“Homo Poeticus” di Danilo Kiš
di Andrea Inglese
Danilo Kiš, Homo poeticus, Adelphi, Milano 2009.
Anche in Italia, nel 2009, è ormai arrivata all’orecchio del lettore avvertito la notizia che Danilo Kiš è uno dei massimi romanzieri europei della seconda metà del secolo scorso. Per questo motivo Adelphi può finalmente pubblicare un’antologia della sua opera saggistica apparsa durante l’ultimo decennio della vita di Kiš, morto nel 1989. In Francia, un’operazione simile è stata fatta da Fayard nel 1993, a due anni dallo scoppio del conflitto nella ex-Jugoslavia. Come l’edizione francese afferma esplicitamente, tale tempestività era motivata dalla grande attualità delle riflessioni di Kiš, che ruotano intorno al rapporto tra ideologia e letteratura. Grazie a un ritardo quasi ventennale, da noi queste riflessioni possono ora giungere impregnate di quella inattualità, che è l’ingrediente tipico delle proposte editoriali di Adelphi. Sennonché, leggendo alcuni dei saggi di Kiš sul provincialismo letterario e sul nazionalismo, emergono inquietanti similitudini tra l’Italia attuale e la Jugoslavia socialista degli anni Settanta e inizio Ottanta.
L’ebreo montenegrino Kiš (classe 1935) ha conosciuto da vicino gli orrori del secolo scorso: i nazionalismi, la guerra, la macchina totalitaria dello stermino nazista e stalinista. E la sua idea “moderna” di letteratura non può prendere le mosse che da una constatazione: la realtà storica è il luogo del fantastico, l’ambito privilegiato nel quale si manifestano fatti che sfidano la verosimiglianza, il senso comune, i limiti dell’immaginazione umana. Il materiale documentario, come nella serie di novelle Una tomba per Boris Davidovitch, diventa allora l’orizzonte principale entro il quale si muove l’immaginazione poetica. L’enigma dell’uomo, a partire dal XX secolo, va innanzitutto esplorato negli archivi di Auschwitz o di Kolyma, o nell’ampia documentazione scientifica (psicologica, sociologica, ecc.) che ha costituito la base del lavoro di Truman Capote sui protagonisti di A sangue freddo. La letteratura, infatti, a differenza dell’ideologia che utilizza il sapere scientifico (o presunto tale) per fornire diagnosi e soluzioni, ha come compito di “fissare” questo enigma, esibendolo attraverso una forma narrativa che lo comprenda nella sua complessità, oscillante tra ragionevolezza e demenza, tra senso e non senso.
Più in generale, la riflessione di Kiš sulla natura dell’homo poeticus può essere attuale per oltrepassare vecchie dicotomie che ancor oggi si ripresentano in Italia ad ogni dibattito critico. Per Kiš il pericolo maggiore, sia chiami esso “letteratura nazionale”, “realismo socialista” o engagement, è l’intrusione dell’ideologia nel lavoro dello scrittore. Questa posizione non sfocia in un’indifferenza ideologica, o in una generica concezione della letteratura come porto franco nei confronti delle ideologie. Al contrario, proprio nei suoi saggi, l’autore dimostra una grande combattività contro gli schematismi nocivi insiti nelle varie ideologie. Lo scrittore, quindi, proprio nel momento in cui vuole conservare la propria autonomia, deve poter dimostrare un alto grado di consapevolezza politica, che lo metta al riparo da strumentalizzazioni, cooptazioni, mutismi e autocensure compiacenti. E, a scanso di equivoci, in un breve saggio che non è purtroppo compreso in questa edizione italiana, Kiš dice chiaramente che Orwell e Nabokov sono i suoi grandi maestri, e che ogni riga da lui scritta risponde a una duplice esigenza: quella della “motivazione politica” – nella scelta del soggetto – e quella dell’autonomia letteraria rispetto alle parole d’ordine della politica – nell’elaborazione della lingua.
L’edizione Adelphi include traduzioni parziali delle seguenti opere: Homo poeticus e Zivot, Literatura (pubblicati a Sarajevo nel 1990; presso Fayard in Francia nel 1993), e Cas Anatomije (Zagabria, 1983 ; Fayard, 1993 in traduzione integrale).
[Scheda apparsa sul n° 60 di “Allegoria”]
“Al contrario, proprio nei suoi saggi, l’autore dimostra una grande combattività contro gli schematismi nocivi insiti nelle varie ideologie. Lo scrittore, quindi, proprio nel momento in cui vuole conservare la propria autonomia, deve poter dimostrare un alto grado di consapevolezza politica, che lo metta al riparo da strumentalizzazioni, cooptazioni, mutismi e autocensure compiacenti”.
Caro Andrea,
detto così, chi non sottoscriverebbe? Il guaio comincia quando lo scrittore “deve poter dimostrare” il suo “alto grado di consapevolezza politica etc.”.
A chi? Come lo si dimostra? Dov’è oggi in Italia un pensiero politico consapevole? Tutta la fluviale discussione su Saviano che ho letto
su questo blog svela le difficoltà e le incertezze del passaggio dal principio generale (ideale) all’analisi dei casi concreti.
Inglese, da una parte mi sembra cerchista: ” L’enigma dell’uomo, a partire dal XX secolo, va innanzitutto esplorato negli archivi di Auschwitz o di Kolyma, o nell’ampia documentazione scientifica (psicologica, sociologica, ecc.) che ha costituito la base del lavoro di Truman Capote sui protagonisti di A sangue freddo. La letteratura, infatti, a differenza dell’ideologia che utilizza il sapere scientifico (o presunto tale) per fornire diagnosi e soluzioni, ha come compito di “fissare” questo enigma, esibendolo attraverso una forma narrativa che lo comprenda nella sua complessità, oscillante tra ragionevolezza e demenza, tra senso e non senso “.
Dall’altra parte mi sembra bottista: ” Lo scrittore, quindi, proprio nel momento in cui vuole conservare la propria autonomia, deve poter dimostrare un alto grado di consapevolezza politica, che lo metta al riparo da strumentalizzazioni, cooptazioni, mutismi e autocensure compiacenti “.
Se queste parole sono state riportate a favore di chi penso io, Iddu non ce l’ha l’alto grado di consapevolezza politica. Ma è lo stesso se sono state riportate in generale: sempre Iddu non ce l’ha…
Escludersi dall’ansia del contingente è l’onore della Casa Editrice Adelphi. Anche scavallando in nuovo secolo, non sembra volersi mollare il canone inutilmente storicistico e la zovorra dell’attualità. Come si fa a dire: “…la sua idea “moderna” di letteratura non può prendere le mosse che da una constatazione: la realtà storica è il luogo del fantastico, l’ambito privilegiato nel quale si manifestano fatti che sfidano la verosimiglianza, il senso comune, i limiti dell’immaginazione umana”? Il fantastico vive per definizione nella dimensione metastorica e, in generale, quello che dovrebbe interessare l’uomo intelligente è l’archetipo, il ricorrente, il permanente, possibilmente (alzando un po’ il tiro) l’eterno, tutte cose verificabili e non in archivio. Ma evidentemente certa “kultur” non si stanca di turlupinare il pubblico col caleidoscopio delle sue illazioni fenomeniche.
a maurizio
“Come si fa a dire: “…la sua idea “moderna” di letteratura non può prendere le mosse che da una constatazione: la realtà storica è il luogo del fantastico, l’ambito privilegiato nel quale si manifestano fatti che sfidano la verosimiglianza, il senso comune, i limiti dell’immaginazione umana”?”
Kiš lo dice… lo dice.
E non solo lo dice. Pure lo fa.
“la realtà storica è il luogo del fantastico, l’ambito privilegiato nel quale si manifestano fatti che sfidano la verosimiglianza, il senso comune, i limiti dell’immaginazione umana”?”
E perché no?
Sfido chiunque a immaginare ciò che è successo nel 900. Assumere in questo senso la realtà storica è un atto altamente politico.
Di certo riemergono periodicamente energie profonde, forze telluriche più forti della ragione, atavismi primordiali, comportamenti sociali che ci potremo spiegare solo con premesse biologiche o coi meccanismi preliminari alla primitiva frammentazione delle razze, con le necessità, i climi, le qualità dei popoli. Ravvisaremo negli SS dei cavalieri teutonici, nei discendenti di Ivan un’idea di impero capace di sopravvivere a qualunque rivoluzione. La minaccia dei tartari, o dei turchi, alle porte di Vienna, puttosto che un avvenimento storico accertabile, diventa una categoria dello spirito, un presidio permanente, un’ipoteca sul concetto di Europa. Non afferreremo mai il senso dell’opera del cecchino o dello stupratore di massa nella vicenda recente balcanica, per esempio, attraverso un’analisi socioeconomica o attraverso una disanima delle vicende politiche o nei rapporti di forza tra le classi. Tenersi aggiornati sui dettagli giornalieri del disastro mi pare futile mentre la Bestia si serve di tutte le ragioni, anche di quelle buone. Ecco perché lo scrittore può descrivere il mondo nella sua profondità ed ecco perché i giornali diventano rapidamente carta straccia.
maurizio, che dice (con una prosa adelphiana): ‘Ecco perché lo scrittore può descrivere il mondo nella sua profondità ed ecco perché i giornali diventano rapidamente carta straccia’.
con tutto il rispetto, mi pare che sei fermo a croce e dintorni.
Grazie (Croce).