto parlando, nevvero?).

    Ha visto Federica, anche qui, come si svolge il dibattito: gli articolisti si fanno spesso i complimenti fra di loro, si limitano a darsi i buffetti sulle guance, evitano quasi sempre il confronto di pensiero, come se confrontarsi fosse una pratica demoniaca. Se qualche volta si confrontano, succede che i riottosi si allontanino dal blog, dicendo o facendo intendere altrove peste e corna (scusi Federica, ora riprendo, il tempo di togliermi la Scarpa). Finché si può, del resto, si dileggiano o ignorano i commentatori critici peones: si dice o si fa intendere che sono repressi e poveri perché non ce la fanno a pubblicare nemmeno fino alla fine del mese, che contano meno di zero, al fine di allontanarli a loro volta, andando a colpire il loro ego o senso di disgusto. Peggio ancora: sempre per via che sono poco lettori di Leopardi, quelli della cultura additano i critici delle loro tesi o i demolitori dei loro idoli come reprobi e fascisti, invidiosi, repressi e disfattisti, anche quando si chiamano Dal Lago, che invece è uno abbastanza inattaccabile dal punto di vista del pensiero e dell’etica individuale, tra l’altro uno dei maggiori studiosi italiani di Foucault. Qui in NI, per andare su un caso concreto, arrivano finanche a censurare il pensiero, come è successo a me, ma non mi va di fare la vittima, credo sia stata una scivolata di un singolo redattore in crisi di argomenti (e d’altra parte pensiero è una parola grossissima). Tutto questo i pocolettoridileopardi lo fanno alla luce del sole… E’ terribile, Federica, perché ciò sottintenderebbe che quando sono per i fatti loro, non in pubblico, fanno di peggio, tramano di molto peggio… Cosa che io, invece, NON CREDO AFFATTO, fino a prova contraria. Ma so che i maligni si sentono autorizzati a credere anche coi soli indizi: fanno due più due e ti accusano delle peggiori schifezze… Tra l’altro in Italia, così per dire, con tre indizi contro, l’imputato viene quasi sempre condannato, almeno in primo grado, fino a 30 anni di prigione.

    Rispetto alle critiche a Saviano, dunque, il problema è che hanno creato una medusa inattaccabile: se tu dici che come giornalista è scarso, dato che le sue fonti sono spesso traballanti, ti dicono che è scrittore che si prende le licenze poetiche; se tu dici che come scrittore non ti piace, ti dicono che ha la scorta e che rischia la vita come ti permetti di denigrarlo che sei complice della mafia; se tu dici che i poliziotti che arrestano i camorristi e i mafiosi sono minacciati di morte almeno tre volte al giorno, diciamo dopo i pasti, ti dicono che è il loro lavoro, come dire, facessero gli scrittori, la smettessero di indagare e di arrestare la gente; lo stesso se gli dici che i magistrati che emettono le condanne sono minacciati per generazioni intere; se gli dici che politicamente parlando Saviano ti sembra quantomeno ambiguo, magari per via di una recente visita acritica in Israele, ti dicono che è peggio D’Alema, che in ogni caso uno scrittore non è che si può occupare di tutto; nemmeno puoi dir loro che la Campania non è il far west che vuol far credere Gomorra, ma una terra complessa dove la malavita è radicata, più che altrove, ma dove gli omicidi sono in termini statistici assolutamente sotto controllo, più o meno dentro la media europea, assolutamente al di sotto della civile Finlandia, per esempio; se gli dici, infine, che Saviano è diventato icona del marketing, attraverso la quale si vendono libri, giornali, riviste, si fanno ascolti tv, ti dicono che non è colpa sua. E INVECE è colpa sua, perché almeno a questo punto, dovrebbe spurgarsi del successo mediatico, non dovuto a meriti, ma a bisogni fagocitatori de “ ‘O Sistema mediatico “, che del resto, non sono io a scoprirlo, tende ad abbassare i contenuti fino all’inverosimile per raggiungere il maggior numero possibile di utenti. Penso che Saviano dovrebbe limitarsi finalmente a scrivere romanzi e articoli, rifugiato da qualche parte, come fanno tutti gli scrittori da che immondo è immondo, in attesa del nobel che gli daranno appena più grandicello (se l’hanno dato a Dario Fo, possono darlo anche al suo gatto! Di lei, Federica…). Ma sappiamo già che non farà ciò, che lo ascolteremo presto pontificare da Fabio Sazio, senza contraddittorio, privilegio concesso in tv solo a un altro che non nomino, anche lui non molto alto, autocelebrativo e senza capelli.

    @Effeffe, il fantasmagorico concetto di new iconomy dice tutto.

    @Rotowash, la sua analisi è perfetta e perfettamente espressa, anche oggi merita la candidatura all’ignobel, che però credo di meritarmi io.

  23. Puàh… berlusconi dice le stesse identiche cose, e fede pure. Larry Massinoè, forse, un fascista? O un qualunquista? Oppure entrambi? o un santo honorato?

  24. Scusate non posso rispondere diffusamente come vorrei, ma.
    Quello che penso dovrei articolarlo meglio eppure è così: credo che l’aspetto più pericoloso di Berlusconi sia quello di essere sintomo di una malattia di massa diffusa. Non sottolvaluto le responsabilità politiche, non faccio facili assimilazioni, non sottovaluto nemmeno le responsabilità umane e quelle come dire “naturali” – Berlusconi come fenomeno organico. Ma sono convinto che il berlusconismo – ovverosia il narcisismo mediatico che si annida nella nostra psiche sia uno dei motivi più chiari per cui l’Italia si libererà difficilmente di questa maschera. Non sono solo degli sparuti deliranti pazzi protagonisti di un Videocracy a essere affettati da questo morbo.
    Esteriorizzare questa responsabilità in Berlusconi e nella sua videocrazia consumistica e immorale toglie la possibilità di vedere la propria malattia.
    In questo forse sono paranoico, ma mi convince quest’ipotesi come quella di Adorno e Horkheimer che cercavano di spiegare un’ideologia perversa di massa come l’antisemitismo della germania anni’30 con una rimozione collettiva degli aspetti più irrazionali, diciamo così, del carattere tedesco.
    Non vi convince?
    Allora spiegatemi la compulsione di Berlusconi per le barzellette.
    Allora spiegatemi Luttazzi.
    Allora spiegatemi quello scrittore apparentemente il più scabro, il più ascetico di tutti, ve lo ricordate qui su Nazione indiana, che sotto mentite spoglie, commentava con pseudonimi femminili entusiasticamente se per caso qualcuno osava avere delle remore su qualche suo pezzo.
    Forse parlo a titolo personale, ma se non si fanno i conti con il proprio narcisismo, con l’aspetto psicanalitico virale del berlusconismo, il rischio è semplicemente di trovarci con altri personaggi politici meno impresentabili e corrotti ma altrettanto privi di un’idea di civiltà diversa.

  25. Un tempo si parlava di “maggioranza silenziosa”.
    Berlusconi che per l’appunto ha dimostrato, dal basso della sua mediocrità, di saper sentire e captare i sentimessi più bassi e primitivi che albergano nell’uomo medio, ha avuto altrettanta capacità di dar loro cittadinanza.

    Se mettiamo un pubblicitario per vendere un’auto la presenta come un corpo sensuale di donna e la situa inj contesto di natura incontaminata dai grandi orizzonti, certo si puo’ dire che stia manipolando le coscienze dello spettatore per indurlo a consumare un desiderio frustrato (il sesso, la libertà la natura…). Ma se cio’ è possibile forse è perche’ lo spettatore è stato da 70 anni (dicasi 70 anni) a coltivare e credere nel mito dell’auto, i bambin igiocano con le auto, alla televisione ci sono inetere trasmissioni che maturbano lo spettatore con i centesimi di secondo i pit stop bla bla. Risultato: l’Italia se non sbaglio è il paese che ha il piu’ alto rapporto auto abitanti (compresi vecchi e bambini). Chi vive a roma non puo’ non chiedersi quanto sia folle e perdonatemi idiota l'(ab)uso che si fa dell’auto. Non ho un collega che in casa non abbia piu’ di tre auto se non 4.
    Io direi due cose che sono dei dati di fatto inconfutabili
    1)Berlusconi è riuscito grazie alla potenza di fuoco delle sue TV (condizione necessaria certo e mi chiedo quante colpe abbia la sinistra in cio’) a creare un consenso VERO VASTO E REALE. A tal punto che chi lo vota lo vota pur sapendo e non aggiungo altro
    2) Il fenomeno B. che desta molto stupore, e tristezza all’estero, è un fenomeno italiano e non tedesco o neozelandese. Abbiamo esportato il fascismo non vorrei che diventassimo famosi anche per questo
    Allora bisogna chiedersi, perche’ la politica spazzatura del basso ventre, la categoria della volgarità applicata all’azione di governo, funziona in italia.
    Io non ho risposte nonostante mi arrovello ma ricordo mio nonno, bracciante minatore che da solo imparo a leggere appena che diceva:

    ognuno pensa u megghiu pi iddu

    ma n’amu a pinsari u megghiu pi nuatri, ma u megghiu pi tutti

    @andrea
    hai ragione e chiedo scusa, a volte cado nella trappola delle generalizzazioni

  26. sì, come dice Christian nessuno è immune dalle smanie narcisistiche, dell’apparire, dell’esistere se si strappa una minima, anche ridottissima notorietà, e i primi a smaniare sono coloro che scrivono, quasi costutitivamente, naturalmente, condannati alle turbe narcisistiche, ai risentimenti, le individie, i protagonismi;

    quando sarà finita questa stagione buia, quando sulla scena politica ci sarà qualcosa di davvero diverso, e anche il lavoro di Saviano sarà guardato con occhi più spassionati e sereni, in mezzo a quello di altri autori importanti, sarò contento di far parte – nonostante tutte le mie debolezze, bassezze, piccolezze narcisistiche di scrittore – di coloro che almeno non hanno sputato su Saviano.

  27. Molto interessante l’articolo di Rovelli ma, francamente, credo che su Saviano abbia preso un colossale abbaglio.
    La ricerca di visibilità che Roberto Saviano ammette con candore disarmante non è espressione di narcisismo mediatico, nè dettata dal bisogno di tenere i riflettori accesi su di sè per allontanare la “vendetta” della camorra. Come Roberto ha spiegato più volte, è finalizzata a costringere i media ad occuparsi e dare risalto a fatti fino a ieri, cioè in era pre-Gomorra, ritenuti di scarso interesse nazionale.
    Roberto sta combattendo una battaglia civile e non personale, che mira a risvegliare le coscienze di quanti pensano che questi problemi non li riguardino.
    Roberto non ha mai inteso fare politica; se ne guarda bene. Il suo è un discorso tasversale, di promozione di una cultura della legalità. Non distingue tra destra e sinistra. Ne’ si è mai proposto come l’antiberlusconi. Se qualcuno, tra l’opposizione, ha pensato di poterne farne un’icona in questo senso è evidente che non lo ha capito affatto.
    Quando Roberto ha “attaccato” il premier è stato per difendere i valori della verità e della giustizia, non certo per criticarne il narcisismo mediatico. Rovelli, nel suo articolo, mette in bocca a Roberto frasi che lui non ha mai pronunciato, nè si è mai sognato di fare.
    Personalmente trovo ammirevole la capacità di Roberto di trovare sempre nuove strade per arrivare alla gente. Non più solo la letteratura e il giornalismo, ma anche il teatro, il cinema e perchè no, la TV. Tutto questo gli permette anche di vivere, se permettete. Incontrare le persone in un teatro o in uno studio televisivo o nell’aula di un’università è il suo modo di sta

  28. Incontrare le persone in un teatro o in uno studio televisivo o nell’aula di un’università è il suo modo di stare con gli altri.
    Ricatto morale? Roberto non ha mai preteso quel consenso smisurato che da tante parti gli arriva, dal mondo intellettuale, così come dalla gente semplice.
    Non mi risulta che Roberto rifugga le interviste o i contradditori.
    Ciò che lo ferisce è quando gli si muovono attacchi personali biliosi che ne sviliscono il valore umano.
    Prima di sparare sentenze sulla prossima trasmissione con Fazio, aspettiamo a vederla, no?

  29. Certo, questa stagione finira’ per opera dello Spirito Santo. Attendono fiduciosi. E Saviano cessera’ di fare da sputacchiera. PoErino.

  30. Il discorso è lungo e complesso, e come sa chi segue NI mi sono speso a lungo, un paio di mesi fa, per dire che il problema non è evidentemente Roberto Saviano ma il meccanismo di produzione spettacolare che ha creato l’icona “Roberto Saviano” (in questo thread ci sono un sacco di miei interventi: https://www.nazioneindiana.com/2010/06/14/carta-canta – in base a questi sono stato accusato di essere savianista, etichetta assurda ma ahimé corrente…). Detto questo il meccanismo spettacolare rischia di soverchiare le possibilità di ciascuno (e Christian l’ha detto anche onestamente: io al suo posto probabilmente farei peggio di lui): è una questione sistemica da analizzare, come si è ripetutamente detto. Ma questo non ci deve impedire di riconoscere che questo meccanismo pone le singole volontà o intenzioni o vicoli ciechi, da cui si è, malgrado se stessi, sovradeterminati. Penso, per esempio, all’intervista a Vanity Fair, e all’impasse sulla questione “perché la sinistra radicale non ti ama” (un frame concettualmente sbagliato, totalmente scollegato da un referente reale, effetto solo di un dibattito spettacolare e mediatico: ma all’interno di questo frame Roberto è stato costretto, e non è riuscito a fuggirne). Questo non significa revocare in dubbio né la persona né il lavoro di Roberto. Significa se mai dire delle cose (e tu lo sai Andrea, visto che se n’è discusso anche in mailing list) che a mio parere potrebbero essere utili anche a Roberto stesso. E’ solo un esempio. Per dire: smettiamo di focalizzare la questione sull’essere pro o contro, sullo sputare o non sputare. La questione, ripeto, è sistemica.
    (Non potrò rispondere, da domani sarò per tre giorni a fare un giro tra vette alpine).

  31. e davvero non sto sputando su Saviano.
    dico qui e lo ribadirei che è uno scrittore di talento, un ottimo giornalista, e un uomo politico che io voterei.
    ma anche il meccanismo spettacolare è un dato che non si sta inventando; si è solo attaccato a Roberto come un’attinia

  32. E’ vero il narcisismo è la malattia del nostro tempo che ci riguarda tutti, come dice bene Raimo nella chiusa del pezzo. Di recente sono usciti due romanzi sul berlusconismo come fenomeno sociale e antropologico che sono “La battuta perfetta” di D’Amicis e “Spaesamento” di Vasta. Il piacere di piacere è a somma zero, per citarli entrambi…

  33. E’ vero, c’e’ il rischio concreto che l’azione di Saviano, diventato suo malgrado un mito, venga mistificata e infine sterilizzata. Che la sua immagine e cio’ che rappresenta venga ridefinita e perda la sua capacità di denuncia e di mobilitazione della coscienza civile (che in questo paese è ormai latitante). Mi e’ capitato di leggere in un forum femminile dove di solito si parla di shopping, buon isentimenti, amanti e divi televisivi, una discussione attorno ai temi sollevati di Saviano. E questo è un risultato rivoluzionario. Questo è un rischio che corre Saviano e dal quale dovra’ difendersi.
    Nel frattempo?
    Quello che deve fare la sinistra è l’unica cosa che sa e puo’ fare: lavoro culturale:
    Non è un lavoro facile. A cavallo tra i due secoli scorsi e soprattutto durante il fascismo, andare a insegnare certe cose in certi posti significava rischiare, fisicamente. e spesso lasciarci la anche pelle.
    Succede anche con il lavoro culturale contro la Mafia. Uno degli intellettuali più attivi in questo senso, uno dei primi a capire la forza trasgressiva e rivoluzionaria della cultura soprattutto quando diventa ironia e satira contro il potere dominante – che, in quel momento, nel suo paese di Cinisi, è quello di Cosa Nostra di Gaetano badalamenti – è Peppino Impastato. Che è uno dei primi a usare le forme più nuove della comunicazione, come le cosiddette radio libere, siamo negli anni settanta…..
    [Carlo Lucarelli, nuova rivista letteraria nr 1 2010]
    Carlo Lucarelli parla di alfabetizzazione culturale, in un paese che ha smarrito i valori di solidarietà, di convivenza civile, di senso del bene comune (sepolti dalle barzellette di B. magari) e nel suo articolo non cita mai, nemmeno di sbieco Saviano, ma fa l’esempio di Pino Maniaci, Roberto Morione, Guido Cavalli.. gente che rischia la pelle e fa per l’appunto lavoro culturale con ironia e intelligenza, contro la mafia.

  34. Associazione libera
    http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1

    Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” – Onlus
    http://www.centroimpastato.it/

    centro studi pio la torre
    http://www.piolatorre.it/

    Addio pizzo
    http://www.addiopizzo.org/

    adesso ammazzateci tutti
    http://www.ammazzatecitutti.org/

    associazione rita atria
    http://www.ritaatria.it/

    fondazione antonino caponnetto
    http://www.antoninocaponnetto.org/index.php?option=com_content&view=article&id=19&Itemid=15

    Il lavoro culturale e vivile di questi movimenti dovrebbe avere più visibilità specie nelle riviste, come questa, che non si voglion orassegnare, in un dibattito come questo la loro voce andrebbe ascoltata.
    Questo secondo me dovrebbe essere il lavoro degli intellettuali, un’azione culturale che sappia cogliere l’urgenza delle cose da fare e un’elaborazione di pensiero che si sedimenta nella carne viva della società.

  35. fondazione caponnetto
    http://www.antoninocaponnetto.org/index.php?option=com_content&view=article&id=19&Itemid=15
    libera
    http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1
    centro documentazione peppino impastato
    http://www.google.it/search?q=centro+documentazione+impastato&ie=utf-8&oe=utf-8&aq=t&rls=org.mozilla:it:official&client=firefox-a
    centro studi pio la torre
    http://www.piolatorre.it/
    Adesso amamzzateci tutti
    http://www.ammazzatecitutti.org/
    addio pizzo
    http://www.addiopizzo.org/
    ass rita atria
    http://www.ritaatria.it/

    sono tante le associazioni che fanno lavoro di denuncia, educazione e formazione
    sono queste le cose di cui si dovrebbe parlare,
    anche questo è lavoro culturare: capire l’urgenza delle cose da fare, elaborare un pensiero che si sedimenti nella carne viva della societa

  36. Quando Raimo parla di “malattia di massa” e di “narcisismo mediatico che si annida nella nostra psiche” come brodo di coltura del berlusconismo, credo che dica qualcosa di assolutamente palpabile (anche se ribadisco che la soluzione politica di questo fenomeno non può consistere sono nel rovesciamento della retorica che lo sostiene).
    In effetti, però, questa “malattia” è endemica nelle società occidentali post-industriali, caratterizzate da un’erosione del soggetto, da quello che Christopher Lasch chiamava “l’io minimo”, costantemente alla ricerca di conferme e rispecchiamenti e incapace di produrre valore ed opera. La domanda vera allora sarebbe: perchè in Italia e solo in Italia questa tendenza morbosa diventa il contenitore (non la sostanza, che sempre consiste in interessi molto materiali) della politica? Cioè, quali sono le caratteristiche del sistema comunicativo italiano per cui un cabarettista di serie B può tenere per quindici anni le redini del “discorso” politico?
    Io un’ipotesi ce l’avrei, anche se forse qui non piacerà.
    La reticenza per non dire il rifiuto della cultura ex comunista di prendere atto della fine dell’utopia (cioè della sua praticabilità) dopo i carri armati a Praga, il fatto che qui da noi si è continuato a “mimare” la rivoluzione per salvare rendite di posizione (soprattutto culturali) per altri vent’anni, senza provare a ristrutturare l’ideale socialista in forme pragmaticamente proponibili, ha mantenuto in vita un edificio gigantesco che però all’interno era svuotato dai tarli. L’edificio ideologico è crollato miseramente e tutto d’un colpo insieme a Muro di Berlino, e ha lasciato metà del paese orfana e disorientata, e la sinistra incapace di giocare se non di sponda rispetto al guitto che ha riempito il vuoto con la propria immagine rimpallata dai palinsesti. Ho sostenuto spesso qui (a costo di passare per destrorso), che la ripetizione stanca da parte della sinistra di formule abusate e il rifiuto di misurarsi coi problemi reali della globalizzazione (la protezione di un sistema Italia) e con le questioni endemiche del paese (la questione meridionale) ha reso possibile la costruzione di una classe dirigente (Berlusconi e Bossi) che è costruita su due slogan: successo e secessione, entrambi vuoti perchè pragmaticamente irrealizzabili, ma la cui continua promessa o minaccia colma la vertigine dell’ansia collettiva.

  37. christian ha esposto qui il suo modo di criticare la – chiamiamola così – “spettacolarizzazione di Saviano”; nel mio commento del 15 agosto 16:47, ho cercato sinteticamente di mostrare come questo pezzo di christian non stia in piedi, sia fuori bersaglio; mi aspetto di essere a mia volta criticato, confutato, ma entrando nei miei argomenti come io ho fatto con i suoi;

    sulla critica “sistemica” di cui parla marco rovelli, d’accordissimo; aspetto di leggere finalmente una critica adeguata, difendibile, e utile. Per adesso io ho letto critiche legittime su questioni molto specifiche – alcuni passi dell’intervista a Panorama, ad esempio, – ma che difficilmente possono pretendere alla nobiltà di una critica sistemica.

  38. Aggiungo solo una cosa. Se intervengo su questa faccenda è perché essa ha una portata ben più ampia che lo specifico giudizio sullo specifico autore, Saviano in questo caso. Su questa faccenda si gioca per me uno degli aspetti della responsabilità degli scrittori. Direi addirittura, e in modo moralistico, che ancora prima della responsabilità dello scrittore, si gioca la sua “decenza”. Per quanto riguarda la responsabilità, la questione Saviano coinvolge il modo di intendere la letteratura, o meglio il rapporto di letteratura e mondo. Una glossa perfetta a questo mio commento potrebbe essere il brano di Fortini “Letterarietà”, che ho postato qui pochi giorni fa.

  39. Non condivido l’analisi e il pensiero di Christian Raimo, nonostante la giusta osservazione di un fenomeno di psicosi collettiva nell’era della videocrazia, trovo il suo anatema contro il narcisismo inutile e superficiale. Ma trovai superficiale, a suo tempo, anche l’articolo di Andrea Inglese dal titolo “videocracy”.

    Lasciando da parte Saviano che, secondo me, un po’ pretestuosamente viene tirato in ballo, come accade un po’ dappertutto, per accreditare una tesi qualunque (anche se, in quanto essere umano, non lo ritengo oracolo infallibile, modello di santità, immune da critiche….), a me sembra che Raimo stigmatizzi piuttosto le sue insofferenze personali, cioè, leggendolo sembra davvero che uno dei crimini peggiori di Berlusconi, ciò che in lui pare assolutamente imperdonabile, sia parlare un inglese scolastico(!!!???)….
    E così che significato ha criminalizzare il narcisismo? E’ un difetto comune, sarà un peccato collettivo e allora? ecchissenefrega? Cos’è un’analisi questa o omiletica? La nuova sinistra aspetta la nascita del nuovo adamo, modello di santità e virtù, esente da ogni macchia…?(!!!) andiamo bene…………
    se proprio dobbiamo “rinunciare a satana” allora facciamolo da protocollo: inveiamo contro la tortura, il sadismo, la crudeltà omofoba e razzista e chi più ne ha più ne metta…

    Detto ciò, la video-tv-psicosi collettiva è evidente, anche nelle piccole cose, senza doversi recare a cinecittà, per toccarla con mano, basta andare in qualche locale per vedere tutti sgomitare all’ultimo flash da mettere in rete o basta ascoltare i racconti della bravata erotica più alla moda che pare sia, attualmente, quella di girare filmini porno da rendere più o meno pubblici, ovviamente…
    l’esibizionismo, il narcisismo più sfrenati, col web, un tv più domestica, sono alla portata di tutti, oramai…

    Che la tv sia una droga lo si sa già da un pezzo, il perché pare che non lo si voglia proprio vedere….
    e questa è la ragione per cui non mi soddisfano né l’articolo di Raimo né quello di Inglese a riguardo.
    Dirò di più, stavolta, per me siamo 2 a 0 per lo schermo. Molto meglio l’ha trattato un film di Aronofsky in “requiem for a dream” in cui la tv è semplicemente e con acuta naturalezza affiancata alle altre droghe e quando il figlio drogato si risente – forse anche un po’ per essere stato spodestato in questo ruolo- e prova a protestare, la madre gli risponde con la più agghiacciante delle verità: – Per molte persone, allora, sul serio: che Che cos’è la tv?

    “È un motivo per alzarmi al mattino. È un motivo per dimagrire, per entrare nel vestito rosso. È un motivo per sorridere, per pensare che il domani sarà bello. Che cos’altro ho, Harry?”

    E’ da qui che si deve partire, se proprio vogliamo cominciare sul serio a ragionarci e a fare qualcosa…

  40. Andrea. La questione Saviano è articolata, o almeno sarebbe da articolare. Mi dispiace se non faccio nessuno dei discorsi che vorrei fare con la rigorosità che vorrei. mi collego sempre da postazioni di fortuna o di semifortuna. C’è una questione che coinvolge lui come uomo, tra l’altro amico o sodale di molti di noi. E’ a rischio la sua vita? Non c’è discorso di lana caprina che tenga: va protetto, e va protetta la sua possibilità di essere libero, contro le strumentalizzazioni.
    Ce n’è una che coinvolge la sua opera, e per cui secondo il tuo Fortini rischia di girare a vuoto – la sua critica ha come sfondo sociale molto diverso dal nostro contemporaneo: non tiene conto di un elemento secondo me. Quel destinatario che la letteratura cerca, la comunicazione pubblicitaria gliel’ha già trovato, spesso. Questo è l’equivoco in cui si muove la parola che vuole avere senso oggi: quindi sia il discorso politico, sia quello letterario. Lo scrittore, il parlante deve tenere conto più degli effetti che delle intenzioni.
    E’ una difficile pratica per me non poter più rendersi responsabili solo delle intenzioni delle nostre parole, o anche della parresia delle nostre posizioni; ma dover anche, e soprattutto agire sugli effetti che queste parole producono. Tenere conto di un codice sbilanciato a favore del ricevente. Ma il berlusconismo questo fa: parte dai sondaggi. E’ questo il nemico dialettico.
    Nei Blockbuster (credo siano ancora proprietà Fininvest) hanno sostituito i generi commedia, drammatico, comico etc… con adrenalina, emozioni, cenetta a due, risate con gli amici. L’effetto del prodotto culturale è già precotto.
    Sono poco chiaro?
    In un mondo dell’informazione in cui la verità, come tutto, può essere trattata come uno dei beni di consumo di maggior pregio, l’essere autentici rischia di essere una pratica remunerativa. Tenere conto del contesto linguistico perverso, malato, in cui si agisce è qualcosa che Saviano non fa. Probabilmente non per colpa sua, ma perché la cogenza del contesto è enorme.
    La rialfabetizzazione civile per me dovrà passare per una rialfabetizzazione alla filologia, che invece molti di noi scrittori Saviano compreso, non fanno: l’opera di finzionalizzazione ha meccanismi molto simili purtroppo alle operazioni di propaganda mediatica berlusconiana.
    Hai presente questo caso:
    http://en.wikipedia.org/wiki/Binjamin_Wilkomirski
    Non lo trovi un caso sintomatico?

  41. Christian,

    il fatto che Saviano rischi la vita, non è per me argomento che entri nella discussione, semmai è il “perché” rischia o ha rischiato la vita. E quindi ciò mi riporta subito al merito delle cose che Saviano scrive o dice.

    Su Fortini, dici:
    “Ce n’è una che coinvolge la sua opera, e per cui secondo il tuo Fortini rischia di girare a vuoto – la sua critica ha come sfondo sociale molto diverso dal nostro contemporaneo: non tiene conto di un elemento secondo me. Quel destinatario che la letteratura cerca, la comunicazione pubblicitaria gliel’ha già trovato, spesso.”
    Se leggi bene anche solo il pezzo che ho postato, vedi che questo Fortini lo sa benissimo, ma sa anche che la pubblicità non potrà mai dire tutto di un testo, né il solo lettore di quel testo è quello deciso dal marketing editoriale.

    Ma queste sono osservazioni secondarie. Veniamo al punto. La questione Saviano è articolata, ma è anche delicata, e non semplicemente perché Saviano sia sotto scorta – che cazzo mi frega se anche Ghidini o Previti o Costanzo sono stto scorta -, ma per le posizioni anche politiche che ha preso. Quindi svolgere analisi generiche, tirando in ballo Saviano è una cosa che un autore consapevole dovrebbe secondo me evitare di fare. Sapendo che andrà a alimentare un contesto fatto di tanti nemici di Saviano, e nemici per cattive ragioni: i filogovernativi, i filocamorristici, gli invidiosi – che statene certi non sono frutto di mitologia, ma ESISTONO – ecc.
    Se si fa un intervento, lo si pensi e misuri, e lo si scriva bene. Da scrittore e intellettuale – spero tu non ti offenda – quale sei, questo lo dovresti sapere.
    Tu dici: e qui siamo al punto: “E’ una difficile pratica per me non poter più rendersi responsabili solo delle intenzioni delle nostre parole, o anche della parresia delle nostre posizioni; ma dover anche, e soprattutto agire sugli effetti che queste parole producono.”
    Ok. Dove Saviano sta sbagliando, quali effetti perversi sta producendo?
    Li si individui chiaramente se ci sono.
    E poi. Dicci anche tu a questo punto: come eviti quegli effetti nel tuo lavoro di scrittore, di editore? Quale strategia hai adottato, che potrebbe essere anche seguita e realizzata da Saviano?
    Sono tutte cose che bisogna riuscire a esprimere chiaramente, se si va sul terreno della figura pubblica dello scrittore Saviano, proprio perché come dici tu il discorso è articolato (e io aggiungo, politicamente delicato).

  42. Okay, ci provo. Anche a calibrare l’effetto di quello che dico io.
    Saviano dovrebbe scendere in politica, secondo me, rompere quest’ambiguità. L’effetto del suo discorso è politico, non è letterario. La sua dimensione iconica – per cui, come vedi anche tu in questa discussione, sfuggente, strumentalizzabile – surdetermina in maniera inequivocabile il suo discorso. E Saviano questa dimensione non la gestisce, la subisce. E’ la sua faccia pensierosa, eroica, sulla copertina dell’Espresso o di Vanity Fair, il suo divismo (suo malgrado). Mi concentro su questo perché evito il resto? No: non so più come ribadire la mia stima – letteraria – per il lavoro di Saviano. Ma non posso parlare di una dimensione invece che di un’altra. Saviano mi sembra un prigioniero politico auto ed etero-imprigionata in una gabbia di fama.
    guarda questo link:
    http://www.robertosaviano.it/gallery/le-copertine-dei-giornali/
    il livello della ricezione della sua immagine – introiettato, consapevolmente o meno da Saviano stesso – non è sottovalutabile.

    Potrei fare un piccolo discorso che potrei intitolare
    TRE MODI DI SOPRAVVIVERE ATTRAVERSO LA VISIBILITA’

    In “Gomorra” quest’aspetto conflittuale, il fascino demoniaco della gloria camorristica,
    era tematizzato. Il suo rapporto col padre, l’aspetto spettacolare, mediatico, che nella nuova camorra ha sostituito quello omertoso di invisibilità della vecchia camorra understated.
    Provo a mettere sul piatto dei cortocircuiti, per favore Andrea non farle passare per associazioni malevole, non riesco a capirne neanche io i nessi.
    Ma mi ricordo esplicitamente Roberto che diceva questa cosa: io sopravvivo se sono visibile, quando perderò visibilità sui giornali, etc… allora la camorrà che ha buona memoria mi colpirà, sia metaforicamente: gettando fango su quello che scrivo, sia letteralmente: magari ammazzandomi.
    Poi penso al camorrista che viene raccontato da Saviano quando al momento della cattura si mette a favore delle telecamere e si riallaccia il codino come Brandon Lee nel “Corvo”: la sua foto sarà ripresa come sfondo da chissà quanti ragazzini con il telefonino. (Questa era una grande verità colta da Saviano per me, più che l’intreccio politico-economico-criminale di questo paese: il collante di consenso che la criminalità può ottenere, l’aspetto di seduzione).
    E ancora: sempre di sopravvivere attraverso la visibilità si tratta. Ti ricordi il discorso che faceva Saviano sugli abitanti dei quartieri popolari controllati dalla camorra che nel momento in cui c’era un arresto, un’operazione della polizia scendevano tutti per strada? Saviano controbatteva all’interpretazione che davano i media che ne facevano dei voyeur. C’è il colpo, l’evento mediatico, le televisioni, tutti vogliono vedere che è successo.
    Saviano sosteneva invece che si trattava di una strategia di sopravvivenza: si trattava di farsi vedere da chi era arrestato, dal capocamorra e dai suoi scagnozzi, per esibire la propria fedeltà. Mostrare che si era lì: dichiararsi. In caso contrario, se il capocamorra non ti vede, può sospettare della tua fedeltà.

    Ti sembra pretestuoso, pericoloso, scivoloso questo ambito di discussione?
    Se mi sto auto-ingannando e prendendo una pericolosa piega, mi fermo.

  43. Sulle mie strategie di scrittore editore, non posso dire altro che portare la discussione qui, altrove, cercare in continuazione degli amici – delle persone intelligenti capaci di altri punti di vista – che mi aiutino in continuazione a de-ideologizzare il mio discorso qualunque sia.
    qualche tempo fa ho avuto una strana illuminazione:
    ho letto e recensito per “il manifesto” l’ultimo libro di Veltroni, il poema sull’Heysel.
    E’ una cosa ignobile ma talmente ignobile che non è possibile non accorgersene a pelle. Chiunque lo apre e dice: è impubblicabile, è merda. E’ aldilà di ogni discussione.
    Ora il libro è stato pubblicato – da Einaudi, mica Campanotto – e strarecensito, lodato, presentato.

    E io alla fine ho fatto un pensiero che mi è sembrato agghiacciante: Walter Veltroni, l’essere umano Walter Veltroni non ha amici. Perché se avesse almeno un amico, una moglie con cui ha un dialogo vero, una figlia amorevolmente polemica, un vero amico di cui si fida in fondo, questa cosa non l’avrebbe pubblicata. Un vero amico gli avrebbe detto: Walter, è una cagata. Lascia perdere.
    Invece niente, recensioni positive, da Michele Serra, letture di Luigi Lo Cascio…
    Veltroni come molti evidentemente si è circondato da uomini specchio che lo accerchiano completamente, impedendogli di vedere il reale.

    Ecco non vorrei mai trovarmi in un luogo così, circondato da specchi.

    C.

  44. Veltroni chi?! Quello che era il santo protettore della cultura italiana? Sono almeno 30 anni che fa danni all’arte e alla sinistra. Chissà, tra trenta anni vi accorgerete anche di coloro che hanno fatto danno alla letteratura, enorme danno.

  45. christian,
    capisco che sia una sciagura quando scopri che uno scrittore che stimi sia un fan di Bono Vox :)

    ora io credo che la struttura del nuovo sito di Roberto possa sollecitare delle analisi critiche intorno alla questione della pubblicità, dell’uso della propria immagine, ecc. ecc. questo sarebbe un lavoro interessante, sopratutto paragonando il vecchio sito (più scarno e con i contenuti in primo piano) e questo che dà molto più spazio alle immagini – ma limitarsi a dire: vedi in quante copertine appare Saviano, o guarda come è narciso Saviano, non ci avanza di molto, anche perché come diceva Maria Valente: chi è immune dal narcisismo, anche nel suo piccolo?

  46. E’ evidente che non ho dimestichezza con Nazione Indiana. Ho creduto di Rovelli, un’articolo di Raimo.
    Ho preso io l’abbaglio e me ne scuso, ma ne approfitto per alcune ulteriori osservazioni.
    Saviano non pontifica ma racconta. Racconta non solo i meccanismi della criminalità organizzata, ma anche storie emblematiche di diritti negati da ingiustizie sociali, repressione, prevaricazione.
    Penso non si possa mettere sullo stesso piano un intellettuale che ha trovato una sua efficacissima via espressiva con un premier di uno stato democratico, responsabile della vita di un intero Paese.
    Chi dice che non si possano criticare le parole di Roberto Saviano? Benvengano le critiche su quanto racconta, se ci sono argomenti e se sono sostenibili, ma perchè attaccarlo sul modo che ha scelto di esprimersi?
    Come si può accostare il perenne soliloquio di un premier a monologhi di grande valore comunicativo che ha tenuto Roberto in televisione?
    Roberto si lascia intervistare da giornalisti di tutto il mondo, spiegando le sue ragioni e i suoi obiettivi. Passa ore a parlare con le persone, una ad una ( l’ho visto con i miei occhi ) quando ha la possibilità di incontrarle nelle piazze e nei teatri. Si è detto persino disponibile a incontrare Sandokan Schiavone in carcere. E’ di una limpidezza che non ammette dubbi. Credo che sia per questo che dà tanto fastidio. E’ il suo modo di essere e di porsi, con semplicità, coraggio, passione che dà autorevolezza a quel che racconta.
    Se da tanta visibilità mediatica ne scaturisce, come effetto collaterale, una maggiore garanzia per la sua incolumità non possiamo che esserne felici, credo.
    Incontrare personaggi famosi come Bono, Messi e altri mi sembra, tra l’altro, proprio un modo di sdrammatizzare questa storia dell’icona: poter fare, ogni tanto, il giornalista un po’ meno impegnato; prendere una boccata d’aria e farlo alla sua maniera, con curiosità, intelligenza e profonda sensibilità

  47. Dio mio! ma è possibile screditare una persona per la musica che ascolta o per come si gratta le palle mentre guarda una partita di pallone in tv?
    ma che pena!
    vi meritereste tutti un video trash di Madonna, ma vi risparmio. e che cavolo.

  48. Se c’e’ una cosa su cui Saviano dovrebbe far riflettere è la metastasi mafiosa e come contarstarla.
    lavoro culturale, di cui parlavo prima, nelle scuole, nelle piazze, sostenere tutte le azioni di cotrasto che pure ci sono nelle realyà sociali piu’ degradate. Dare visibilità, anche qui perchè no, alle associazioni che fanno lavoro concreto di contrasto denuncia e recupero dei valori della solidarietà. Ma di cui nessuno parla, ne’ la TV nè la sinistra, nè le riviste impegnate.
    Libera, centro di documentazione peppino impastato, centro studi Pio La Torre, Addio Pizzo, E adesso ammazzateci tutti, Associazione Rita Atria, Fondazione Antonio Caponnetto. tutti presenti sul web.

    Perchè Christian Raimo non usi la tua intelligenza e la metti al servizio della lotta alla mafia, per dotare questo paese che resiste, di nuovi strumenti di lotta e di affabulazione, invece di prenderti la briga e decidere cosa deve e non deve fare Saviano ?

    o come dice Inglese, Saviano è solo un comodo pretesto, per dare più “visibilità” al proprio pensiero.

    Quello che dice Saviano sulla visibilità lo aveva gia’ capito Falcone:

    prima ti isolano, e poi ti fanno fuori.

    e mi meraviglio come tu possa travisare il senso dell’affermazione di Saviano.
    Ma forse a te della mafia non interessa piu’ di tanto, sei in tutt’altri pensieri affaccendato

  49. Ma è mai possibile che il problema dell’Italia, degli italiani, degli intellettuali italiani, degli scrittori italiani, sia Saviano? E’ mai possibile che da qualunque punto si parta per discutere di qualcosa poi si vada sempre e sempre a parare lì? Che triste deriva. Il vicolo cieco delle icone, davvero. L’altro thread era finalmente promettente, guardava fuori, poneva un problema reale: con quale linguaggio politico (performativo, certamente, è da quando esiste la polis che il linguaggio politico è performativo, persuasivo, inevitabilmente attento agli effetti sugli altri: come lo ottieni il consenso sennò? come ti fai votare?) questa disgraziata sinistra può parlare per strappare il velo di maya, per rompere l’incantesimo perfezionato (non creato, portato alla quasi perfezione, manca il possesso di internet ma ci arriverà) dall’atroce manipolatore? Questo è il problema a cui un think tank di gente che fa della parola la sua vita potrebbe dedicarsi e mi dicevo, dài, che forse cominciamo a pensarci, che forse imparo io pure a non balbettare davanti ai berlusconoidi e alla loro retorica manipolata e impermeabile e corazzata. Non chiedo certo che da qui nascano gli spin doctor di una urgentissima alternativa ma pensavo ad un’analisi della retorica vendoliana o, chessò, perfino obamiana (l’Obama di quando vinceva, ovviamente). Invece no: il vicolo cieco delle icone. Quello in cui si va a infilare un pensiero ossessionato dalla propria purezza. Come se ci si potesse sottrarre al fatto che fare un discorso politico significa inevitabilmente divenire un’icona. E che delle icone si è sempre fatto commercio. Come se anche la sinistra non avesse una famelica necessità di icone. Icone parlanti, per cui va fatta un’analisi del rapporto parola-immagine. Non è necessario che chiunque faccia un discorso politico scenda in politica ma è innegabile che l’efficacia di un discorso politico dipenda dalle immagini. Perchè devi colpire l’immaginario, la sfera simbolica, il desiderio. Vendola lo fa e fa anche il politico, Saviano lo fa e non fa il politico. Ma funzionano. E spostano il consenso delle masse in direzione di un desiderio di verità (anche con la v minuscola, come giustamente, secondo me, avvertiva Fontana, citato nell’altro thread). Perchè non guardiamo cosa c’è che funziona nel loro discorso-immagine, invece di scandalizzarci perchè stanno sul mercato delle immagini?

  50. Ribadisco ancora: stimo moltissimo Saviano.
    Penso che dovrebbe candidarsi esplicitamente a un ruolo politico.
    Ha competenze e retorica.
    Il discorso sul narcisismo è un modo per ragionare autocriticamente su un modus politico che cerchi di contrastare il potere di seduzione che il berlusconi ha su di noi: siamo al prepolitico. Nessuno cerca la purezza, ma una possibilità di analisi e autoanalisi che funzioni, che possa cominciare a esser condiviso.
    Non faccio le pulci a Saviano, faccio le pulci a noi, a me stesso.
    Costruire icone serve, figuriamoci.
    E io per campare ho fatto articoli sugli Anarchistes di Marco Rovelli, altro che Bono:-).
    Ma proprio perché questo rinnovamento simbolico sia funzionante e consapevole, capiamo come costruirle queste icone, e come de-iconizzarle all’uopo.
    M

  51. @ caracaterina

    Funziona la retorica. Che sia di Vendola o di Saviano. Due icone. E comunque entrambi, come Berlusconi, avrebbero bisogno dei voti della Lega per vincere. Di netto.

    A parte l’ossessione per Berlusconi, il vostro padrone e signore, a catalizzare tutta la vostra inadeguatezza, non vedo nessuna critica all’efficacia del linguaggio violento e volgare e strumentale dei leghisti. Quelli che rispecchiano maggiormente il paese reale. Lo stesso Bossi poi dovrebbe essere considerato una icona, o no?

    Sono convinto che Saviano cessera’ di essere la vostra ossessione se e quando uscira’ con un nuovo libro, perche’ ad oggi e’ fermo. Certo, dopo Gomorra ha pubblicato raccolte…

  52. Christian,

    a mio avviso il tuo pezzo individua la conseguenza del processo di balcanizzazione della società, della sua frammentazione in isole che comunicano sempre più difficilmente: a questo, secondo me, è dovuta l’incapacità di massa di gestire la contraddizione del proprio immaginario e immaginato, fino agli esiti estremi che citi.

    Ciò ha a che fare, anche, con la destrutturazione della produzione economica standardizzata (quella della fabbrica) che ha lasciato il posto a un consumismo più personalizzato e immateriale, che preferisce le nicchie alle masse. Gli algoritmi del marketing e del Web “sociale” ci spingono verso la community che fa per noi, a sceglierci la platea prima di parlare in pubblico. Anzi: ci portano a rimuovere la dimensione “pubblica”, in favore di un “privato totale”: mi riferisco al fatto che ci riesce assai difficile prendere la parola in un’assemblea di 100 persone, tra cui magari ci sono tre o quattro estranei, mentre non esitiamo a raccontare i nostri fatterelli ai trecento “amici” di Facebook come faremmo al telefono. È quella fine dello spazio pubblico di cui parlava Franzen in un saggio di “Come rimanere soli”, se ricordi.

    In questo vedo un filo conduttore con altri tuoi interventi recenti: penso a quello sullo stalking di qualche settimana fa. Lì dicevi che la comunità non ci educa più a gestire i conflitti, e preferiamo chiamare il 113 perché lo faccia al posto nostro. Ecco, secondo me qui parli della stessa cosa: la comunità non ci educa più al dissenso, ad affrontare criticamente tutti i giorni, per tutta la vita, realtà contraddittorie alla nostra e linguaggi che non capiamo. E se non riusciamo a rimuoverle con le buone, lo facciamo con le cattive.

  53. simpatica battuta ma molto dipende dal lavoro che fai. comunque, mentre noi stiamo cianciando, quelli stanno tentando il colpo di stato.

  54. Mi piacerebbe inoltre conoscere l’eta’ media degli elettori di Berlusconi. Sono sicuro che una percentuale non risibile di loro sia cresciuta prima dell’avvento delle reti berlusconiane e del suo regime mediatico. Questa fede cieca in Berlusconi ha a che fare ANCHE con l’idea forse specifica del cattolicesimo italiano che esista un uomo mandato dalla provvidenza divina a salvarci. Fosse anche dalle istituzioni repubblicane. Senza dimenticare tutti gli scacalli che su questo suo mandato hanno speculato e continuano a speculare.
    Bisogna pero’ anche considerare che la maggioranza degli elettori italiani ha il diritto di essere di destra, se crede. Resta il fatto che Berlusconi abbia occupato uno spazio politico non necessariamete suo, alterando tutta la dialettica fra destra e sinistra. E distruggendole entrambe.
    Pur usandone la retorica linguistica, non sono certo che Corona sia specifico frutto del berlusconismo. Lo vedrei piuttosto come un paparazzo – a tratti neorealista – perfettamente inserito nella Milano dei suoi tempi, assoggettata alla idea di destra che ha imposto con un certo arbitrio il berlusconismo.
    Saviano non mi ha mai convinto. E il suo discorso letterario anche meno. Almeno ad oggi. Potrei farmene una idea meno vaga se a Gomorra seguisse qualcos’altro. Senza contare che i suoi articoli sono spesso adolescenziali, come quello su Bono. Il mio sentire resta molto piu’ complesso del suo mondo.

  55. Un’ultima cosa, non dimenticate MAI che il conflitto di interessi di Berlusconi non e’ mai stato contrastato da nessuno. Gli italiani lo subiscono. La classe politica lo ha imposto. E spesso per squallidi equilibri interni. Contingenze.

    E’ anche vero che nessuno ha mai preso a sassate e bottigliate il Cavaliere in piazza. Certo, uno gli ha tirato una statuina, ma la sinistra si ostina a definirlo un povero fallito psicopatico.

  56. Ecco, Christian, su un punto la penso esattamente come te: Saviano – in quanto icona- rappresenta la vera antitesi a Berlusconi. se si candisasse, la sinistra – superando la litigiosità interna- forse avrebbe la meglio.

  57. Però capisco che il tuo discorso partiva da un altro proposito e non mi piace scavalcarlo con tanta leggerezza, è giusto provare a deiconizzare, ma è un’operazione di lungo termine e complicata e non so, nell’immediato quanto utile per arginare una catastrofe…e la forza, l’impronta di un’icona non è che venga via al primo lavaggio. Nell’immediato può riuscire più utile comprendere quel linguaggio, assimilarlo e contrapporre icona a icona, (come hai fatto tu) moltiplicare le icone (che è già un’operazione preliminare di disinnesco, credo)…in soldoni: davanti a un’icona forte al punto da rendere ciechi e sordi, forte al punto da idurre a negare l’evidenza, i procedimenti giudiziari, i capi d’imputazione, mettiamoci pure le foto scandalistiche… come potrebbe venire distrutta dal ridicolo? non credo proprio in questa strategia: Berlusconi è già di per sé sufficientemente ridicolo -senza bisogno di satira e sarcasmi- eppure…..mi è venuto il dubbio che gli italiani (che lo sostengono) lo amino anche per questo

    comunque sia, continuare a combattere con la riflessione anche se momentaneamente superflua e inefficace

  58. @Massimo Vaj

    Larry Massino è uno che passò gli anni migliori della sua vita nelle biblioteche, graziaddio, anche allora dileggiato da quelli come lei che sostenevano ci fosse di meglio da FARSI che i libri….

  59. “Larry Massino è uno che passò gli anni migliori della sua vita nelle biblioteche”

    Questo sì che è un colpo di scena.

  60. il mio sogno è che il cavalliere capisce che sta sbagliando e prende nella sua squadra proprio un fuoriclasse come saviani facendo scendere in campo anche lui. a quel punto tutti stimando saviano stimerebbero anche lui e capirebbero che non è cattivo.

  61. Voi, mediadipendenti, siete ossessionati da Berlusconi e vi capisco, poErini, ma in un paese come l’Italia, dove la corruzione e’ di fatto epidemica e sistemica, e la classe politica non va al di la’ del proprio piccolo mondo antico, fatto di interessi particulari e contingenze, Berlusconi resta solo il piu’ fastidioso, indecente effetto collaterale.

    In uno scenario del genere, dove la collusione e’ necessaria, Saviano da politico dovrebbe armarsi di pragmatismo e stemperare ogni retorica. Uno dei suoi limiti resta proprio questo. Nonostante la sua popolarita’ lo renda un perfetto personaggio politico, la sua ingenua, adolescenziale intransigenza lo ridurrebbe alla inoperativita’. Ogni giorno, prima di prendere una qualsiasi decisione politica, dovrebbe fare i conti con la credibilita’ del suo messaggio di denuncia e di contrasto. Opposizione.

  62. Non è la prima volta che si affronta questa questione di “Saviano in politica”: Saviano, candidati! Saviano, se ti butti in politica per Berlusconi è finita, ecc.
    Sono d’accordo con AMA: ben difficilmente Saviano riuscirebbe a “fare il politico”, lui stesso l’ha più volte detto. Questo non significa sminuire Saviano, o il suo impegno. Semplicemente, significa comprendere che il compito di Saviano, quello che lui stesso si è dato, è scrivere (soprattutto) di criminalità organizzata per arrivare a un cambiamento antropologico, di mentalità. Compito altissimo, si dirà. Impossibile, si penserà. Sia pur vero, è il compito che lui si è dato. Perché dobbiamo essere noi a digli: no, sai, Saviano, è meglio se smetti di scrivere e ti dai alla politica? Forse, la scrittura di Saviano è già politica, intimamente. E’ indirizzata alla polis. E’ esigente, chiama in causa. Ma davvero lo vogliamo candidato? Presenziare ad Annozero, Ballarò, Porta a Porta? Davvero?

  63. UNA PAROLA A FAVORE DI LUTTAZZI

    non capisco questo accanimento sul presunto plagio di Luttazzi, posto che lui stesso, ben prima della montatura fatta dal Giornale al solo scopo di screditare il suo successo di Raiperunanotte, aveva spiegato il suo “stratagemma”. Ed è uno stratagemma, secondo me, che appartiene ad una performatività non riducibile alla performance berlusconiana. Forse è affrettato opporre l’opzione analitica di Frege con una non chiara definizione di performatività “attoriale”. Non voglio mettermi qui a questionare di pragmatismo, atti linguistici e via dicendo, ma solo fare un appunto a difesa di Luttazzi: la sua satira è tagliente ed ESPRESSIVA, colpisce il lato debole dell’Italia dei nostri giorni e lo fa sfruttando una tecnica precisa, che solo la volgare mimesi della tv cerca, pateticamente, di smontare e appiattire ai suoi canoni limitati.

  64. Poi, voglio dire… L’Italia farebbe schifo anche senza Berlusconi (da solo non vale un cazzo, che governi o meno tutti i media nazionali). La sinistra resta improponibile. Penso agli scorsi governi Prodi. Imbarazzanti. Non adeguati su tanti temi cruciali. E soprattutto non alternativa. Neanche contrastiva, a dire il vero. Spero ancora che la destra italiana riesca a riorganizzarsi senza Berlusconi. Ci guadagnerebbero tutti. Anche a sinistra.

    Lasciate in pace Saviano. Io mi sono convinto che dovrebbe scrivere solo di camorra, non senza una certa morbosita’. O della sua terra, a modo suo. Quando scrive invece di altro, da Luana Englaro, passando per Taricone, fino ad arrivare a Bono Vox, mi pare resti imbarazzante. Un liceale.

  65. Un’ultima cosa, poi mi defilo. Con questa storia della rialfabetizzazione degli Italiani avete un attimo stufato. La scuola italiana fa schifo, lo sappiamo tutti, ma non certo perche’ incapace di indottrinare gli studenti contro la supremazia del racconto mediatico. Non necessariamente Berlusconiano. Nonostante il vostro padrone e signore editi praticamente tutto. Anche la vostra opposizione al suo dominio. Non contrastato da nessuno. Ad oggi.

  66. E’ morto Cossiga. Peccato. Si poteva chiedere a lui se Saviano potrebbe essere un politico di razza. Ormai dobbiamo accontentarci di Fabio Fazio, il fratellone maggiore cacasotto di Saviano.

  67. Per me quelli che ci prendono di più in analisi e lucidità (per motivi opposti) sono AMA e Rotowash.
    Così, non per stilare classifiche idiote, ma per simpatia.
    Oops, dimenticavo Larry Massino.

  68. Non è Saviano che “fa l’eroe” è il contesto e l’insipienza degli attori nel contesto che lo rendono eroe. Non è Saviano che “fa l’icona” ma è il sistema che produce icone e l’insipienza degli attori che popolano il contesto che lo fanno, tra l’altro, capro espiatorio e pietra dello scandalo di tutte le malattie e psicosi del sistema della spettacolarizzazione. Ho letto Gomorra nel tardo 2005, quando il suo autore era pressocchè sconosciuto, e l’ho trovato un libro bello, interessante, onesto, costruito con partecipazone e convinzione, un interessante esperimento di ricerca di un linguaggio al tempo stesso popolare e capace di andare in profondità su certi temi; un bell’esperimento di ibridazione tra cronaca inchieta e fiction sul terreno della “letteratura”…e poi m’era molto piaciuto un testo finalmente di grande inmpegno civile in tante storie minimaliste …
    Non voglio ripetere cose stranote e stradette, invece, quando Saviano e Gomorra, sono diventati “altro” da un libro e dal suo scrittore. In questo – e rispetto al dibattito un po’ zoppo e sbilanciato sul “savianismo” (ma Saviano non ne ha alcuna colpa ) – mi ritrovo al 100% su quanto detto da Andrea Inglese a ferragosto e successivamente. Il post di Raimo si prestava e si presta ad altre interpretazioni, ma il moloch del “savianismo” distoglie l’attenzione.Il tema delle icone, degli idoli, come “sintomo” di forte disturbo sociale, è antico, è stato trattato dal cinema , dalla letteratura, dalla filosofia e dalla critica sociale a partire almeno dagli anni trenta, in modo più o meno sistematico. Ma ciò che trovo un po’ limitativo nel post di Raimo è che non sia messo sufficientemente in rilievo il vero grande prfoblema: il rapporto peverso, malato tra idolo/icona e adoratori/fruitori dell’idolo/icona. In modo particolare come nel fenomeno Bedrlusconi, l’autentico MALE ASSOLUTO del nostro tempo politico. E dunque…TODO MODO PARA ALLAR ….
    Va be’, lascimo perdere. E dunque, musica:

    http://www.youtube.com/watch?v=ms4Ten4oVag

    GIANT FOR A DAY

    You can be President Carter, maybe Idi Amin, or say Muhammed Ali
    Make yourself Marlon Brando, Mickey Mouse, anyone you can see.
    (*) Listen to all these songs tell yourself that it’s wrong to even go your own way
    (*) Throw away your old cloak, put on your mask, be a Giant for a Day.

    Think to yourself you’re in Paris, Tel Aviv, Istanbul, or maybe London or Rome.
    Close your eyes to be there, even though you may be sitting at home.
    (*) REPEAT…..

    Sitting in a Rolls Royce, if it’s the car of your choice or just a black Cadillac.
    And if you don’t think these suit you, just a Porsche or a plain Pontiac.
    (*) REPEAT…..

    GIANT FOR A DAY, GIANT FOR A DAY
    PUT ON YOUR MASK IMAGINE YOU’RE A GIANT FOR A
    GIANT FOR A DAY

    You can think your Jack the Ripper, Mama Belle the stripper, you can fight in the streets.
    You can be the French Connection, Harvey Oswald, or the boys on the beat.
    (*) REPEAT…..

    (*) REPEAT…..
    GIANT FOR A DAY, GIANT FOR A DAY
    PUT ON YOUR MASK IMAGINE YOU’RE A GIANT FOR A
    GIANT FOR A DAY

  69. Articolo interessante, soprattuto nell’analisi della figura di Berlusconi. Non ho mai stata su influenza di icona, eccetto nella mia adolescenza, credo per una ragione essenziale: non ho la TV, non compro riviste, la pubblicità mi dà noia, non provo nessun fascino per gli immagini troppo viste. Dietro l’icona, vedo l’uomo, quello che forse prova stizza a vedere la sua immagine dapertutto come entrando nel campo pubblico, come ogetto da ammirare o odiare. Quando leggo la Repubblica e che vedo una fotografia di Berlusconi, leggo a stento, mi va incontro una immagine in abime con altre immagini di questo personaggio politico. Non lo guardo più. L’immagine icona non dice niente dell’uomo vero ma invece di noi dice molto, dalla nostra speranza o disperazione.
    Per Roberto Saviano lo vedo attraverso la sua scrittura. La scrittura delinea l’anima, crea luce e ombra, gioca sull’implicite. Si vuoi conoscere l’uomo, leggere le sue parole scritte. Roberto Saviano è uno scrittore con uno spazio non stretto, ma immenso. La sua scrittura dilaga un’onda che raggiunge il lettore sulla sponda.
    Nel suo articolo bellissimo su il cantatore di U2, fa apparire il cantatore nella sua semplicità e la sua gentilezza, il suo impegno. Vedere solo l’icona è vedere il suo propio sentimento di ammirazione, un po’ come l’innamorato che in realtà vede solo il suo amore, il suo bisogno di amare.
    Invice l’immagine è troppo visibile. Di questa visibiltà

  70. @Larry Massino: già il fatto che usi il termine “farsi” è disonestà intellettuale o ignoranza del significato che le parole acquisiscono per descrivere fatti storici. Si fa che usa sostanze che legano alla dipendenza, l’LSD non dà alcuna dipendenza fisica né psicologica, mentre la marijuana lega cento volte meno del tabacco. Passare il tempo in biblioteca, invece che con arabeschi in occhi che si sorprendono a essere l’avamposto del rischio… non è un fregio, credimi, e non dovresti faticare a credere, visto che è l’attitudine che hanno coloro che preferiscono leggere della vita altrui piuttosto che vivere la propria…

  71. @ Massimo Vaj
    il mio primo commento a lei rivolto, assolutamente ironico, si riferiva alla scrittura, a volte allucinata, non certo alla sua persona. Mi dispiace l’abbia frainteso. Quanto al non vivere, era proprio in quel senso che dicevo la biblioteca (non penserà che mi vanti di aver letto dei libri? Semmai mi vanto di averne dimenticati a migliaia e non averne letti a milioni!). Nel senso di essere un essere esterno, altrove e altrui, lontano, non di peso, il meno vivente e ioista possibile. Lo so che tanti di voi lo avete vissuto, il mondo, ma, a mio libero parere, l’avete anche un po’ sciupato, senza averne l’autorizzazione, almeno la mia… Sarei felice, adesso, se maturaste almeno un po’ la scienza per aggiustarlo… imparando, per esempio, a dialogare con chi ha idee diverse dalle vostre.

    Ammetto che il secondo commento a lei rivolto, quello in questa pagina, è stato scritto per pura cattiveria, però non inferiore alla sua, che ho interpretato come vendicativa. D’ora in poi, nei suoi confronti, mi farò i fatti miei. Però la smetta, smettetela tutti con il fascista: non c’è niente di più fascista che dare del fascista a chi non si capisce. Cercate di demolire gli argomenti, non la persona che li espone. Se ne siete capaci, altrimenti astenetevi (ho usato un’altra parola compromettente?)

  72. larry non t’angustiare. l’italiano medio è un fascista che non sa nulla del fascismo, che non sa di esserlo, e crede che lo siano gli altri. ah se invece del Sav. leggessero prezzolini… [andrebbe bene anche galli della loggia]

  73. @Sergio rispettabilissimo

    cerco solo di alzare l’asticella, più o meno quello che fai tu con l’humour. Il fatto è che l’altissimo non lo leggono, ma, per così dire, lo inturgidano, nel senso che lo fanno diventare un manganello.

  74. @Massino
    Sono in pochi a conoscere il retroterra culturale e di principio che sottende al fascismo. La maggioranza degli stessi che si ritengono fascisti ne ignorano la fonte, e quando gliela si comunica inorridiscono. Il fascismo pesca nell’esoterismo, ma con la canna sbagliata in mano. Quando, nei primi anni settanta, morì Julius Evola, Milano fu tempestata da manifesti commemorativi del “filosofo del fascismo”. Evola era soltanto un cultore dell’esoterismo, sinonimo, abusato nel suo senso reale, di metafisica nella sua accezione pura. Uomo colto, ma privo di esperienza iniziatica personale trattò, confondendone i princìpi, di realtà che non erano alla sua portata di comprensione interiore. Ben diversamente fu per René Guénon, autore con esperienza diretta della conoscenza iniziatica, il quale pure fu preso a simbolo dai fascisti di una conoscenza di carattere immediato e sovra-razionale che il fascismo e i suoi rappresentanti ed esponenti mai compresero nemmeno superficialmente. Le radici del fascismo sono sempre state corrotte e frutto di travisazioni gravi, dovute all’inconsistenza intellettuale e spirituale di uomini che hanno sovvertito, ribaltandone il senso, l’ordine gerarchico che vede l’uno precedere i molti. Il senso dell’ideologia fascista sta proprio in quell’incapacità di leggere e comprendere questioni gerarchiche e principiali alle quali sono legate le conseguenze che chiamiamo esistenza. Nei salotti culturali si tratta di tutto, tranne che dei principi universali perché sono ignorati. Una sovversione di valori analoga, anche se diametralmente opposta a quella fascista, dà forma e consistenza all’ideologia comunista, mentre l’anarchia (della quale da giovane fui un sostenitore militante), ritene, a torto, che non esistano principi universali né, tantomeno, gerarchie di valori.

  75. @ Massimo Vaj
    Il fascismo ha avuto molte matrici, e molte ramificazioni. Che ad una di queste radici abbia attinto (lasciamo stare cose ne ha capito, anche Mussolini diceva di aver letto Platone) Evola, e da questa radice, per innesti successivi, si sia sviluppato un ramo “radicale” del fascismo italiano di ispirazione evoliana, è fuori discussione dal punto di vista storico. I primi scritti di Evola che ho letto sono quelli che ho trovato, quando mi sono sparato tutta la raccolta de “La difesa della razza”, proprio su quella rivista: alla fine degli anni Trenta Evola si spendeva ideologicamente per l’asse Roma-Berlino. C’è sicuramente un Evola esoterico, molto fumoso anche a voler prendere sul serio l’esoterismo: ma c’è un Evola che pesa nella geografia politica neo-fascista, che pesa le parole da opera ad opera a seconda degli equilibri politici, dentro e fuori il MSI, che sostiene. C’è un Evola punto di riferimento dei giovani neofascisti dei primi anni Sessanta, quelli che dentro il MSI stavano con Rauti (vedi la testimonianza di Giulio Salierno in Autobiografia di un picchiatore fascista, da poco ristampato, prezioso non solo per il “cammeo” di Evola, ma anche per aver ricordato che era Rauti a teorizzare le stragi ferroviarie sull’asse Bologna-Firenze). E se metti piede (si fa per dire) in una libreria fascista, o in un catalogo editoriale fascista, di esoterismo evoliano ne trovi a pacchi.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
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