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Stregature: Silvia Avallone

[Marco Belpoliti ha letto e recensito tutti i libri selezionati allo Strega di quest’anno. Abbiamo insieme deciso di farne una sorta di rubrica fissa – Stregature, appunto – che ci accompagni verso la prossimità dell’evitabile evento. Partiamo da uno dei favoriti(ssimi). Si accettano polemiche, anche animate. Non insulti alla persona. G.B.]

di Marco Belpoliti

Silvia Avallone, Acciaio, Rizzoli, pp. 357, € 18

Acciaio, il romanzo della ventiseienne Silvia Avallonne, sembra partorito dallo sbadiglio di un display televisivo: un accumulo di luoghi comuni, banalità sociologiche, considerazioni da posta del cuore, con adolescenti in tumulto come in un manga Made in Italy; il tutto scritto in una lingua posticcia, plasticata come un sacchetto della spesa, un ron ron di frasi fatte, con la pretesa di cogliere il parlato quotidiano di quattordicenni vorticose, casalinghe sfatte e maschi adulti in canotta. La letteratura sotto vuoto spinto ha colpito ancora e tra fascette editoriali, che parlano di “straordinaria scrittrice italiana”, e peana sui settimanali femminili, Acciaio sale leggero leggero verso i primi posti delle classifiche dei libri più venduti.
Niente di male, se non fosse che questa non è letteratura con la maiuscola, bensì un romanzo accattivante, furbo quanto basta; ovvero, il tentativo fallito di rendere la realtà delle classi popolari nell’epoca del berlusconismo rampante.
Cosa, poi, c’entri l’acciaio degli altiforni di Piombino non lo si capisce proprio, perché, per quanto Anna e Francesca, le due protagoniste, i loro padri, fratelli e fidanzati, s’aggirino dalle parti dello stabilimento siderurgico, si vede benissimo che la giovane autrice non ci ha mai messo piede, che non sa cosa sia una fabbrica e neppure la classe operaia, per quanto svilita e umiliata, che vi circola intorno. Acciaio ha l’ambizione di volerci dare il romanzo italiano d’inizio XXI secolo, scritto dal punto di vista di due anime perse, le ragazze protagoniste, e del vasto coro degli sconfitti che le circonda. Gli manca l’anima, oltre che l’ambientazione: le case popolari degradate di Piombino non fanno primavera. Violenza, iniziazione sessuale, depravazione ed estetica del fallimento, non servono a raccontare cosa è la realtà, soprattutto se, come accade qui, questa sembra trasferita pari pari dallo schermo di un serial televisivo alle pagine del libro.
Chi ha letto lo splendido libro di Silvia Ballestra, I giorni della rotonda, pubblicato dal medesimo editore, Rizzoli, sa bene quale differenza corra tra un romanzo d’adolescenza e uno zibaldone d’attualismo, con firma finale in calce dell’autrice, manco fosse il diario dei quindici anni.

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100 Commenti

  1. “Discussioni animate ma non insulti alla persona… “, dice Biondillo. E come la mettiamo con quegli autori che considerano le critiche al proprio lavoro pura DIFFAMAZIONE, lesiva del proprio onore e del proprio prestigio?
    I politici, per parte loro, si stanno cautelando, ma anche dai blogger e dai loro commentatori si comincia ad esigere una scrittura in stile Mulino Bianco…

  2. Mi pare che gli editori italiani, massimamente i più blasonati, abbiano seclto, negli ultimi anni, di pubblicare giovani e giovanissimi esordienti, di cui talvolta si perdono le tracce, oppure personaggi famosi (registi, attori, giornalisti, divi dello spettacolo, ecc.), sempre presentati come scrittori rivelazione e il loro romanzo come il migliore del secolo (benché il secolo sia ancora agli inizi). E nel mezzo? E quelli che tentano di fare letteratura, dannanodsi sulla lingua e sullo stile, che però non sono più giovanissimi e non sono né mai diventeranno personaggi famosi o divi della tivù? Quelli che non scrivono secondo le mode e i gusti dei lettori? Costoro, riusciranno mai nell’impresa di pubblicare un romanzo e magari avere un piccolo spazio sui giornali?

  3. Caro Gianni cosa sarà mai?
    un tiro al piccone? sperare nelle ambulanze? mettere il dito nella piega ta pagina? fare il bello e butto il cattivo tempo? esercizio di stiletto? critica malestante,?sfogliare in due il capello? cercare pelo nell’uomo (o nella donna)?prendere a botte piene la moglie ubriaca? Fare di tutti gli scrittori in erba un fascio? Una cosa sinistra?
    Lettori nucleari, ci vogliono, energia pulita, ci vorrebbe.

    ps
    Nel caso in cui non si capisse, sta cosa mi mette un po’ a disagio. Una cosa da, ” ma chi se ne strega!!”

  4. Non bello per cacciatore sparare ai piccini. Necessita riformare filosofia vita. Al proposito riporto un frammento delle riflessioni di Bozzone, ospite a pranzo, che fa una autopropagandistica dichiarazione di affidabilità alla vedova madre del Cioni, la quale ha deciso di sposare. Trattasi di Berlinguer ti voglio bene di Giuseppe Bertolucci, 1977: ” Bòno i’ mangiare! Secondariamente io penso che la donna la c’abbia i’ su’ stile, anche lei, e il risparmio anche ci vuole: perché io son per la libertà. Libertà fino a un certo punto, vero?! Come quelli che si fissano: caccia, pesca, gioco… no no! Io son per la famiglia! Oddio, la ricotta e lo yogurt ‘un è che l’ami troppo! Se qualche volta c’è da uscire, oh, un be’ firm garba a tutti, eh! (Arrabbiandosi sempre di più) Come i maglioni a collo alto: io non li sopporto! Come che quando son malato: non voglio sape’ di pasticche! Il male come gl’ha fatto a venire così deve fare a anda’ via! Oh! Anche il governo prima o poi cambierà, eh?! (urlando) E gl’andrà dalla parte del popolo! Come le macchine, con tutti gli incidenti succede! O se l’è tanto comoda anche l’autobusse?!!!

  5. Non ho letto il libro né lo leggerò. Ho letto invece la critica di Gilda Policastro allo stesso libro apparsa settimane fa sul Manifesto. Quella sì che mi ha commosso e lasciato pensare. Era un grido disperato.

  6. quando vedo questo libro ho male al petto. a leggerlo viene voglia di gettarlo dalla finestra.
    però penso proprio che vincerà dei premi. libro superfavorito.
    voci di corridoio: voci di librai attenti.

  7. Io di questo libro ho letto solo stroncature. Questa di Belpoliti è in puro stile classico, secca, rapida, mi ricorda la scrittura di Luigi Pintor. Ora mi chiedo: l’hanno stroncato più volte, eppure si continua a sostenere che vincerà. E dunque? le recensioni, le critiche sono un mondo a parte? Ma servono? Il “mercato” è un mondo a parte?

  8. me lo chiedo anch’io, oltre alle stroncature nelle recensioni, ho letto proprio di proteste da parte degli operai siderurgici di piombino, che poco anzi per nulla si riconoscevano nel romanzo. Io il libro non l’ho comprato andando a naso più che altro, non mi piace nemmeno la copertina. Non lo comprerò ma temo vincerà lo Strega.
    saluti

  9. Ricordare per capire; gli ultimi quindici:

    1995 Mariateresa Di Lascia “Passaggio in ombra”
    1996 Alessandro Barbero “Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo”
    1997 Claudio Magris “Microcosmi”
    1998 Enzo Siciliano “I bei momenti”
    1999 Dacia Maraini “Buio”
    2000 Ernesto Ferrero “N.”
    2001 Domenico Starnone “Via Gemito”
    2002 Margaret Mazzantini “Non ti muovere”
    2003 Melania G. Mazzucco “Vita”
    2004 Ugo Riccarelli “Il dolore perfetto”
    2005 Maurizio Maggiani “Il viaggiatore notturno”
    2006 Sandro Veronesi “Caos Calmo”
    (La Costituzione Italiana vince il “Premio Strega Speciale”!)
    2007 Niccolò Ammaniti “Come Dio comanda”
    2008 Paolo Giordano “La solitudine dei numeri primi”
    2009 Tiziano Scarpa “Stabat Mater”

    Quali e quante tra queste opere saranno lette, studiate a scuola, approfondite nelle università italiane, anche solo fra trent’anni? E all’estero?
    Si accettano scommesse.

  10. Se ne salva solo uno, un piccolo capolavoro dimenticato (ma era lì per caso, probabilmente): Mariateresa Di Lascia “Passaggio in ombra”.

    fm

  11. Penso, comunque, che questi libercoli più che stroncati andrebbero ignorati totalmente.

    fm

  12. Forse non solo quello, Francesco – se è vero che si salverà (ma noi non possiamo che scommettere). Era per dire che, in ogni caso, con gli strumenti di cui dispone ancora oggi (ma per quanto?) la critica, la percentuale parrebbe minima.

  13. Harzie, i pochissimi scrittori italiani che hanno espresso Letteratura non sono in quel elenco. Come conclude la Mancuso, oggi sul Foglio, “…gli americani possono godersi il genio di David Foster Wallace. e noi europei (italiani) – superiori e raffinati – dobbiamo accontentarci di Antonio Scurati?

  14. @francesco marotta
    sono d’accordo , lo volevo dire anch’io, Passaggio in Ombra è davvero un piccolo capolavoro, io non l’ho dimenticato e proprio la settimana scorsa ho comprato su una bancarella l’edizione del 1995, la nona.

  15. Mi trovo abbastanza d’accordo con Francesco Marotta. Come scrive un romanziere che stimo, “La lettura è lunga, la vita è breve”…Meglio quindi per la critica (nonchè per i semplici lettori) occuparsi solo di ciò che merita spazio (e tempo) e tutto il resto lasciare nell’ombra.

  16. Harzie, io spero sempre che la critica (e di critici di valore, per fortuna, ne sono rimasti: non sono tanti, ma ci sono), piuttosto che inseguire la “qualità” nel letamaio da cui nascono questi pseudolibri, s’ingegni a elaborare e a costruire strumenti e dispositivi interpretativi nuovi, capaci di approcciare quelle opere “di confine” – fuori formato, fuori genere, fuori canone – poetiche o narrative che siano, nelle quali si spende il meglio (anche se poco, e semiclandestino) della ricerca letteraria nostrana.

    Tanto per essere chiari: vedere Belpoliti alle prese con queste cazzate, fa un po’ senso: un inutile spreco di tempo, di intelligenza e di energie.

    Resta inteso che, questa, è solo una mia idea.

    fm

  17. Tutto il rispetto va per la fatica dell’autrice.

    Ma questi libri ti lasciano la sensazioni de averli letti prima di aprirli: perché non hanno sorpresa, né di forma né di contenuto. Sai giá tutte le cose che avete detto: nessun collegamento con la realtá disfatta del lavoro italiano, nessun tentativo di superare il ribassamento e la semplificazione del linguaggio, tentativo costante di assimilare il leggibile al vendibile, il leggibile allo scorrevole.

    Un libro che si legge tutto d’un fiato (come si sente dire di questo e altri libri) o é un colpo al cuore, una staffilata precisa, oppure é un Harmony da stuzzicarci la testa.

    Se si ha meno di trent’anni nell’Italia di oggi e si é privi di sogni, di voglia di sfondare le pareti, di superare il varco e l’opacitá granitica della realtá, questa, non me ne vogliano i giovani autori che magari credono in altre direzioni, mi pare una blasfemia insostenibile.

    saluti, a.

  18. Una puntualizzazione: ma qualcuno il libro l’ha letto? Io credo che qualsiasi libro valga la pena di una stroncatura, e che qualsiasi stroncatura valga la pena di una lettura. Sennò che stroncatura è?

  19. Io l’ho letto e non posso che concordare con quanto scritto da Belpoliti, anche perché il romanzo in questione è farcito dei peggiori cliché, insopportabili anche per chi, come il sottoscritto, da Piombino se n’è andato tanti anni fa…

  20. Non parlerei mai, bene o male che sia, di un libro che non ho letto.
    L’unica *consolazione*, in questo caso, è che non l’ho pagato: un’amica, che evidentemente le vuole male, l’ha regalato a mia moglie.

    @ Raveggi

    Giusta la precisazione in apertura del tuo commento: qui si sta parlando unicamente del libro, come è sempre giusto e augurabile che sia.

    fm

  21. D’Acciaio, in certi libri, c’è solo la tenacia di farne dei best o long sellers… nemmeno fosse Peter ;P

  22. @ Enrico: Personalmente, come giá mi pare di aver chiarito, non ho letto il libro. Semplicemente perché le soglie, i para-testi etc., mi hanno respinto da subito. Parlavo di una tendenza nefasta.

    Ma quando si tratta di editoria prevedibile, perché un ingranaggio prevedibile, che stritola anche libri buoni e eccellenti, difficilmente ci si sbaglia.

    Sospengo il giudizio su di una cosa: non conosciamo il libro “in entrata” di Silvia. Spesso l’editing falcidia anche le buone intuizioni. É una cosa di cui nemmeno Belpoliti sa, di cui non sapremo, ma é una realtá agghiacciante. Con il rispetto degli editor che ancora credono nel loro lavoro.

    a.

  23. D’ accordo con Biondillo. Via Gemito è un gran bel libro. La figura del padre giganteggia ancora – tragica e grottesca allo stesso tempo- nella mia memoria. Anzi, quel pittore-ferroviere frustrato e incazzoso lo vedo ancora in quegli sbocchi di violenza verbale e fisica alla Stazione di Napoli negli anni cinquanta….Direi che lì Starnone sè proprio superato, nonostante la ( o forse grazie alla) materia così personale e incandescente.
    Pure il libro della Di Lascia non era male. Ma confesso che lo lessi in un periodo di grande “distrazione” personale. Ora , fidandomi della sensibilità letteraria di Francesco Marotta, andrò a rileggermelo, per una verifica.

    PS Nel 1999 non avrebbe dovuto vincere la Maraini, ma Giuseppe Montesano con NEL CORPO DI NAPOLI, straordinaria e impietosa metafora grottesca non solo di “noi napoletani” ma dei tempi, di questi tempi.
    Per il resto credo che abbia ragione Harzie con i suoi quesiti in coda all’elenco.

  24. Maria Teresa Di Lascia, pubblicata postuma. L’ultimo grande romanzo italiano che ho letto (insieme a Di questa vita menzognera)

  25. Se siamo arrivati a Giuseppe Montesano, allora la Strega deve aver dato un colpo benefico.:-)

  26. @Made in Caina
    Grazie, ma non era propriamente una critica a QUEL libro, per il semplice motivo che QUELLO non è un libro ma un prodotto, e dunque non fa conto parlarne entro un discorso letterario bensì, come ho provato a fare nell’articolo del manifesto che, bontà tua, citi, nell’ambito di una interrogazione tra le più urgenti, riguardante gli spazi che il mercato può ancora riservare (e gli editori più coraggiosi preservare) alla sperimentazione e alla ricerca. Un grido, forse, ma disperato no, non mi dispero, perché i libri e gli scrittori ancora (r)esistono, come mi affannavo a ribadire nel pezzo: forse è sbagliato cercarli tra i finalisti dei premi. Se un libro che non è un libro vincerà lo Strega, è semplicemente perché si tratta di un premio che non è un premio, ma piuttosto un campionato di pesi massimi (gli editori, ovviamente e i loro feticci). Quindi non disperazione, direi, ma sdegno e sconforto accompagnati, per citare l’indimenticabile ES, ”dal gesto tipico delle braccia che cascano”.

  27. Concordo con Marotta (2/6, 16:45), la critica, quella che ha voce e spazio su quotidiani e riviste, sarebbe più utile alla letteratura se si occupasse appunto di letteratura, non di bon bon insipidi offerti sul vassoio dal mercato editoriale, tanto più quando essa non indulge nemmeno a quel divertissement calligrafico d’un Eco d’antan, dove un po’ di jouissance per il lettore c’era.

  28. Poi c’è l’effetto domino: non a caso è questo il pezzo più commentato tra quelli recenti, e cosa si commenta? il trash, ma (però) targato Rizzoli, mica va-là-ch’a-vegno. Ricordo uno stimato docente universitario, mooolto materialista e avant-garde, che però, quando doveva scrivere un libro di critica, cosa sceglieva? ma il (solito) Montale, che faceva gioco. Qui è diverso, lo so, ma se la critica non ha di meglio che esercitare la propria ars destruens sul trash-rizzoli, be’, tempi duri…

  29. Non cambierei una virgola della recensione di Belpoliti. Sono perfettamente d’accordo che il libro di Ballestra sta spanne e spanne sopra quello di Avallone (che, d’accordo ancora, non sa nemmeno dove si trova l’acciaieria di Piombino). Ok. Stop. Ora una piccola considerazione.
    Non sarà mica che Ballestra ci piace perché racconta qualcosa che non esiste più ma al quale molti di noi continuano a far riferimento? Certo, Ballestra ha (imparato, ché i suoi primi facevano un po’ pietà) uno stile che Avallone si sogna.
    D’altro canto, Avallone (furba come pochi altri, grazie anche al lavoro dell’ufficio stampa che la “gonfia” – e lo Strega si avvicina a scapito del predestinato Sorrentino) rappresenta l’Italia che E’ oggi, volente o nolente, non avrà stile, non avrà scrittura ma le giovani Anne e Francesche che si muovono nei nostri paesaggi urbani parlano così. Il fatto che la classe operaia non esista più non è colpa di Avallone. Il fatto che l’Italia oggi è un deserto culturale e sociale non è colpa di Avallone. Il fatto che Avallone scriva male sarà anche colpa di Avallone ma mi fa capire come parlano e come pensano quelli che vivono oggi, davanti a me e non quelli che avrei voluto far sopravvivere da un’altra epoca e un’altra storia.
    Tutti noi altri, Ballestra compresa, siamo una piccola enclave assediata…

  30. chissà quanti e quali capolavori chiusi a doppia mandata nei cassetti delle loro scrivanie hanno ‘sti noi altri assediati, assediatissimi…

    [curatevi, la sindrome moresco si può battere]

  31. Eppero’…
    Un libro puo’ vincere lo Strega o comunque diventare un best seller per 3 motivi fondamentali:
    – e’ un buon libro;
    – la casa editrice e’ talmente potente da imporlo comunque sul mercato;
    – la casa editrice sa che tipo di lettore puo’ riservargli il paese, e dunque si adegua.
    In questo caso possiamo scartare (mi sembra di capire, io non ho letto il romanzo) il primo dei tre motivi. Il secondo non funziona in assoluto (se un editore avesse quel tipo di potere potrebbe usarlo anche per un buon libro, uno di quelli che magari si ricordano a distanza di anni, perche’ farlo con le schifezze, a chi giova?). Se dunque il motivo predominante e’ il terzo con chi ce la prendiamo? Un editore non e’ un ente di carita’, fa impresa, bada al profitto, continuare a incarognirsi per cio’ che pubblica non puo’ che fargli gioco, producendo un tipo di effetto che abbiamo imparato a conoscere bene negli ultimi anni. Piu’ i soloni di sinistra tentano di ridicolizzare Berlusconi o descriverlo come il peggiore degli umani, piu’ egli si rafforza fra il “suo” pubblico. Allo stesso modo piu’ la critica illuminata si accanisce contro i Giordani e le Avallone, piu’ i brufolosi adolescenti corrono in libreria a comprare i loro libri. Forse un po’ di silenzio non guasterebbe, o meglio: sarebbe interessante riuscire a concentrare attenzione e sforzi sulla letteratura piuttosto che sprecare tempo e bile sui prodotti editoriali.

  32. @helena janeczek

    Giuseppe Montesano, di recente, ha scritto uno straordinario “romanzo-critica” ( o “critica-romanzata”) : IL RIBELLE IN GUANTI ROSA, sul dandy-Baudelaire, con un occhio molto centrato sull’attualità e che tuttavia non trascura “l’oggetto” della propria analisi, dicendo cose estremamente nuove e interessanti sul vecchio Baud. Secondo me, in un colpo solo cancella il Baudelaire di Sartre (impervio e letterariamente brutto) e quello di Macchia (sontuoso, ma tradizionale).

  33. @ Salvatore D’Angelo, scusi D’angelo, sono abbastanza recente in questo blog, ma dato che anch’io stimo moltissimo Montesano, lei dice che il riferimento a Montesano della Helena Janeczek era sarcastico?

    @Carlo Cannella, concordo pienamente, bisognerebbe cominciare a ignorare i prodotti editoriali, e soprattutto smettere di dileggiare ciò che piace ai barbari che li ingurgitano, i quali, come giustamente osserva lei, se non li lasciamo in pace diventeranno sempre più barbari, non fosse altro per il gusto di danneggiare la nostra spocchiosa e qualche volta immaginaria centralità nella vita sociale.

  34. @ Larry Massimo
    Assolutamento no. Era una semplice precisazione..tanto per dimostrare, ancora una volta, che i “premi” sono eterodiretti dall’influenza delle Case editrici che, di questi tempi, hanno sempre più l’occhio attento ai prodotti del “mercato” e meno alla qualità letteraria. Riprendendo i quesiti di Harzie, se si pensa al periodo 1946-1968, lo Strega è andato a scrittori del calibro di Pavese, Flaiano, Landolfi, Ortese, Moravia (vado a memoria, ne trascuro qualcuno o m’inganno)…comunque nomi che sì, resteranno nella letteratura e saranno studiati, anche perchè così diversi tra loro per stile e i cui testi ancora “parlano”, sanno ancora essere “attuali”.

  35. @Cannella
    Ma davvero lei pensa che gli adolescenti brufolosi (che comunque non esauriscono certo la totalità del mercato) corrano a comprare Avallone perché i critici cattivi ne hanno detto male? Ma quegli adolescenti brufolosi ai critici cattivi, complice proprio il berlusconismo dell’assenza di steccati, gerarchie, competenze, ruoli, ambiti a quei critici cattivi non riconoscono, evidentemente, nessuna autorevolezza. Avallone vende, come già Giordano, perché è in tv un giorno sì e l’altro pure, perché l’ha intervistata la Dandini, e i lettori cui il mercato si rivolge sono prevalentemente le donne (parole esatte di un responsabile del settore commerciale da me interpellato sull’argomento), che hanno accolto con grande simpatia la favola di Cenerentola [sic] imbastita dalla tv. La favola, cioé, della ragazza di provincia che manda due capitoli di un romanzo che sta scrivendo a un editore [un editore a caso? chiede sorpresa Dandini, l’avrai mandato, piuttosto, a vari editori…no, no, conferma orgogliosa Avallone, l’ho mandato subito e solo a Rizzoli] e due settimane dopo riceve l’invito a recarsi a Milano per firmare un contratto. Una favola che ci ricorda il mi sono fatto da solo, per l’appunto molto berlusconiano. Però quello che trovo intollerabile è il prevalere conclamato, nel nostro discorso letterario (dunque nella teoria e nella prassi) del sociolgismo sulle istanze estetiche: leggo McCarthy e trovo valori letterari a ogni livello dello stile, dalla struttura ai singoli passaggi, apro libri come quello di Avallone e ci sento la pretesa o l’imitazione, nel migliore dei casi, di ciò che s’immagina (per ingenuità o eccesso di malizia) debba essere la Letteratura (poi, che i giovani pustolosi parlino come vuole Avallone a) resta tutto da dimostrare; b) può interessare all’interno di un’indagine sociolinguistica, appunto, non di un discorso su un libro candidato a vincere un premio che fu di Landolfi, Morante, Ginzburg, Pavese etc.). Del resto, ancora da un’intervista della succitata Cenerentola, la letteratura è quella cosa in cui le parole fluiscono liberamente, mentre in poesia ogni parola è quella giusta al posto giusto. Ecco come si crede (o si finge di credere) che una zucca possa farsi veicolo, oppure che un prodotto commerciale diventi un libro da premiare. Il dramma è se cominciamo a fingere di crederlo pure noi (noi critici, noi lettori un po’ più avveduti delle spettatrici [sic] avide di favole, noi che l’età delle pustole l’abbiamo superata e dunque quando ci dicono che questo è un romanzo, vogliamo salvaguardati valori estetici minimi per poterlo considerare tale etc.).

  36. In effetti, Canella, concordo con Policastro. L’idea che uno vada a comprare un libro perché il criticone l’ha stroncato è, per lo meno, ottimistica. L’adolescente brufoloso non legge recensioni. E neppure libri. E’ tutto da dimostrare che i lettori di questo romanzo siano solo adolescenti. Persino Moccia non è stato letto da sole ragazzine.
    Poi su questa cosa del “silenzio” (pietoso?) ci credo fino ad un certo punto. Il critico non ruba tempo e spazio alla sua e alla nostra intelligenza se legge un libro “brutto” e poi lo recensisce. E lo dico anche per rispondere a Francesco: non possiamo fingere indifferenza. Lo Strega c’è e performa i discorsi culturali nazionali, anche se non ci piace. Occorre “tenerlo d’occhio”. Anche perché non è mica detto a priori che ci partecipino libri brutti.

  37. p.s. poi, sì, Acciaio è un romanzo. Inutile estrometterlo dal suo paesaggio di forme, a che pro? Non è mica un dipinto o una sinfonia. Poi possiamo pure dire che è un romanzo brutto, sbagliato, etc., ma sempre romanzo resta. Non è certo una attribuzione di merito. Questa ossessione di differenziare l’architettura dall’edilizia, per dire, così vagamente crociana, non la capisco e per come la vedo fa danni. Occupati da sempre a parlare di architettura abbiamo permesso lo scempio del paesaggio da parte della snobbata edilizia.

  38. @ gilda policastro
    che la televisione, e non la pagina culturale di un quotidiano, sia l’ambito prevalente per l’affermazione di un libro, cosi’ come di una bottiglietta di profumo, nessuno lo mette in dubbio. Ma Fazio e Dandini sono forse critici letterari? O non invece prodotti commerciali essi stessi, e imbonitori, e venditori di chincaglierie? Chi e’ disposto a creder loro sulla parola se non un pubblico amorfo e annichilito come puo’ esserlo quello televisivo? Ed e’ davvero importante sapere che riusciranno a far invadere le librerie da casalinghe frustrate e scolaretti non in grado nemmeno di decifrare un orario ferroviario sulla tabella delle partenze? Non crede che il suo lettore, per quanto insignificante in media statistica nella casella dei consumatori, sia piu’ orientato a farsi consigliare una buona lettura, piuttosto che essere invitato al boicottaggio di un prodotto che per finezza di gusto e livello intellettuale personale non sarebbe comunque disposto ad acquistare? Le risorse a sua disposizione sono gia’ cosi’ scarse, perche’ sprecarle inutilmente? Di favole come quella di Avallone se ne conoscono diverse, ce n’e’ una in particolare che la ricalca fedelmente (cambia solo l’editore), e’ davvero importante gridare che e’ falsa e ipocrita? Non e’ forse piu’ grave che a Luigi Di Ruscio vengano dedicate solo paroline di conforto ogni 10 anni? Quello che rivendico e’ fiducia nella forza della ragione, nelle possibilita’ che la tecnologia puo’ darci per la divulgazione della bellezza (non e’ un caso che si cominci a mettere i paletti a internet, a invocare la censura in un mondo “democratico” e “libero”). Nell’attesa che i mostri soccombano l’importante e’ promuovere cio’ che vale, non occuparsi degli escrementi per dire che puzzano. Per ritornare alla similitudine berlusconiana nel nostro paese c’e’ un’opposizione che si sforza in ogni modo, sprecando energie e risorse, di dare del puttaniere e del faccendiere al presidente del consiglio, piuttosto che di mettere in programma un mondo nuovo (nuovo modello di sviluppo, di produzione e distribuzione dei beni, di relazioni). Non incorriamo nello stesso tipo di errore, davvero non ne vale la pena.

  39. @Cannella l’analogia col mondo politico tiene perfettamente, infatti. La sinistra può mettere in campo tutti i progetti di costruzione di un mondo migliore che vuole, ma se il potere esecutivo non l’ha, se le risorse sono negate in partenza (alla scuola, all’università), e, venendo al nostro, se l’editoria è una macchina per vendere, in stretta connessione con le librerie supermercati, dove non trova certo del profumo francese ma la saponetta seriale, se di un libro conta più l’involucro e il titolo (indovinatissimo, qualche anno fa, quello di Giordano, così Gomorra, più citato che letto), se l’orizzonte ideologico in cui ci muoviamo è quello della pubblicità commerciale, se entrando in qualunque libreria ci trova più Avallone che Di Ruscio (anzi, la sfido a trovarlo da qualche parte, un Di Ruscio anche in unico sparuto esemplare sopraffatto in partenza dalle pile avallonidi), riuscire a sostenere il Di Ruscio di turno, appunto, pubblicandolo con enormi sforzi (come ha fatto, non a caso, non Rizzoli, ma fuoriformato di Le Lettere), recensendolo nei pochi spazi aperti rimasti, portandolo all’attenzione di una comunità ristrettissima di lettori competenti è già un supremo sforzo di resistenza, a me pare. E la resistenza si fa contro un nemico, evidentemente, con parola che (lo cito di nuovo, perdonate) piaceva tanto a Sanguineti, che ne aveva tanti, in attivo e in passivo. Il nemico è chiaramente individuato, ed è proprio l’ossessione del romanzo, Biondillo, e di quel romanzo (di giovani, per giovani, specie le spettatrici che sognano o sognavano la zucca) che inizia con ”c’era una volta” e finisce con la firma in calce, come il diario. Mi chiamo Silvia Avallone, come tutti. Parafrasando Walter Siti, che è un peso massimo vero, mai arrivato in campionato.

  40. A che pro tanto impegno critico su “Acciaio”, quando è così facile accorgersi del poco che è?

    Se anche uno solo dei suoi acquirenti lo ritiene compatibile con la letteratura, feconda è soltanto la critica che mette in crisi l’incanto del lettore. Più che un grido d’orrore, serve educare la percezione.

    Un critico deve frugare nelle certezze, anzi deve aggredirle. Il problema è: per chi scrivono i critici? Scrivere che “Acciaio” è pieno di “luoghi comuni”, e scriverlo in un luogo frequentato da lettori attenti, è scrivere un luogo comune. Il critico deve mettere in difficoltà il “suo” lettore.

    È un errore scrivere che non c’è “niente di male” nel meccanismo che porta al successo “Acciaio”. Il problema non è della qualità di quanto viene issato sull’altare, ma l’esistenza stessa dell’altare. Il “sistema” letteratura vive principalmente di questa fede posticcia. Il critico dovrebbe preoccuparsi delle incompatibilità: è nell’eresia che vive ciò che è opportuno. Oppure, se proprio vuole, deve sforzarsi di mostrare i meccanismi che rendono “Acciaio” un libro che non merita di essere letto.

    La mediocrità esiste, è il carattere della nostra epoca. È normale che venga fatta fruttare. Ma la mediocrità non sarebbe tale se non venisse fatta circolare come un virus. La responsabilità maggiore è dell’editore; ma è corresponsabile anche chi, benché irridendole, proietta le ombre dell’opera nel corpo sociale. Bisognerebbe vergognarsi di parlare di cose che non meritano.

    Lo scrittore – la Avallone, in questo caso – è il più banale dei proletari di Lipsia, e come tale, proprio per condizione, incapace di produrre un meritevole “Paradiso perduto”. In “Acciaio” si proietta l’entità segreta della nostra epoca: il ciclo terroristico D-M-D’. Un editore compra l’opera, trasformandola in merce, quindi la vende e ne ricava una quota superiore di denaro. Che si tratti di un’opera piena o vuota di letteratura, poco importa. L’importante è che venga acquistata. Nessuno si può liberare di questo ciclo, neanche gli uffici stampa. Il critico? Parlare di “Acciaio” è togliere spazio al “Paradiso perduto”.

    In altri termini, avendo altri appetiti, non tollero né l’evidente nulla di “Acciaio” né le “frasi fatte” di chi si finge attonito di fronte a questi prodotti. Con un’unica giusta differenza: lo scrittore non è colpevole, chi fa pubblicità all’opera, in qualsiasi modo lo faccia, sì. Esprimo una solidarietà sentita alla proletaria (di Lipsia) Avallone, invitandola però a sfuggire all’abbraccio funesto di ciò che scrive. Il critico? Io eserciterei il mio punto di vista su altre essenze; ma io sono io e posso permettermi solo questo commento.

    ng (posseduto da cioran)

  41. ng (mea culpa) ho dimenticato di segnalare che Belpoliti ha scritto queste recensioni per L’espresso, non esattamente “un luogo frequentato da lettori attenti”, ma un settimanale generalista.

  42. @ Gianni

    Rispondo al tuo commento delle 12.40

    Non è questione di “indifferenza”, a mio modo di vedere, ma di recupero *ecologico* di un minimo “sindacale” di credibilità (e sostanza) etico-critica.

    Fossi un critico, infatti, crederei mio compito (la “sostanza” di cui sopra) restituire ai Di Ruscio di turno il posto che gli compete nella letteratura degli ultimi cinquanta anni; andrei in cerca di altri Di Ruscio; utilizzerei qualsiasi spazio a disposizione, dall’Espresso-al blog-alla rivista specialistica-al bollettino parrocchiale, per attestarne l’esistenza.

    In poche parole: parlerei di *libri* – non di *prodotti*.

    Si potrà obiettare che, alla resa dei conti, anche la pubblicazione di Di Ruscio comporta il suo slittamento nell’area dei “prodotti” – ma le ragioni per le quali una tale equazione non regge, in nessun senso, sono facilmente rintracciabili in alcuni passagi dei commenti targati Policastro e Gambula: inutile ripeterli, almeno per me: sono lì, belli chiari.

    Ciao.

    fm

  43. Io penso invece che un critico debba fare quello e quell’altro, perché non può permettersi di non guardare ciò che accade nel mercato, così come non può farsi fagocitare esclusivamente da quello… poi va da sé che ci vorrebbero più spazi per parlare di quelle opere che di spazio sugli scaffali (o nelle sale cinematografiche, etc etc) non ne trovano…

  44. Be’ ma, fm, tutto si può dire tranne che NI non si occupi di autori come Di Ruscio. Anche per questo possiamo pubblicare, senza pelosità o sensi di colpa, queste recensioni.

    ciao, G.

  45. @ Gianni Biondillo:

    Nella sua risposta delle 12.40, scorgo un riferimento alla mia piccola ossevazione di ieri, perciò colgo lo spunto per ritornarvi brevemente.

    Nel suo commento, spiega di trovare del tutto legittimo che un critico dedichi tempo e spazio anche ad un libro che, per primo, dichiari di ritenere assolutamente non valido; e questo perchè, considerata la grande visibilità di un premio come lo Strega, occorre informarne la gente.
    Ok. Se per critica intendiamo il giornalismo.
    Se però riferiamo la nozione di critica a quel discorso che, condotto in una forma schiettamente letteraria (penso al saggio) o nella modalità dello studio di tipo universitario, si occupa di restituire un’interpretazione di opere a loro volta letterarie, allora dovrebbe soggiacere a criteri altri che non quello rappresentato dalla mera attualità.

    Tenevo a chiarire quale fosse il concetto di critica a cui mi riferivo ieri e a precisare quella che mi sembra essere la linea di demarcazione tra questa e il giornalismo, che dell’attualità è seguace -linea di demarcazione non sempre data per scontata, visto che per molti il buon critico è invece quello che è sempre “sull’onda”.

  46. Mi sono sempre domandato: è giusto che semiesordienti gareggino con autori navigati ed esperti (quest’anno possiamo fare l’esempio del mio concittadino Antonio Pennacchi, col suo “Canale Mussolini”).
    Non vi sembra una lotta impari?
    A Sanremo – per fare un esempio banale – c’è il concorso per i big e quella per le nuove proposte, mi spiego?

    saluti

  47. @ Carlo Cannella

    Lei non ha letto il libro in questione ( acciaio ) eppure è certo che sia un brutto libro. Si produce in una analogia assurda fra il pubblico di B. e il pubblico di Giordano e Avallone. Poi asserisce che Fazio e Dandini ammanniscano alle “casalinghe frustrate” e agli scolaretti imbecilli, entrambi facenti parte di un pubblico decerebrato. Va bene, altri luoghi comuni? Si può smettere per favore di perpretrare quest’idea delle casalinghe frustrate?

    @ Biondillo

    Gli adolescenti brufolosi probabilmente non leggono recensioni, e mi pare anche normale, ma sicuramente leggono libri. Io seguo da un po’ NI e ho fatto una ricerchina: pagine su Di Ruscio più o meno 4, scarsi i commenti, probabilmente questa stregatura ne farà di più.

  48. @Paperinoramone
    Lei dovrebbe impegnarsi a capire quello che legge, faccia uno sforzo, si applichi. Dove starebbe scritto che ho considerato Acciaio un brutto libro? Ho solo detto che mi sembrava inutile che un critico sprecasse tempo e risorse per parlare di un romanzo che (lui, non io) riteneva brutto. Naturalmente si e’ anche inventata l’analogia del pubblico di B. con quello di Giordano e Avallone, il mio discorso faceva riferimento a un certo modo di sputare veleno sulle persone e sugli effetti che questo produce, non sulla similitudine fra i due tipi di “pubblico”. E comunque meglio andare per luoghi comuni che scaricare bile a casaccio.

  49. Un moment!
    Il Baudelaire di Sartre è un testo mitico, smonta l’uomo vile, opportunista, piagnone, conformista, bugiardo, mammone pezzo per pezzo, vite per vite. Il suo limite è che allarga troppo il discorso alla poetica, cercando nei versi la conferma delle enunciazioni precedenti. Ma resta un saggio insuperabile.

  50. L’incipit di TROPPI PARADISI di Siti, simpaticamente parafrasato da Pecoraro, è un calco fedele dall’autobiografia di Erik Satie. Giusto per la precisione.

  51. beh ragazzi che bel balletto di tip tap… come al solito ogni argomento si risolve in un protesto per discutere di opinioni personali che con il punto di partenza centrano sempre poco… ma va bene anche questo.

    per quanto riguarda il romanzo non dico niente. la stronzaturea ne ha sottolineatro vari limiti.

    però vorrei che la si smettesse di farci credere alle favole. alla avallone, che non conosco personalmente, e contro la quale quindi non ho nulla, vorrei però dire che è una sciocchezza perchè oggi si sa che le case editrici non ricevono manoscritti non richiesti.

    non viviamo più in quel mondo là, di quando io avevo 20anni e a Einudi potevi ancora andare a consegnare in via Biancamano un testo. Oggi se un testo approda sulla scrivania di qualche lettore forte di casa editrice è perchè qualcvuno già operante lo riceve o ce lo porta. per cui finiamola con queste pie illusioni a voler dimostrare che ops: il mondo si è accorto di me, ops hanno capito che sono una (uno) bravo! ops: succede propri a me?

    l’unica cosa che i turba è questa.

    per quanto riguarda poi Fazio e Dandini: fanno il loor mestiere, lo vediamo, ogni anno le stesse persone, e ancora i sessantenni che vanno a promuovere il nuovo disco, il nuovo libro, come se fossero nel pieno della vita… i soliti vecchi amici, la solita solfa… che poi uno finisce per farci il callo e crederla anche buona televisione soltanto perchè la concorrenza è peggio, ops… incredibilmente peggio.

  52. Io di Gilda Policastro mi ricordo solo che qui una volta da qualche parte ha citato il fustino del Dash. E adesso ha contrapposto il profumo francese alle saponette.

  53. @ Cannella

    Posso essermi sbagliato, ma lei nell’elencare i tre requisiti che fanno di un libro possibile vincitore di Strega o best-seller, scarta il primo ( che sia un buon libro ). Mi è sembrato che la sua fosse già una certezza. Guardi che il suo discorso sugli effetti che produrrebbero le critiche dure l’ho capito, solo che è seccante questo atteggiamento per cui due scrittori esordienti che vendono parecchio abbiano un pubblico, una massa, gli adolescenti brufolosi e le casalinghe frustrate. Me lo sono inventato io? Non è una mancanza di rispetto questa? Bisogna essere per forza deficienti per acquistare e leggere certi libri? Per il resto condivido il suo discorso sull’impegnarsi a promuovere positivamente piuttosto che a dileggiare, però allora perché lei dileggia masse indistinte di persone?

  54. @ paperinoramone

    Scarto il primo dei 3 motivi sulla base di quanto leggo nella recensione, non certo per convinzione personale (se specifico che non ho letto il libro un motivo ci sara’ no?). E anche il discorso sui ragazzetti brufolosi e le casalinghe frustrate nasce per restare in tema di recensione (leggo: con adolescenti in tumulto come in un manga Made in Italy; il tutto scritto in una lingua posticcia, plasticata come un sacchetto della spesa, un ron ron di frasi fatte, con la pretesa di cogliere il parlato quotidiano di quattordicenni vorticose, casalinghe sfatte e maschi adulti in canotta). Non sono io che offende certe categorie di persone, e’ Belpoliti. E appunto, che necessita’ c’e’, e anche: quali effetti possono generarsi da un tale livello di critica? E soprattutto: chi dedica le sue attenzioni a chi le merita?

  55. @ Cannella

    beh, il mio risentimento era dovuto alle “casalinghe frustrate”, ho creduto che lei lo avallasse. Se ho sbagliato, e questo lo sa lei, mi scuso.

  56. mi chiedo se quanto scrive Belpoliti (che dichiaratamente è pro Ballestra) sia da ritenersi VANGELO! Perchè esprimere sentenze senza aver letto il romanzo Acciaio con definizioni che sono sempre unilaterali….contro Acciaio e Silvia Avallone? Non ci siamo, tantissime recensioni (di autorevoli critici) ne parlano “molto bene” ma non sono da voi nemmeno nominate, appare sempre più che vi sia un accanimento contro Acciaio e mi chiedo perchè. Accusare l’Avallone addirittura di non essere una scrittrice significa dare “dell’incompetente” alla Rizzoli, ad una casa cinematigrafica, a chi in Germania, Francia, Inghilterra, Olanda, Stati Uniti, Brasile ed altri ne hanno comprato i diritti e così pure al Comitato del Premio Campiello che l’ha premiato……..sono tutti incapaci…..solo Belpoliti ha visto giusto! Non aggiungo altro, un cordiale saluto

  57. maurino41, rilassati.
    La fortuna editoriale, anche all’estero, della Avallone non mi pare affatto scalfita dalle parole di Belpoliti, quindi di che lamentarsi? Mi chiedo: un intellettuale come Belpoliti può metterci la faccia e la sua firma su una opinione che è sua e della quale si prende tutte le responsabilità? Oppure dato che un libro è tradotto in mezzo mondo e ne faranno una riduzione cinematografica, occorre adeguare la propria opinione a quella maggoritaria?
    Io, e chi mi conosce lo sa, odio i pregiudizi sui libri che vendono. Se un libro è bello il fatto che sia sulla bocca di tutti o di nessuno non fa differenza. La qualità non si misura nel numero (alto o basso) di copie vendute. Semmai il numero (alto o basso) di copie vendute è un indicatore di altri aspetti socioletterari sui quali si può (e si deve)ragionare.

  58. rilassato lo sono, quello che discuto della recensione di Belpoliti è che è “parziale”,, è una recensione “negativa” di Acciaio e di Silvia Avallone solo per far “rifulgere” I Giorni della Rotonda di Silvia Ballestra ecco perchè non accetto la sua recensione, posso sbagliare ma è quanto si deduce dal suo articolo. Ho poi chiesto come mai “altri intellettuali” (non penso inferiori a Belpoliti) si sono espressi “positivamente” su Acciaio non vengono menzionati, tutto quì, non penso di farne una polemica, mi sembra però che “tanti che non hanno letto il romanzo” siano quelli che ne parlano male, siamo in Italia dove avvengono “stranezze” che diventano verità: sono certo che se Acciaio dovesse vincere lo Strega sarebbe additato da una “certa Parte” come un insulso libercolo e questo in un contesto letterario non è accettabile, come prima cordialmente e tengo a precisare che non conosco l’autrice…..però ho letto il romanzo.

  59. Maurino41, possiamo decidere chi pubblicare o ogni volta dobbiamo fare per par condicio uno spoglio di ogni critica pubblicata per non dare fastidio a nessuno? Se tu hai una recensione bella positiva ed entusiasmente su Acciaio nessuno ti vieta di metterla qui, nei commenti. Se uno degli intellettuali che citi tu me l’avessero mandata magari l’avrei pure pubblicata. Oppure devo andare a questuare a tutti quelli che recensiscono per non sembrare troppo di parte? Ma qui “siamo di parte”, e menomale!
    (Che palle la lagna.)

  60. @Maurino41 sul discorso dei diritti all’estero, vorrei ricordarle il più illustre precedente: ”100 colpi di spazzola prima di andare a dormire”, di Melissa P., il libro italiano (se mi sbaglio mi corigerete, diceva quello là) che ha venduto il maggior numero di copie e di diritti (in 42 paesi europei, leggo on line) negli ultimi deici anni (a proposito, che fine ha fatto Melissa P.?).
    Quanto alle recensioni positive, io ne ho viste in verità pochine e tutte di solito su certi giornali e non su altri, e di fatto anche le più favorevoli contenevano sempre e comunque la fastidiosa specifica sui limiti del libro, innegabili e dunque non negati, ma imputati alla ”giovane età dell’autrice”. A parte che Leopardi all’età di Avallone scriveva le Operette morali, ma poi è proprio questo discorso sugli ”inevitabili limiti” a screditare anche e soprattutto l’editore, che non solo pubblica un libro imperfetto (e basta con l’età perché Nutrimenti ha fatto esordire il ventenne Piccirillo, di recente, di gran lunga più talentuoso della nostra), ma lo manda pure allo Strega, avendone altri in catalogo di scrittori rispetto ai quali la litania degli inevitabili limiti giovanili, quanto meno, ci si sarebbe potuta risparmiare, con grande giovamento del discorso critico, che sarebbe rimasto entro l’embito letterario senza cautele, precisazioni, imbarazzi di sorta.
    Infine, sul rimprovero costantemente rivolto al critico militante di non leggere i libri e di parlarne comunque, o di non leggerli per intero ed esprimerne un giudizio, ma c’è proprio da ribadirlo che esistono oggetti e oggetti, che attivare il circolo ermeneutico per Avallone sarebbe quanto meno risibile, e che un critico come Belpoliti può ben averne sfogliate anche solo quattro pagine e averne saputo valutare peso e misure? All’oste del vino basta l’odore da lontano (così cambio ambito semantico e Ama mi ricorderà non più solo per bucati et similia – sarebbe il giusto contrappasso, comunque, visto che ti ostini a chiamarti come la società di smaltimento rifiuti romana).

  61. H. riporta l’elenco degli ultimi quindici vincitori del Premio Strega:

    “1995 Mariateresa Di Lascia “Passaggio in ombra”
    1996 Alessandro Barbero “Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo”
    1997 Claudio Magris “Microcosmi”
    1998 Enzo Siciliano “I bei momenti”
    1999 Dacia Maraini “Buio”
    2000 Ernesto Ferrero “N.”
    2001 Domenico Starnone “Via Gemito”
    2002 Margaret Mazzantini “Non ti muovere”
    2003 Melania G. Mazzucco “Vita”
    2004 Ugo Riccarelli “Il dolore perfetto”
    2005 Maurizio Maggiani “Il viaggiatore notturno”
    2006 Sandro Veronesi “Caos Calmo”
    (La Costituzione Italiana vince il “Premio Strega Speciale”!)
    2007 Niccolò Ammaniti “Come Dio comanda”
    2008 Paolo Giordano “La solitudine dei numeri primi”
    2009 Tiziano Scarpa “Stabat Mater”

    Quali e quante tra queste opere saranno lette, studiate a scuola, approfondite nelle università italiane, anche solo fra trent’anni? E all’estero?
    Si accettano scommesse.2

    Sarebbe davvero interessante poterla fare davvero, questa scommessa, magari con un più maneggevole dieci anni. Purtroppo si tratta soltanto di esporre un po’ di nomi al pubblico ludibrio di un pubblico amico dal quale (con qualche flebile eccezione a difesa di amici) ci si aspetta il conenso.
    Cosa diremmo se davvero fra trent’anni uno o più di questi libri fosse considerato un ‘classico’? Ribalteremmo il giudizio? Ce la prenderemmo con il popolo bue?
    Difatti S. ci casca subito e cita alcuni scrittori vincenti in anni precedenti dandone per scontata la superiorità. E perchè? Perchè sono ‘rimasti’ mentre i più recenti, gioco forza, non ne hanno avuto il tempo. Il solito ruolo dei classici che servono da manganello contro i viventi.
    (p.s. citare qualche vincitore degli ‘anni buoni’ che non ce l’ha fatta e non se lo ricorda nessuno?)
    Finisce poi che D. cita come vangelo il giornale del partito dove una certa Mancusa paragona in positivo Foster Wallace (aureolta dal suicidio) a Scurati, l’Illeggibile contrapposto all’Innominabile.
    Alcuni dei libri nella lista li ho letti; alcuni mi sono piaciuti, altri no. Ma che conta? Quel che conta è la lista di proscrizione da appendersi in bacheca per lo spazio di un thread.
    Aggiungo: l’eccesso di stroncature può in effetti diventare una posa e farsi caricaturale. Ma James Wood sul New Yorker fa delle stroncature favolose di scrittori anche molto alla moda e sono un piacere per lo spirito (cosa che a volte si può dire anche di Belpoliti)

  62. 1° 1947 Ennio Flaiano Tempo di uccidere Longanesi
    2°1948Vincenzo Cardarelli Villa Tarantola Meridiana
    3°1949 G. B. Angioletti La memoria Bompiani
    4°1950Cesare Pavese La bella estate Einaudi
    5°1951Corrado Alvaro Quasi una vita Bompiani
    6°1952Alberto Moravia I racconti Bompiani
    7°1953 M. Bontempelli L’amante fedele Mondadori
    8°1954Mario Soldati Lettere da Capri Garzanti
    9°1955Giovanni Comisso Un gatto attraversa la strada Mondadori
    10°1956Giorgio Bassani Cinque storie ferraresi Einaudi
    11°1957Elsa Morante L’isola di Arturo Einaudi
    12°1958Dino Buzzati Sessanta racconti Mondadori
    13°1959 Giuseppe Tomasi di Lampedusa Il Gattopardo Feltrinelli
    14°1960Carlo Cassola La ragazza di Bube Einaudi
    15°1961Raffaele La Capria Ferito a morte Bompiani
    16°1962Mario Tobino Il clandestino Mondadori
    17°1963Natalia Ginzburg Lessico famigliare Einaudi
    18°1964Giovanni Arpino L’ombra delle colline Mondadori
    19°1965Paolo Volponi La macchina mondiale Garzanti
    20°1966Michele Prisco Una spirale di nebbia Rizzoli
    21°1967Anna Maria Ortese Poveri e semplici Vallecchi
    22°1968Alberto Bevilacqua L’occhio del gatto Rizzoli
    23°1969Lalla Romano Le parole tra noi leggere Einaudi
    24°1970 Guido Piovene Le stelle fredde Mondadori
    25°1971Raffaello Brignetti La spiaggia d’oro Rizzoli
    26°1972Giuseppe Dessì Paese d’ombre Mondadori
    27°1973Manlio Cancogni Allegri, gioventù Rizzoli
    28°1974Guglielmo Petroni La morte del fiume Mondadori
    29°1975Tommaso Landolfi A caso Rizzoli
    30°1976Fausta Cialente Le quattro ragazze Wieselberger Mondadori
    31°1977Fulvio Tomizza La miglior vita Rizzoli
    32°1978Ferdinando Camon Un altare per la madre Garzanti
    33°1979Primo Levi La chiave a stellaEinaudi
    34°1980Vittorio Gorresio La vita ingenuaRizzoli
    35°1981Umberto Eco Il nome della rosaBompiani
    36°1982Goffredo Parise Sillabario n.2 Mondadori
    37°1983Mario Pomilio Il Natale del 1833 Rusconi
    38°1984Pietro Citati Tolstoj Longanesi

    Oggi se non era l’acciaio era qualche altro metallo più o meno nobile o qualche elettrodomestico…

  63. Ripeto: in questa nuova lista, che immagino d’onore dove la prima era di proscrizione’ vi sono un certo numero di scrittori ampiamente dimenticati (Angioletti? Brignetti? Dessì? Gorresio?) e altri che, sospetto, non sarebbero graditissimi su NI (Citati? Eco? Bevilacqua? Moravia?).
    Il punto che volevo far notare però era un altro: questi scrittori – quelli che secondo noi oggi ‘meritano’ – hanno avuto TEMPO di diventare ‘indiscutibili’, il TEMPO s’è incaricato di selezionare e distinguere – mentre per i moderni questo tempo non c’è ancora stato e non può esserci se vengono giudicati in base alla loro conformità a modelli precedenti. All’epoca le loro vittorie erano indiscusse e indiscutibili? Cioè, si premiava sempre e solo il meglio o per lo meno lo si faceva solo con in mente criteri estetici assoluti (francamente mi sembra di ricordare uno sketch dei Mostri – 1963 – in cui Gassman vestito da donna pilotava le votazioni di un premio letterario per far vincere l’amante mediocrissimo scrittore)? All’epoca non si accusavano cricche e cordate e consorterie di aver pilotato questa o quell’altra vittoria? Sul lungo periodo la cosa conta? Dovebbe contare adesso? Inoltre, se questa Avallone non dovesse vincere cosa diremmo, che è una vittoria del Bene contro il Male o che ha vinto una consorteria contro un altra?
    (il Goncourt a Proust è stato sputtanato da quelli a Rene’ Maran ed Henry Pourrat?)

  64. @Sacha:
    certo che il tempo conta nel giudizio su un’opera, ma questo non significa che un critico debba astenersi dal dare il suo di giudizio, rischiando anche di sbagliare (e ci mancherebbe…). Che poi il critico mica deve limitarsi “soltanto” a scovare le opere che resisteranno nel tempo…

  65. @Sascha

    Che ci vuoi fare, il gusto uno se lo forma sulle opere del passato, sulla fiducia in un certo canone, e se le opere tramandate come “classici” ci inducono per comparazione a giudicare brutta un’opera contemporanea, è una responsabilità che ci dobbiamo prendere.

    Io comunque ne facevo una questione a) statistica e b) di mutamento d’epoca, altrimenti avrei risparmiato il lavoro a Saya. Ma se non l’hai capito prima, non sto certo qui a spiegarti. Se pensi davvero che “si tratta soltanto di esporre un po’ di nomi al pubblico ludibrio di un pubblico amico dal quale (con qualche flebile eccezione a difesa di amici) ci si aspetta il conenso”, con me caschi male, malissimo. Adieu.

  66. No: il punto è semplicemente un altro, cioè la difficoltà di rendere conto del presente basandosi sul passato.
    Lo diceva giusto qualche anno fa Alain:

    ‘Se l’Amleto cadesse dal cielo nudo e crudo, senza il lungo corteggio degli ammiratori, i critici non lo prenderebbero sul serio e apparentemente non a torto. Forse non si troverebbe neppure un uomo di gusto per accogliere l’opera così com’è. Ognuno si è formato un’idea del bello secondo un gran numero di oggetti venerati. Ma come questa idea non può in nessun modo produrre un’opera nuova, così non può neppure adattarsi a un’opera nuova: perchè l’idea è nell’opera, e nuova come l’opera stessa. In ogni tempo i critici hanno sperimentato le loro regole e si sono sempre sbagliati. L’autorità di un capocomico, un attore amato, un uditorio di marinai a cui ogni spettacolo piace, ecco i primi sostegni delle opere mediocri e anche delle più belle. Allora comincia il vero lavoro della critica, che ha lo scopo di trovare le idee nell’opera’.

    ‘Ho spesso compianto l’opera nuova, che viene a trovarmi senza nessun seguito, non ancora sorretta dall’applauso degli uomini. Mi trovo allora nella situazione di un giudice del tribunale correzionale che, non appena l’accusato ha aperto la bocca, già prepara i mesi di prigione e el motivazioni. Con lo stesso sospetto considero il mio autore lo sorveglio, lo attendo al primo sbaglio. Grazie a questo sguardo ostile lo spirito perde subito ogni facoltà di veder chiaro’.

    Il resto qui; è il numero 28
    http://www.scribd.com/doc/6074345/Alain-Propos-Sur-lEsthetique

    Detto molto brevemente: ci vuole una certa ampiezza di spirito per leggere allo stesso modo Pavese, Soldati, Lampedusa e la Ortese – che noi SAPPIAMO essere importanti – e Veronesi, Ammaniti, Giordano e Scarpa che, allo stesso modo, SAPPIAMO non esserlo. Il critico che ne vale la pena sarebbe quello in grado di leggerli esattamente allo stesso modo, cosa molto difficile.

  67. A proposito della lista di ‘eccellenza’, quella dal 1947 al 1984: ne’ Pasolini ne’ Calvino.
    Beh, Calvino almeno può consolarsi con l’essere stato l’unico italiano mai arrivato in finale al premio Hugo, il più importante premio di fantascienza che ci sia, con le Cosmicomiche…

  68. Che si mettano in dubbio il giudizio e il valore di Belpoliti o della Policastro denota solo quanto sia diffusissima in questo paese, ridotto da chi lo governa a una delirante farsa quotidiana, l’abitudine a non accettare più l’evidenza senza neppure provare un pò di pudore.

  69. E sicché non essendo scansafatiche, non mi permetto di giudicare un libro aprioristicamente dalla copertina, ma neppure uno stacanovista, sono andato a vedermi il booktrailer di Acciaio, posso sentenziare che dopo la sigla di Jeeg Robot mi sono sentito molto a disagio. Non so se per un senso di imbarazzo, ma l’effetto che mi ha fatto è stato simile a quando si incontrano dei turisti italiani all’estero. Ecco io mi sono sentito in questo modo, in imbarazzo per lei, o forse per il prodotto in sé, in quanto ri-produceva qualcosa ma di abborracciato, di approssimativo ma fatto bene, come gli Italiani… . Ecco, ho capito, forse che mi sono sentito in imbarazzo per la letteratura?

  70. E della condizione delle donne di quest’Italia che ne pensi?
    Vorrei una donna che potesse scegliere la propria vita. Che sia escort, casalinga, donna manager, l’importante è che sia messa in condizione di avere la possibilità di costruire il proprio futuro.

  71. Non so, ma credo che le donne vivano il peccato originale di nascere in un paese ipercattolico. E che in proporzione alle donne i maschi di questo paese siano esteticamente in difetto, brutti e a volte orrendi. Lo vedi attraversando le strade di giorno. Almeno dove io vivo.
    Quindi, finché non vi deciderete a rieducarci al rispetto di noi stessi, non vivrete mai felici in uno stato come questo.

  72. G. P. mi faresti un modello di donna a cui ti senti profondamente vicina? Un modello pratico, non un’astrazione. Per astrazione intendo un concetto tipo la caslinga, la ecc… ecc…; non ovviamente Margherita, Lucia o Juliette.

  73. Se la ridono e se la cantano da soli.
    Qualcuno scriveva che il mercato sembra un mondo a parte rispetto a chi legge e recensisce… Ed è esattamente questo il dramma… Ma come può essere altrimenti se in Italia le librerie dove si vende, cioè quelle di catena sono di proprietà di editori e i distributori sono di proprietà di editori? E i giornali che recensiscono e lanciano i talenti sono sempre degli stessi editori?.
    Il libro è un prodotto, e fare libri, scriverli, pubblicarli, è tutti i giorni lotta senza quartiere per tirare una coperta troppo corta… perché il libro non è “solo” un prodotto. Eppure per massimizzare i profitti… Io trovo Acciaio un libro molto furbo, appunto… Un libro “anonimo” come tutti i libri di questi ultimi anni.

  74. com’è, meglio come poetessa la avallone? ho visto che era tra i finalisti del premio cetona verde 2009, vinto da massimo gezzi. dobbiamo rammaricarci che abbia abbandonato il verso? qualcuno sa?

  75. Leggere l’articolo di Belpoliti non fa che farmi domandare, ancora una volta, perché la Rizzoli, proprio quest’anno che la Mondadori, in teoria, sembra non intenzionata a cannibalizzare il premio Strega, e con un libro molto bello e importante come quello di Silvia Ballestra, abbia deciso di puntare su un libro irrisolto come Acciaio. Che tentino di seguire la scia lasciata da Giordano? Che puntino sull’avvennenza dell’autrice? Che non capiscano nulla di come funziona il mercato (i tanti soldi spesi in pubblicità e i pochi tomi venduti finora, forse, lo dimostrano)? Nei fatti la Ballestra ha scritto un libro importante. Leggetelo, se posso permettermi un consiglio.

  76. Silvia Avallone è nata a Biella nel 1984, si è laureata in filosofia presso l’Università di Bologna, città dove attualmente risiede e prosegue gli studi in Lettere moderne. Sue poesie sono apparse sulla rivista ‘ClanDestino’ e su ‘Nuovi Argomenti’. Ha pubblicato la raccolta di poesie ‘Il libro dei vent’anni’ (Edizioni della Meridiana, Firenze 2008), vincitrice del premio Alfonso Gatto per l’opera prima. Ha ideato e diretto il festival di poesia ‘Parole di sassi e di vento’ e ha curato e condotto diverse trasmissioni radiofoniche di poesia e musica italiana. Collabora con il Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna, per il quale ha ideato e diretto il festival di poesia a teatro “Nel vento, nell’opera del mondo”. Infine ha scritto un tatuaggio sull’omero sinistro.

  77. @ monina
    con tutto il rispetto non è che il libro della -Ballestra sia un capolavoro,eh sa di temino da DSE rai anni 80 alle 2 di notte,,non necessariamente è un merito !!!

  78. ancora per Monina:non credo che il libro della avallone abbia venduto poco,fa su e giu dalle classifiche da 4 mesi,magari ai piani medio bassi,ma si vede in classifica

    che poi abbiano speso molto x pubblicizzarlo,è probabile

    cmq signori,il libro di Giordano era un signor libro,non paragoniamolo a quello della avalllone,per favore eh!

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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