Saint-Séverin e dintorni

di Antonio Sparzani


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Si fa presto a dire Parigi, j’ai deux amours (intanto guardatevela la Josephine del 1950….) eccetera, ma poi se non ci torni per tanto tempo ti manca molto, s’intende se ci sei stato almeno una volta ad aggirarti per quelle strade, a guardare quelle vetrine e quelle birrerie tutte diverse e a perderti nelle viette dell’estate delle signore che stanno sedute fuori a chiacchierarsela con la signora della porta accanto. E così ogni tanto bisogna tornare, anche solo a camminare in giro, a percorrere gli austeri viali del Luxembourg e a guardare da lontano i profili della Défense. Parigi è una città su un fiume, e anzi alcuni dei suoi edifici importanti stanno su un’isola in mezzo al fiume, Notre-Dame sta nell’Île de la Cité, per dire. Le isole al centro del fiume sono poi due, collegate dal Pont Saint-Louis, e i cittadini di Parigi, a differenza dei cittadini di Königsberg, ricordati qui , possono, volendo, camminare senza intoppi sui quindici ponti che complessivamente uniscono le due isole alla terra ferma e tra loro, percorrendoli tutti di seguito e ciascuno una sola volta, provare per credere, basta una matita. Per questo non esiste un “problema dei ponti di Parigi”, mentre esiste il problema (senza soluzione peraltro, come s’era detto) dei ponti di Königsberg.

Anche il palazzo di giustizia, quello che a Roma è gentilmente detto il palazzaccio, sta nell’Île de la Cité, con quello scalone asimmetrico messogli davanti, sull’ingresso del Quai des Orfèvres, che certo gli appassionati di Maigret andranno subito a vedere, Maigret doveva andarci spesso, anche se non sempre volentieri, a render conto delle sue indagini.
Ma la mia ammirazione per il Palais de Justice non dura molto, così che attraverso il pont Saint-Michel e arrivo subito, stando un po’ a sinistra, in uno di quegli angoli di Parigi che mi attirano tutte le volte che passo di là, la rue Saint-Séverin con la sua straordinaria omonima chiesa. Mi piacciono le chiese a cinque navate, mi sembrano più regolari, più chiese, con tutte le strutture regolamentari di chiesa: meglio poi se, come in questo caso, le quattro navate laterali, due di qua e due di là, proseguono senza soluzione di continuità, attraversando indenni il transetto, nel deambulatorio attorno al coro e si congiungono là in fondo, dietro l’altar maggiore. Qualche altra chiesa ho visto con le stesse caratteristiche, tra queste Santo Spirito a Firenze, anche se solo a tre navate, che già ricordavo qui parlando di quell’altro straordinario monumento che è Santa Maria del Mar a Barcellona.

O guardate la pianta di Saint‒Sernin, a Toulouse ‒ arte romanica, peraltro, altra idea del sacro.

Cosa mi colpisce nell’interno di Saint-Séverin? Mi colpisce la struttura delle volte che sembra
un insieme di braccia con i bicipiti tesi nello sforzo di sorreggere l’enorme peso sovrastante, qui come raramente altrove si percepisce una tensione estrema delle nervature architettoniche che sostengono gli archi del deambulatorio. Ci sono altri esempi del genere, naturalmente, e poi io ne ho visti solo pochi nei miei piccoli viaggi, questo di Saint-Séverin mi colpisce particolarmente, anche perché mi sembra così bene armonizzato con l’insieme dell’architettura della chiesa. Gotico fiammeggiante lo chiamano, e in effetti la metafora delle fiamme di un grande fuoco sembra adatta a descrivere l’insieme di quelle colonne che reggono così faticosamente, ma anche arditamente, le volte del deambulatorio. Guardate ad esempio il deambulatorio di Saint‒Denis, molto più tranquillo, senza perdere di potenza.

Uscito da Saint‒Séverin mi aggiro nelle stradine tra i piccoli negozi, certo per turisti, ma non tanto e non solo. Faccio appena a tempo a entrare a Saint‒Julien‒le‒Pauvre, chiesa di rito greco cattolico melkita, situata nella piazza René‒Viviani‒Montebello, celebre per ospitare l’albero più vecchio di Parigi, una robinia pseudoacacia piantata lì da un botanico nel 1601 (se proprio volete vederla, sta qua) e a venire abbagliato dalla visione del tabernacolo, che non dà tanto l’idea di pauvre, veramente, ma subito mi cacciano fuori, dato che è momento di chiusura.

Torno a camminare piano per le stradine pedonali di quello scampolo di quartiere latino, la rive gauche è proprio diversa, forse la gente ti guarda in un altro modo, o sono io che la guardo con in mente delle altre cose, non so. Entro nel negozietto a comperare tre ciotole per il tè, o per un qualsiasi altro utilizzo, il padrone non cerca di imbonirmi, se compro compro, niente sconti o adescamenti. Così è l’aria di questa zona, il Beaubourg e Les Halles sono lontani, Les Tuileries non ne parliamo.

Concludo il mio pigro girovagare della tarda mattinata: a due passi c’è rue des Carmes, stessa atmosfera, cerco di indovinare l’alberghetto dove prese alloggio ‒ sarà l’Hotel St Jacques, oppure ormai non esiste più, non so ‒ Giuseppe Ungaretti, insieme al carissimo amico, compagno di scuola ad Alessandria d’Egitto, Moammed Sceab (questa è la grafia ungarettiana), quando andò a Parigi, proveniente appunto da Alessandria, nel 1912. Dopo pochi mesi Moammed si suicidò. Ungaretti lo ricorda in una poesia scritta quando era ormai già al fronte di Locvizza il 30 settembre 1916:

In memoria

Si chiamava
Moammed Sceab

Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria

Amò la Francia
e mutò nome

Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè

E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono

L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa

Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera

E forse io solo
so ancora
che visse.

Locvizza il 30 settembre 1916.

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24 Commenti

  1. GRAZIE mille, caro Sparz, capita a fagiolo ;-)
    tra pochi giorni visiterò Parigi. è la mia prima volta. adesso non temo più di perdermi ;-)

  2. impossibile fino a quando il fiume è vicino perdersi… e poi potresti vedere se tardi alla Esplanade des Invalides si riesce a fare un vecchio gioco e scendere controsenso le scale solo di uscita del métro. Ah credo che manchi a tutti quella città anche se a molti i parigini (che trovo tali solo all’apparenza) stanno ormai stretti. San Severino temo di non esserci entrata, la prossima volta so di non poterla perdere. Perché non inaugurate la collana di guide NI?

  3. Per te Maria,

    Sono a Amiens fino al 16 agosto, poi il 17 parto nel sud nella mia famiglia. Torno verso il 26 agosto. Scrivimi se hai tempo. Sarebbe un piacere essere con tu.

    Un abbraccio,

    véronique.

  4. Chiedo scusa a Antonio Sparzani per essere OT; Ha scritto un bellissimo testo che illumina questa parte di Parigi romantica nel senso nobile. E’ vero la vista sul fiume e i ponti sono fatti per la contemplazione nel leggeri colori dal grigio al blu celeste, dal rosa porcelllana. Les cafés hanno un incanto un po’ desueti. Non ho mai visitato St Séverin, ma Saint-Sernin, conosco, anche se la mia preferenza va a Barcelona.

    Benvenuto a Maria. Spero che i Parigi sarà dolce e accogliente per te. I Parigini non hanno ( in generale) la gentilezza dei Napoletani. Mi fa male dirlo, ma è la verità. Spero che incontrerai la stessa gentilezza che ho provata in Italia, soprattutto a Napoli e dintorni. Altra precisione avere pulls : in questo momento il tempo è fresco. Con il metro, Maria, non ti puoi perdere :-)

    Grazie a Antonio per il bellissimo post, si riconosce un artista.

  5. Mi scuso per gli errori ( è l’emozione di sapere Maria sul punto di scoprire Parigi) nei leggeri- Dal rosa porcellana al viola- Spero che Parigi

  6. Luoghi che amo a Parigi:

    La rue des Rosiers ( il mio rione preferito)
    Le canal Saint – Martin
    Le pont Alexandre III
    Le pont Neuf
    Le musée d’Orsay
    L’Opéra Garnier
    Les jardins de Versailles.

  7. ma che care, lucia e véronique!
    purtroppo arriverò il 18, per cui non penso che ci incontreremo, stavolta, anche se sarebbe stato bello ritrovarci di nuovo, noi 3 donzelle, come a napoli la scorsa estate ;-) ma va beh, non mancherà occasione
    intatnto vi abbraccio e ringrazio per tutti i suggerimenti

    non vedo l ora di abbracciare il mio dipinto preferito. prima tappa: appuntamento al Centre Pompidou, con il mio amore http://ima.udg.edu/~rigau/Images/IC/kandinsky_yellow-red-blue.jpg
    ;-)

    BUONE VACANZE ANCHE A VOI

  8. Chi ha visto Les deux fillettes di Van Gogh al museo d’Orsay? E’ il quadro più inquietante che abbia mai visto, e la faccia demoniaca della seconda bambina doveva senz’altro essere una delle allucinazioni che accompagnavano Van Gogh negli ultimi tempi

  9. dovrei averlo visto, e se era al Jeu de Paume dovrei averlo visto prima lì, lo ho ritrovato riprodotto, ma di lui ormai ho l’indelebile immagine di alcuni cieli e dei verdi dei contadini (avendo passato mesi in Francia da sempre, lui mi sembra talmente parte del mio mondo da ricordare solo le ultime cose che mi hanno colpita). E poi si dice i bambini buoni e innocenti

    @maria
    io dovrei passarci più in là, e ti aspetto a Roma ;-)

  10. non so se nella Sagrada Familla si volesse avere un effetto simile, ma in qualche mdoo dalle foto e dal filmato l’effetto non è tanto dissimile

  11. splendidi organi e volte e colonne, le mie tentazioni però sono proprio i PONTI, al punto che raccolgo lo spunto di farne itinerario, come accompagnamento musicale mi porto dietro (in testa:-) la solita operetta che a forza di rileggere, conosco quasi a memoria e so già che mi terrà compagnia… :-)

    […] appena la luce di cenere e olivo sospesa sul fiume mi lasciava distinguere le forme, subito la sua figurina sottile si disegnava sul Pont des Arts, qualche volta muovendosi da una parte all’altra, qualche altra ferma contro la ringhiera di ferro, china sull’acqua. Ed era così naturale attraversare la strada, salire i gradini del ponte, penetrare nella sua sottile vita ed avvicinarmi alla Maga, che sorrideva senza sorpresa, convinta quanto me che incontrarsi per caso non era un caso nelle nostre vite, e che la gente che si dà appuntamenti precisi è la medesima che ha bisogno del foglio a righe per scriversi o che preme dal basso il tubetto del dentifricio.[…] Preferivamo incontrarci sul ponte[..] Camminavamo senza cercarci, pur sapendo che camminavamo per incontrarci[…]

    A quel punto mi ero accorto che cercare era il mio destino, l’emblema di coloro che escono la notte senza alcuna precisa intenzione, lo scopo degli assassini di bussole. Con la Maga parlavamo di patafisica fino all’esaurimento, perché anche a lei capitava (e il nostro incontro cconsisteva in questo e tante altre cose oscure comeil fosforo) di cadere continuamente nelle eccezioni, di trovarsi fino al collo in caselle che non erano di tutti, e questo senza disprezzare nessuno, senza sentirci dei Maldoror in liquidazione o dei Melmoth privilegiatamente erranti. Non mi pare che la lucciola si attribuisca maggiore importanza per il fatto incontrovertibile di essere una delle meraviglie più spettacolari di questo circo, e tuttavia è sufficiente supporre in essa una coscienza per capire che ogni volta che le si accende il pancino l’ insetto di luce deve sentire come un solletico di privilegio. Nello stesso modo la Maga amava tutti gli incontrovertibili guai in cui si trovava fino al collo per via del fallimento di ogni legge nella sua vita. ERA DI QUELLE CHE FANNO CROLLARE I PONTI QUANDO LI ATTRAVERSANO[…]

    Perché non accettavo quanto stava accadendo senza pretendere di spiegarlo, senza fondare le nozioni di ordine disordine, di libertà…come colui che dispone i vasi di gerani in un cortile di via Cochabamba[..]
    finisco sempre coll’alludere al centro senza la minima garanzia di quel che dico, cedo al facile tranello della geometria con cui si pretende di fare ordine nella nostra vita di occidentali: Asse, centro, ragion d’essere, Omphalos, nomi della nostalgia indoeuropea. Anche questa esistenza che qualche volta cerco di descrivere, questa Parigi in cui mi muovo come una foglia secca, non sarebbero visibili se dietro non palpitasse l’angoscia assiale, il rincontro col fusto,
    quante parole, quante nomenclature per uno stesso scompiglio.
    A volte mi convinco che la stupidità si chiama triangolo, che otto per otto è la follia o un cane. Stringendo la Maga, questa concrezione di nebulosa, penso che fare un pupazzetto con la mollica di pane abbia ugual significato che scrivere il romanzo che non scriverò mai o difendere con la vita le idee che redimono i popoli.
    Il pendolo compie il suo moto istantaneo e nuovamente mi trovo inserito nelle categorie tranquillizzanti: pupazzetto insignificante, romanzo trascendente, morte eroica. Li metto in fila, dal minore al maggiore: pupazzetto, romanzo, eroismo. Penso alle gerarchie di valori, così ben esplorate da Ortega, da Scheler: estetica, etica, religione. Religione, estetica, etica. Etica, religione, estetica. Il pupazzetto, il romanzo. La lingua della Maga mi fa il solletico. Rocamadour, l’etica, il pupazzetto, la Maga. La-lingua, il solletico, l’etica[…]

    perché sei sempre stata un terribile specchio, una spaventosa macchina di ripetizioni, e ciò che chiamavamo amarci forse fu che io ero in piedi davanti a te, con un fiore giallo in mano, e tu reggevi 2 candele verdi e il tempo soffiava contro i nostri volti una lenta pioggia di rinunce e addii e biglietti di metrò[…]

    (da J. Cortázar, Il gioco del mondo)

  12. Maria,

    Buone vacanze in Francia. Purtroppo ho promesso a mia sorella di venire trovarla. Non l’ho vista da mesi. Se avevo saputo più in anticipo avrei tutto spostato. Spero che il sole sarà li per te. Fa’ provvista di musei.

    Un abbraccio.

    véronique
    Commincio a credere che sono nata sotto una brutta stella. Perdo sempre l’occasione di vedere gli amici.

    Roberto, non mi rammento il quadro di Van Gogh. Invece ho ancora negli occhi i quadri di Renoir che parlano talmente della felicità.

  13. Bellissimo il testo di Cortàzar nella sua danza maga del mondo. Anche in una città razionale come Parigi, l’incanto sorge da un lembo di cielo, in una “gargouille”, su un ponte. Per una provinciale come sono, la gente anche puo avere una stranezza di romanzo. Credo che Fellini avrebbe raccolto molte figure del bizzarro.
    I Parigini non sono cortesi , preferisco dirlo. Non aspettare la stessa gentilezza dei Napoletani. Hanno dimenticato il sorriso. Mi fa vergogna.
    Ma a Parigi, soprattutto in agosto, ci sono molti stranieri che danno vita e civiltà alla città.
    Maria, fa’ un giro sul Quai Jemmapes. Le chiuse del canale sono bellissime.
    Per il ponte, il mio preferito è quello di Alexandre III, molto adornato. e qualche lo trova di un gusto discutibile.
    Forse per una romantica come te ( nel senso letterario) la tua preferenza andrà verso Le pont neuf ou le pont des Arts.

  14. “I Parigini non sono cortesi , preferisco dirlo. Non aspettare la stessa gentilezza dei Napoletani. Hanno dimenticato il sorriso”
    Io devo essere molto fortunata perché con me son sempre stati e continuano ad essere gentilissimi (ma non mi prendono per italiana), trovo lo abbiano solo nascosto dietro una patina di spocchia da nuovi newyorchesi un po’ autocompiaciuti, ma basta un nulla e li ritrovo quelli di sempre curiosi e accoglienti

  15. sto annoto tutto sul mio taccuino…grazie grazie
    e Véronique, ricorda, non sei nata sotto una brutta stella, sei solo anche tu una piccola Maga ;-)
    abbracci

  16. grazie, sparz, per il van gogh, vorrei metterlo sulla parete del desktop, ma ho paura degli incubi. il volto della prima bambina è davvero sconvolgente.
    @ maria(v),
    anche “componibile 62”, con quel jeu de mots all’inizio al restaurant polidor che apre alla memoria e al ricordo come la madeleine proustiana, è un ottimo introibo alla ville de paris
    però che ingrata, la mairie de paris, a dedicare a cortazar solo un asfittico slargo sull’ile de la cité (e con colpevole ritardo), e che io sappia nemmeno una targa sulla facciata delle case dove ha abitato
    speriamo che il recente sito web “rutas cervantes” si decida a mettere in lista cortazar

  17. Grazie a tutti per i consigli. Ho visitato Saint-Séverin, impressionante, davvero. però al quartiere latino mi ci sono ritrovata per caso e con sorpresa, perdendomi ;-) e poi sì, confermo, il Pont des Arts è il mio preferito tra quelli attraversati, ho i polpacci indolenziti, alloggiavo a Pigalle tra un sexy shop e localini vari, di fronte al pub dirty dick proprio da ridere, ;-)))) e preferivo andare a piedi, qualcosa come 12 ore di cammino al giorno ;-) ma sostavo ora sui seggiolini che hanno sostituito le panchine di qualche giardinetto ;-) ora sulla “spiaggia” di una Parigi africana anche per il solleone e per i ritmi tribali di gruppo all’ora dell’aperitivo ;-) le stradine più belle, per quel poco che ho visto in una vacanza così breve, mi sono sembrate quelle silenziose e contorte per salire a Montmartre e Véronique, devo proprio contraddirti: Parigi è la prima città in cui mi sono sentita in forte imbarazzo a chiedere indicazioni, perchè più di una vola è capitato che invece di rispondere semplicemnete alla domanda, mi accompagnassero per mano…(!!!) ti fanno sentire in colpa. quasi quasi preferivo perdermi ;-) la cosa che mi ha più stupita, invece, è stato trovare i venditori urlanti di sigarette di contrabbando, fuori dalla metro a barbès, come non se ne vedono più a napoli da anni- tutto il mondo è paese- ho pensato ;-)
    E’ stata una bella vacanza, peccato la solita solitudine, anche ci ho il callo ;-) Se però potessi scegliere dove vivere, preferirei sinceramente Londra, per via dei parchi, che qui, devo dire, mi sono proprio mancati. A Parigi c’è troppo asfalto. I giardinetti recintati con l’erba che puoi, quasi sempre, vedere e non toccare sporgendoti dal tuo seggiolino mi hanno fatto un po’ tristezza. Non so bene il bois de boulogne, ho provato ad andarci ma disavventure varie mi hanno fatto desistere ;-) ma sicuramente da quel poco che ho visto, non posso essere sicura di quanto dico. In conclusione, è stata una bella vacanza e grazie a tutti dei suggerimenti. Abbracci

  18. Ah e dimenticavo: Il Pompidou mi ha tolto il fiato: avrò trascorso 7 ore lì dentro e sono dovuta uscire la limite del collasso senza riuscire a veder tutto…più bello dei miei sogni! e trovare il dipinto amato inondato di luce, davanti alla vetrata panoramica, con i colori come suonano dal vivo come nessuna foto o stampa riesce a riprodurre, non ha prezzo ;-)

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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