L’amore, un’estate
William Trevor, L’amore, un’estate, trad. Laura Pignatta, Guanda editore, 2009, 217 pag.
Il rapporto conflittuale che ha un autore con la lingua con la quale scrive si fa ancora più complesso quando la lingua che usa è quella che gli è stata imposta dalla Storia. Però spesso tutto ciò può diventare una ricchezza per un artista. Le condizioni di margine, rispetto a un centro coloniale, si stratificano arricchendo il codice linguistico, creando di conseguenza nuove profondità. Questo spiega, per me, il perché la letteratura irlandese ha saputo dare così tanto alla lingua inglese. Nel mondo anglosassone Willian Trevor è considerato uno dei più grandi autori viventi. Eppure, leggendo L’amore, un’estate, ci si chiede: dove sta il fascino delle sue narrazioni?
È il racconto di una estate fine anni Cinquanta, in una campagna irlandese senza particolare fascino. Così come i suoi protagonisti, persone senza alcuna dote significativa, ma senza neppure difetti peculiari. Gente comune, noiosamente comune. Scialbe. Sembra quasi non ci sia nulla da sapere, nulla da raccontare, se non la solita noia della provincia profonda, identica a tutte le latitudini.
A Rathmoye un giorno passa per caso un fotografo dilettante sulla sua bici, Florian. Ci torna un paio di volte, incontra Ellie, giovane moglie di un contadino – Dillahan, indefesso lavoratore dei campi. I due si scambiano alcuni convenevoli, nulla di più. La più che platonica relazione viene notata da una zitella, miss Connulty. Tutto qui.
Eppure i piccoli segreti, i drammi sommersi nel profondo, le passioni contenute, le fuge incomprensibili, il destino ineluttabile, sono raccontati con una tale attenzione ai particolari e allo stesso tempo quasi solo pudicamente accennati, che si comprende quanto sia ricca di sfumature la lingua, ma sopratutto il magistero, di un autore che è un vero decrittatore dell’animo umano, di quel mondo interiore che anche la gente senza qualità porta dentro sé e che chiede solo di essere scoperto e raccontato.
[pubblicato su Cooperazione n. 4 del 26 gennaio 2010]
Qui non è che ti sei ammazzato di lavoro, Gianni.
France’, sei il solito ingrato! ;-)
Il fascino dei libri di William Trevor sta proprio nella lingua con cui sono raccontati i destini, i drammi e le vite semplici dei personaggi, oltre che nella ricchezza dei dettagli descritti con quello stile così asciutto e preciso in cui Trevor è un grande maestro. Grande nei romanzi, ma ancor più nei tanti racconti brevi, capolavori di sintesi, e straordinario nel riuscire a sorprendere, ma sempre con grande semplicità. Forse questa sua recensione è un po’ troppo riduttiva e non rende del tutto giustizia a questo autore e alla sua opera.
Laura Pignatti, traduttrice di Trevor
Mi pare, Laura, che diciamo la stessa cosa. Se qualcuno, per queste mie note (2000 battute, non un saggio approfondito), avrà voglia di leggere Trevor non potrà che rendermi felice.
Grazie Biondillo; grazie a lei e a un suo intervento su Nazione Indiana ho conosciuto la magnifica Alice Munro. Adesso mi ha regalato la conoscenza di William Trevor, che sto leggendo in questi giorni. E’ incantevole e magicamente è quello di cui avevo bisogno. I due tra l’altro si somigliano tantissimo.