Giocare su un tappeto in piazza tra desiderio di volare ed esperienza di meraviglia.
di Tina Nastasi
A scuola di Ludopedagogia: Barcis (Pordenone) 14-20 giugno 2010.
Lucca, 2 giugno. Ore 15.30: l’improbabile festa della Repubblica e del Diritto al Gioco giace nella piazza deserta sotto la pioggia.
Ma il tempo è imprevedibile: il cielo si apre, l’aria si asciuga, e il portone dell’arcivescovado sforna tavoli e persone pronte e colorate: lo spettacolo comincia.
La danza della Capoeria apre i giochi e la piazza già brulica di gente. Nel prato che fiancheggia la Cattedrale una mongolfiera arcobaleno sta per essere tirata su. Chissà se riusciranno.
Da lontano una voce al microfono annuncia ‒ mi sbaglio? ‒ che tra banchetti e concerti a un certo punto si giocherà. Un laboratorio per bambine e bambini? E perché solo loro. Il diritto al gioco non è forse di tutti e tutte? Chissà come sarà, mi chiedo.
Tre donne mascherate di segni rossi in viso e turbanti in testa si aggirano per la folla offrendo una mela in cambio di qualcosa … un gesto, un racconto, un bacio o anche semplicemente un sorriso.
Qualcuna s’incuriosisce, qualcuna si schernisce, qualcun’altra si ritrae oppure si illumina e si meraviglia. Qualcuno fa della facile ironia, qualche altro cerca un portafoglio, ma no, le tre donne cercano qualcos’altro … E invitano a giocare, poco più in là … dove sono i tappeti rossi e arancioni, stesi sull’asfalto a guardare la curva dell’abside della chiesa antica.
Mi avvicino e trovo due cerchi magici: “entra ‒ sta scritto ‒ e guarda una nuvola”; “entra e pensa a un tuo desiderio”. Ci entro dentro. “A che serve?”: la voce di un bambino, la domanda di un adulto. Non voglio ascoltare. Penso al mio desiderio: che il mondo intero torni a meravigliarsi. Zompo nell’altro cerchio e guardo la mia nuvola.
Quanto tempo è trascorso?
Attorno ai tappeti un nugolo di uomini e donne dalla pelle scura e bambini e bambine e mamme e papà con le tre donne che ridono e parlano e si muovono e gesticolano. Mi avvicino. Una voce, un suono … l’eco delle altre voci, lo stesso suono. Una voce, un ritmo … l’eco delle voci, lo stesso ritmo. E poi una storia. E ci ritroviamo tutti e tutte su un tappeto volante …. a cercare un tesoro … tutto umano, questa volta. E vedo mani e foglietti, e tutti e tutte a parlarsi e chiedere gli uni e le une degli altri e delle altre. E viceversa. E grandi e piccini e piccine scambiarsi firme, … e risate.
Un due tre … stella. Giochiamo e giochiamo e giochiamo ancora finché il concerto della comunità filippina ci invita al silenzio. Ci lasciamo con la promessa di giocare nuovamente alla ludoconferenza della sera. Che ora è? Quanto tempo è passato?
Il fuoco ha sollevato il pallone dell’arcobaleno e la mongolfiera punta dritta al cielo e vuole volare libera. Slegano le corde e lei va. Una mano saluta dall’alto … Ricambio.
Intravedo in lontananza una delle tre donne delle mele e del tappeto … la rincorro. Le chiedo: chi sei? da dove vieni.
Mi racconta … mi lascia un indirizzo … mi dà appuntamento a Barcis il prossimo 14 giugno per la Scuola di Gioco. Andrò? ‒ mi chiede e mi chiedo.
Non c’è altra scelta: devo giocare.
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A volte pensiamo tanto e poi finiamo per fare le stesse cose di sempre, e magari con poco effetto. Sperimentare una proposta di “invasione pacifica” come quella del gioco in piazza – non solo per bambini/e – significa invece avviare un conflitto fertile tra chi propone e chi è troppo abituato ad essere solo spettatore. La partecipazione si accende da piccole scintille, brevi ma luminosi tentativi di calore umano.