IL CASTELLO

di Giacomo Sartori

[ritaglio i paragrafi che seguono da un testo più lungo; il titolo è posticcio]

Il problema dei castelli, specie in caso di guerra, o anche solo appunto di notte, è entrarci. C’era sì un grande portale al termine di una salitina, che si intuiva essere stata un ponte levatoio, ma era drasticamente sbarrato. E a parte quell’entrata impenetrabile sembrava che ci fossero solo alte mura da tutte le parti. Ci sarebbero volute lunghissime scale di corda o di legno, una macchina da guerra, una catapulta, uno di quei marchingegni con i quali si assaltano i castelli. Ma noi non avevamo quel genere di attrezzatura. Avevamo solo il telefono di Marinella, che non prendeva. Cercando però nella penombra siamo incappati in un altro varco, e perfino una porticina che portava a un cortile adibito a parcheggio. Ma anche dopo quello spiazzo venuto a patti con la modernità le mura restavano pur sempre verticali e altissime. Poi per fortuna nella notte medioevale sono spuntate delle voci. E una delle voci era quella franca e decisa ma anche affabile del castellano. Insomma, il figlio del. Si muoveva nella notte con disinvolta agilità: si vedeva che era abituato da sempre a quel genere di penombre.

A forza di porticine e scale di pietra e corti interne è apparsa qualche fioca luce elettrica. Le facce si sono allora rivelate per le facce che erano. Come c’era da aspettarsi il giovane castellano aveva un nobile naso arcuato e due patrizi occhietti che sembravano guardar fuori da un quadro del rinascimento. Aveva una fronte alta e stretta, più fervida che sofferente, che catturava lo sguardo, lo faceva scivolare all’indietro, nel pozzo enigmatico della storia. Un viso carismatico e fragile, con quella conturbante bruttezza blasonata che è prima di tutto una bellezza. I nobili non possono essere belli, perché la bellezza è privilegio anche dei borghesi e financo dei poveracci. La bruttezza dei nobili ci ricorda che il loro privilegio è arbitrario e inappellabile, e proprio per questo assoluto. La pettinatura era però da poeta dell’ottocento, o forse anche da compositore, sempre dell’ottocento. Quelle acconciature spinte all’indietro da una romantica brezza dello spirito, ma anche immobili e aderenti al cranio, e quindi ieratiche. Sembrava insomma un nobile del rinascimento che si fosse travestito, magari per una festa a tema fantascientifico, da poeta o anche musicista dell’ottocento. Nei castelli succedono cose così.

Il castellano camminava come tanti nobili, come se fosse cioè seduto sulle gambe storte da nobile. I nobili sono abituati a presentare la loro nobile bruttezza da davanti: guardando lontano dai torrioni dei castelli, dall’alto dei loro fieri destrieri, dai quadri appesi alle pareti. O anche sbirciano di profilo dagli affreschi sui quali sono rappresentati di lato. I nobili non pensano che li si possa osservare anche da dietro, e peggio ancora da dietro e da sotto, come capitava mentre lo seguivo sulle ripide rampe di scale. Visto da dietro era sgraziato. Ma l’ondeggiare garbato della testa e il composto remare dei gomiti ricordava che tutto ciò era contingente, quello che contava e che conterà sempre è il dominio sul mondo.

Ero seduto in una vasta cucina nello stesso tempo tecnologica e antica, e non sapevo cosa fare. O meglio bevevo, perché io quando sono in imbarazzo bevo. Sul grande e disordinato tavolo c’erano per l’appunto alcolici di tutti i tipi, anche molto buoni, anche molto costosi, e varie cosette da mangiare. Gli scrittori veri, quelli che erano in residenza al castello per scrivere un racconto, arrivavano, si aggiravano con i loro occhi avidi e infelici da giovani scrittori, prendevano qualcosa dal tavolo, si versavano da bere, mettevano lì qualche briosa battuta, si sedevano un attimo con tremori ornitologici, si rialzavano, presentavano le facce a un vento immaginario, facevano i giovani scrittori ciascuno in un suo modo personale ma pur sempre stereotipato, si rituffavano con passi fragili ma anche determinati nei caliginosi meandri del castello. Alcuni, meno pieni di se stessi, si presentavano, ma io non mi ricordo mai i nomi quando ci si presenta. Uno aveva tra le labbra un toscano spento: ti leggo, mi ha detto.

La giovane e longilinea castellana si aggirava con un piccolo principino in grembo. Aveva anche lei un lungo viso rinascimentale. Una faccia del Parmigianino, con un bel sorriso però da ragazza giovane solidamente impiantata nel presente. Un sorriso contemporaneo, sinceramente democratico, generoso, fragile ma anche forte, e dentisticamente ineccepibile, incastonato in una lieve faccia quattrocentesca. I grandi occhi bizantini sembravano non saper più che pesci prendere, in quella gran confusione di epoche: si accordavano con una sincera e aperta gioia al sorriso, lucidi di empatia, ma ogni tanto erano percorsi da guizzi di una tristezza medicea. Anche lei come tutti appariva con il suo già imperioso condottierino in grembo, si aggirava come per cercare qualcosa, forse una risposta, e poi spariva inghiottita da una delle numerose porte o corridoi.

Al seguito dei giovani scrittori c’era una giovane giornalista con un trucco orientaleggiante alla Sofia Loren nei film degli anni cinquanta, con un vitino sottile e un seno incorsettato da giovane arrampicatrice sociale. Le unghie delle mani erano coperte da uno smalto rosso cupo: si sarebbe detto che per soddisfare la sua ambizione le avesse appena immerse nel sangue. Non era bellissima, ma faceva di tutto per sembrarlo, e pareva avere l’impressione di riuscirci. L’inquietudine le ostacolava però pur sempre il respiro, e le sottraeva nervose occhiate di traverso. Per sua stessa ammissione non aveva mai scritto racconti, ma gli organizzatori avevano insistito, avevano detto che con gli articoli che scriveva avrebbe senz’altro scritto un bel racconto. E allora scriveva anche lei, come i veri giovani scrittori, un racconto.

Uno dei giovani scrittori era tenebroso e implacabilmente bello. Incedeva con lenti ancheggiamenti da bella donna, ognuno seguito da un doloroso e per così dire eroico avanzare delle rispettiva spalla, mentre il gomito veniva richiamato dolorosamente verso la base del costato. Una bellezza masacciesca e pasoliniana, ebbra di se stessa, felina e spietata. Uno di quei ragazzi che mi fanno desiderare di essere una ragazza. Una ragazza maltrattata. Che mi fanno agognare di venire sedotta e abbandonata, e poi soffrire orribilmente. Che mi fanno domandare se non sono forse un po’ omosessuale.

I veri scrittori scivolavano senza inghippi in quella cucina tecnologica innestata discronicamente nel medioevale sottotetto, come certo anche nel mondo, si capiva che anche le loro parole dovevano scivolare con facilità sulla carta. Citavano nomi che non conoscevo, comuni amici che non avevo mai sentito nominare, eventi di cui non ero al corrente. Loro bevevano gin and tonic, io bevevo vino rosso, pensando sempre di più ai fatti miei.

Nel corso della notte mi sono svegliato, perché c’era una palla di luce sul pavimento della camera. Una sfera di luce pallida ma anche vivida. O meglio, subito non era più nella camera, era nel corridoio al di là della porta chiusa. Ma io continuavo a vederla. Sempre per terra, o meglio appena un po’ sospesa, sempre in leggero e fremente movimento, come un’automobile impaziente di partire. Un fantasma, naturalmente. C’era da aspettarselo. Ma lo ho capito subito che non era affatto un fantasma malvagio o pericoloso. Aveva anzi una sua indole birichina e gioiosa: era un fantasma tondetto e sbarazzino, che aveva forse voglia di rompere la noia della sua notte centenaria, di divertirsi un po’. Un pimpante elfo di luce. Mi sono girato dall’altra e mi sono riaddormentato, senza nemmeno guardare l’ora.

(continua)

[la foto, “Merli”, è di Gianni Paoletta]

[NB: ogni riferimento a persone realmente esistenti, soprattutto se immotivatamente permalose, è puramente casuale, come in fondo nella vita è casuale tutto, a cominciare proprio dalla nascita e dalla morte, e da queste stesse parole che escono dal mio portatile]



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36 Commenti

  1. Anch’io ho avuto dei “postumi” da festa indiana. Per esempio, ho immaginato che la prossima volta ci si potrebbe riunire come in una specie di “Decamerone”: 10 giorni (in versione moderna, una settimana; concretamente meno di una settimana) per raccontarci storie non inventate, realistiche e, volendo, autobiografiche; non tanto per scrivere quanto per scambiare qualcosa di sé, doni… Meno critica e più vita vissuta… Meno riflessione e più narrazione… La scrittura (eventualmente) rimandata al futuro…

  2. Lorenzo, in basso alla colonna di destra c’è il link alle foto di Paoletta.
    Roberta: perché no? ;-)

  3. Ah, ottimo, io le avevo già segnalate qui nei commenti dato che Gianni ed Emma sono stati così gentili da diffonderle subito su facebook.
    Ma non ci sono video o altre foto?

  4. sartori deve essersi divertito come un matto, nelle mie lande. e l’amore che riversa sugli ospiti e sul proprietario del castello ne è la prova.

  5. @zanoni
    e riborda! ogni volta bisogna chiarire che i testi non vanno letti come se fossero gli ingredienti dei biscotti!

    personalmente ho trovato i proprietari del castello che ci hanno ospitato, quanto a loro, assolutamente deliziosi;
    poi nei testi viene fuori anche altro (altrimenti sarebbe tragico);

  6. questo solo come preambolo… per l’arrivo notturno…

    chissà cosa avrà da eviscerare sulle malefatte diurne….

  7. Io aspetto il momento fondamentale, degno di Ionesco:
    “e tu che classe fai?”
    “io vomito!”

    (capirete, capirete…) ;-)

  8. (peccato fossimo in formazione ridotta quando la tua bimba, Gianni, ha messo tutti a tacere con un serissimo : La felicità non dura per sempre”)

  9. “personalmente ho trovato i proprietari del castello che ci hanno ospitato, quanto a loro, assolutamente deliziosi”

    Lei ha davvero uno strano modo di dimostrarlo. Laddove li avesse realmente trovati deliziosi perchè non dirlo, incensandoli con una narrazione fiabesca, anzichè dipingere loro e i relativi ospiti come persone poco degne di attenzione, quasi mostruose negli atteggiamenti?
    Mi pare un controsenso.
    Come mi sembra vagamente ridicolo il NB al fondo, assolutamente inutile laddove i soggetti coinvolti non avrebbero razionalmente motivo per prendersela.
    Non sarebbe forse più onesto dire che le hanno davvero smosso questa irritazione epidermico-intestinale?
    Li ritrae grottescamente, lasciando trapelare una velata misoginia che però ben si accorda al dubbio riguardo la sua (e se non sua della voce narrante) altrettanto velata omosessualità.
    Come non condividere invece la saggia consapevolezza di un bambino: la felicità non dura per sempre.
    Noi adulti a queste cose non ci pensiamo davvero mai.

  10. Perplessità,
    non so se te ne sei accorto, ma questo è un racconto. Sovrapporre la voce narrante all’autore è un errore basilare.
    Io, per dire, lo scorso anno il castellano lo feci diventare uno psicopatico!
    (e invece, come dice Giacomo, è persona deliziosa assai)

  11. gentile Perplessità,

    purtroppo le narrazioni fiabesche non sono il mio forte; e non mi sembra un genere molto adatto ai tempi presenti;

    e a dirle la verità – per quel che può valere il mio parere – questi personaggi non mi sembrano per niente mostruosi;

    e comunque sarebbe come rinfacciare a Dubuffet di aver reso così grotteschi i suoi personaggi, a Fautrier di aver pasticciato le sue pere, a Zao-wou-ki di aver reso irriconoscibili i suoi paesaggi; etc. etc.; e che dire dei ritratti di Bacon? certo che li ha maltrattati i suoi amici! perchè non li ha dipinti invece con una corona di alloro sulla testa in un arcadico giardinetto?
    (mi scuso per l’eminenza degli esempi: non mi ritengo allo stesso livello, è solo per farsi capire);
    e perchè tutta quell’irritazione, in Bernhard? (ma io ci vedo molto amore; come certo lei sa le due cose, ci hanno insegnato da un secolo a questa parte, non sono molto diverse)

    del resto, chi ha letto qualcosa di mio lo sa, io mi tratto di solito peggio di come tratti gli altri;

    qualche volta mi domando se con la narrativa – almeno quella che va per la maggiore – non siamo rimasti all’inizio del novecento;

    misoginia?

    ma non pensi per piacere che non sopporti di essere criticato, perchè non è vero; ma appunto tenendo presente che siamo nel 2010;

  12. No, il 2010 non può – neanche volendo – comprendere – anche soltanto – il gentile incedere della sua scrittura. Come potrebbe?
    La perplessità nasce dallo spunto, dall’ispirazione che sta alla base del suo narrare.
    Se questo Castello le ha ispirato un pensiero (nel modo in cui lei stesso lo racconta), un flusso fluido di parole, vorrà pur dire qualcosa. Ed è pur vero che è proprio dal reale che prendiamo spunto, è dal tangibile che ci abbeveriamo. E, posso dirle però, d’impulso, che sembra lei si sia nutrito da una fonte assai velenosa e per niente gradevole a papille gustative già stanche, le sue in questo caso.
    Mi perdoni l’ardire nel sostenere che, a mio avviso, ci sia un che di personale in tutto ciò.
    Se così non fosse potrebbe dirmi: “così è se vi pare” e io le darei ragione.
    Trattarsi peggio di altri è sintomo di fragilità.
    Il che è un bene per chi la legge e forse una condanna personale per lei che, di certo, ha un animo atipico rispetto al 2010 di cui conversa.

  13. a galbiati,
    ma lorenzo: non ci sono le foto solo di gianni che magna la pasta (occupano solo il 70% del servizio fotografico…)

    a perplessità,
    il tuo atteggiamento nei confronti del testo di sartori è esemplare, perché ormai verificato in tante diverse occasioni (da altri commentatori), in risposta a testi e autori diversi, ma è lo stesso impulso a “psicologizzare” la voce narrante che ritorna: un passatempo straordinario, pensate Marcel seduto sul lettino, oppure Julien Sorel, per non parlare di Serafino Gubbio o Gerolamo Aspri, o della voce narrante della Vita Agra. Un tremenda e vana lotta contra uno delle virtù elementari della narrazione: trasfigurare: portare elementi di realtà dati in una figura altra… addirittura l’accusa (grottesca) di grottesco: ignorando una della migliori corde della nostra tradizione letteraria e non solo…

  14. no, io chiedo dato che ho visto gente fare sia foto sia riprese, e sarei interessato – come tanti lettori, credo – soprattutto ai video, anche perché mi son perso molti incontri. Quello di Gianni e Cortellessa che ha messo Garufi sul suo blog per es. è molto interessante, peccato si fermi subito dopo la premessa di Cortellessa. E allora domando a voi: avete del materiale ancora da inserire?

  15. caro lorenzo l’immenso nostro cineasta ha già montato ogni episodio, dalle interviste ai dibattiti. stiamo solo riflettendo su come proporlo in rete, cosa su NI e cosa NO (tipo le interviste agli indiani) . comunque un poco de pacienza e avverà. Per quanto mi riguarda avrei voluto ma proprio assai photoshoperare la festa ma sulla tratta roma pescara mi sono perso la videocamera. ho l’occhio a lutto. effeffe

  16. ad andrea inglese

    si è verissimo quello che dici, però oggi c’è un elemento in più ed è la velocità della diffusione di uno scritto.
    Quando ieri uno scrittore parlava di una esperienza vera con personaggi veri (pur trasfigurandoli a suo piacimento) prima che si arrivasse allo svelamento pubblico del personaggio servito da modello, passava del tempo, a volte mesi, spesso anni, non di rado secoli, quindi quello che dici è verissimo … ma potrebbe anche diventare oggi un comodo alibi, dietro cui nascondersi. Oggi che il modello originale viene veicolato insieme alla trasfigurazione in tempo reale. Non ho letto con attenzione il pezzo di sartori, quindi non mi pronuncio su quello. Volevo solo dire che trovo un po’ pretestuoso portare come difesa testi e autori del passato. Del resto anche allora una cosa era la trasfigurazione di personaggi letterari e una cosa gli articoli velenosi e pseudo satirici su riviste o libelli :-) … credo che quando si scrive (e soprattutto si mette in circolo) così velocemente si debba tener conto delle reazioni dei diretti interessati (usati come modelli) e della loro sensibilità (visto il brevissimo margine di tempo) … non credo basti dire dopo che sono persone deliziose … e aggiungere in coda l’ipocrita precisazione che le somiglianze sono casuali (non ci crederebbe nessuno neanche fosse vero), è direi quasi una presa di culo. Insomma non dico che uno non possa trasfigurare quello che vuole, dico solo che dopo, sempre che uno voglia giustificarsi, deve trovarsi argomenti attuali e credibili e non scrittori del passato.

  17. a georgia

    “Non ho letto con attenzione il pezzo di sartori, quindi non mi pronuncio su quello.”
    Bè, qui si sta parlando di quello….

    “quando si scrive (e soprattutto si mette in circolo) così velocemente si debba tener conto delle reazioni dei diretti interessati (usati come modelli) e della loro sensibilità (visto il brevissimo margine di tempo) … ”
    su questo hai ragionissimo: ma oggi e ieri non cambia poi così tanto; quanti romanzieri hanno rotto amicizie per aver messo dentro i loro personaggi elementi tratti dalle vite di loro amici, mogli, mariti, amanti?
    E’ un mestiere molto pericoloso scrivere, da questo punto di vista.
    Dopidché cara georgia a me poco frega che l’amante di Bianciardi gli abbia fatto una vita nera, dopo essersi trovata trasfiguata nel libro. Io e i lettori di Bianciardi siamo fuori dalla vita di Bianciardi e dei suoi legami, siamo nel suo libro, ed è questo che ci interessa di più.

  18. ragazzi sono rotowash, non so se vi ricordate di me, ero un troll di nazione indiana molti anni fa. ho avuto dei problemi di salute in questi anni ma ora sto meglio e vorrei tornare. chiaramente sono maturato e vorrei sapere se posso riprendere la mia attività con calma senza disturbarvi e senza offendere nessuno. grazie. come primo intervento il mio intervento è alle dame del castello piace fare solo quello. grazie

  19. caro rotowash, bannarti di nuovo ora che sei sopravvissuto ai problemi di prostata sarà un vero piacere

  20. ragazzi quanti ricordi era bellissimo. inglese era un tipo più nervoso che ho mi cancellava ho mi cambiava le cose che dicevo. invece biondillo ha sempre avuto molto rispetto per i troll e una volta addirittura rimise un commento inutile che avevo messo che lui aveva tolto perché gli dissi che quella era censura. ma comunque io vi stimo tutti e spero di dare un contribbuto proficuo e mai volgare. oltretutto quest’anno vorrei impersonare anche altri personaggi del passato ma non vi anticipo niente. comunque non ve ne pentirete di avermi riaccettato tra voi, non vi deluderò mai e vi dimostrerò la mia maturazione perché anche i troll hanno un’etica.

  21. e comunque ripeto solo se non do fastidio. se magari entro in una discussione seria dicendo qualcosa di sbagliato voi me lo dite e io vado da un’altra parte. grazie

  22. oltretutto poi certe cose ormai le capisco da solo. figuratevi che prima stavo per commentare il poster di saviano avevo già messo le dita sul computer e mi sono fermato. ho detto no, questo è troppo. infatti mi sono subito messo a cercare se c’erano delle poesie d’inglese quelle che lui traduce ma purtroppo non c’erano. tra l’altro volevo dire a inglese che in questi anni di malattia ho cominciato a scrivere anch’io delle poesie e vorrei mandargliele perché magari se è materiale buono si potrebbe fare proprio un poster colle mie poesie. quanti ricordi… pure raos faceva le poesie se non sbaglio. comunque adesso vado a dormire perché domani devo andare al sindacato, vi saluto e vi abbraccio sperando di collaborare presto, e anche se farò un poster su nazione indiana allo stesso tempo nei commenti farò il troll dando fastidio anche al mio pezzo proprio per dimostrare la mia etica e di non fare favoritismi.

  23. Bè, qui si sta parlando di quello….

    sai caro andrea al termine leggere con attenzione io do moltissima importanza, e la lettura attenta è sempre una seconda lettura che avviene solo in rari casi e solo se qualcosa nella forma o nel contenuto mi colpisce particolarmente e mi interessa altrimenti … per commentare (soprattutto per le critiche che ho avanzato io che non erano di ordine letterario, componente che nel caso particolare del post in discussione non mi ha colpito particolarmente) basta e avanza una prima lettura, altrimenti … diventerebbe un vero e proprio ricatto da parte vostra ;-).

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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