Gli incendiati
di Teo Lorini
Una casa divorata da un incendio, un ragazzo si fa strada fra le stanze invase dal fuoco per salvare una donna ma, prima di uscire verso la salvezza, i due si amano con passione e frenesia tra le fiamme incombenti. Questo sogno d’amore, questa spora già annidata nelle oltre mille pagine di Canti del caos, è il primo nucleo seminale del nuovo romanzo di Antonio Moresco, storia di un uomo solo, disperato, separato da tutto e tutti, che abbandona la città in cui vive e si rifugia in un luogo di mare, dove però scoppia un incendio repentino. Mentre i bagnanti guardano da una collina il fronte del fuoco, una donna bellissima e misteriosa gli si accosta, parlandogli con confidenza vertiginosa. È un sogno? Un’apparizione?
Convinto quasi d’averla perduta, il protagonista ritrova la donna nel momento più inatteso, quando lei gli salva la vita e mette in gioco la propria per liberarsi dalla schiavitù di un pericoloso malavitoso russo. Inseguiti dai gangster, i due lottano e all’ultimo sangue viaggiando alla testa d’una carovana di pianto e combattimento fino al cuore lacerato del Caucaso, dove l’Europa incontra l’Asia, dove la religione, il petrolio, le etnie, sono gli alibi per innescare spaventosi massacri, dove il potere perde ogni maschera e svela la sua intima natura di guerra globale contro la vita.
Gli incendiati è un’opera di sorprendente slancio romanzesco, che attraversa i generi, li fa sbocciare e li riassorbe in una dimensione più vasta. E se queste pagine muovono anche da una riflessione politica sull’Italia di questi anni e sulla nuova schiavitù di quest’epoca, ben presto esse trascendono tale prospettiva verso una visione di radicale libertà. Da lì la scrittura di Moresco si accende per attingere a un’opposizione più lacerante ed essenziale dell’esistenza umana, quella tra vita e morte. I morti infatti non sono più divisi, non hanno più scuse e categorie religiose, politiche, etniche in cui posizionare sé stessi e dare un senso all’odio che li ha uccisi. Da questa libertà riaffermata muove la loro crociata contro i vivi, che Moresco descrive in pagine vorticose e ipnotiche, sino a un finale poetico e indimenticabile che proietta il libro oltre la dimensione avventurosa verso la luce splendente e nuova fatta dell’oro e del fuoco delle stelle.
pubblicato su “Pulp Libri”, Nr.85
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Grazie Teo, che ci ricordi l’imprescindibilità della scrittura di Moresco.
secondo me Antonio è uno dei maggiori revisionisti della letteratura italiana. ovvero: non fa che rimodulare la scansione delle sue opere. mi sono spesso chiesto come mai sente il bisogno, mentre pubblica una nuova opera, mentre concepisce una nuova serie di passi, di attribuire la nascita di una nuova creatura… questo suo bisogno di architetture maggiori… di cattedrali sempre più ampie e complesse… alla fine resterà l’intera sua opera come un continente contraddittorio, ricco di guglie, di golfi, di organi semiindipendeti… tutto, dai canti del caos al suo teatro, da gli esordi a lettere a nessuno, da questo nuovo a altre cose che ancora scriverà fino a tutte le sue osservazioni sulla letteratura, il mondo della cultura, gli altri scrittori, i tagli, gli sbreghi, tutto sarà parte dello stesso immenso romanzo di un uomo solo.
Antonio Moresco mi piace per il lato cupo e torbido della scrittura. Quando ho letto Il canto del Caos; ho sentito quasi una violenza nel corpo, “un amplesso” sulla soglia soglia del disaggio. C’è un erotismo dentro
ogni parola, un erotismo della stranezza, il sentimento che la lettura non protegge, mette in pericolo il corpo. Anche ho provato il sentimento di un viaggio su una pianeta diversa, dove avevo nessuno segno. La scrittura è in fuoco come lo dice con poesia Teo Lorini.
Ho letto GLI INCENDIATI dopo i CANTI DEL CAOS, e mi sono persuaso che Moresco è uno scrittore non grande provvisto di grandi visioni. Lui non ha nè un talento narrativo abbastanza forte nè un lessico abbastanza ricco per tener dietro alla propria visionarietà: gli accumuli di sostantivi, l’abuso dei participi passati, la macchinosità dei dialoghi, l’ingenua (o stucchevole) abbondanza dei punti esclamativi, gli avverbi ridondanti (specie poi l’ossessivo “irresistibilmente”) e la sostanziale assenza d’un pensiero realmente cognitivo rendono i suoi romanzi degli eterni incompiuti, non però in senso kafkiano (benché Moresco abbia, nella visione appunto, qualcosa di Kafka). In definitiva trovo Moresco uno scrittore sopravvalutato, e GLI INCENDIATI non un bel libro.
Leggo per la seconda volta la Cipolla è questo racconto ha per me qualcosa che mi incanta, la possibilità di derivare nell’erotismo o varcare la frontiera follia partando della realtà. Invece la scrittura di Moresco ha un effetto sul mio corpo. La scrittura invade tutto, c’è un fiume di parole che dà un’impressione di étrangeté.
Dalla lettura di Canti di Caos, sento il potere della parola che mette a disaggio il lettore. Il canto ha la significazione di parola sconvolta, elettrica, erotica, poetica, campo del territorio del fantastico.
Si scatena parola infernale e sacra, si scopre uno spazio straordinario al punto che la lettura non si puo fare con un solo viaggio. Si deve leggere mano mano.
Con il rischio di essere abitata con questa parola.
Mi trovo in gran parte d’accordo con Macioci.
Ho letto Canti del caos vol.2 e Gli incendiati. Il primo apre le porte alla percezione, il secondo sembra chiuderle tant’è ossessivo, ripetitivo e scarso di vocaboli. Ora, leggendo Spaesamento di Vasta, salta all’occhio evidentissima la differenza di proprietà di linguaggio dei testi, che dà luogo ad una ambiziosa ma scarsissima e fasulla potenza espressa dalle visioni di Moresco, e da quella espressa dal pianeta metafora di Vasta: ambiziosa, solida, volumetrica.