La responsabilità dell’autore: Marco Giovenale

[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi, Ferruccio Parazzoli, Claudio Piersanti, Franco Cordelli, Gherardo Bortolotti, Dario Voltolini, Tommaso Pincio, Alberto Abruzzese, Nicola Lagioia, Christian Raimo, Gianni Celati, Marcello Fois, Laura Pugno, Biagio Cepollaro, Ginevra Bompiani, ecco le risposte di Marco Giovenale.]

(FINIS ITALIAE)

1) Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Premetto che mi sono trovato in singolare sintonia, per più ragioni e su più punti se non in tutto, con le risposte di Bortolotti e Mozzi. Non so quanto possa aggiungere a molte delle loro osservazioni; tento, in ogni caso. (Calcando su qualche differenza, forse, in modo tale che non si senta eccessivamente quanto – e con che energia – io concordi con loro).

Sulla poesia italiana, non posso dire che manchi di “vitalità”, per quel che vedo e mi pare di capire. Non è certo la vitalità a mancare, in questo momento; lo dico pensando non solo alle scritture che sento affini all’“idea di poesia” che ho, ma anche in generale, e guardando pure alla ricchezza di proposte della rete.

Sulla narrativa, devo ammettere di non avere sufficienti dati. Specie a proposito del romanzo. Non leggo romanzi, non riesco (per mio gusto) a sentire, ad apprezzare, la stessa forma romanzo. Mi è quasi totalmente estranea, specie se è ad autori italiani che ci riferiamo. Ho poco tempo per affrontare romanzi e quando lo faccio ne resto in pratica invariabilmente deluso, assai sconfortato. Sarà un problema mio, anzi sicuramente lo è. Dunque non posso dire di avere il diritto di uscire dal campo strettissimo di un gusto soggettivo iperconnotato, in quest’area, per esprimere opinioni su uno stato di fatto addirittura nazionale.

2) Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?

La mia impressione è che l’industrializzazione non “frena”. Semmai “frenò” la qualità, o una certa idea di qualità (che magari era perfino giusta, per certi aspetti).

Attualmente il piano quantitativo – credo in ulteriore crescita – della produzione di scrittura (anche gratis, non penso solo a quella che arriva nelle librerie) eccede per molti aspetti le schematizzazioni e organizzazioni su base “qualitativa” a cui eravamo abituati. (Senza contare, ma dovendo considerare, che grandi mutamenti quantitativi impongono o da tempo hanno indotto una serie di torsioni delle linee o insiemi di linee di idee che orientano o orientavano taluni concetti stessi di qualità).

3) Ti sembra che le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali rispecchino in modo soddisfacente lo stato della nostra letteratura (prosa e poesia), e quali critiche faresti?

In verità – da qualche tempo – sono un lettore di quotidiani totalmente discontinuo. Pour cause? Forse.

Quando ho iniziato a leggere maniacalmente poesia e prosa nelle loro varie forme, riviste come “Testuale” arrivavano addirittura nelle librerie, almeno in alcune; sui quotidiani c’erano paginate di cultura e ricerche, indagini, curiosità. Datazione al carbonio14: metà degli anni Ottanta del ‘900. Perbacco, c’era perfino in quegli anni stercorarissimi una resistenza (culturale, anche) a quel che stava succedendo… Chi l’avrebbe detto…

Invece. Se adesso cioè oggi trovo in “terza”, una volta sì e l’altra pure, Eco e Merini e Simenon e Moccia e Ammaniti, e Veltroni, non posso comprare il giornale. Stimo quasi tutti costoro, ovvero quasi nessuno di loro, ma il problema mio è forse con le forme iterative.

Poi c’è un ulteriore ostacolo legato al bottone automatico delle monete, nel mio portafogli. Non si riesce ad aprire. Di solito si apre. Quando non si apre, quando rimane sigillato e io devo arrossire e scusarmi con l’edicolante ritirandomi, scopro poi, sfogliando gratis La Repubblica al tavolo di un bar, che era uscito un articolo sulla Merini. Deve esserci una spiegazione razionale, me lo dicono tutti. Forse c’è una liaison paranormale tra quei nomi, o nomi simili, e il  portamonete.

Ovviamente, quando non ci sono Ammanon, Mocciti, Ecorini eccetera, c’è un articolo su Caravaggio. O su Eco e Caravaggio. O su Hirst e Caravaggio. O su Neruda lettore di Simenon. O su quale personaggio di Sex and the city Simenon avrebbe taggato sul suo profilo facebook. Eccetera.

Effettivamente devo dire che vorrei che esistesse una terza via, tra celebrità e nullità, per la terza pagina. Che esistesse una terza terza pagina con ‘analisi’ (con qualche recensione che sappia citare il libro, non solo elogiarlo o massacrarlo o pubblicizzarlo); mentre l’impressione che ho è che non si faccia – da un pezzo – analisi testuale; o che non si faccia con quella frequenza che tempo addietro era prevista dalle pagine culturali. (Intendo analisi condotte con gusto e spirito, wit, acutezza: quel modo normalmente affabile & affidabile, non superficiale, che aveva Giacomo Debenedetti, per dire). Ovviamente ci sono eccezioni eccezionalissime. Penso per esempio ad alcuni redattori di Alias e del Manifesto. Se leggi una recensione di Cecilia Bello Minciacchi, per fare nomi, leggi un bel brano di critica letteraria, arrivi a sapere di cosa parla il libro trattato, ne hai tracce testuali abbondanti, e raccogli grazie a lei tutti gli elementi per sapere se trovarti (o meno) in sintonia con la lettura, se – cioè – acquistare l’opera in libreria. È la critica letteraria che funziona, questa, penso. Non ne individuo moltissima in giro; ma, ripeto, forse sono io che giro poco, o sono fissato e ho poca dimestichezza con varie pagine di vari quotidiani.

4) Ti sembra che la maggior parte delle case editrici italiane facciano un buon lavoro in rapporto alla ricerca di nuovi autori di buon livello e alla promozione a lungo termine di autori e testi di qualità (prosa e/o poesia)?

Oddio, se ci penso, no. Direi di no. Altrimenti vedrei altri libri nello scaffale di Feltrinelli, cioè delle librerie generaliste. Se vedo i libri che vedo, le case editrici, soprattutto le maggiori, devono evidentemente fare un lavoro orribile e deludente. (Rispecchierà forse una fase storica? di una società precisa? magari italiana? dev’essere, anche questa, una deformazione dello sguardo).

Quello di molti editori sarà dunque un lavoro quasi sempre al ribasso? Addirittura. Probabile. Impressioni: vado per impressioni; mi rendo conto che sono un brontolone, con queste risposte. Non ci posso fare niente.

Ma… Vero è che ci sono belle eccezioni. Editori che scovano e scavano gioielli mica piccoli. Ma incappano nelle strettoie del sistema distributivo. Ergo, non arrivano in scaffale. Pensiamo a tutta la collana fuoriformato (Le Lettere). Ha autori della madonna (ovviamente escluso me), tipo Villa, Magrelli, Costa, Rosselli (2 addirittura!), Reta, Di Ruscio, Vicinelli, eccetera. Si vede negli scaffali? Non facilmente, non sempre. Troppo poco. Idem dico per la collana Arno, di Lavieri. Così è.

Ma quello distributivo è un altro problema ancora. (Forse “il” problema).

Addendum, a parziale smentita di quanto detto: se si visita www.isbf.it si trovano testi non di buon ma di ottimo livello. Stampati da editori che non sono sempre (o soltanto) majors. (E anche le majors, stando agli elenchi di Dedalus/Pordenonelegge, non sono quei dromomani sforna-bestsellers fissati che dipingo di solito).

(Ah, in questi giorni, proprio per citare un piccolo editore di qualità, è uscita la prima traduzione italiana in volume delle poesie di Ernst Stadler: grazie all’editore Duepunti. Era dagli anni ’80, quando lessi Verità e poesia di Michael Hamburger, che cercavo speravo senza successo che qualcuno traducesse e pubblicasse – per me digiuno di tedesco – i testi di Stadler. Magari adesso scoprirò che non mi piacciono più tanto: ma almeno posso leggerli..).

5) Credi che il web abbia mutato le modalità di diffusione e di fruizione della nostra letteratura (narrativa e/o poesia) contemporanea? E se sì, in che modo?

Le conseguenze dell’arrivo della rete non sono ancora forse pienamente percettibili nel nostro paese. Come attivista (dromomane) della e nella rete, sono il peggior personaggio a cui rivolgere la domanda. Ma è pur vero che navigo assai meno in aree italofone rispetto alle anglofone.

Comunque. Direi che web gioiosamente permette a tanta poesia e nuova scrittura di diffondersi (a macchia virale). Indico sempre la ipertrofica (ma non più aggiornatissima, ammetto) pagina di link di gammm, per spiegare quel che intendo: http://gammm.org/index.php/links. Ma si può visitare con goloso profitto anche la sidebar di http://weeimage.blogspot.com, per buttare uno sguardo a cosa succede nel mondo dei blog e delle riviste o pubblicazioni online (in quest’ultimo caso soprattutto per l’arte e la poesia visiva).

Il numero di riferimenti è, per certi aspetti, perfino disorientante.

Uhm… Mi rendo conto che in ogni caso la domanda diceva “nostra letteratura”. Certo: per l’Italia vale lo stesso discorso. La diffusione di tante opere, la possibilità di fruire per “bits”, pezzettini, anticipazioni, antologie, una quantità di testi, è dirimente non solo per spingere all’acquisto del libro di carta, o per far conoscere un autore altrimenti assente dagli scaffali, ma talvolta proprio per affrontare interamente e integralmente un testo solo nella lettura “a video”. (A cui molti oppongono resistenza, ok).

Poi quando il piano del Capitale punterà massicci investimenti (e mirino del fucile, considerando i profitti) sull’ebook, molte cose nella filiera del libro (molte più cose di adesso) cambieranno. Ma – logicamente – non possiamo con troppa facilità prevedere come.

6) Pensi che la letteratura, o alcune sue componenti, andrebbero sostenute in qualche modo, e in caso affermativo, in quali forme?

Con festival? A scuola? Con corsi gratuiti? Ok: tutto. Tutto può/potrebbe funzionare.

E: la questione, assai spinosa, di (eventuali) finanziamenti alle case editrici, forse, è stata – almeno nell’area della saggistica – condotta a soluzione talvolta da alcune imprese più o meno legate all’università (istituzionalmente o occasionalmente). Pensiamo a convegni e (spesso) mostre. Si stanziano dei fondi, si paga una pubblicazione, si ripaga il costo di stampa del libro. L’editore è contento. Gli autori abbastanza. I lettori raramente. Essendo in sollucchero per l’incasso, l’editore non distribuisce in libreria. O non lo fa – diciamo – volentieri. Ci sono eccezioni. Così come, del resto, ci sono convegni autofinanziati dai convegnisti. Così come ci sono editori che, preso il finanziamento, spariscono nel nulla per anni. Così come, al contrario, altri editori prendono i finanziamenti, fanno il libro, e lo distribuiscono o fanno il possibile (anche in rete) per promuoverlo. Eccetera.

Insomma, è un casino. La situazione è complessa. Ma devo ammettere che – personalmente – non amo il finanziamento pubblico della letteratura. Anche se per certi casi (la poesia) sarebbe manna. Ma anche lottizzazione, clientela, e via mugugnando (sensatamente). Non ho una soluzione. È un rompicapo. Il gomitolo non si scioglie. Datemi la Bacchelli, che aspettate? Almeno Nazione Indiana apra una sottoscrizione, ehi.

7) Nella oggettiva e evidente crisi della nostra democrazia (pervasivo controllo politico sui media e sostanziale impunità giuridica di chi detiene il potere, crescenti xenofobia e razzismo …), che ha una risonanza sempre maggiore all’estero, ti sembra che gli scrittori italiani abbiano modo di dire la loro, o abbiano comunque un qualche peso?

Tranne casi citati ed evidenti come quello di Saviano, incisivo/inaggirabile, e dunque oltre la conseguente accelerazione del volano della visibilità della sua (sacrosanta) denuncia, penso di no. In questo post ho messo giù qualche (sconfortato) appunto. Non mi pare si possa coniugare “peso” (incisitività, echi) e “scrittore”. Quante volte Tabucchi ha lanciato a molti politici critiche fortissime – quanto assolutamente inutili? “Ed è Tabucchi!” (esclamiamo in coro nel nostro baretto).

Beh. A volte mi sembra che a dover esser rifondato non sia un comunismo, o un anarchismo, ma l’alfabeto della convivenza. Nel paese “passano” cose (delle leggi, delle prassi, dei comportamenti: dalla coda alle casse, agli sgambetti tra amici, alle piratate delle auto) che sono illogiche, delle robe lesive e suicide prima ancora che negatrici di bon ton oppure evitabili in virtù di una qualche pregressa azione civile, politica, culturale, o che so io. Il mondo out of joint, sgangherato, mi pare sommamente delibabile & esemplato nella tramontana forte da finis Italiae che da quasi vent’anni soffia in crescendo.

8) Nella suddetta evidente crisi della nostra democrazia, ti sembra che gli scrittori abbiano delle responsabilità, vale a dire che avrebbero potuto o potrebbero esporsi maggiormente e in quali forme?

Un’esposizione priva di Spettacolo non passa, di solito (o, qui e ora, non passa incidendo), se appunto è “dello Spettacolo” la nostra società.

E però, ciò detto, aggiungo:

Con altri autori ho dato, personalmente, vita a una forma di protesta chiamata “Sciopero dell’autore”. Molto criticata anche da amici fortemente schierati in politica. Tante e tali sono state le critiche, che ho iniziato non solo e non più a ritenere ma proprio a convincermi che quello sciopero fosse sensato. (Cioè che non fosse impeccabile, ok, né sempre praticabile, né “risolutivo”, certo; ma sensato sì).

Ma non è sensato, sottolineo, se non gli si affianca una parallela prassi di militanza, auto-organizzazione, attività politica-politica anche al di fuori della letteratura, eccetera. (Questa è una esplicita autocritica: mancando io ora, per ragioni varie, di moltissime attività simili).

E ancora, in particolare, penso anche che se una parte consistente dell’attuale dirigenza di sinistra non sgomma via di gran carriera dalla scena, sarà dura trovare interlocutori. (Anche – ma non solo – per chi si occupa di testi).

Detto ciò, ho ben chiaro che oltre al “Signor B.”, c’è un contesto ossia un nemico maggiore e non scalfibile. Ampio, storicamente presente come non mai, parlante/legiferante. Come detto sopra, è lo Spettacolo, di cui s’è scritto abbondantemente circa mezzo secolo fa. E che continua a essere l’amnio del commercio globale, dell’indistinzione delle merci, della vendita e ormai svendita dei corpi, della condanna – insomma – non solo e non tanto delle visioni rivoluzionarie, ma anche delle più modeste realtà riformiste.

Quella di troppi sarà generosità inutile. Se sei inquadrato (nella doppia accezione del termine), duri il tempo dell’inquadratura. (Dell’inquadramento). (E sempre “come immagine”, nell’efficacia discorsiva; e “come corpo”, nelle mazzate ricevute).

9) Reputi che ci sia una separazione tra mondo della cultura e mondo politico e, in caso affermativo, pensi che abbia dei precisi effetti?

C’è una separazione (e dunque ci sono effetti, che leggiamo nelle prassi sopra elencate), sì. Penso ci sia. C’è o la percepisco nettissima nel momento in cui constato l’abissale ignoranza, in termini di cultura (anche) letteraria del nostro contesto politico.

Io lavoro da circa dieci anni in una libreria che tratta volumi fuori catalogo. Il posto è non lontano da uno dei due rami del Parlamento, e dai relativi cinguettii. I politici – a prescindere dal loro colore – e fatte salve poche eccezioni (bipartisan, si direbbe) svolazzano e passano e passeggiano e cazzeggiano davanti alla vetrina gettando un’occhiata dentro come se guardassero – da una distanza infinita – l’interno di un cimitero delle auto.

D’altro canto, avendo loro contribuito potentemente allo sfasciarsi del tessuto culturale del paese (televisioni commerciali, Rai lottizzata rincretinita, università a pezzi, scuole alla frutta, ricerca ammutolita, eccetera), è logico che guardino i libri come si guardano delle carcasse. Dal mio punto di vista posso dire che i morti non riconoscono i vivi; dal loro punto di vista, il morto sono io.

10) Ti sembra opportuno che uno scrittore con convincimenti democratici collabori alle pagine culturali di quotidiani quali “Libero” e il Giornale, caratterizzati da stili giornalistici non consoni a un paese democratico (marcata faziosità dell’informazione, servilismo nei confronti di chi detiene il potere, prese di posizione xenofobe, razziste e omofobe …), e che appoggiano apertamente politiche che portano a un oggettivo deterioramento della democrazia?

Uno scrittore che abbia non solo uno straccio di idea di democrazia, ma che semplicemente covi minimo 2 neuroncelli sapidi tra cui scocca scintilla, non ha modo di toccare “Libero” o “Il Giornale” nemmeno in edicola. Scottano, tanto sono faziosi e volgari. Scrivere sulle loro pagine, oggi, per me equivale a scrivere su “La difesa della Razza” nel 1938.

Hai voglia, dopo il ’45, a dire “ma io mica ero razzista, scrivevo ricette di cucina e recensioni di ikebana”. Sei uno che ha scritto su “La difesa della Razza”. Punto.

(E ci hanno scritto in tantissimi: l’indice dei nomi fa vomitare).

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45 Commenti

  1. ma no, il foglio ormai è qui considerato leggibile, lo hanno affermato più volte … sarà per via del divorzio di veronica …vassapè ;-)

  2. Se sente una voce intima, vera che parla della sua esperienza fatta di passione. Ho molto apprezzato la descrizione dei politici avanti alla libreria con un immagine di un’ironia terribile. Ho molto apprezzato l’intervista, perché Marco Giovenale non si è limitato a una risposta generale, ha dato la sua opinione con un sentimento di vita. Perché la vita circola in un libro o in un giornale. La lettura o la scrittura riguarda l’umanità.

  3. Libero e il giornale sono faziosi, beceri e razzisti ma francamente non li paragonerei alla rivista La difesa della razza.

    Ho sotto gli occhi una pubblicazione del 1997 che accompagnava una mostra realizzata dalla Soprintendenza per i beni librari e documentari della regione Emilia Romagna , La Menzogna della Razza.

    Il catalogo riproduce materiale diverso, cartoline illustrate, brani di giornali, satira razzista, fumetti, manifesti murali, volantini, stampati propagandistici , riproduzioni di leggi , disposizioni prefettizie o comunali antiebraiche, brani di romanzi coloniali ed esotici, con il fine di documentare il pregiudizio razzista, antisemita e anticomunista del regime fascista e la pervasiva martellante propaganda che lo sostenne.

    Il titolo della mostra è una parafrasi di quello della rivista fascista, La menzogna della razza e tra le tantissime illustrazioni riporta molte sue copertine che hanno ,quasi sempre ,come soggetto ebrei, negri,volti distorti, caricaturali , in espressioni fatte passare per aggressive e minacciose prendendo a pretesto semplicissime diversità naturali che tutti i volti hanno.

    La prima copertina dà tutto il senso di quello che la rivista andrà a fare, tre volti, uno “ariano” separato con un gladio da possibili contaminazioni con “semiti” e “camiti” , un profilo dal naso adunco e la fotografia di una ragazza di etnia Shilluk dalle labbra sporgenti, proveniente probabilmente dal fondo fotografico di Lidio Cipriani, che con i suoi tre viaggi in Africa si era prefisso di colmare il vuoto , secondo lui, mancante negli studi antropologici al fine di dimostrare l’irriducibile ‘inferiorità mentale delle razze africane .

    La rivista era collegata culturalmente e concretamente al manifesto razzista del 1938.

    Ecco per dire che paragonare la beceraggine, la volgarità e il razzismo contro gli stranieri dei giornali berlusconiani e per di più gli scrittori che vi collaborano dal punto di vista letterario, con questa storica rivista mi sembra una notevole forzatura culturale e politica. Sì perchè chi collaborava allora non scriveva cose proprie ma articoli a sostegno politico della linea “editoriale” della rivista. Il che mi pare cosa assai diversa.

  4. Una domanda di tono a Giovenale, di cui seguo da anni il lavoro pur senza condividerne gli scopi (in soldoni, mi pare faccia un generale riutilizzo di materiale di scarto, da rigatteria).

    Qualche anno fa il suo modo di proporsi in rete era piu’ ferreo, ostico, ostile; da qualche tempo, invece, e’ molto piu’ frizzante, frizzi e lazzi come in questa intervista fondamentalmente autopromozionale. La domanda parte dalla citazione dello Spettacolo quale nemico:

    “c’è un contesto ossia un nemico maggiore e non scalfibile. Ampio, storicamente presente come non mai, parlante/legiferante. Come detto sopra, è lo Spettacolo”

    citazione inserita in intervista che si presenta fondamentalmente come lo spot di un astuto e suadente salesman. Fare spettacolo dello Spettacolo e’ parte della strategia comunicativa o un semplice diletto occasionale?

  5. Da tempo non commentavo qui, ma oggi mi tocca farlo. Parole, quelle di Giovenale, che mi ricordano con vigore che per fortuna c’è una minoranza che non si è definitivamente assopita. Pane al pane e vino al vino.
    Lo sapevamo già di lui, ma confermarlo aiuta a sentirsi meno soli.

  6. Mi è piaciuto quello che hai scritto, Marco.
    Il tuo passo mi piace.
    Anche se – come sai – non amo affatto la tua poesia, ma la rispetto, come rispetto le tante forme e declinazioni, le tante voci lontane da quello che a me personalmente piace e coinvolge. O interessa.
    La terza via… forse una gamma ampia e eterogenea di terze vie…

    Per quanto riguarda i giornali: non so, qua a Torino abbiamo La Stampa: quale benedetta idea di mondo valorizzano i gironalisti de La Stampa? Scriverci sopra sarebbe più onesto che scrivere su altri giornali? Gramellini va pure da Fazio a fare le solite sue allegre osservazioni però ce ne sono di giornalisti che vi lavorano che “forzano” da anni verso un elitismo della cultura e della letteratura, reiterando la tradizionale verve aristo-chic della città, dai tempi di Cavour in poi…
    Un critico di letteratura che scrive su questi giornali da Il foglio a Il giornale – mantenendo sé stesso e la propria famiglia, evitando di andare a lavorare sottopagato in qualche centro commerciale, è davvero responsabile delle idee espresse – se volete delle vaccate – dal direttore o dai gironalisti politici? Non so… sinceramente non lo so… detto questo ti mando un abbraccio

  7. credo che nessuno o quasi faccia più caso a niente: è la stampa bellezza! e poi, per la poesia, è tutto margine del margine con autori più “fortunati” di altri altrettanto se non di più bravi e meritevoli. le porte e i portoni sono chiusi se la presenza fisica non è più che gradevole e gradita. ecc. vecchio discorso in un Paesino, il nostro, ammaliato dall’inglese e disperante o disperato per la madrelingua. è una barricata con i fucili a salve, ma molto potenti dentro e fuori il circolo canonico.

  8. Ieri ho comprato in edicola una rivistaccia immonda: il n. 249 di “Poesia”, costo 5 euro. 80 pagine di merda pura! Nelle prime annate (direzione Patrizia Lattuga e poi perfino l’aspirante vice poetesso di cui non ricordo il nome) potevi ritrovare qualche testo, autore, indicazione, stimolo. Oggi, anzi ieri merda pura…

  9. Giorgio, ma com’è che sei sempre incazzato?
    Lo dico per te, incazzarsi non fa bene alla salute… ;-)

  10. Non capisco dove sia la sintonia con quanto scritto da Mozzi (viste per es. le risposte sull’industrializzazione, sul finanziamento dell’editoria e su Libero e Giornale), e quindi il minimo che si può dire è che sì, Giovenale, ha aggiunto molte cose rispetto a Mozzi, e ne ha dette di diverse rispetto a Bortolotti, uno dei pochi (insieme a Murgia) che si è impegnato quanto lei a rispondere – e da parte mia apprezzo molto le vostre risposte, insieme a quelle di Cepollaro.

    Poi, due curiosità: può dire dov’è la sua libreria e che tipo di autori fuori catalogo contiene? Parla anche di autori che hanno fatto la storia della letteratura di certe nazioni e che ora sono caduti in disgrazia?

    E poi, provo per la terza volta: è prevista una elaborazione statistica da parte di NI delle risposte al questionario?

  11. Trovo assolutamente condivisibili soprattutto le parole circa le pagine culturali (?!) dei quotidiani e quelle a proposito di certi giornali, ormai famigerati. Aggiungo però – tanto per ripetermi – che, nell’ultima risposta, alla parola “scrittore” sostituirei semplicemente la parola “cittadino”. O essere umano, al limite.

  12. Al di la’ di Giovenale che si autopromuove, non vorrei che passasse l’idea che la qualita’ risieda nei libbricini delle case editrici piccole che spesso non riescono ad assicurare una distribuzione minima ai loro autori tendenzialmente aspiranti Einaudi o Mondadori. La produzione nel suo complesso si e’ omologata verso il basso. Con eccezioni di grande qualita’ industriale, il cui successo e’ pero’ spesso affidato al caso o al destino. E’ l’autore che con la sua ambizione deve sbattersi ed esporsi come una puttana, perche’ le direttrici editoriali anoressiche hanno di meglio da fare. Nella vita ci sono tante altre cose che possono appagare le nostre urgenze di trasmissione. Massimo rispetto per gli scrittori che riescono ad avere visibilita’, ma oggi come oggi hanno poco da comunicarci se non il loro personale successo. Il loro posizionamento. Magari ogni tanto scrivono anche qualcosa di interessante, nulla pero’ che non circoli gia’ da tempo nell’aria. Ma va bene cosi’.

  13. Nella precedente intervista a Ginevra Bompiani, la migliore della serie a mio avviso, avevo postato circa la vera mira di questo dibattito. Scrivevo provocatoriamente che sarebbe stato più onesto limitare il dibattito a una sola domanda: ” sei d’accordo con noi che gli autori come Roberto Saviano, che siccome che sono civili e debbono raggiungere il grande pubblico, possono che scrivere per Mondadori-Einaudi, che appartengono al padrone della destra italiana, senza che doversi giustificare con chi li critica di ambiguità, ma che quelli come Paolo Nori non possono scrivere per i giornali della destra per sopravvivere, e che, anzi, se avessero la coscienza pulita dovrebbero continuare a scrivere gratis per il Manifesto? ”

    Dalle copiose risposte di questo poeta, mi è sempre più evidente che la domanda vera è quella che ho sintetizzato io. Di fatto, in cambio della difesa delle ragioni favorevoli ai mondadoriani-einaudiani e del consenso al linciaggio di Paolo Nori, Nazione Indiana offre agli autori più ingenui lo spazio per arzigogolare e farsi un po’ di propaganda. Ciò a me spiega molto bene il perché delle risposte abbozzate di alcuni degli interventi più responsabili, sostanzialmente scettici, se non ostili verso il blog, che, secondo me, dovreste ribattezzare FAZIONE INDIANA.

  14. trovo la sufficienza denigratoria – infondata, infondabile – dei vari commenti sull’autopromozione stomacante. quasi quanto sentir parlare di ciò, di autopromozione, da alcuni dei più tenaci facitori di commenti e commentini esistenti – horror vacui da post? chissà: pazza gioia e foia hanno comunque avuto e goduto negli spazi di queste interviste.
    poi, sul “non vorrei che passasse l’idea che la qualita’ risieda nei libbricini delle case editrici piccole che spesso non riescono ad assicurare una distribuzione minima ai loro autori”, come ventila Morgillo, stringo le dita anch’io con lui aspettando che Mondadori o Einaudi si prendano la briga di pubblicare un’antologia, chessò, di Giuliano Mesa. nel frattempo, se posso leggerlo, ringrazio i miei vari piccini-picciò dell’editoria.

    bah. quantomeno, è assai divertente leggere più in basso di un Giovenale annoverabile fra gli autori i “più ingenui”. davvero, questa me la devo segnare.

    un saluto,

    f.t.

  15. Maria, grazie del tuo intervento. Quella che ho espresso è però la mia opinione; su cui in effetti non mi sento di tornare attenuando, devo dire.

    Preciserò. Confesso di aver minore (per non dire nulla) dimestichezza con “Il Foglio” (di qui il non nominarlo); ma le pagine degli altri due quotidiani che l’intervista nomina e che ho osservato più spesso, in particolare “Il Giornale”, hanno veicolato e tutt’ora veicolano volentieri non soltanto sentimenti negativi (eufemismo), e razzisti, ma fanno scattare un click che a questa altezza della storia (imperfettamente) democratica del nostro Paese non possiamo o non dovremmo più permetterci / permettere.

    Per lavoro, mi è capitato anni fa di collazionare e dunque sfogliare con attenzione — numero per numero — una serie molto ricca (benché non completa) di fascicoli della rivista di Interlandi. Rilegati in annate e ottimamente conservati. (Segno che il possessore “ci teneva”: pensa).

    Grosso modo un centinaio di numeri. Devo dire, e dirti, che precisamente per questo mi è venuto in mente il paragone che facevo in chiusura di intervista. E’ proprio perché non è pensabile che si possa scrivere articoli come quelli che spesso compaiono sui giornali sopra nominati, dopo quanto l’Italia ha fatto (non soltanto contro gli ebrei) e considerando quanto ancora fa, è precisamente perché sappiamo con che violenza l’intolleranza si accende già spontaneamente a volte, e si alimenta grazie all’informazione ‘mirata’, orientata, ed è proprio perché sappiamo a cosa ha portato anche un “giornalismo” (!?) come quello di Interlandi, che non possiamo (o io personalmente non mi sento di) fare come se Giornale e Libero fossero solo giornali e in tutto liberi.

    C’è un tot di coscienza storica che non diventa patrimonio comune del cittadino, giusto grazie a giornali come i nominati, che lavorano tutte le sere e le notti a demolire questo patrimonio. Lo fanno, insisto, conoscendo la storia (a mio avviso). Dunque sapendo bene cosa è successo a metà del secolo scorso in questo Paese e in Europa.

    Partecipare alla fabbricazione delle colonne di quei giornali, contribuendo alla loro diffusione e fortuna grazie al proprio lavoro intellettuale, PER ME, insisto, è collaborazionismo. E mi fa pensare precisamente alla “Difesa della razza” proprio perché (dato che la storia non si cancella e non possiamo dire di non conoscerla) la “Difesa della razza” c’è stata.

    (Dunque: per motivi identici a quelli che ti fanno segnalare delle differenze tra 2010 e 1938, in me scatta invece immediatamente e precisamente un link 1938-2010. Per la banale ragione che il 1938 aveva dietro tante avvisaglie e infinite immonde azioni antisemite, ma non — non ancora — i campi; mentre il 2010 no: il 2010 i campi li ha storicizzati. Al punto da rifarli come CPT).

    Fossimo prima dei milioni di morti dei campi, potremmo (potremmo?) non sapere a cosa portano le tonnellate di inchiostro razzista che da qualche anno giornali e radio ed emittenti anche locali vomitano sul “diverso” (rom, omosessuale, immigrato, rifugiato, clandestino). Non è così però.

    Seppure con una certa forza che non voleva essere forzatura, ho voluto intendere questo, chiudendo in quella maniera recisa l’intervista. E voglio ringraziarti per avermi dato modo di aggiungere qualche riga a quella chiusa — appunto — troppo netta.

  16. @ Andrea raos

    Autopromozione a chi? Allora dillo che mi vuoi morto! Che poi fra poeti resta una guerra fra morti di famA da cui mi sottraggo.

    :-)))))))

  17. assicuro a GiusCo che non sono un salesiano e gli auguro col cuore in mano [*] di ritrovare la serenità che i miei interventi (del tutto involontariamente) gli tolgono.
    nbsp;

    [*] rima involontaria

  18. ehi Jan, è attivo qualche tag di spazio su ‘sto benedetto form dei commenti? …
    lo strano “nbsp;” qui sopra è il residuo di una spaziatura non interpretata dal sistema.
    :-/ gosh

    excusez

  19. Continuo ad autopromuovermi. Il commento di Giovenale al rilievo di Maria risponde anche alla questione sui toni usati nell’intervista. Al che mi vien da spostare i rilievi alle risposte verso le domande (ma e’ gia’ stato fatto, no?) e verso il carattere di soap che sta assumendo questa inchiesta. Che poi Galbiati chieda serio serio di desumerne inferenze statistiche e’ sintomo di quanta aria si possa friggere a partire da ipotesi qualsiasi. Cioe’ manca solo una domanda del tipo della morfologia del profilo alare degli asini in assetto di volo.

  20. Galbiati (vedi qui), io invece capisco benissimo perché Giovenale si sente “in singolare sintonia” con le risposte di Bortolotti e mie. Evidentemente Giovenale ha letto le risposte di Bortolotti e mie.

  21. Evidentemente Mozzi devi essere telepatico se “capisci benissimo” perché
    Giovenale si sente in “singolare sintonia” su “più punti, se non in tutto” con la tua intervista, visto che non precisa su quali punti vi sia la singolare sintonia e che risponde all’intervista “calcando su qualche differenza.”

    Sarebbe curioso sapere se la vostra sintonia, per fare un es. (ma potrei farne altri), su come rispondere all’ultima domanda sia una sintonia sostanziale, che rende marginale la vostra (suppongo: si sa, non sono capace di leggere) differenza, visto che per Giovenale Libero e Giornale non vanno neanche “toccati” in edicola, figuariamoci scriverci:

    “Uno scrittore che abbia non solo uno straccio di idea di democrazia, ma che semplicemente covi minimo 2 neuroncelli sapidi tra cui scocca scintilla, non ha modo di toccare “Libero” o “Il Giornale” nemmeno in edicola. Scottano, tanto sono faziosi e volgari. Scrivere sulle loro pagine, oggi, per me equivale a scrivere su “La difesa della Razza” nel 1938.

    Hai voglia, dopo il ‘45, a dire “ma io mica ero razzista, scrivevo ricette di cucina e recensioni di ikebana”. Sei uno che ha scritto su “La difesa della Razza”. Punto.

    (E ci hanno scritto in tantissimi: l’indice dei nomi fa vomitare).”

    Mentre per te è:

    “opportuno non farsi ossessionare dal desiderio di purezza.
    Non mi pare che la «marcata faziosità dell’informazione» sia uno «stile giornalistico non consono a un paese democratico». Ovvero non credo che uno Stato democratico dovrebbe far chiudere i giornali che esibiscono una «marcata faziosità dell’informazione».
    Non mi pare che la «marcata faziosità dell’informazione» sia uno «stile giornalistico» tipico solo di «quotidiani quali Libero e Il Giornale», ovvero di quotidiani attualmente filogovernativi. Non mi sembra che La Repubblica, ad esempio, esibisca uno «stile giornalistico» meno marcato dalla «faziosità dell’informazione»; non mi sembra che La Repubblica, ad esempio, sia meno attenta che Il Giornale agli interessi della proprietà; non mi sembra che La Repubblica vada esente da «xenofobia, razzismo e omofobia» – benché, senza dubbio non prenda apertamente posizioni «xenofobe, razziste e omofobe». Ma nemmeno Libero e Il Giornale lo fanno («Razzista io? Ma si figuri! Che colpa ne ho se gli zingari rubano i bambini?»).”

    A meno che io, per la mia incapacità di leggere, non sia riuscito a capire che tu sottoscriveresti con singolare sintonia la sopra riportata risposta di Giovenale: in questo caso saremmo in singolare sintonia in tre, con mio singolare giubilo.

  22. Dalle interviste si evince una certa incomunicabilità fra romanzieri e poeti. Mi domando se sia sempre stato così oppure se è un problema di oggi. Io spulcio, ogni volta che posso, le letture preferite dei grandi romanzieri e c’è molto spesso anche la poesia; sinceramente invece non mi ricordo del contrario – ovvero mi pare che i grandi poeti non leggano molti romanzi. Ma vado a braccio. Resta comunque forte il senso di due mondi – la prosa e la poesia – di difficile interazione.

  23. Forse ho avuto le allucinazioni: ho visto i titoli di Saramago (vecchi e nuovi) in libreria editi non più da Einaudi, ma da Feltrinelli. Svista mia, o qualche autore di un certo livello si è assunto una certa responsabilità?

  24. IMPORTANTE! IMPORTANTE!

    il Foglio no, non parlate del Foglio.
    Ho scoperto che qualunque oggetto venga catturato dal suo interesse, dopo un pò rischia gravemente qualche disastro.

    Ho fatto i conti e degli ultimi due argomenti che più stavano a cuore al suo direttore, Vaticano e Bertolaso, solo per citare i più recenti, sono stati entrambi precipitati in una tempesta tipo piaga d’egitto, roba da vecchio testamento, punizione divina…insomma…

    state in guardia e semmai dovessero recensire qualcuno che conoscete
    ditegli almeno di prendere le dovute precauzioni.

    Elenco delle vittime del Foglio:

    Vaticano-scandalo pedofilia,

    Bertolaso-scandalo appalti, una carriera rovinata in un mese subito dopo gli ardenti articoli in difesa del capo della protezione civile dopo L’aquila,

    Stati uniti- crack finanziario mai visto prima che il Foglio tessesse le lodi della grande potenza americana, e successiva crisi europea dopo gli apprezzamenti verso le dottrine economiche del ministro Tremonti,

    e per la prossima estate vista la loro ossessione per il global warming che dicono sia un’invenzione della sinistra radical-chic, cominciate ad accendere i climatizzatori…sarà l’estate più calda del secolo.

  25. un anno fa difesero a spada tratta l’invasione della striscia di gaza. adesso lo stato di israele è sotto processo per violazione dei diritti umani.

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