Ai vecchi e ai nuovi vecchi (intellettuali)
di Saul Bellow e Keith Botsford
(«ANON», Number One, December 31, 1970)
[…] Le lotte sociali hanno ormai preso il posto dell’arte. Le persone vogliono riflettere sulle questioni sociali, pensando sia un modo di riflettere su se stesse.
Chiunque può abboracciare un testo sui problemi sociali. Tradizionalmente, la funzione dell’arte era quella di assorbire. Queste persone non hanno la minima intenzione di fare dell’arte. Piuttosto, si compiacciono di essere degli artisti. Per loro l’arte consiste nel gettare un incantesimo sull’orrore che ci circonda. È un metodo terribilmente facile per intrufolarsi nella casta degli artisti.
Né gli uomini d’affari né i dittatori sono i legittimi eredi dell’aristocrazia, ma gli artisti. Il XIX secolo questo l’aveva capito bene, elevando l’artista a vero e proprio aristocratico della società. Ai giorni nostri la noblesse è rappresentata dai bambini. Ma gli artisti non hanno ancora capito il lavoro che comporta un simile riconoscimento; non adempiono in alcun modo al compito assegnato. Se il XIX secolo manifestava un magnifico interesse per le domande, oggi ci si appassiona a un’altra arte: imbrogliare le carte. Gertrude Stein sul letto di morte avrebbe sussurrato: “Qual è la risposta? Qual è la risposta?”. Ma poco prima di morire avrebbe chiesto: “Qual è la domanda?”. Forse quest’ultimo atto di intelligenza ha salvato la sua anima.
Menti raffinate predicano che la letteratura è morta, che l’arte è morta, che il romanzo è morto. Io brontolando rispondo: la causa del male è l’assenza di modelli accettati e riconosciuti – è l’autorità che sta svanendo. La letteratura ha bisogno di voci incontestabili – dove sono finite? Ecco il compito che potremmo attenderci da una rivista: esigere dei criteri. Naturalmente il pubblico pensa che esistano delle voci indiscusse, ma la maggior parte degli scrittori in vista lo sono per motivi sbagliati: perché hanno pugnalato la moglie, rimediato un posto nella pubblica amministrazione, manifestato al Pentagono, o perché si sono tinti i capelli di blu o perché sono andati ad assistere alla morte di un condannato sulla sedia elettrica. L’arte ormai è stata rimpiazzata dai suoi sottoprodotti.
Dicono che la finzione è noiosa, ed effettivamente gran parte dei testi di finzione lo sono. Tolstoj ha ammesso e riconosciuto che anche il racconto più popolare diventa noioso se non è reso fertile da un interesse primario. È la morte spirituale che genera la noia. In questo modo i miti greci diventano noiosi; Cristo in croce diventa noioso […]
I lettori esigono argomenti, e va a finire che la vita di un uomo si trasforma in un lusso a cui nessuno può dedicarsi.
Tuttavia, le vere opere di finzione non perdono mai il loro valore. Passano semplicemente inosservate. Ai nostri giorni, la vittoria va ai “fatti”, soprattutto se di ordine sociale. Ma quel che la gente intende per “fatti” non è altro che un’occhiata allo specchio. Viviamo nella società democratica dell’autocontemplazione. Ciascuno è convinto che non ci sia niente di più interessante di se stesso; la nostra coscienza è diventata il fatto più importante, il solo e unico fatto che conti. Naturalmente dicendo questo non intendo i “fatti” veri e propri.
La radice di questo mutamento è profondamente romantica. I romantici dicevano che l’arte non si occupa della verità; ma quel che conta di più è la verità. Al di là dell’arte, esiste una realtà più vasta che con l’arte può essere colta. Marx – il principe dei romantici – diceva che il proletariato avrebbe fatto la rivoluzione per salvare il genere umano dall’irrealtà. Come molti altri oggi, viveva un’utopia populista.
Come pretendere dagli scrittori che si muovano controcorrente? Stanno per commettere il vecchio errore di sempre: fare la cosa sbagliata al momento sbagliato. Esigono un posto particolare nella società. Aspirano alla rivoluzione. Vogliono stare sulla cresta dell’onda. Ma vogliono anche essere saggi. Non possiedono il senso della comunità. Nessuno di loro si preoccupa minimamente delle difficoltà degli altri. Quando diventano ricchi, diventano molto ricchi. Fanno parte del jet set; hanno delle grane con il fisco; diventano attori televisivi. Hanno idee terribilmente conservatrici. Un uomo di classe direbbe che c’è troppa gentaglia nella Repubblica delle Lettere […]
(traduzione di Massimo Rizzante e Francesca Lorandini)
Non so, ma personalmente credo che la sfida oggi sia più che mai questa: tentare di «leggere» e restiruire nelle forme più disparate e sottili («intelligenti», direi, cioè capaci di «intelligere» al di là dell’aspetto supeficiale di qualsiasi questione o argomento) tutte le letture possibili di questa nostra irriducibile contemporaneità. Che ognuno lo faccia a suo modo (più saranno i modi meglio sarà), ma che lo si faccia, al di là dell’arroganza, al di là della supponenza, al di là delle tendenze, al di là delle pressioni psicologiche del mercato o delle aspettative del pubblico (che sono carceri immateriali, ma fortissimi), al di là dello spaesamento che credo oggi scontano quanti sanno benissimo che la letteratura non è fatta di «argomenti» da sceverare né di «incantesimi da stendere sull’orrore» né di «autocontemplazione» in splendide solitudini o in gremiti consensi, ma è fatta piuttosto di tutti i modi possibili di interrogare il proprio tempo e le proprie circostanze nonché di tutti i modi possibili di dar forma – la forma più giusta, necessaria, plurale – a quelle domande.
Personalmente credo che oggi il problema non sia solo la «mancanza di voci incotestabili» (mancanza che chiama in causa anche, non solo, ma anche… chi quelle voci dovrebbe riconoscerle, cioè anche i critici e i lettori più consapevoli, almeno), perché anche la tentazione di affidarsi a modelli unici «incontestabili» sarebbe (ed è) un grave errore… più che mai in un tempo come il nostro (plurale) che esige più sguardi, più voci, più confronti…
Max, ma proporci un pezzo (di Bellow) del 1970, che dice “le lotte sociali hanno ormai preso il posto dell’arte”; o “ai nostri giorni, la vittoria va ai “fatti”, soprattutto se di ordine sociale”; o ancora che gli scrittori (odierni) “aspirano alla rivoluzione”, dà lo stesso senso di estraniamento di quello che avrebbe un neanderthal man davanti a un computer o alle prese con un ipod. Due contesti storici, e tra di loro un abisso. Incolmabile. Per il resto, le altre osservazioni del Bellow di allora, mi paiono condivisibili anche oggi, ma per il fatto che sono una costante della carriera dello scrittore. Poi la chiusa del pezzo, cioè che quando uno scrittore diventa ricco diventa molto ricco, mi pare si attagli più agli States che all’Italia.
Beh,sarà anche datato,ma forse l’articolo non è poi tanto sorpassato…
Anche la Santangelo ha buone ragioni,a patto di non ignorare la chiusa: “Un uomo di classe direbbe che c’è troppa gentaglia nella Repubblica delle Lettere “,non certo datata.
Certamente non per la definizione dell’ultima riga, direi che questo scritto andrebbe fatto imparare a memoria, e scandito a ritmo di beguine, o almeno fatto svolgere in forma di dettato scolastico agli scrittori (“nuovi vecchi” del titolo, I suppose – e, non a caso, grandemente RIVOLUZZZIONARI…) redattori del nuovo “alfabeta” o “alfabeta2” (la vendetta…).
E poi questo signor Robugliani… che ingenuità disarmante! Come dire che AMLETO non ha più niente da dire perché ha cinque secoli ed è stato scritto in un altro Paese… Ah, poveri noi, rizzante e bellow e francesca carissimi!
A me questo testo sembra ancora molto attuale e interamente sottoscrivibile, e Rizzante la coscienza autocritica di Nazione Indiana, il suo sistema immunitario. È che se va avanti così, prima o poi questo blog si prenderà una brutta allergia.
condivido il senso di straniamento di robugliani, qual è l’interlocutore al quale si rivolge oggi e qui?
qual è il bersaglio che dovrebbe colpire oggi e qui?
per Santangelo non c’è bersaglio, mi pare, e lo interpreta come un invito ecumenico a leggere il mondo
per johnny doe il bersaglio c’è ed è la “gentaglia”
per K. il bersaglio c’è ed è alfabeta e alfabeta2
per Harzie sembrerebbe un antistaminico.
No, scusa, Alcor. Io ho detto soltanto quali sono, a mio modesto avviso, oggi le sfide. Anzi, ho anche aggiunto che il riferimento alle «voci incontestabili» oggi dovrebbe essere sottoposto a una rilettura critica che puntualizzi meglio i termini di una tale affermazione. È importante «leggere» quel che ognuno scrive, se no, si rischia di perdere il senso stesso degli interventi, anzi, direi di più, se non ci mettiamo lì a «leggere» o a tentare di «leggere» i testi così come gli eventi stessi dell’esistenza (poco importa se personali o meno) rischiamo di perdere il senso stesso del nostro stare al mondo, direi.
Perdona la passione con cui ho puntualizzato, ma gli equivoci, anche i più banali, rischiano di generare mostri di incomprensione.
No, Alcor, al contrario. L’antistaminico potresti anzi essere tu. Il testo di Bellow postato da Rizzante a me pare invece l’agente scatenante di una possibile irritazione, perché si rivolge a tutto ciò che dentro e fuori Nazione indiana è ancora partecipe del clima culturale descritto da Bellow, in particolare il prevalere – frutto di fraintendimento, «romanticismo» o narcisismo – delle «lotte sociali», dei «fatti» e dell’«autocontemplazione» su quelle che Bellow chiama «arte» e «finzione» riferendosi comunque esclusivamente al campo letterario.
ma scusa, @harzie, questa frase:
«Le lotte sociali hanno ormai preso il posto dell’arte»
poteva essere vera all’inizio degli anni 70, non oggi, il clima culturale è diversissimo, [e io c’ero], da un lato, mentre dall’altro questa frase:
«Le persone vogliono riflettere sulle questioni sociali, pensando sia un modo di riflettere su se stesse.» beh, la condivido.
Cosa sono, come cittadino, e anche lo scrittore è cittadino, se non rifletto sulle questioni sociali?
Il che non vuol dire che poi uno debba scrivere un romanzo sul precariato, mi conosci abbastanza per sapere che non potrei mai sostenere un’idea così bizzarra.
@Santangelo, scusami, forse non riesco a capire bene.
Ci sono dei passaggi in questo scritto che sono tanto belli proprio perché suscitatori di equivoci. Ad esempio, il passaggio sulla scomparsa dell’autorità e delle “voci incontestabili”. Facile, per chi non ha orecchio, osservare che si tratta di un discorso reazionario… o di intonare la solita lagna sulla latitanza della critica… Ma siamo sicuri che tutto ciò sia reazionario? Pensiamoci bene. Potrebbe essere, questo, un discorso che pone l’accento sulla incapacità del nostro mondo a riconoscere – e quindi a dirne qualità, caratteri, ecc. – l’autorità (da “auctor”). Ma potrei sbagliarmi, o dovrei ulteriormente approfondire. E anche il passaggio sulla noblesse dei bambini è bellissimo appunto perché equivoco, come quello sul populismo utopistico di Marx: tutti temi su cui si potrebbero (e si dovrebbero) scrivere saggi, romanzi e poemi. Anche perché questo modo di scrivere “equivoco” (tipico del miglior saggismo), che veleggia ebbro sulla superficie delle cose, credo sia stato scelto appositamente per dire cose che altrimenti sembrerebbero delle trombonate insopportabili.
Il bersaglio di questo scritto, infine, non credo (con HARZIE) che sia solo “alfabeta2lavendetta”, ma anche la stessa NAZIONE INDIANA. Soprattutto tutti coloro che pensano (ancora oggi e chissà fino a quando) che “le lotte sociali abbiano ormai preso il posto dell’arte”. E sono tanti qui dentro, mi pare.
Cioè, caro @K. vuoi un recinto “artistico” protetto dalle intemperie?
Ben chiuso all’analisi critica che non sia la pura analisi di un testo, avulso il testo e avulsa anche l’analisi dal mondo in cui è stato composto e di cui si è nutrito?
O è un fastidio per gli “intellettuali” tout court?
Arte (con la maiuscola) pura?
Perché quando nasco e vengo sbattuta nel mondo, sono già, solo per esserci caduta dentro, essere sociale, non c’è protezione.
è innegabile che il 1970 a New York, in mezzo ai letterati di ogni risma, non è Roma o Milano o Palermo 2010; il contesto c’entra sempre; in un caso Bellow faceva l’anticonformista, contro l’ondata dell’impegno che veniva da lontano (Barkeley) e si portava ormai dietro tutti le stereotipie del caso; ma i rapporti di forza sembravano – se non altro – favorevoli ai ceti popolari, agli studenti, alle minoranze, ai pacifisti; oggi sputare sugli intellettuali impegnati (o meno) è perfettamente in linea con tutti i fogli della varipinta destra italica, dal Foglio al Giornale. Quindi nessun anticonformismo, oggi.
Doppodiché Bellow non solo è un gran scrittore, ma uno scrittore pieno d’intelligenza. E tutto ciò che scrive è contravveleno utile, alle varie forme di idiozia che albergano anche oggi nel calderone culturale e letterario: la matrice di tutti queste idiozie è riconducibile ad un filone del romanticismo, ed è l’idea che l’espressione di sé sia un compito accessibile a tutti, e che tutti possono realizzare.
La critica all’impegno di Bellow è buona sopratutto per il cattivo artista che si nobilita con l’impegno. Non certo per il buon artista che può mettere al centro della sua ispirazione proprio dei temi sociuali (come tanti grandi romanzieri hanno fatto a partire dal XIX secolo).
Ma certo questa citazione da Bellow può essere usata in modo molto idiota, come qualsiasi cosa intelligente. Si può sempre usare l’ultimo portatile apple come tavola da surf.
Al, capisco cosa vuoi dire, ma temo che stavolta tu fraintenda: qui Bellow parla di letteratura, non di impegno sociale in sé.
Quando dice che «le lotte sociali hanno ormai preso il posto dell’arte», intende, mi pare, che in quelli che da molti «intellettuali» (vedi il titolo del post) sono considerati “buoni libri”, “libri da leggere” e perfino “buona letteratura” «le lotte sociali hanno ormai preso il posto dell’arte», ovvero che se ne sacrifica spesso e volentieri la fattura artistica, la tèchne, sull’altare delle «lotte sociali» – come a dire che il contenuto “impegnato” fa il valore di un libro più del fatto che sia scritto più o meno bene, con più o meno arte appunto.
Allo stesso modo, quando dice che «le persone vogliono riflettere sulle questioni sociali, pensando sia un modo di riflettere su se stesse» non mi pare che stia semplicemente constatando la nostra inaggirabile natura di animali politici, ma indicando ancora una volta una deriva del gusto, anche oggi, per cui magari si ritiene che i vari libri-reportage sulle nostre mafie o sui paesi in via di sviluppo ci aiutino a capire noi stessi e il nostro mondo più di quanto non facciano Cecità o I figli della mezzanotte.
Dopodiché probabilmente non ha torto neanche K., per cui l’equivocità del testo eccetera. Come del resto persuade Inglese quando dice che «la critica all’impegno di Bellow è buona sopratutto per il cattivo artista che si nobilita con l’impegno. Non certo con il buon artista che può mettere al centro della sua ispirazione proprio dei temi sociali». Da Dickens a Marie NDiaye.
Precisazione: per “intellettuali” bisognerebbe intendere naturalmente non soltanto critici letterari, pensatori, poeti o scrittori, ma tutti coloro che sono annoverabili nella cosiddetta intellettualità diffusa. Personalmente conosco e a volte frequento, sia pur non molto volentieri, persone molto scolarizzate che giudicano davvero un libro letterario, poesia o romanzo, dal peso sociale dei temi che tratta.
P.S. Il mio surf ha quattro anni di vita, ma funziona ancora benone.
.. esistono pesi sociali dei temi ?
.. in che senso ?!.. il precariato e la mafia hanno pesi diversi?.. in questo senso?..
Umorismo Inglese: ” oggi sputare sugli intellettuali impegnati (o meno) è perfettamente in linea con tutti i fogli della varipinta destra italica, dal Foglio al Giornale. Quindi nessun anticonformismo, oggi ”
La più bella barzelletta dell’anno, che fa ridere e pensare insieme, il cui significato ultimo è che non essere d’accordo con loro e cercare di metterne in discussione la centralità vuol dire essere di destra.
La logica è quella dei ragazzini quando se ne va il proprietario del pallone perché ritiene di aver subito un torto.
Inglese bisogna che si sforzi di capire che gli intellettuali questo sistema lo governano, non ne sono le vittime. e lo governano favorendo i propri interessi, ben mascherati dietro i più nobili princìpi.
è tornato lo Zorro del libero-pensamento – che ringrazio di mettermi al centro della sua battaglia per la libertà, insignendomi di galloni intellettuali-piramidali, riflettori puntati, pedalò da corsa –
ma caro – non leggendo tu quanto scrivo – dubito che ti possa fare un’idea di che cosa dovrei sforzarmi di capire
Ma anche quando leggi, c’è poca speranza. La frase che commenti non vuol dire che “chi sputa sugli intellettuali è di destra” – ; vuol dire semplicemente quel che scrivo: chi sputa sugli intellettuali non è anticonformista, in un paese governato dalla mala-destra, che ci sputa su ogni giorno.
Si può sputare da destra e da sinistra. Ma senza pretendere grandi patenti di anticonformismo.
@harzie
“Quando dice che «le lotte sociali hanno ormai preso il posto dell’arte», intende, mi pare, che in quelli che da molti «intellettuali» (vedi il titolo del post) sono considerati “buoni libri”, “libri da leggere” e perfino “buona letteratura” «le lotte sociali hanno ormai preso il posto dell’arte», ovvero che se ne sacrifica spesso e volentieri la fattura artistica, la tèchne, sull’altare delle «lotte sociali» – come a dire che il contenuto “impegnato” fa il valore di un libro più del fatto che sia scritto più o meno bene, con più o meno arte appunto”.
Condivido in pieno,credo anch’io che questo fosse il snso generale delle parole di Bellow,a prescindere dalla particolare situazione USA di allora.
Aggiungo anche,molto,molto attuali…
@inglès
“..La critica all’impegno di Bellow è buona sopratutto per il cattivo artista che si nobilita con l’impegno…”
Questi “artisti” ,oggi, sono in quantità industriale,basta una parolina magica per scatenar l’impegno.
Ci sono anche quelli che usano la tavola-surf come portatile apple.
E i risultati si vedono
Molto bene. Adesso propongo però di andare un po’ più a fondo, e di individuare chi e che cosa, a partire da Nazione Indiana, da qui dentro cioè, segua piuttosto questa logica sociale a scapito dell’artisticità, ecc. Perché il punto è questo: chi segue la logica sociale segue una serie di leggi, alcuen delle quali elencate da B. & B., che ammazzano la letteratura. E noi vogliamo essere invece i suoi (di essa) paladini! O no? Siamo stufi di questi prolungamenti dei telegiornali! La noia uccide!
PS: Altra proposta. Cominciare seriamente a discutere sul termine “intellettuale”, profondamente inadeguato quando si parla di artisti e scrittori. Uno scrittore, per rimanere al nostro ambito, non andrebbe definito “intellettuale”, o almeno questa non dovrebbe essere la sua prima assegnazione categoriale. Un musicista, ad esempio, chissà perché quasi mai nessuno lo definisce “intellettuale”. E uno scrittore è molto più simile a un musicista che a un professore o a un burocrate (professioni richiamata invece dal termine “intellettuale”).
Effettivamente non si merita nessuna attenzione, essendo indecoroso il suo accomodarsi le cose. Facciamolo leggere a mille persone, il passo, e vediamo cosa capiscono…
Ps: io non le ho mai messo galloni, né piramidali né altri, ho soltanto espresso delle idee che a lei non piacciono. Infatti l’altro giorno ho scritto che mi risulta siamo molti gli intellettuali affiliati alla massoneria, non che lo è Andrea Inglese, che non conosco.
@ inglès
E’ tornato il sergente Garcia a dar lezioni di conformismo e anticonformismo.
Che c’è di più conformista del patetico chiagne e fotti,uno degli impegni più in voga di molti intellettuali!
Cita due tre fogli che sputano,e gli altri che smielano?
Aspirano all’incenso generale.
Intanto fingersi poveri,povere vittime,poi si vedrà.
a j doe
“Questi “artisti” ,oggi, sono in quantità industriale,basta una parolina magica per scatenar l’impegno.”
Perfetto! Una buona cosa che il critico oggi può fare è smascherare questi cattivi scrittori nobilitati dall’impegno. Su Saviano ci stano già lavorando in quaranta. Bisognerebbe passare a lavorare su altri nomi, perché se l’unico impostore è Saviano, allora il problema è dopotutto secondario.
“Ci sono anche quelli che usano la tavola-surf come portatile apple.
E i risultati si vedono”
Concordo :)
a K:
in effetti; nel numero della vituperata alfabeta2, qualche chiarimento a proposito viene fatto, e i chiarimenti sono indispensabili.
Intellettuale (termine novecentesco) è sopratutto uno specialista del sapere che, muovendo dal suo specifico (storico, filosofico, sociologico, ecc.), si espone su questioni di carattere generale e politico, sottraendo il dibattito ai soli titolati (politici di mestiere, poliziotti, preti, ecc.).
In quest’ottica chi fa un lavoro di tipo intellettuale è potenzialmente un’intellettuale, ma non è detto che lo sia di fatto.
Inoltre non è necessario che uno faccia un lavoro intellettuale per assumere una postura d’intellettuale: i vari leader operai del movimento operaio…
Quindi uno scrittore non per forza è un’intellettuale, nel momento in cui non è interessato a un dibattito politico.
Ogni cittadino, poi, può essere intellettuale, se rischia di prendere la parola non solo per difendere il suo specifico interesse, ma guardando le cose nell’ottica della generalità.
Gli scienziati, infine, e tutta quella sfera di saperi confinanti con la scienza, dall’economia alla medicina, dalla psicologia alla sociologia, essi in primo luogo dovrebbero oggi essere valutati criticamente, in quanto il loro peso nelle faccende sociali e politiche è spesso molto maggiore degli intellettuali umanisti, scrittori, storici o filosofi.
@ k
Parole sante le sue,purtroppo la parola intellettuale è inquinata da sessantanni di militanza politica da una parte e dall’altra,il famoso intellettuale organico,una delle sciagure della cultura italiana,retaggio che si fa sentire tuttora.Quindi,salvo rare eccezioni,lei continuerà a sentir telegiornali,si parli di letteratura,di musica,di pittura…
@inglès
Saviano è quel che meno interessa,c’è tutto un sottobosco più o meno noto il cui unico merito letterario è conoscere l’alfabeto e che si crede grande artista perchè ha pubblicato una minchiata sugli zingari o poesie che Apollinaire scriveva al barista per pagare il cappuccino,per non parlar della famosa parolina magica….
Ed il bello è che trovan sempre qualche intellettuale che conferma.
A prescindere da questa polemichetta su NI,ma lei non si è mai chiesto quanta parte abbiano avuto gli intellettuali stessi nel render poco credibile la loro figura?
@Johnny
Danno lezioni a chi? Poveretti.
@K non ci sentono…. i capoccioni… però la discussione va fatta. Siamo nel 2010, si può richiedere il diritto di essere differenziati da coloro che scrivono per comunicare, per dar lezione, per educare e rieducare, da coloro che hanno fatto diventare la letteratura qualcosa a mezzo tra lo storicismo d’appendice e il giornalismo? Uno scrittore è uno scrittore, non facciamoci fare fessi dalle loro riviste epigone. Intellettuali? Cito Longanesi, che tanto qui dicono che sono di destra: ” Intellettuale: non capisce, ma non capisce con grande autorità e competenza “
Lo Z pensiero al suo meglio:
“purtroppo la parola intellettuale è inquinata da sessantanni di militanza politica da una parte e dall’altra,il famoso intellettuale organico,una delle sciagure della cultura italiana,”
“Uno scrittore è uno scrittore”
Il gallonato-piramidale, da oggi anche cattedratico Inglese. (Con voi la promozione è sicura!)
ps Datevi da fare, Z-pensieri, perché in genere marcate due su uno, ma se ne trovate qualcun altro, magari ci fate anche più bella figura.
i problemi posti dall’articolo sono piu’ che attuali..
certo andrebbero come dire contestualizzati ai tempi del digitale e io da lettore mi sento dire due tre cose:
– L’industria culturale assecondando le dinamiche di mercato tende a minimizzare i costi e standardizzare l’offerta.
– La domanda del pubblico sempre meno di lettori e sempre più di consumatori tende a disconoscere la qualità dell’opera, sia essa visiva o letteraria, privilegiando la quantità e ovviamente l’appagamento effimero e superficiale.
Viene data più importanza al supporto digitale (l’ipod l’eboock il lettore mp3) per i lquale si e’ disposti a spendere cifre esorbitanti, rispetto all’opera e all’autore.
Io sono convintissimo che il sapere richiede competenze (che si acquisiscono con lo studio il metodo e la costanza e non ci son oscappatoie) e genera necessariamente delle gerarchie che vann oindividuate e riconosciute. Sarebbe questo il lavoro dei critici in fondo.
L’arte non è democratica, ci sono autori maggiori e più importanti che vanno riconosciuti.
L’impegno politico non qualififica in alcun modo la qualità di un opera; può essere un aspetto dell’autore, puo’ presentarsi in modo più accentuato in un’epoca rispetto a un’altra ma resta un attributo, e non sostanzia la qualità dell’opera.
La sopravvivenza degli autori dipende dalla sopravvivenza dei lettori che, a mio parere ai tempi del digitale e’ messa fortemente in pericolo. E mi piacerebbe se i responsabili di questo blog ospitassero delle riflessioni al riguardo
Come dimostra bene il professore Inglese, Longanesi ci sta bene: ” Intellettuale: non capisce, ma non capisce con grande autorità e competenza “
Sì. Inglese, sono sicuro che la promuoveranno, a prescindere, le faranno dirigere gli Enti, come so da anni e come ho già spiegato, in modo che lei possa censurare con criterio le aspirazioni artistiche più pure, in modo che lei possa abbassare al suo livello la produzione artistica nazionale. Diventerà noto e ricco, ma alla lunga non ne sarà felice, perché incontrerà sempre una testa di cazzo come me che la farà sentire a disagio, nient’altro che un censore, usurpatore e traditore.
PS: non dimentichi che in questo paese le teste di cazzo sono tante e gli intellettuali pochi.
il che ricorda l’adagio sulla ”mamma del cretino”, ed ogni rima è puramente casuale.
Uno dei problemi che maggiormente si incontrono nelle discussioni aperte è, come noto, l’azione dei disturbatori, che alimentano polemiche fini a se stesse e inquinano la discussione.
Che io sappia c’e’ un solo sistema per colpire neutralizzare questi virus:ignorarli completamente, giacchè qualsiasi risposta o replica a prescindere dal suo contenuto, no fa altro che esaltarli e perseverare nella loro azione di disturbo.
caro Zarry
cosa vuole che sia qualche minuto di disagio, nei confronti di tutti i vantaggi materiali che mi promette?
Il gallonato-piramidale, cattedratico Inglese, testè promosso all’Ente della Censura Vera Arte Italiana.
Purtroppo caro Zarry, nonostante la sua lotta sia nobile e mi procuri un avvenire radiosissimo, devo tornare alla rude realtà. Altrimenti passerei molto più tempo a farmi graduare da lei. Sono convinto che ha in serbo per me titoli ambitissimi.
carmelo,
hai ragionissima; e lascerò al libero-pensamento l’ultima Z; ma i “disturbatori”, come li chiami tu, ogni tanto sono anche un diversivo alle noiose incombenze quotidiane.
@Teti
Incinta? Feconda Feti o Teti?
@Inglese
Le ho già detto, dirimpetto all’umorismo Inglese mi fermo, nientedimeno che Zarry al posto di Larry! Storpiare i nomi? Da scompisciarsi, deve aver fatto ridere parecchio Emilio Fede: si capisce bene che lei viene dallo stesso collegio, o quantomeno ha frequentato lo stesso egregio maestro di umorismo.
grazie, Larry. adoro le allitterazioni.
perché non mi si pubblica?
Inglese, è persuasiva solo in apparenza la tua (ossia di ECO, suppongo) definizione di intellettuale, che in realtà è molto subdola. Rileggiamola insieme, dove dice:
“intellettuale… che si espone su questioni di carattere generale..”
Sai dov’è l’inghippo? B & B l’avrebbero scorto in quattro e quattr’otto. In quel “si espone”. L’intellettuale, in pratica, FA qualcosa in più di quello che E’ (DOVREBBE ESSERE). Uno scrittore che “non si espone”, appunto, NON E’ un INTELLETTUALE, e dunque neanche uno SCRITTORE. Cioè: non viene riconosciuta la sua opera come adeguata, bella, ecc. perché il suddetto è colpevole di non FARE quello che DOVREBBE ESSERE (cioè che gli viene comandato di essere, alla fine). Ecco l’immane assurdità di una tale posizione: l’OPERA viene riconosciuta o misconosciuta a partire da ciò che “si espone” in quanto intellettuali. Ha ragione DOE: è un retaggio del gramsciano intellettuale organico, ma non solo. È un retaggio anche dei tempi divistici nei quali viviamo. Si legga quello che scrive, in modo abnorme, Cortellessa su ALFABETA2LAVENDETTA per l’appunto: in pratica, noi dovremmo apprezzare e poi addirittura seguire Saviano solamente perché “si espone”, poi il dibattito sulla sua opera è secondario. In pratica, dobbiamo seguire Saviano perché è il modello dell’opposizione a Berlusconi, e dobbiamo fare una specie di partito, e così via. Specie di partito che poi questi critici effettivamente fanno, escludendo pari pari chi non si allinea sulle loro pozioni. E questo è il livello del dibattito letterario e artistico in Italia, al quale non sfuggono Cortellessa, Belpoliti e insomma tutti quelli che, in apparenza, sembrano i critici più avvertiti sul versante dell’arte – e invece sono solo forse gli aspiranti a guidare la rivoluzione del Partito degli Intellettuali Organici Redivivi.
@inglès
Mi cita il sergentino:
“purtroppo la parola intellettuale è inquinata da sessantanni di militanza politica da una parte e dall’altra,il famoso intellettuale organico,una delle sciagure della cultura italiana,”
Forse in Messico non lo sapevano.
Questo è ancora attaccato al pero! Ma dov’era sergente Garcia?Dava la caccia a Zorro anche allora?
il G pensiero del sergente Garcia! Cerca il numero,il consenso del popolo,come mister b… .In numero è potenza,chi lo diceva..?
Ecco arrivano le truppe cammellate…sei contento inglès?
Non disturbate il manovratore!
Ma non era di un altro anche questa…,
..nuova figura,l’intellettuale peronista,in tutti i sensi.
madonnina! ma sarà una fase lunga?
@ Alcor
No. :-)
questa dei K. , dei Larry Massino, intendo, non vorrei essere fraintesa:D
@K
mi permetto di interloquire con le tue affermazioni.
secondo me non bisogna cercare una relazione tra l’impatto politico immediato di un’opera e il suo valore letterario. Sono due piani che vanno tenuti nettamente distinti.
Saviano ha scritto un libro, rischiando anche la pelle a onor del vero, che in qualche modo ha risvegliato le coscienze, ha posto al centro del dibattito la questione della mafia, mettendo in luce le connessioni con l’economia la politica e anche la società. Questo è un bene e va sottolineato. ma questo non dice di per se nulla sul valore letterario della sua opera che è ben altra cosa.
Come ha sottolineato Andrea Inglese nel suo articolo sugli intellettuali qui pubblicato e ancorprima su Alfabeta2 ( e’ presto per stroncare sul nascere una rivista come fai tu) gli intelletuali non fanno piu’ paura a nessuno. Insomma l’impatto rivoluzionario di un’opera non si puo’ misurare nell’immediato nella cronaca, ma sol odopo decenni e forse secoli, in una prospettiva storica.
Come ha detto Horacio Castellanos Moya (scrittore salvadoregno che pure ha rischiato la pelle e le minaccie subite a causa dei suoi romanzi e’ dovuto fuggire dal suo paese) in una intervista di qualche mese fa:
gl iscrittori non fanno più paura sono casomai i giornalisti che fanno paura e citava i nove (se ricordo bene) giornalisti uccisi dall’inizio dell’anno in Messico.
Nel caso di Saviano per l’appunto la riflessione da fare semmai è che non c’e’ piu’ un giornalismo di inchiesta come una volta e se c’e’ non riesce a ad avere un forte impatto nell’opinione pubblica
ah ecco, non ti avevo letto:-)
a K
1) “Uno scrittore che “non si espone”, appunto, NON E’ un INTELLETTUALE”
secondo la definizione che ho dato – che non ha inventato Eco, ma è largamente condivisa (vedi anche ultimo libro di Asor Rosa) – le cose stanno così…
2) “, e dunque neanche uno SCRITTORE. Cioè: non viene riconosciuta la sua opera come adeguata, bella, ecc. perché il suddetto è colpevole di non FARE quello che DOVREBBE ESSERE (cioè che gli viene comandato di essere, alla fine). Ecco l’immane assurdità di una tale posizione: l’OPERA viene riconosciuta o misconosciuta a partire da ciò che “si espone” in quanto intellettuali.”
Questa seconda parte, che aggiungi tu, e che io non condivido, non mi riguarda.
Su questa faccenda poi mi sono già espresso qui https://www.nazioneindiana.com/2010/01/26/su-letteratura-e-politica-la-penso-proprio-come-george-orwell-e-danilo-kis/
Non so se t’interessi capire come la penso veramente. Nel caso però tu voglia di discutere di questo con me, fatti un’idea della mia posizione.
Con tutto il rispetto, Inglese, per “le cose che stanno così”, ma in genere preferisco che ad argomenti si risponda con argomenti, non con nomi d’autorità. Qual è il tuo argomento? (Non quello di Asor Rosa o di Eco).
La tua posizione la conosco, mi sembra, se ti può interessare un mio giudizio, sospesa e incerta. Mentre ti leggo, condivido molte cose di quelle che dici, ma poi vai a parare in soluzioni “mediate” che non sempre capisco. Ma questo è un mio limite probabilmente. Dico ciò soprattutto in riferimento alla seconda parte del mio post, che so bene che non ti riguarda (ma solo in parte…).
Quindi, aspetto di sentire (non da te solo) dove la “logica sociale”, qui dentro, vizia alla fine tutto ciò che è sana letteratura – sana aspirazione alla verità, come direbberro B & B.
@a.inglese
seguo la prima parte della tua definizione di intellettuale ( forse questo termine ha perso la sua capacità di interpretera la società di questo secolo, hai ragione è novecentesco, come la parole, patria, esilio etcc.) e in qualche modo la condivido
ma po iresto perplesso quando dici:
Quindi uno scrittore non per forza è un’intellettuale, nel momento in cui non è interessato a un dibattito politico.
Voglio solo capire il tuo punto di vista. Se per esempio uno scrittore attarverso le sue opere riesce a rappresentare e svelare i mali e il degrado di una società perchè non puo’ essere un intellettuale anche se non si impiccia di question idi carattere generale?
e quando dici:
Ogni cittadino, poi, può essere intellettuale, se rischia di prendere la parola non solo per difendere il suo specifico interesse, ma guardando le cose nell’ottica della generalità.
chiunque puo’ essere convinto di guardare le cose in un’ottica generale ma forse non bastano le intenzioni.
non e’ forse meglio dire che è intellettuale chi è in grado di produrre sapere, mentre è intellettuale impegnato (in spagnolo suona meglio compromettido) chi si mette in gioco cioè, si espone come dici tu (il che vuol dire senza guardare in faccia a nessun partito o parrocchia o consorteria, nemmeno a chi e’ la fonte dei suoi guadagni, parlare come se fosse già morto come diceva Bolano) ?
Ogni cittadino, poi, può essere intellettuale, se rischia di prendere la parola non solo per difendere il suo specifico interesse, ma guardando le cose nell’ottica della generalità.
Se ieri è uguale a oggi in una storia concepita come continuum, allora tanto vale citare Dante come il non plus ultra dell’attualità: “Ahi serva Italia, di dolor ostello…”. Ma se non è così, allora ci si potrebbe sforzare a vedere le differenze radicali (politiche, sociali, culturali, produttive), e, per stare a Dante, riconoscere, ad esempio, che se l’Italia è “ancora” serva, non la è dei padroni di allora (poi da quelli si liberò), ma di quelli di oggi, che vivono oltreoceano. Ad esempio.
@ K:
semplificando per capire: era “sana letteratura” Dante? o lo era Petrarca?
Hail
a carmelo,
per me “intellettuale” è un termine che come ogni altro implica una definizione convenzionale; io mi rifaccio a quella che mi sembra più condivisa e chiara e in tal caso non la considero in assoluto un titolo di merito; certo se intellettuale vuol dire la possibilità di accedere da parte di chi ha un sapere specifico ad un giudizio pubblico e politico, mi sembra che sia positivo che ci siano intellettuali critici e coraggiosi, e che gli specialisti escano dal loro specifico ecc. ecc. – per altro è una vecchia esigenza del marxismo il superamento dello specialismo –
detto questo posso immaginare un grande scrittore che non prenda mai posizione politica pubblicamente; questo ne indebolisce l’opera? difficile domanda: il problema è che in certi casi il tacere, anche di un’ottimo scrittore, di fronte al contesto che lo circonda, può essere semplicemente vile se non infame; l’opera magari si salva, ma l’autore no;
ecco, meglio del mio fesso aut-aut, si esprime Inglese.
“l’opera magari si salva; l’autore no”.
Il post di Bellow, in effetti, parla di «letteratura» e di «Repubblica delle lettere», non di cittadinanza o di impegno civile; e di «artisti» e «scrittori», non di intellettuali. Forse l’equivoco princeps, ancor prima dell’ambiguità del testo, è stato il titolo del post. E quindi nella confusione spontanea tra intellettuale e artista, poiché in una nozione come quella condivisa dai membri e dalla maggior parte dei visitatori di NI le due attitudini si uniscono per lo più in una stessa persona, mentre non tutti i cosiddetti intellettuali, qualunque cosa essi siano, sono anche artisti (più diffidente mi lascia l’ipotesi inversa, almeno nel campo letterario, altrimenti non bazzicherei questo blog). Allo stesso modo, come si è già detto cinque o seimila volte in queste colonne, non tutto ciò che l’artista-intellettuale-letterato scrive è o vuol essere letteratura, come dimostra anche gran parte dei post di NI, che è un luogo molto votato alla cosiddetta militanza, quindi a interventi di carattere civile, “impegnato” e indignato, spesso senza pretese di letterarietà, forma bellezza ecc. Ma questo orientamento espone forse il blog, come ogni luogo di discussione culturale e letteraria votato all’impegno e alla militanza, a sbilanciamenti che potrebbero portare a derive o degradazioni come quelle illustrate da Bellow (salvo l’arricchimento dello scrittore, che mi pare fuori discussione) e ben comprese da Inglese. Per questo mi pare utile e auspicabile che di tanto in tanto si possano leggere testi come questo, che si smarcano dal tipo di interventi che in maggioranza si pubblicano qui, i quali a loro volta sono spesso in armonia con voci e istanze esterne al blog e magari dominanti e in certo qual modo conformiste; perciò parlavo di “coscienza autocritica” da parte di Rizzante: perché, che lo si voglia ammettere o no, entro la varietà anche contraddittoria interna al blog, habitué compresi, è tra quelli che più si prestano a una simile funzione dall’apparenza “reazionaria”. E trovo altrettanto auspicabile che questo NON porti a malintesi o irritazioni che prescindano dalle persone concrete, come se le idee qui discusse fossero più importanti della condivisione di un orizzonte civile e in certi casi dell’amicizia che legano prima di ogni altra cosa i partecipanti alla discussione. Anche se, naturalmente, è preferibile un’irritazione ideologica manifesta a un silenzio che celi un’indole stalinista pronta a censurare, rinnegare, escludere. Ma in quel caso è l’autore che si salva; le sue parole, per me, no.
Solita storia di dividere opera ed autore,p.e. si sta facendo su Cèline,quello buono e quello cattivo,ma o prendete tutto il pacco o niente.
C’è sempre un giudice…inglese a Berlino!
Magari molto meglio quando si salva l’autore e non l’opera,vero?
C’è anche il caso dove non si salva nessuno dei due.
Dice Inglès:
“..un grande scrittore che non prenda mai posizione politica pubblicamente; questo ne indebolisce l’opera? difficile domanda: il problema è che in certi casi il tacere, anche di un’ottimo scrittore, di fronte al contesto che lo circonda, può essere semplicemente vile se non infame”
Vile,infame… addirittura?Proust,Beckett…avete capito?
Il nostro peronista è nel pallone.Fermatelo! Derby cabaret.
Da qui si capisce perchè è meglio Peter Pan di qualche intellettuale.
Oltre a mister b ci toccan pure gli Inglesi,e di supporto il povero Marx.
P.S. A scanso di equivoci: parlando di “irritazione ideologica” o “indole salinista”, non mi riferisco a nessun essere umano in particolare, ma a un fantasma che vedo aggirarsi di tanto in tanto tra i blog letterari, NI compresa.
@harzie
Lei nei precedenti posts,molto elegantemente, ha messo il dito sulla piaga.
Per usare le sue parole,io invece mi riferisco in quei termini a chi pretende che si sia per forza d’accordo con le sue tesi,a volte veramente risibili, e si erge a giudice unico dello scibile.
Basta un’oncia di “provocazione” e subito emerge l’irritazione,ma anche la debolezza di certe affermazioni.
Vorrà dire che ci dedicheremo agli incondizionati ossequi,così son tutti contenti.
@ A inglese
sono d’accordo con te: se uno scrittore tace, si astiene tace e non si sporca le mani rispetto a ciò che lo circonda, puo’ essere considerato un infame Ma, a mio giudizio resta un intellettuale se la sua opera ti fa vedere e sentire il mondo al di la dell’apparenza se insomma produce delle idee che vanno al di la della cronaca del qui e ora.
Il fatto che un “intellettuale abbia coraggio e si espone” non aggiunge o toglie nulla al valore della sua opera e siamo d’accordo, Ma secondo me non è detto che la sua “intrusione” abbia necessariamente un valore politico.
Forse dovremmo dire che l’intellettuale, così come tu lo intendi è colui che da scandalo, che mette in crisi le convenzioni, i luoghi comuni i modelli, i canoni.
Prendiamoad esempio Bolano l’unico scrittore che oltre ad aver letto ho studiato un po’ per passione.
Le sue idee riguardo la politica non sono di particolare interesse e nemmeno si è espresso molto al riguardo.
Eppure ha rivoltato come un calzino la letteratura latinoamericana e non solo. Ha messo in soffitta la letteratura del boom, si e’ permesso di definire scribacchini gente come isabel allende, e sepulveda, ha tuonato nel suo stile nuovo, innovativo (all’età di 17 ann iha abbandonato le scuole), fuori da ogni schema, contro l’industria culturale.
Ha dato scandalo, ha costretto tutti gli intellettuali latinoamericani a ripensare la letteratura ed ha in qualche modo rivendicato un’etica dello scrittore.
a me pare che di questi tempi è difficile che un autore abbia lo spazio e la possibilità di dare scandalo.
C’è una sola cosa che salva – se mai un autore è salvabile – un autore: la sua opera. Altrimenti, può prendere tutte le posizioni che vuole contro questo e quell’altro, l’autore senza opera resta un nulla perduto per sempre. E dunque un autore che non segue la “logica sociale”, ma scrive una grande opera è salvo solo per questo. Non si tratta di separare società e letteratura: paradossalmente, si tratta proprio di ricongiungerle. Soltanto se la letteratura agisce nel suo specifico campo, può salvare anche la società. Altrimenti diventa chiacchiera ecc.
Guardi Johnny – grazie del Lei, che ricambio volentieri –, su molte cose siamo d’accordo, ma certe semplificazioni sono forse imprudenti. Non credo ad esempio che tra i «certi casi» di scrittore vilmente silente immaginati da Inglese questi annovererebbe un Proust o un Beckett – sui quali peraltro il nostro ha scritto pagine notevoli; voglio dire, l’uomo ha sì il pallino dell’impegno e dell’ideologia, ma non è precisamente una schiappetta (benché mi sia giunta voce che lo scrittore invecchiando non sappia neanche più aver cura delle proprie penne, che gli si rompono in tasca quando si siede). Anzi, personalmente, quando leggo certi suoi interventi come quello uscito su Alfabeta2 o quello linkato qui sopra, capisco più che mai di non essere un intellettuale, perché certe analisi non saprei farle, certe riflessioni non condurle, e oltre al rispetto, sia detto fra noi, provo molta frustrazione. Sicché non credo che egli possa essere annoverato tra i bersagli polemici del testo di Bellow postato da Rizzante, che peraltro mi piace immaginare amico fraterno del poeta materialista e intellettuale engagé. È che lo strumento del blog induce appunto semplificazioni, in tutti, e discutendo bisognerebbe forse tenerne conto. Dopodiché se si vuole possiamo anche insultarci, che è catartico. Oppure prendercela con Cortellessa, che è assente. O con Eco, che è un po’ meno in sovrappeso, non so, cose così.
Harzie, tu vuoi fare lo spiritoso, ma non sempre la cosa ti riesce bene. Ad esempio, sostenere che Cortellessa sia assente mi sembra francamente esagerato. Sta ormai dappertutto, non ti pare? Dovunque ti giri, pontifica e distribuisce lacerti della sua intelligenza (acutissima per cairtà) a destra e a manca (più a manca in effetti).
Detto ciò, neanch’io credo che il bersaglio sia il mderato e modesto Ingelse. Ma insomma, quale mai sarà questo bersaglio, si può sapere? Perché qui stiamo facendo una discussione su un blog, mica una conferenza accademica. E in questi contesti un qualche ferito ci vuole, altrimenti che noia mortale stare qui a scrivere scrivere scirvere…
Johnny, sull’affaire Dreyfus, tanto per fare uno dei mille esempi, Proust prese posizione, eccome.
Ecco, prendiamo CELINE, caso evidente e anche un po’ scontato, come giustamente suggerisce J. DOE. La sua opera lo salva definitivamente, e non c’è porcheria che abbia commesso nella sua vita che, alla luce della sua oepra, per me non sia COMPRENSIBILE. La sua opera illumina quasi divinamente tutta la sua miseria e la redime, come l’oepra dell’ultimo degli scrittori redime la sua meschinità e la sua anima corrotta o il suo strisciare vile davanti a una minaccia. Perché è la vita che è così: cioè sempre meschina vile irredimibile… A meno che non si scriva. Chi scrive, lo fa epr salvare la propria miseria. Chi scrive invece per affermare le proprie idee, non so a cosa possa servire per la causa umana.
Finalmente è arrivato K, che la sa lunga pure su Céline, a togliermi tutti quei galloni, cattedre e dirigenze, che gli Zorri mi avevano affibbiato. Stava diventando difficile gestire tutta quella magnificenza.
@K
e’ bello discutere e confrontarsi esprimere il proprio punto di vista e ascoltare le ragioni dell’altro. Ma non trovo utile nè corretto, come fai tu K giudicare e criticare in modo preconcetto una persona solo perchè ha una visione del mondo diversa dalla tua. Ho notato con un certo stupore che ti sei preoccupato di fare del sarcasmo su Alfabeta2, e su chi ci scrive. Ho avuto modo di leggere i testi di Andrea Inglese e di Cortellessa. sono frutto di studio e riflessione e ben documentati. Di sicuro sono stimolanti. Si puo’ non essere d’accordo in parte o in tutto, non casca il mondo si discute ma si rispetta il lavoro e l’intelligenza altrui.
Il fatto che degli intellettuali sentono la responsabilità e l’urgenza di “esporsi” di fare qualcosa contro il terribile degrado civile e culturale di questo povero paese, mi sembra un fatto positivo. Si puo’ discutere sul come e con quali strumenti ma credo che nemmen otu sia contento dello stato delle cose.
@K
In effetti pensavo anche a Cortellessa l’assente quando parlavo di «voci e istanze esterne al blog e magari dominanti e in certo qual modo conformiste», ma ho evitato di nominarlo, perché gli assenti sono sempre bersagli facili. Era tanto per dire: volendo, il livello della discussione si può abbassare ad libitum e così mandare in vacca tutto, come sempre accade dopo il 90esimo commmento. Dopodiché tu sei bravo, hai le palle di prendere posizione, una posizione forte e per certi versi ammirevole, e io ti invidio come Inglese mi frustra. Vedi, a me invece, che non sono né caldo né freddo, il Dio biblico mi vomiterebbe dalla sua bocca. Per citare ancora Bellow (ma stavolta datato 1990): «Cerco continuamente di correggermi, correggermi, correggermi. E trovo che più ci si sente isolati, più si sviluppa una vera e propria dipendenza dai libri; si comincia a vedere con chiarezza il modo i cui ci si tutelava da ciò che si considerava brutale, volgare e squallido. Costruendo una fortezza di nobiltà d’animo. Brutta roba. Non sto dicendo che i libri siano un male. Sto dicendo che io li ho usati come un tossicodipendente. Mi scopro a farlo anche oggi. Non mi accuso di niente. Mi limito a dire che è stato così. Zola ha scritto il suo J’accuse sul caso Dreyfus, ma il nostro libro più grande è Je m’accuse. D’altro canto, il silenzio è d’oro. Più si tiene la bocca chiusa, più si diventa fecondi.»
non ho letto i commenti.
a me sembra un pezzo molto datato e forse anche un po’ imbecille, adesso come allora.
non capisco il motivo di una sua ri-pubblicazione qui.
Bellow era un grande scrittore, ma evidentemente l’ala dell’imbecillità ogni tanto si posava pure sulla sua spalla, come prima o poi accade a tutti.
orpo!
Gertrude Stein sul letto di morte avrebbe sussurrato: “Qual è la risposta? Qual è la risposta?”. Ma poco prima di morire avrebbe chiesto: “Qual è la domanda?”. Forse quest’ultimo atto di intelligenza ha salvato la sua anima.
A volte i threads non (si) salvano l’anima
a Stefano (Herzie)
“Dopodiché tu sei bravo, hai le palle di prendere posizione, una posizione forte e per certi versi ammirevole, e io ti invidio come Inglese mi frustra. Vedi, a me invece, che non sono né caldo né freddo, il Dio biblico mi vomiterebbe dalla sua bocca.”
Ma oooh?! Pure tu adesso c’hai la fissa di Inglese! Cos’è una pandemia zorresca! Ce la fate a commentare due secondi senza nominarmi?
io non so che cazzo dire ma ci tenevo a nominare andrea inglese.
Carmelo, scusa, perché dici che io giudico in “maniera preconcetta”? Io giudico argomentando, mi pare. Se sbaglio, aspetto che mi si contesti con argomenti, non con nomi d’autorità o con battutine. Le battutine restano a chi le fa, mentre io sono orgoglioso dei miei argomenti.
E sono le battutine – vorrei far notare anche al buon HARZIE – a far andare in vacca tutto, non gli argomenti, benché esposti a volte in maniera truce e aggressiva come faccio io. Si vedano, qui, gli interventi di ALCOR, PINTO, GARUFI e PECORARO: tutti interventi tesi a screditare la discussione, che, per quanto limitata per i nostri fragili cervelli, resta pur sempre una discussione. Si osservi in particolare il PECORARO: dopo aver disprezzato i commenti e i commentatori, si permette di dare dell’imbecille a Bellow. Ora, in un blog come questo, se io do dell’imbecille a qualcuno, subitamente vengo censurato, giusto? Perché mai, allora, un PECORARO si può permettere di dare dell’imbecille a uno scrittore non solo assente, ma addirittura morto, senza che nessuno impugni la netiquette? È lecito offendere i morti? Secondo me, è da vigliacchi. Sottopongo, comunque, la questione, alquanto sottile, agli estensori delle netiquette dei blog.
Riguardo ad ALFABETA2LAVENDETTA, ho detto come la penso: a loro, e innanzitutto a loro, andrebbe fatto leggere questo testo di Bellow. E a Cortellessa in particolare, ossia al capo dei critici del Nuovo Vecchio Impegno, che cambia solo pelle, ma rimane ancorato agli stessi vizi (ho citato il pezzo di Cortellessa su Saviano). E poi, ancora ad HARZIE: io non tiro in ballo Cortellessa in quanto persona (non lo conosco e non so chi sia), ma in quanto sostenitore di argomenti per mezzo dei suoi scritti e della sua “esposizione” (lui, infatti, in quanto intellettuale, “si espone”). È lecito citare gli scritti e le “esposizioni” di qualcuno che è “assente”? Be’, credo proprio di sì. Tutta la letteratura è roba che vive in assenza, non credi?
Intanto, noto che il beffardo CELINE continua a osservarci – noi qui tutti sempre più miseri – dall’alto della sua vituperata esistenza e della sua grandissima opera… Ah, ma dove sono più i grandi scrittori, i veri grandi scrittori, tutti perduti nel vizio della vita, tutti salvi nella gloria delle opere?
– qual è la risposta? qual è la domanda?”…io non ho capito la domanda, ma le risposte di Inglese (tanto per nominarlo invano) sono, come quasi sempre, le più scompiscianti che si possano immaginare ;-)))))))))
@harzie
scusami, vedo adesso che un tuo commento di ieri era rivolto a me, ti rispondo adesso
Sono lontanissima dal pensare che uno scrittore sia “obbligato” a impegnarsi socialmente, ognuno ha la sua strada e i suoi modi, e do per scontato che chi stravolge un’opera per adeguarsi a un andazzo, quale che sia, sperando di incassare consenso sia un cretino del quale non vale la pena occuparsi.
Dicendo che io sono l’antistaminico mi dici, anche se spiritosamente, che sono conformista e mi adeguerei a un andazzo. Quale? Quello di pensare che la riflessione critica sul nostro tempo sia cruciale? A parte il fatto che è un andazzo davvero minoritario, non posso farne a meno, per natura e cultura, e sono molto sospettosa del sospetto e del fastidio, molto più diffuso nel paese, mi pare, verso gli intellettuali il cui compito è proprio quello di sottoporre ogni fenomeno politico e culturale a critica.
I momenti storici in cui questo fastidio e sospetto si sono manifestati massicciamente, sono stati, finora, nella storia europea, momenti pericolosi.
Se la citazione di Bellow, come a me è sembrato, è stata usata per esprimere questo fastidio, beh, mi lascia come minimo perplessa.
Mi chiedo chi e perché metta in difficoltà.
Il gioco delle citazioni per supportare le proprie posizioni, lo sappiamo tutti, è uno dei più facili, se non vengono motivate, frasi più o meno lapidarie, più o meno buone a questo esercizio, più o meno utilizzabili ce n’è un sacco e una sporta, sono tutte a disposizione, e spesso contraddittoriamente nel sacco dello stesso scrittore.
Il silenzio è d’oro, sì, sono quei proverbi che si dicono, però parliamo tutti.
Fissa? Veramente era solo un passaggio la mia replica a Johnny Doe ripresa nella mia replica a K., che con Larry Massino ti hanno unanimemente eletto, fin dal tuo primo commento, incarnazione dell’intellettuale impegnato. Ora scusami ma, se Bellow l’imbecille scatena l’allergia ai Besserwisser che non sanno che cazzo dire, questi ultimi scatenano la mia.
Al, vedo ora, no, guarda, non ti davo della conformista. Ma son qui che mi gratto dappertutto, magari ti rispondo in privato.
Bè…
I miei cinque minuti (wahroliani) di gloria li ho avuti. Ora posso ritirarmi nel mio eremo.
@ K.
io di battute ne ho fatta forse una, e non voleva certo screditare “la discussione”.
Se è orgoglioso dei suoi argomenti, buon per lei.
@Harzie
ok
@ K. per la domanda retorica che mi pone: sì, hai ragione, ho sbagliato. Passo e chiudo.
Bene bene, la puntura sulle battutine fa i primi effetti. Si comincia finalmente a parlare seriamente e a far venire fuori gli argomenti. Pochi, per la verità, e stantii, ma meglio delle battutine. In soldoni, è il metodo solito degli intellettuali impegnati nostrani, che, se osservato da vicino, è uguale per tutti: chiamata alle armi, allarmismo, isolamento di chi la pensa diversamente, addirittura sua iscrizione nel partito del nemico automatica. Naturalmente, guarda caso, chi viene tacciato con questi metodi, spesso è colui che scrive le cose migliori. Cominciamo allora a interrogarci su questa strategia dell’isolamento dei migliori (scrittori) per mezzo dell’argomento del “mancato impegno”. È questo il punto centrale, cruciale, della misera storia culturale italiana moderna.
la puntura sulle battutine:D
ma no, @caro K. volevo solo rassicurarla
ce la faccia lei la lista dei “migliori” che vengono isolati con l’argomento del “mancato impegno” nella misera storia culturale italiana moderna
In fondo su alcune cose siamo tutti d’accordo immagino:
che l’impegno politico di un artista non sostanzia in alcuno modo la sua opera
che un intellettuale (artista o non artista) metta al servizio della società il suo sapere, fino al punto di esporsi nei confronti del potere,
pur di mantenere la sua autonima, è cosa bella utile e auspicabile.
che ci siano momenti nella storia in cui e’ difficile per un intellettuale (artista o non artista), tirarsi indietro, subire gl ieventi passivamente e’ cosa altrettanto vera
Che ci siano momenti in cui e’ davvero difficile interpretare il proprio ruolo di intellettuale impegnato nella società e trovare il modo per rendere la propria azione, incisiva, utile (scandalosa) e’ altrettanto vero e mi pare che questo succede oggi.
Ma chi resiste alle lusinghe del potere e del mercato, e non rinuncia alla propria autonomia, specie in questo paese, si puo’ ben dire che che sta dalla parte di chi resiste e non si vuole rassegnare impotente di fronte alla lenta agonia della nostra società e della cultura.
@k
non ho “disprezzato i commenti”, semplicemente, come ho dichiarato, non li ho letti.
che il pezzo sia una confusa stupidaggine mi pare talmente evidente che è inutile perderci ancora del tempo sopra.
bellow è un grande scrittore, ma questa cosa proprio non mi piace.
Anche a me sembra, come hanno notato altri, che il problema stia non nella citazione, ma nell’uso alla fine un po’ vago che ne fa Rizzante. Il titolo, che in effetti c’entra poco col testo, sembra davvero orecchiare articoli apparsi sul Giornale o fogli simili, alla notizia delle rinata alfabeta. Il testo in sè, invece, potrebbe attagliarsi meglio per una critica di autori tipo Wu Ming, oppure i giallisti “dell’impegno”. In ogni caso Rizzante farebbe bene a precisare il suo bersaglio, per rendere davvero efficace Bellow.
Una precisazione. Il testo postato è di Bellow e di Botsford, fondatori di “Anon”, prima di The Noble Sauvage” e poi di “News from the Republic of Letters” (tutt’ora attiva).
L’idea di postare il testo mi è venuta quando Keith Botsford è venuto a trovarmi a Venezia. Un omaggio a un amico e al suo grande amico Bellow. E’ indubbio che la verve, lo stile e i temi di Bellow siano presenti. A questo proposito non capisco né Inglese, quando distingue l’intelligenza dello scrittore che va bene solo se lo contestualizziamo, se no si tratta di falso anticonformismo (invece il vero anticonformismo qual è?) né tanto meno Pecoraro la cui saccenteria è pari al suo rozzo metro critico: infatti, l’essenza dell’opera di Bellow è qui a portata di mano. Perciò se Bellow è un grande scrittore, lo è in virtù di come e cosa scrive in questo testo.
La questione sulla differenza tra intellettuale e scrittore o artista non mi appassiona. Di fatto appassiona gli intellettuali che non fiutano l’arte nemmeno a chilometri di distanza.
Sul bersaglio che questo testo dovrebbe colpire, non saprei. Colpisce chi si sente colpito. Ad esempio,se oggi fossero vivi colpirebbe Pasolini e non Parise. E già questa è un’indicazione.
Poi su alfabeta2: io leggo “News fron the Republic of Letters”. Snobismo?
Io credo si tratti di libertà.
C’è una sola voce incontestabile, ed è quella dell’intelligenza che intuisce la necessità del sacrificio individuale al fine di realizzare, in sé, l’universale. La funzione dell’arte non è quella di “assorbire”. Tonnellate di carta igienica si occupano di questo con alterni successi. L’arte ha il compito di dare contorno alla creatività del sacro che è centrale a ogni manifestazione della realtà. Ovviamente in questi tempi caratterizzati dalla materialità di ogni concezione di vita, contrastata soltanto da una mal compresa spiritualità di facciata e di convenienza, è arduo pretendere che qualcosa possa sfuggire all’ingranaggio incantatore. L’arte così si distende, come una passatoia priva di arabeschi che indichino il Cielo.