Omicidio Pasolini: Martone (vs?) Belpoliti
[su La Stampa di ieri prosegue la discussione innescata da questo pezzo di Marco Belpoliti. Qui, su Nazione Indiana, c’è una replica di Carla Benedetti. Su richiesta di Belpoliti di seguito riporto la lettera di Mario Martone al direttore della Stampa e la replica di Marco Belpoliti. G.B.]
di Mario Martone
Caro direttore,
ho letto con rammarico il pezzo che Marco Belpoliti ha dedicato sulla Stampa agli sforzi di quanti stanno cercando di far riaprire il processo per la morte di Pasolini. Rammarico per l’impossibilità che persiste in Italia di trovarsi d’accordo su punti essenziali della vita civile, una frantumazione che rende via via sempre più faticoso il procedere delle idee e dell’agire politico. La posizione di Belpoliti, la sua idea sul perché Pasolini sia stato assassinato è non solo legittima, ma benissimo espressa ed anche profonda: riprende quella, nota da sempre, di Nico Naldini, che da poeta creò uno scenario di grandissima verosimiglianza, immaginando che tutto andasse spiegato esclusivamente all’interno della dinamica omosessuale e del rapporto di Pasolini con i ragazzi. Ma ciò che davvero non si spiega è come Belpoliti possa pensare che la verosimiglianza di questo scenario possa essere sfuggita a persone come Laura Betti o Sergio Citti, che ho conosciuto bene (di Citti ho filmato la testimonianza raccolta dall’avvocato Calvi), e che si rivolterebbero nella tomba a sentirsi accusati di «voler rimuovere la particolare omosessualità di Pasolini».
Betti e Citti erano convintissimi che il delitto di Pasolini avesse una matrice politica, e la loro posizione, allo stato dei fatti, resta profonda e verosimile quanto quella di Nico Naldini: è un’ipotesi. Infatti, come scrive Belpoliti, «che nel delitto di Pasolini vi siano molti punti oscuri è senza dubbio vero. Che le indagini non furono condotte in modo scrupolose è altrettanto vero, ed è anche possibile che con gli strumenti scientifici attuali si sarebbero chiariti molti punti oscuri». Ecco tutto. Non c’è da contrapporre nessuna visione, i due scenari sono perfettamente integrabili, ed è proprio la verosimiglianza dello scenario omosessuale che rende verosimile lo scenario politico: chi uccide segretamente lo fa, come è ovvio, tentando di creare scenari verosimili.
La cosa che dovrebbe essere a cuore di noi tutti è che la verosimiglianza cessi di essere tale e diventi verità. Ora, per carità, so bene che una verità processuale non è tutta la verità, e che la verità in quanto tale forse nemmeno esiste, e che nella nostra Italia bizantina possiamo scavare molto a fondo nei termini e nei distinguo, ma insomma, se è palese, come pare proprio che sia, che ad assassinare Pasolini siano stati in tanti e non il solo Pelosi, non sarà legittimo desiderare di sapere questi altri chi erano? E non si potrebbe per una volta essere uniti e determinati come società «intellettuale» nel desiderare che la giustizia faccia finalmente il suo corso? Se ad uccidere Pasolini sia stato un branco di ragazzi presi dalla furia o dei picchiatori fascisti o degli agenti segreti, questo lo si vedrà. Intanto ci si potrebbe accontentare di una giustizia che indaghi e che magari faccia affiorare dei nomi e delle responsabilità. Cordiali saluti.
***
risposta di Marco Belpoliti
Caro Martone,
non sono contro la riapertura delle indagini sul delitto di Pasolini; mi sono dichiarato scettico riguardo l’ipotesi che il poeta sia stato eliminato perché sapeva qualcosa di più di altri circa il delitto-Mattei e le stragi degli anni Settanta. Le fonti di Petrolio, romanzo incompiuto in cui tutto questo sarebbero svelato, sono ritagli di giornale, servizi de L’Espresso, quindi ampliamente note, e pure riportate in libri che circolavano all’epoca, come Silvia De Laude ha mostrato cinque anni fa. Sul sito web Nazione indiana ne ho parlato in modo diffuso, e lì ti rimando. Quello su cui dissento è invece la tesi complottista per cui esiste sempre un quid che la verità giudiziaria non riesce a chiarire, così com’è accaduto per altri avvenimenti degli anni Settanta, a partire dalla bombe di Piazza Fontana sino ad arrivare al sequestro di Moro. Credo sia venuta l’ora di chiudere con quel decennio di cui Pasolini e Aldo Moro, forse non a caso, sono i due corpi simbolo; e dare loro una degna sepoltura, cosa che nessuna inchiesta giudiziaria riuscirà mai, credo, a fare. La mia è una posizione politica, e non ha nulla a che spartire con le inchieste degli investigatori di polizia – le si faccia se necessario -, ma con il modo di ragionare di molti nella sinistra italiana. È ora di andare oltre un decennio che non finisce di finire nella testa di tanti, il che è un modo per continuare a restare legati al passato, quando invece la discussione, anche a partire da Pasolini, dovrebbe procedere. Ad esempio, sugli anni Ottanta, vero snodo del nostro presente.
La mia modesta proposta è di fare con Pasolini come lui ha fatto con chi l’ha preceduto: mangiarcelo in salsa piccante. Nutrirci di lui e digerirlo. Destino che spetta solo ai veri maestri. E così superare finalmente il «complesso-Pasolini» che attanaglia molti in Italia, per parlare ancora di Pasolini, naturalmente. La discussione sull’ispirazione estetica e omosessuale della sua visione della mutazione antropologica non è mai stata fatta. Solo Sciascia ci ha provato, ma senza quella libertà di pensiero e di parola che sarebbe necessaria.
Il compito degli scrittori, dei registi, dei saggisti, credo, non sia solo quello di apporre una firma su un appello, quanto piuttosto di produrre delle visioni, così come Pasolini ha fatto con Petrolio, che ci illuminò sulla realtà più ancora delle verità di tribunali o poliziotti. Così è il libro di Nico Naldini: una visione problematica di un delitto sessuale che scava nel profondo di una passione, e ci dice qualcosa su noi stessi, cosa che nessuna sentenza può fare. La passione della verità, in cui Pasolini era versato, è questa, e non tanto e non solo quella di chiedere ad alta voce giustizia, cosa che spetta a tutti. Un intellettuale, un poeta, un regista, si trova in una posizione davvero scomoda, perché non è solo un cittadino come gli altri, con doveri e diritti, ma uno che deve fare uno scatto laterale, individuare più a fondo le cause del bene e del male, e raccontarle in una forma non banale, in forma letteraria, cinematografica, artistica. La ricerca della verità è questa, e a essa sarebbe bene che ci attenessimo noi tutti che facciamo questo mestiere. A ciascuno il suo.
Condivisibile totalmente la tesi di belpoliti. Andare oltre culturalmente e non impantanarsi nel complottismo. Altro è il percorso giudiziario e di indagine.
Totalmente d’accordo con l’ottimo Marco Belpoliti.
Saluti da Londra.
Come no: il letterato deve volare alto e non occuparsi di minuzie come gli omicidi politici e le stragi degli anni ’70 (Bologna e Ustica compresi, immagino: anno 1980). E chi se ne frega se in molti casi la verità e i colpevoli ancora non si conoscono. Se ne occupino la polizia e i tribunali, noi abbiamo compiti più importanti da svolgere.
Trovo sorprendente che Belpoliti citi, a sostegno della propria tesi, l’autore de *L’affaire Moro*…
Non credo che Belpoliti intenda compiti più importanti, ma diversi. E questo non vuol nemmeno sottintendere che non se ne deve parlare, perché infatti se ne sta parlando e non è certo un “chi se ne frega”. E sarebbe interessante finalmente parlare di quello che è successo negli anni Ottanta (utilizzando Pasolini come strumento e non come “corpo”).
sto seguendo la discussione dal primo post di belpoliti sul corpo di pasolini e la trovo molto interessante, come trovo giusta (se ha senso usare questo aggettivo) la posizione di belpoliti.
talia dice: “la verità e i colpevoli ancora non si conoscono”. mi sembra che questa affermazione non centri completamente il punto che solleva belpoliti e, per altro, non sia nemmeno del tutto vera, nonostante sia stata fatta da più parti in più commenti.
il punto, ed è questo tra le altre cose che belpoliti dice, è non confondere la verità e la colpevolezza giudiziarie con la verità e la colpevolezza storiche o politiche. da quest’ultimo punto di vista, e anche grazie alle analisi pasoliniane (all’ampiezza delle sue visioni), sappiamo parecchie cose, per esempio la natura e le basi della strategia della tensione, le responsabilità politiche delle stragi, le ricadute delle decisioni delle varie forze politiche in frangenti come il rapimento moro.
sono di brescia e quindi ho ben presente cosa vuol dire non avere qualcuno da processare – e avendolo non poterlo condannare – per atti devastanti come una strage. ma questa incompletezza, per così dire, non rende più debole la nozione che ho della collocazione della strage di piazza loggia in quel disegno generale (e a conti fatti squallidamente e cinicamente confuso) che è stata la strategia della tensione, in cui hanno avuto campo la convergenza ed il conflitto di settori della democrazia cristiana, del neo-fascismo, dei servizi segreti italiani e statunitensi.
Mi sembra che la differenza tra questo post e il precedente di Carla Benedetti è che questo semplicemente riporta due pezzi di giornale, mentre l’altro è una lettera appositamente scritta dalla Benedetti per gli utenti di Nazione Indiana: logica vorrebbe che si sfruttasse l’occasione, ed anche si dimostrasse gentilezza con chi esponendosi ha mostrato di voler dialogare in rete. Invece mi pare stia avvenendo il contrario: non capisco (a meno che qui Martone e Belpoliti siano pronti a rispondere).
G.P., per fare chiarezza: la discussione è scaturita da un pezzo che fu scritto apposta da Belpoliti per NI. Poi lui ne mandò una parte ben più breve (neppure un terzo) a La Stampa, quella che Martone ha letto (mentre Carla ha letto questa su NI). Ed infatti Belpoliti rimanda Martone al nostro sito. Ma dato che noi crediamo ai vasi comunicanti abbiamo riproposto il loro scambio epistolare, per completezza.
Infine: Marco in questi giorni non è a Milano ed ha grossi problemi a connettersi.
Mario Martone è come un sorso di acqua pura, incolore inodore insapore, ma indispensabile:-)
Belpoliti, immerso nell’odierna marmellata indistinta e gassosa, si vorrebbe buttare tutto dietro le spalle. Vorrebbe vivere senza complicazioni, come se tutto fosse ormai inutile, ma nello stesso tempo disquisisce capzioso … Italia bizantina la chiama Martone, certo Italia bizantina, pigra, indolente, che non vuol sapere, che ha sempre altre cose più importanti da fare, Italia per cui uno vale l’altro, e tutto inizia, ab ovo, dagli anni ottanta e stop, uno per cui ….l’importante è …finire …, mangiarsi i maestri senza masticarli, ingurgitarli come se il solo fine della loro storia fosse quello di finire nel mio piatto. Tutta la loro vita lì, solo per me, per poterli ingurgitare, per poterli usare e magari anche manipolare, a mio piacimento, in fondo i maestri che cazzo mai saranno? sono nati solo perché io me li potessi consumare senza andar troppo per il sottile e nel profondo … in fondo quando mangiamo qualcosa in salsa piccante mica stiamo a pensare come sia stato ucciso l’agnello o il pollo di turno …lo mangiamo, lo assimiliamo e tiriamo a campà … ma un poeta (e così importante per la nostra storia come Pasolini) ucciso, non può essere mangiato in salsa piccante, non può essere consumato, deve prima essere svelato, altrimenti ci avvelena.
Belpoliti dice una cosa di una superficialità gigantesca (tipica dell’attuale classe intellettuale/i> italiana), dice: Le fonti di Petrolio […] sono ritagli di giornale, servizi de L’Espresso, quindi ampliamente note, e pure riportate in libri che circolavano all’epoca.
E se anche fosse?
Nel precedente articolo aveva scritto:
La quale ha identificato con certosina pazienza le fonti giornalistiche utilizzate. Niente di segreto, dunque, ma tutto già ampiamente noto.
[…]
Si tratta perciò di materiale già noto, citato anche da altri, che circolava nei giornali, non di rivelazioni segrete, su cui Pasolini ha intessuto la sua complessa trama narrativa che, per quanto realistica, sconfina nella particolare visionarietà che possiedono le pagine dello scrittore, una visionarietà più vera del vero stesso
E allora?
Io ancora oggi mi domando come mai dal Memoriale di Moro, le Br, che lo tenevano prigioniero, non fossero riuscite a leggere l’esistenza di Gladio (eppure era denunciata esplicitamente da Moro e molti l’avevano ipotizzata) c’è voluto il rocambolesco e misterioso ritrovamento dietro un termosifone e la successiva denuncia di Andreotti al Parlamento, perchè diventasse di dominio pubblico … se le br erano quello che dicevano di essere (e io non ci credo) non sarebbe stato loro interesse denunciare la cosa?
La verità, come la lettera rubata di Poe, non basta averla sotto gli occhi.
Ora non è che se uno è autentico scrittore e poeta è, alla fin fine, solo uno come me, identico a me, con la semplice differenza che però sa scrivere o fare versi (tipo un raffinato artigiano della parola), cosa che oggi, per sopravvivere, tendono a pensare, veicolare e diffondere, in molti. E’ chiaro che invece NON è così (altrimenti non sarebbero così rari). Uno scrittore (scrittore e non scrivano), come diceva Vittorini è qualcuno che quando parla o scrive dice cose fondamentalmente importanti (siano esse il sesso, la profondità filosofica, o la politica, poco importa). Pasolini era un animale profondamente politico (come è stata, per forza di cose, e dannazione, la sua generazione e quella dopo), uno che aveva un surplus di Contenuto epocale nella sua opera (e questo contenuto era politico) uno per cui poesia, letteratura, cinema, politica e storia erano strettamente intrecciate. Come poeta era naturalmente NON ideologico (ma impastato a tal punto dalla sua epoca da sembrarlo) lui sapeva creare connessioni di gigantesco livello, lui sapeva leggere le fonti … preso atto di questa semplicissima e banale cosa, come si fa a dire una cavolata del tipo Le fonti … sono ritagli di giornale, servizi de L’Espresso, quindi ampliamente note, e pure riportate in libri che circolavano all’epoca?
Note a chi? E anche fosse vero, cosa significherebbe?
Le fonti (tutte le fonti) vanno interpretate, linkate connesse fra loro (e non tutti lo sanno fare), e la boiata più colossale che uno possa dire è proprio che le fonti siano lì e che tutti abbiano detto il dicibile su dette fonti … certo noi siamo l’epoca banale con la sindrome degli inediti, senza un inedito nessuno sa più che cazzo dire. Certo qualcuno (Bazlen) ha detto che siamo l’epoca degli epiloghi, ma ha anche aggiunto che i nostri moribondi non sanno epilogare.
Io non so come Pasolini sia morto, ma so che dava noia, una noia terribile, e non certo a un piccolo marchettaro preso alla stazione per avere un rapporto sessuale. Dava noia perché fra le sue mani una fonte (fosse pure un volgarissimo articolo dell’Espresso o altro) prendeva vita. Perché a questo servono le fonti non certo a venir affumicate e appese a seccare come degli stoccafissi, come avviene oggi.
Si riapra il processo, e soprattutto si tenga presente che tale processo non è solo di competenza dei giudici ma anche degli intellettuali. Chi vuol limitarsi a partire dagli anni ottanta lo faccia, ma sappia che la storia dell’umanità è sempre di lunga, lunghissima, durata, e non può mai limitarsi ad un tiro di schioppo, ma affonda nel passato (passato, l’unica parola indecente che oggi possa scandalizzare). Al passato fu fatta guerra negli anni sessanta. E stato resettato tutto. Oggi il passato è solo un budellino di fonte che nessuno sa più leggere, perché rende poco. Ci vuole solo il nuovo, l’inedito, l’originale e … e mai epoca fu tanto vecchia, edita, conformista, e poco originale come la nostra. Speriamo che la nuova generazione abbia di nuovo sangue nelle vene … e non parlo di giovani (più vecchi dei vecchi) che invocano il ricambio generazionale, ma parlo dei giovani dopo pc e internet i quali a differenza dei loro stanchi padri e madri sanno che lo spazio e il tempo resettato va riempito nuovamente e va fatto in maniera intelligente e funzionale… sarà un processo naturale, contro e senza di noi, ma a noi almeno il compito di epilogare con intelligenza, e Pasolini è in letteratura (e politica) un nodo da lasciare completamente sciolto alla nuova classe intellettuale di domani … epiloghiamo se non siamo capaci di altro, ma epiloghiamo, sciogliamo, risolviamo con intelligenza e non solo con la spocchia di abatini che sanno già tutto perché tutto è stato fatto, tutto è stato detto e a noi non resta altro che mangiarci tutto in salsa piccante e mettere una pietra tombale sulla storia.
geo
G.P. i post molto intelligenti di solito hanno pochi commenti, io semmai contesterei un’altra cosa: come mai la lettera di carla bnedetti (che come fai notare è scritta appositamente per NI) non è nella posizione privilegiata di essere l’ultimo post per un periodo di tempo, mentre tale privilegio tocca a queste due lettere dalla stampa?
Ok, ok le scelte editoriali sono tutte legittime, ma è legittimo anche farlo notare ;-)
@ georgia
Ti trovo insolitamente estatica quando scrivi di Pasolini.
Pasolini non credo sia stato ucciso per il capitolo mancante di Petrolio.
Le ragioni di quell’agguato, probabilmente solo intimidatorio, finito male, potrebbero essere molteplici.
Pero’ possiamo sempre ricrederci. Prove alla mano. Non suggestioni.
Il culto postumo di Pasolini poi impedisce una qualsiasi sua storicizzazione di cui avremmo fortemente bisogno.
@ Georgia quando parli di Pasolini sei molto estetica (più che estatica) e snob, quel tuo dire “marchettaro” (e penso anche al tuo “dare a noia” e al tuo citazionismo vacuo) rivela quanto si ha bisogno di Pasolini come pensatore e non come sterile oggetto di culto, perché se c’è una cosa che lui non avrebbe mai pensato o detto è “marchettaro”.
@ Bortolotti
Certo, non bisogna confondere verità storica e verità giudiziale. Solo che, mancando la seconda, di fatto anche la prima è tutt’oggi controversa. A me non basta sapere, per esempio, che una determinata strage fu una strage di Stato: lo voglio vedere *scritto sui libri di storia della scuola dell’obbligo*. Fino ad allora, ci sarà sempre qualcuno che continuerà a dirmi che ho la mania del complotto, che sono fazioso, ossessivo, che la “strategia della tensione” è un’invenzione giornalistica, e qualcun altro che se ne verrà fuori periodicamente con le ipotesi più fantasiose: sono stati i palestinesi, anzi no i servizi segreti dell’Est, ma forse gli alieni, o i templari, ecc. e io non potrò smentirlo proprio perché una verità accertata giudizialmente non c’è. E (ma qui forse sbaglio) mi pare che, in questa situazione, anche la visione degli eventi ampia, serena e “für ewig” che Belpoliti richiede all’artista, abbia serie difficoltà a nascere.
non penso neppure io che sia stato ucciso per il capitolo mancante, la soluzione potrebbe essere addirittura nel libro stesso e nessuno ancora l’ha vista …o in cose da lui dette o scritte in articoli, gli scrittori parlano molto dei loro libri mentre li scrivono, può anche essere che qualcuno allarmato abbia intravisto nelle parole di pasolini una conoscenza di qualcosa a cui lo scrittore invece non era ancora arrivato.
Però intanto fare chiarezza sul capitolo scomparso è un inizio. In fondo dell’utri ha detto di averlo visto … se addirittura non esitesse, ci sarebbe da indagare, e al più presto, sul perchè dell’utri abbia mentito. Solo volgare pubblicità per la mostra? … ne dubito. Un avvertimento per qualcuno? azzardato ma probabile ….
Beh per storicizzare pasolini prima va fatta luce sulla sua morte, se la rimuoviamo non facciamo un buon servizio all’intellettuale.
A Belpoliti basta il resoconto-fiction di Naldini? ben per lui, a noi no!
geo
“lo voglio vedere *scritto sui libri di storia della scuola dell’obbligo*”
spero che tu ti renda conto che in quel caso direbbero che “voi comunisti avete manipolato la magistratura e la scuola italiana” o qualche altra baggianata di questo tipo e che qualcuno che negherà l’evidenza ci sarà sempre e che l’evidenza (tanto più giudiziaria) per convincerlo non basterà (perché non vuole essere convinto, perché non vuole condividere con te quella storia d’italia, perché ne condivide un’altra con qualcun altro e così via).
@ Daccordo con Talia, “lo voglio scritto sui libri di storia della scuola dell’obbligo”. Persino sulla morte dei fratelli Rosselli, su cui sappiamo tutto, ogni tanto c’è qualcuno che ci specula sopra attribuendone l’esecuzone a seconda della convenienza del momento (visto che i documenti sulla cagoule sono anora secretati per vari motivi). Le cose non basta saperle, perchè diventino verità storica indiscutibile.
@Giossi, lo ammetto marchettaro non è carino da dire, ma il fatto è che pelosi non era lì per caso e non andava certo con pasolini in un luogo solitario per amore, quindi non può trattarsi di delitto passionale.
Mi puoi suggerire un termine più neutro, per la prossima volta? te ne sarò veramente grata.
“dare a noia”? non mi sembra di aver usato questa espressione, dove l’ho fatto? :-).
Dici che sono estetica e snob? può essere, però … strano perchè a me la scrittura di belpoliti da fastidio proprio perchè mi sembra sempre troppo estetizzante con il suo mantra del corpo (vedasi anche il corpo del capo sempre su NI).
beh gherardo che fai ora, neghi la possiblità di fare storia?
certo l’essere immersi in un patotalitarismo come siamo noi ora, può portare anche a negare l’utilità di fare storia ;-)
Georgia, due precisazioni:
1) quando dici, parlando di Bepoliti: “Italia per cui uno vale l’altro, e tutto inizia, ab ovo, dagli anni ottanta e stop”. Ti chiedo: ho inteso male? Anche perché è curioso fare questo discorso ad un autore che ha appena ripubblicato il suo “Settanta”.
2) Questo pezzo da me pubblicato “scavalca” in HP quello di Carla Benedetti semplicemente perché è stato pubblicato dopo. E’ un mero ordine cronologico. Ed infatti, per non perdere di vista l’altro pezzo ho pure messo un link interno in testa.
@ Bortolotti
Infatti non voglio convincerlo, voglio avere contro di lui un’arma in più, che nel lungo periodo potrebbe rivelarsi decisiva. Non è questa la funzione della cultura?
gianni forse sei tu a non aver letto :-)
È ora di andare oltre un decennio che non finisce di finire nella testa di tanti, il che è un modo per continuare a restare legati al passato, quando invece la discussione, anche a partire da Pasolini, dovrebbe procedere. Ad esempio, sugli anni Ottanta, vero snodo del nostro presente
Ha scritto sugli anni Settanta? bene, ok, tipico, vuol dire che ora pensa di aver messo definitivamente LUI la pietra tombale sugli anni settanta e ora … passiamo agli ottanta :-).
@georgia: come avrai letto nel mio primo commento, tutto il contrario.
@talia: per me no, la cultura non serve a questo.
@ Bortolotti
va bene, allora lasciamo pure che i libri di storia della scuola dell’obbligo li scrivano gli allievi di Julius Evola: perché no? Noi siamo “oltre”, au-dessus de la mêlée
Che Pasolini possa essere stato ucciso da un branco di coatti romani per spregio, per odio, per scellerato “divertimento” è cosa più che plausibile, e del resto quanti omosessuali morti ammazzati dai loro clienti nei boschi ,nelle pinete o sulle spiagge d’Italia?
Pasolini tra quei ragazzi non era conosciuto come poeta e scrittore, non credo conoscessero per nulla nemmeno la sua attività di giornalista, era ritenuto credo un persona importante perchè possessore di una fuoriserie e di mezzi per ,mi si passi il verbo ,”rimorchiare” ragazzi senza né arte né parte. Interessante sarebbe poter riascoltare l’intervista che la giornalista Franca Leosini fece a Pelosi nel ciclo di trasmissioni televisive, Storie Maledette, dove appunto lui parla della dinamica di quella sera e di come conoscesse o meglio non conoscesse Pasolini.
Pelosi nell’intervista parlò di un agguato al poeta, agguato di cui lui non aveva raccontato prima, perchè pare avesse ricevuto delle minacce di morte rivolte ai genitori , già morti al tempo dell’intervista.
Ma io dico , perchè fuggire se c’era stato l’agguato, e perchè con la macchina dello scrittore, ma sono domande troppo sensate, tutto farebbe pensare invece ad azioni inconsulte e illogiche di gente di quel tipo che viveva alla giornata e alla nottata disprezzando, per di più, le persone con cui avevano a che fare.
Io penso che sia molto possibile che Pasolini sia morto come omosessuale e non come intellettuale vittima del potere che pure lo aveva perseguitato e disprezzato , portandolo in tribunale mille volte.
Pasolini rimane un grande e una figura tragica anche senza pensare a complotti più o meno politici.
Credo ,anche, che per parlare del processo bisognerebbe consultare gli atti e non basarsi su quanto scrissero o scrivono ancora i giornali.
maria
Bravo Belpoliti.
A ciascuno il suo.
E basta, Ora, per favore, ognuno di noi vada a leggersi un altro po’ di Pasolini al mare, con queste belle giornate.
In effetti non si sa bene dove commentare, visto che questo è l’ultimo post in ordine cronologico, lo faccio qui.
Carla benedetti inizia il suo pezzo così:
« “vi scrivo dopo aver letto su questo blog l’articolo “Il corpo insepolto di Pasolini“, dove Marco Belpoliti ci invita in pratica a non parlare più del suo omicidio, su cui giá si sa l’essenziale.»
Mi ha sorpreso, e sono tornata a leggermi il pezzo di Belpoliti dal quale è nata la risposta di Benedetti e questo invito io non l’ho letto, ho letto altro, che Belpoliti del resto riassume qui sopra rispondendo a Martone:
«non sono contro la riapertura delle indagini sul delitto di Pasolini; mi sono dichiarato scettico riguardo l’ipotesi che il poeta sia stato eliminato perché sapeva qualcosa di più di altri circa il delitto-Mattei e le stragi degli anni Settanta. »
le ragioni del suo scetticismo del resto le motiva citando ampiamente articoli e libri sul caso, chi non è d’accordo dovrebbe contestarle puntualmente, visto che sono alla base del suo ragionamento, non fare un’alzata di scudi a prescindere.
Ma il succo del ragionamento di Belpoliti mi pare stia soprattutto nell’invito che fa qui sopra e in modo molto più articolato nel post iniziale:
« È ora di andare oltre un decennio che non finisce di finire nella testa di tanti, il che è un modo per continuare a restare legati al passato, quando invece la discussione, anche a partire da Pasolini, dovrebbe procedere. Ad esempio, sugli anni Ottanta, vero snodo del nostro presente. »
mi sembra che l’ invito ad “andare oltre”, che qualcuno ha letto nel senso di chiudere la pratica, vada invece nel senso di ampliare l’orizzonte, come Pasolini del resto ha sempre fatto di fronte alla realtà italiana dei suoi anni.
Concordo in particolare con queste parole:
«Il compito degli scrittori, dei registi, dei saggisti, credo, non sia solo quello di apporre una firma su un appello, quanto piuttosto di produrre delle visioni, così come Pasolini ha fatto con Petrolio, che ci illuminò sulla realtà più ancora delle verità di tribunali o poliziotti.»
Che poi gli eterni misteri di questo paese contribuiscano a farci restare un paese bloccato, lo penso anch’io, ma contribuiscono a bloccarci anche perché ci spingono, e noi non resistiamo, alla continua ripetizione dell’uguale (l’appello, l’indignazione verbale e impotente, il complottismo che non è mai riuscito a far luce su nessun complotto, mentre è riuscito a convincerci che TUTTO è complotto, spingendo la ricerca della verità nello scaffale della retorica).
Quoto l’ultima Alcor. Quella che mi precede.
@ maria
Io penso che Pasolini quella notte non dovesse neanche morire. Sicuramente reagendo ai suoi aggressori li spinse alla fuga.
E Pelosi preso dal panico (s)travolse gli eventi.
Dici il vero quando affermi che i coatti non sapessero neanche chi fosse il Pasolini intellettuale.
Tutto questo mitizzare Petrolio alla lunga potrebbe risultare un azioso giochino di societa’. Compensatorio. O frustrante.
Una verita’ ufficiale sulla morte di Pasolini c’e’ gia’. Fino ad inconfutabile prova contraria. Adesso bisognerebbe solo storicizzare l’autore. Ed andare oltre. La nostra Italia sta tutta negli anni ’80. O meglio, nella sua crisi dalla fine degli anni ’80.
ama la crisi (ma più che crisi fu la vittoria del liberismo) degli anni ottanta non è italiana, ma mondiale, cominciando dalla tatcher (1979), a reagan 1981, a craxi (socialista anomalo) 1983 … Tutto il mondo cambia. Da noi è stata una cosa più lenta, ma più catastrofica perchè avevamo il disordine televisivo, cosa che non esisteva in america e in inghilterra.
Forse se avessimo dato retta a Pasolini (invece di processarlo ad ogni occasione) che aveva denunciato in tempo il pericolo televisivo e avessimo fatto leggi apposite (inserite anche dentro la costituzione) oggi non ci troveremmo nel cul de sac in cui ci troviamo e non avremmo trasformato un imprenditorello abile, ma ridicolo in uno degli uomini più ricchi d’europa.
Belpoliti porta avanti la linea interpretativa che aveva già delineato in Settanta dove dimostra, secondo me con evidenza, come la sessualità di Pasolini non fosse un di più ma il suo principale strumento d’interpretazione della realtà (pensate al famoso articolo contro i capelli lunghi) e che l’oscurarsi della sua visione del mondo e dell’Italia nei primi anni 70 dipendesse anche dalle crescenti difficoltà nei suoi rapporti con i giovani marchettari che col crescente benessere si facevano sempre più difficili ed esigenti, cosa che potrebbe confermarvi qualsiasi anziano omosessuale (Arbasino, a suo modo, sull’argomento non ha detto cose diverse)…
Quanto alla prospettiva cospirazionista… Nello specifico vi sono nella morte di Pasolini dei dettagli oscuri che potrebbero ben essere oggetto di nuove indagini. Ma il fastidio della prospettiva cospirazionista, che vorrebbe convincerci che lo stato in cui ci troviamo sia colpa di oscure manovre di pochi tanto tempo fa, nel complesso mostra la corda e si rivela, come s’è detto di recente, ‘consolatoria e compensatoria’ e per questo Belpoliti vorrebbe abbandonarla in favore di analisi più comprensive, anche quelle di Pasolini.
(basta non esagerare: l’unica cosa più stupida e irritante dei cospirazionisti fanatici sono gli anti-cospirazionisti altrettanto fanatici, i tipi alla Battista-Attivissimo per intenderci)
Alcor, e tutti.
ma se veniamo al sodo, si può sapere cosa vuole Belpoliti, quale sia la sua richiesta alla Benedetti e alla sinistra italiana?
Che vuol dire il suo “andare oltre”, e il tuo (di Alcor) “ampliamo l’orizzonte”?
Santo cielo, vogliamo deciderci ad attenerci al mondo dei fatti, o vogliamo sempre entrare e uscire dal mondo fattuale facendoci poesia?
– Belpoliti non crede al complotto per Petrolio, bene, ma allora la Benedetti e altri possono o non possono chiedere ai magistrati di sentire Dell’Utri, secondo Belpoliti? Possono? Possono, bene.
– La sessualità per Pasolini era la sua chiave interpretativa del mondo ecc., bene, ma allora dobbiamo concludere, come Belpoliti di fatto conclude dicendo che Naldini non è lontano dal vero (come fa Belpoliti a decidere quale sia il “vero”?) che è stato un delitto per questioni sessuali?
No, non dobbiamo concludere questo, ma lasciare aperta la pista del complotto come qualunque altra? Sì? E allora scrittori e intellettuali possono farsi coscienza civile e chiedere alla magistratura di fare il suo dovere, ora come quando Pelosi ritrattò (in parte)? Possono, sì, o devono solo “produrre visioni”, più che produrre appelli? Possono anche produrre appelli alla magistratura? Possono, bene.
E allora, mi spiegate cosa vuole Belpoliti dagli scrittori e dalla sinistra?
(continua)
in termini di azioni concrete, di fatti – non di concetti astratti che restano nell’astratto?
Tre interventi che precedono (maria, alcor, ama) sono lucidi e coraggiosi.
Come quello di Belpoliti. Per chi voglia intendere.
Si dovrebbe proseguire su questa strada.
Distiguere – sapendone i limiti – la verità giudiziaria, da quella dei fatti, da quella storica.
Non fare il monumento a nessuna delle tre. Non aggrapparsi a.
Distinguere, poi, queste verità dalla (emozionale) coazione a ripetere che non permette al fu Pasolini Pier Paolo di morire una volta per tutte.
Se verranno novità dalla verità giudiziaria, ben vengano. Ma intanto noi si deve fare il funerale, ‘consummarlo’, e parlare di PPP finalmente morto. Parlare d’altro, anche.
La metafora martilogica o cristica che – con le sue ragioni e i suoi limiti – spesso ha fornito l’unica chiave di lettura della vicenda terrena di P., proprio nell’ “appello” di Belpoliti sta arrivando alle sue naturali ed estreme conseguenze: tra poco non parleremo più del Pasolini intellettuale, poeta, regista, corsivista e narratore ma dei suoi ermeneuti, delle scòle per la corretta interpretazione non delle sue opere, ma dell’allegoria nascosta nel Mistero glorioso della sua morte (in questo, Pasolini è vero Cristo laico: muore e muore, ma non risorge. E ce la teniamo stretta la sua non-resurrezione, come la sua non-decomposizione. La nostra fede, il nostro mistero fatto carne. I suoi nemici sono i nostri nemici: li scoveremo)
Poi, alla metafora cristica affiancheremo quella socratica.
E ci si accapiglierà tra testimoni, aderenti a, fiancheggiatori di, mormoratori
(cito Pagliarani dalla “Ballata di Rudi”: ‘Prima che dai giudici’ )
“[…] Sentimentalismo è la parola che viene subito dopo. E dopo gli imbecilli tetri/
vengono i puri furfanti. Ma finalmente la forza principale, il cemento /
che tiene assieme tutto, è la vergogna della propria testa.
Bisogna fargli vedere che c’è tanto da fare e bisogna dargli/
tanto da fare che a nessuno rimanga in capo una sola idea propria:
residuo borghese, la giudicherebbero./
Basta gridar loro non siete isti abbastanza, che si getterebbero nel fuoco,/
come concretamente vi si gettano: tutto mastice buono/
tutta burocrazia interna e sentimentalismo centrifugo, allo sbando./
Se c’è ancora qualcosa di meglio? Persuadere quattro membri di un gruppo/
a liquidare il quinto: li legherete tutti, non oseranno più/
chiudere i conti”
Allora i Platoni si moltiplicheranno. E ciascuno fonderà una propria scuola, con propri allievi: giovani che citeranno i testi della patristica, che avanzeranno princìpi di minoranza, glosse e apologie, ma ignoreranno le opere di Pasolini, o ne useranno scarni lacerti per dire: “questo conferma la nostra tesi, non vedi?”
Sarebbe tempo di avvicinarci alle radici fangose del presente, tirarle fuori queste radici, come tuberi, come carote. Gli anni Ottanta-Novanta.
Questo, credo, avrebbe fatto lui. Molto più egoisticamente legato al presente di noi.
E porgendo pietosamente un fiore sulla propria tomba.
@ Sacha
Ottimo Arbasino. Grandissimo. E ottimo Belpoliti quando scrive di Pasolini. Io trovo che dovremmo proprio riappropriarci della visione di Arbasino.
Sono fermamente convinto che Pasolini negli ultimi anni della sua vita non riuscisse piu’ facilmente a corrompere i ragazzini romani con niente. E non solo per la diffusione di un certo benessere. In fondo era diventato vecchio. Pasolini. Meglio brevi escursioni in Nord Africa. Non si puo’ proprio fare a meno di parlare di queste cose. Pasolini aveva elevato la marchetta sessuale a visione del mondo. Fortemente omofobo, non avrebbe mai capito che certi coatti sarebbero andati con lui anche gratis. Con o senza il macchinone. Quegli stessi coatti che sarebbero piu’ o meno compiutamente divenuti, di li’ a poco, gay. Magari con orgoglio.
Pasolini/Socrate forse è un po’ forte (non quagliano nemmeno per complessione fisica), però senz’altro serve ad ampliare l’orizzonte sul mondo omosessuale, come vedo ora fare alla stessa Benedetti: sul Primo Amore infatti è comparso il racconto di Comisso già apparso su “Libero”, e per questo introvabile (da me almeno, che non tocco).
@ sara ventroni
Ovviamente ho letto con entusiasmo la tua analisi. Mi convince di meno il Pasolini-Socrate.
Bisognerebbe comunque cominciare a parlare degli anni ’80. Se ne sente forte il bisogno.
(pensierino aggiuntivo e un po’ futile: a un certo punto, all’Isola dei Famosi, Sandra Milo ha accennato a una violenta tirata anti-Pasoliniana di Aldo Busi senza però entrare nel merito, tirata che non è stata fatta vedere. Sono curioso. Avrà scritto qualcosa sull’argomento?)
@Ama
mai parlato di Socrate (che qui vale come il Sarchiapone) ma dei socratici “Platoni”: i testimoni e martiri del maestro.
@ sara ventroni
Non saprei. A me non sembrano testimoni e martiri del maestro. I pasoliniani. Non compiutamente. Pero’ ci pensero’ su.
Comunque oggi l’Italia dovrebbe fare i conti con una visione altra dell’omosessualita’. Soprattutto l’Italia formatasi con Pasolini. Gioverebbe all’intera comunita’. Fuori tempo massimo.
Ovviamente questa visione altra non puo’ darcela Walter Siti, per dire…
Il problema resta. Uno dei problemi.
(…)”Quello su cui dissento è invece la tesi complottista per cui esiste sempre un quid che la verità giudiziaria non riesce a chiarire, così com’è accaduto per altri avvenimenti degli anni Settanta, a partire dalla bombe di Piazza Fontana sino ad arrivare al sequestro di Moro. Credo sia venuta l’ora di chiudere con quel decennio di cui Pasolini e Aldo Moro, forse non a caso, sono i due corpi simbolo; e dare loro una degna sepoltura, cosa che nessuna inchiesta giudiziaria riuscirà mai, credo, a fare. La mia è una posizione politica”(…)
Più chiaro di così! Il Belpoliti pare proporre un bel colpo si spugna, schierandosi contro una stantia dietrologia, a sentir lui. A chi conviene questa posizione? Non certo alle vittime di omicidi e stragi, non certo alla giustizia, ma a qualcun altro… La strategia della tensione è stata inventata dalla CIA ed esportata in tutto il mondo, e la mente affilata di Pasolini era semplicemente troppo scomoda per il potere costituito, per i maggiordomi italiani di Washington. Nessuna società civile, nessun membro di alcuna società civile può osare proporre di “chiudere” quel periodo e andare oltre, relegando in una squallida retroguardia la ricerca giudiziaria e politica di “quelle” verità. Insistere ancora sull’omosessualità di Pasolini come questione centrale del suo omicidio è ridicolo, ma illuminante sulle persone che vi insistono…
Nulla va “digerito”, tutto è ancora da masticare…
la testi di belpoliti è smentita da fatto che ad esempio anche saviano ha scritto un libro usando materiali pubblici e noti ed è proprio per questo che i cammoristi lo volevano seccare.
[…] diversi quotidiani e in rete (qui e qui) si sta discutendo sulla riapertura del processo per la morte di Pasolini. Se ho inteso bene, […]
“Sarebbe tempo di avvicinarci alle radici fangose del presente, tirarle fuori queste radici, come tuberi, come carote. Gli anni Ottanta-Novanta”.
Concordo, anche se, mettendoci un po’ di attenzione, si vede pure che le radici del presente affondano in un humus profondo più antico e stratificato, cattolico et trasformista et fascio-comunista, masson-liberaloide, azionista, ideal-crocian-gentiliano, gramscian-trontiano, fortinian-piacentinian: tutto fuso con tutto.
Oggi vediamo i frammenti fossili delle varie culture dopo-guerresche ibridarsi nelle forme più varie, anche mostruose se vogliamo, a partire da quella forse più prolifica e più deforme che vede sposarsi la cultura dello spettacolo con il catto-razzismo tipico del Nuovo Grande Ripieno sociale.
Quindi è vero, Sara ha ragione se dice che i nuovi Enti coi quali facciamo oggi i conti emergono chiaramente solo negli anni Ottanta, sviluppandosi nei Novanta, compiendosi nei Dieci del Ventunesimo, ma non completamente: sono alle viste ulteriori chiusure di massa di cui non si vede la fine.
E però Pasolini è lì, che muore nel bel mezzo dei Settanta, altra epoca certamente, subito dopo aver pre-sentito (qui sta in radice il suo fascino per i postumi) et pre-analizzato, pre-saputo parecchie cose del dopo, del nostro dopo, di questo dopo che è l’oggi: come facciamo a passare oltre se quelle parole ancora sono capaci di pesare come un’àncora?
Si può superare solo chi si all’improvviso si percepisce fermo, inchiodato alla sua epoca, al suo mondo, alla sua poetica, senza possibilità di parlarci dell’oggi.
Pasolini è senz’altro fermo al suo mondo, alla sua Roma, al suo popolo di sotto-proletari, ma ci sono pur sempre le sue parole, ultime et vaticinanti, che è difficile storicizzare e quindi “superare”, perché si rischia il vuoto, o peggio un’adesione strisciante al presente, che io peraltro già vedo, in me, come in altri…
Il discorso, come si dice, sarebbe lungo, anzi è lungo.
Senza addentrarmi nelle tesi e controtesi mi chiedo: possibile che sulla morte di Pasolini debba esserci un’alternativa secca? Che Pasolini o sia stato vittima di un “affare tra froci” senza antecedenti né mandanti, oppure vittima di un complotto ordito da chissacchi, nel quale c’è dentro tutto e il contrario di tutto? Negli anni Settanta, a Roma, era di moda tra certa gioventù dorata, ancorché nera, divertirsi “andando a dare una lezione a…”: persino il gruppo di Izzo, Guida e Ghira ha cominciato così (ad andarci di mezzo erano soprattutto le prostitute); e in quegli ambienti c’erano, non solo come picchiatori ma anche come assassini, figli di importanti e autorevoli personaggi pubblici. Il cognome Alibrandi ricorda qualcosa? Un terrorista dei NAR, noto picchiatore fascista, probabile assassino di Waltr Rossi, intoccabile come il teflon perché figlio di un importante magistrato. Che gli ignoti in concorso coi quali Pelosi ebbe un qualche ruolo nella morte di Pasolini, magari senza sapere che era proprio Pasolini, provenissero da questi ambienti è così difficile da immaginare? Non è sufficiente ipotizzare che le tante stranezze, dimenticanze e implausibilità dell’inchiesta siano servite, a posteriori, a coprire qualche giovane di questa fatta? Non è, questo, un fatto politico, anche senza scomodare servizi segreti, banda della Magliana, Cefis e quant’altro?
E non sarebbe responsabilità dell’intellettuale reclamare giustizia e al tempo stesso battere piste che si è in grado di controllare, invece che sollevare polveroni che ricordano le inchieste di Voyager piuttosto che quelle dell’Espresso degli anni Sessanta?
Insistere ancora sull’omosessualità di Pasolini come questione centrale del suo omicidio è ridicolo, ma illuminante sulle persone che vi insistono…
maria
perchè ridicolo?
Pasolini fu ammazzato durante un incontro omosessuale e in scenari assai consueti, puoi dire che non sarà tutto, che non sarà centrale ma non che sia cosa ridicola, come se nella ricerca della verità, posto che non sia già stata trovata, questo dato possa essere trascurato per cercare chissà quali trame politiche omicide contro l’intellettuale scomodo.
E cosa direbbe di tanto illuminante su coloro che pensano fondata l’ipotesi per ora accertata dal punto di vista giudiziario, cosa nasconderebbero, quale sarebbe il loro movente , cosa vorrebbero dimenticare o peggio occultare?
Sinceramente poi, per quanto mi sforzi, non riesco a collocare il delitto di PPP su uno scenario internazionale come se le sue straordinarie intuizioni sulla mutazione che cominciava durante la sua vita, per dispiegarsi pienamente negli anni successivi, fosse qualcosa di meccanico, da poter essere fermato con il suo assassinio programmato e magari con la collaborazione della cia!
Pasolini fu lo straordinario profeta , non l’artefice ,di quei grandi rivolgimenti , che sarebbero avvenuti anche senza di lui. Cerchiamo di non confonderci.
maria
@francesco pecoraro
ogni epoca affonda sempre in un “humus profondo”, precedente.
Ma quanto a ritroso nel tempo dobbiamo andare?
Cosa è necessario ‘esaurire’ degli anni Settanta, e in che termini: giudiziarii?, emotivi?
Non ricordo più chi leggeva il ‘mito’ intorno alla morte di Moro come il parricidio italiano del Novecento che non vuole ancora esaurirsi (il mito, dico, della generazione giovane che fa fuori il ‘vecchio’ che il padre si ostina a rappresentare).
Qual è lo spaziotempo della storia dove è giusto sostare più a lungo?
Perché abbiamo stabilito che le nostre sabbie mobili sono gli anni Settanta?
Certo, possiamo trovare (e li abbiamo, evidentissimi) gli argomenti: strategia della tensione, anni di piombo, stragismo, omicidio Moro.
E ancora tanto altro, volendo.
Ma la storia che segue non è meno inquietante, anzi: ne è necessaria conseguenza, e profezia avverata. Incubo fatto presente.
Se la nostra mente sintetica ‘sa’ (per usare l’appercezione di P.) cos’è successo in quell’area di tempo ora non più presente, se la nostra – seppur limitata – conoscenza dei fatti riesce a disegnare il quadro generale, se – insomma – ci sono chiare le connessioni, le cause, le conseguenze (e spesso anche i nomi), perché non si riesce a schiodare da quegli anni?
Da quale trauma dell’infanzia collettiva siamo esistenzialmente colonizzati?
Oggi un inceppamento di percezione detta légge: finché non esauriamo l’analisi di quegli anni, non possiamo portarci avanti. Cosa c’è, ancora, da chiarire? facciamolo, alla svelta però. Altrimenti è legittimo sospettare che ci proviamo anche gusto a rimuginare, senza altro scopo che quello di rimuginare.
Siamo troppo fermi indietro, da troppo tempo: come se – per dire – Pasolini si fosse accanito non sul fascismo che vedeva nel presente, ma sul caso giudiziario Matteotti, o su quello dei fratelli Rosselli.
I nodi – certi nodi – non saranno forse mai sciolti e la palude non sarà mai asciutta, ma la geografia dello stagno in cui ora siamo immersi è un’altra.
Procediamo come cartografi nostalgici della strada appena percorsa.
E non si va avanti con l’intelligenza delle cose.
Dovremmo fare come la Cia e come i profeti: occuparci del futuro. Almeno un po’ (e contestare lì il passato, per provare a non ripeterlo: questo era il senso migliore – suppongo – per chi ha vissuto un ‘movimento’: la sensazione di uno slancio che spezza la paralisi)
scrivi:
“Pasolini è senz’altro fermo al suo mondo, alla sua Roma, al suo popolo di sotto-proletari, ma ci sono pur sempre le sue parole, ultime et vaticinanti, che è difficile storicizzare e quindi “superare”, perché si rischia il vuoto, o peggio un’adesione strisciante al presente”
I testi, le opere. Giusto.
Io in questo senso ho inteso il suggerimento di Belpoliti.
Altro è la disputa sulla verità ultima, sul significato della morte di Pasolini (atteggiamento, a mio avviso, escatologico).
È un accanimento che non aggiunge nulla alla forza delle opere, né della persona: maliziosamente, si potrebbe dire che PPP lo aveva già da solo figurato, il ‘martirio’; e dunque non ha bisogno di apostoli, perché la sua morte – fuori dalla verità giudiziaria o dalla biografia volutamente ‘a rischio’ – non significa assolutamente nulla in sé.
@Girolamo
quando vidi per la prima volta Izzo intervistato dalla Leosini in tv, e quando Izzo, con quei suoi occhi psico-tiroidei le disse che molti dei suoi delitti erano ancora tranquillamente impuniti, e che lui e altri camerati erano soliti dedicarsi a spedizioni punitive contro i ‘frosci’ marchettari, insomma, quel giorno sono stata investita dalla forza d’urto di un’intuizione: “lui, lui e gli amici suoi hanno teso l’agguato a Pasolini”.
L’intuizione che a me, per un istante, pareva dato certo, poteva apparire tale perché verosimile.
E cento e mille sono le ‘opere aperte’ che si possono costruire per ciascun mistero italiano, fuori dall’evidenza dei fatti.
Come poi, altre volte, altrettanto netta ho avuto l’impressione che questa forma ‘intuitiva’ di partecipazione alla costruzione della verità storica sia un’attività con forti elementi consolatori. Un modo creativo, e civile, per tenere a freno il senso d’impotenza.
Non c’è niente da fare, evidentemente dà più soddisfazione fare la marcia sul posto attribuendo a Belpoliti il desiderio di dare un colpo di spugna al nome stesso di Pasolini che leggerlo davvero cercando di capire quel che ha detto.
@Sara ventroni
sono d’accordo con te:
“I testi, le opere. Giusto.
Io in questo senso ho inteso il suggerimento di Belpoliti.”
anch’io lo ho inteso in questo senso e del resto Belpoliti lo ha ribadito con una certa chiarezza, se solo uno lo legge.
Andare oltre, e spero di non diventare stucchevole se finisco per citare sempre lui, è quello che ha fatto Sebald con la memoria tedesca della seconda guerra mondiale.
E’ andato oltre proprio non cancellando un bel niente, al contrario, andando oltre ha riportato tutto in evidenza.
Certo, ci vuole capacità di visone, mentre per firmare un appello, fare un po’ di indagini a perdere nei commenti citando questo o quello, scandalizzarsi con il primo che cerca di dire che si dovrebbe ricominciare a pensare la nostra storia, non occorre sforzarsi più che tanto, il repertorio è già tutto a disposizione.
@ELIO
proprio se dietro la morte di Pasolini ci fosse un movente politico, il paragone sarebbe improprio, nel caso di Saviano potere dello stato e contro-potere criminale non coincidono (a parte piccole complicità locali e silenzi opportunistici), e un libro che scuote l’opinione pubblica può fare da volano ed essere temuto proprio per questo, nel caso di un delitto politico potere dello stato e contro-potere eversivo nello stato di solito abitano nello stesso quartiere e non temono certo qualche articolo di giornale o capitolo di romanzo, sono intrecciati e porosi, se temessero le parole qualcosa di più si sarebbe scoperto, vedi Ustica, ma vedi anche proprio il caso Mattei.
porosi tra loro, intendo
@alcor
lo stato P2ista dei Cefis non era certo e per fortuna “tutto lo stato” e lo scontro in quel momento all’interno dello stato era ad un momento apicale.
inoltre non si trattava di articoli di giornale o capitoli di libri qualsiasi bensì della possibilità che il più noto scrittore e il più efficace articolista del tempo si applicasse ad una materia come quella della P2 al controllo dell’ENI.
Io non so se questa fosse l’intenzione di Pasolini (anzi lo chiedo agli studiosi presenti) ma se da P2ista avessi saputo che tale era non avrei esitato ad indicare agli ambienti giusti il noto scrittore come meritevole di una punizione esemplare.E in quegli anni a Roma per la P2 trovare persone motivate a dare una lezione ad un frocio comunista comportava solo l’imbarazzo della scelta.
Che la questione ENI sia utilizzata ancora oggi,a 48 anni dalla morte di Mattei,come significante del messaggio obliquo e mafioso che Dell’Utri manda agli ex P2isti perché serrino i ranghi nel difenderlo dovrebbe far riflettere sul peso specifico attribuitogli da chi ha gestito il reale potere economico in questo paese.
Alcor, Ventroni
quel che avete letto di Belpoliti è effettivamente quanto lui ha scritto: i testi, le opere di Pasolini, innanzi tutto. E il suo spirito, aggiungo io, quello che Belpoliti chiama la ricerca della verità in senso non solo fattuale ma letterario, cinematografico e artistico.
Giusto.
Però, se leggete Belpoliti, dovreste leggerlo tutto, non solo una parte di questo articolo, né solo una parte dell’altro.
E allora, dato che sulla questione da voi evidenziata (i testi, le opere innanzi tutto), nessuno non può concordare, evidentemente c’è dell’altro.
E infatti c’è.
C’è che Belpoliti
1 non si limita a dire la sua legittima opinione contraria all’ipotesi del complotto per la questione Petrolio, ma sostiene in modo perentorio che
Pasolini non avesse accesso a informazioni segrete, che non ci sia altro da lui scritto, non ritrovato, che possa esser connesso al suo omicidio. come fa Belpoliti a esser sicuro di questo?
2 sostiene poi esplicitamene l’ipotesi di Naldini sul delitto di matrice sessuale, che – scrive Belpoliti – non è lontana dal vero. come fa Belpoliti a sapere quale sia il vero? Non solo, ma ci ricama su, sulla questione omosessualità, indicandola come la principale questione rimossa nell’accostarsi a Pasolini, assassinio e persona.
Fin qui soprattutto nel primo articolo.
Nel presente, invece, scrive
3 che la sua “è una posizione politica” che ha a che fare con il “modo di ragionare di molti nella sinistra italiana. È ora di andare oltre un decennio che non finisce di finire nella testa di tanti, il che è un modo per continuare a restare legati al passato, quando invece la discussione, anche a partire da Pasolini, dovrebbe procedere. Ad esempio, sugli anni Ottanta, vero snodo del nostro presente.”
Ora, di nuovo, si può sapere in cosa consista questa critica al “modo di ragionare di molti [chi?] nella sinistra italiana”? Che vuol dire fare procedere la discussione dagli anni Settanta agli anni Ottanta?
@lorenzo galbiati
posso immaginare – anzi: ne sono certa – che tu poni queste domande per spirito di chiarezza; eppure, al mio primo commento profilavo, e intendevo scongiurare, proprio questo: la disputa sulle posizioni prese dagli ermeneuti non sulle opere, ma sulla morte di PPP.
Non sono avvocata di Belpoliti: provo a rispondere alle questioni che sollevi esercitandomi nell’odiosa ermeneutica di cui sopra, per la prima e ultima volta.
Credo che Belpoliti volesse, col suo pezzo, sottrarsi a questo gioco di semiosi infinita che feticizza la morte di P., distogliendo l’attenzione dalle opere, e profilando scontri (di cui si fa volentieri a meno) nel Talmud che tra poco scriveremo sul valore politico e spirituale della morte di Pasolini.
1. Belpoliti lo sostiene (credo) perché finora non sono stati trovati elementi scottanti tra i materiali in possesso di PPP. Possiamo anche supporre che li avesse (è lecito supporlo, ma allora è lecito anche supporre la presenza di Izzo & co. sulla spiaggia di Ostia, pronti all’imboscata, viste le sue dichiarazioni alla Leosini), ma quand’anche li avessimo, questi materiali scottanti, quali sono i dati certi che collegano i fatti dell’idroscalo al caso Mattei?
Mancano degli anelli nella ricostruzione e noi non siamo magistrati.
2. Credo che Belpoliti sostenga quest’ipotesi basandosi sulla ricostruzione della dinamica dei fatti del 2 novembre, quale emerge dalle carte processuali e dall’oggettiva responsabilità di Pelosi (come causa o concausa) nella morte di P, in un contesto di prestazioni sessuali mercenarie che presumibilmente, e fino a prova contraria, ha innescato i fatti.
3. Su questo punto ho già detto quello che penso, circa il nostro ristagnare ossessivamente nell’analisi degli anni Settanta, e circa l’invito a indagare le premesse del presente; premesse che affondano non solo negli anni Ottanta, ma anche nei Novanta, dai quali viene, credo (dalla fallita e pseudo-palingenetica rivoluzione di ‘Mani pulite’) la confusa sovrapposizione tra analisi socio-politico-culturale e procedura civile e/o penale, con enfasi sulla ‘verità giudiziaria’ a scapito di quella storica. L’intellettuale si fa magistrato (tutto il contrario, dunque, del celeberrimo ‘io so ma non ho le prove’ che, se qualcosa doveva significare, significava appunto che l’intellettuale non è un gip)
Esagerando volutamente il passaggio dove Belpoliti chiama in causa un diverso modo di illuminare la ‘verità’ da parte degli intellettuali (e sottoscrivendo in pieno la capacità di ‘visione’ di cui ieri parlava alcor, a proposito di Sebald), presento uno schemino, a solo scopo esemplificativo.
Nello stesso periodo in cui di Marrazzo si veniva a sapere l’uso di cocaina (mi limito a questo dato) moriva Stefano Cucchi, arrestato per possesso di droga.
Ci saranno indagini, e le vittime avranno (o meno) giustizia.
Ci sarà (o forse no) una valutazione politica dei fatti.
Ci sarà (si spera) una valutazione di secondo grado, storico-culturale.
Improntiamo una tavola sinottica, rozza e retorica, delle due vicende.
Stefano Cucci è stato arrestato nel Parco Alessandrino (l’Orto).
È stato massacrato dalle guardie (flagellazione).
E’ stato abbandonato dai medici (Ponzio Pilato).
Ha prefigurato la propria morte (i messaggi alla sorella).
Il suo corpo violentato è stato mostrato (Ecce Homo) perché gli assetati di giustizia sapessero lo scandalo, ma non perdessero fiducia, ché lo stato assicura uguaglianza davanti alla Legge.
Come si sostiene nel graphic novel di Luca Moretti e Toni Bruno, “Non mi uccise la morte”, Stefano Cucchi non è morto di morte: è stato ucciso.
Prima dalla polizia, poi dalla negligenza dei medici di un ospedale pubblico.
Nella mente di chi ha presieduto e partecipato alla trafila della morte di Cucchi agiva, più o meno consapevolmente, la certezza che lo stato italiano punisce gli ‘ultimi’ e scagiona i ‘primi’.
Che la cultura dello stato italiano, e il pensiero comune, invitano a perseguitare gli ultimi.
A farli fuori.
Marrazzo non è imputato.
Per la legge è innocente. Ma è giusto, culturalmente, definirlo ‘innocente’?
A causa della dismissione di Marrazzo, centinaia di persone in attesa di regolarizzazione contrattuale alla Regione Lazio non avranno ciò che spetta loro per diritto.
Cafasso è stato ucciso; Brenda è stata…?, non sappiamo ancora.
Marrazzo ha percepito due stipendi contemporaneamente: alla Regione, come presidente, e alla tv pubblica, come giornalista.
Non ha ritenuto opportuno, come gesto simbolico, sospendere i due stipendi.
Non ha dato alcun segnale ai suoi elettori né ai cittadini della regione che governava (verso i quali aveva delle responsabilità), se non declassando le conseguenze politiche dei suoi gesti a contrizione privata (espiazione in convento).
Cucchi di qua, Marrazzo di là: le narrazioni televisive hanno illuminato le conseguenze politiche e il retroterra culturale relativi ai due casi?
Gli intellettuali, cosa dicono?
Forse mi sbaglio, ma immagino che Pasolini oggi racconterebbe – magari con forzature o trasfigurazioni estetiche – le radici recenti (il ‘turning point’ degli anni Ottanta; l’egemonia culturale dell’asse Berlusconi-Lega) e la fisionomia della palude presente.
sara ventroni
sei “giusta” ma schematicamente precipitosa (il discorso su stefano cucchi, anche schematicamente, è un po’ più complesso).
Di quel che citi in rete se n’è parlato (anche qui, in un certo senso:). Ne hanno parlato anche quelli che, sempre qui, son ritenuti intellettuali. Tutto dipende dal come.
In ogni caso, alla faccia della violissima libertà di informazione non dimenticherei quel che accade (è accaduto: joy per esempio, sta accadendo: l’affittacamere per esempio, accadrà) nei cie. oltre una certa soglia quelli che voi ritenete intellettuali si defilano. Restano i blog dei senza nome, di macerie di noi non siamo complici, e qualche rara coraggiosa collaboratrice di quotidiano (vedi anna simone) e naturalmente le mailing list. chi vuole (basta la quinta elementare) comunque sa. Gli intellettuali in questo senso non servono (capiscimi).
Oggi dovrebbe essere uscita una breve replica di Belpoliti a Carla Benedetti su La Stampa (non sono uscito di casa, quindi non posso verificarlo). Ieri Marco me l’ha spedita (non è ancora a Milano e fa fatica a connettersi e seguire la discussione), ve la allego qui sotto.
MARCO BELPOLITI:
Sono favorevole alla riapertura delle indagini sulla morte di Pasolini, poiché restano ancora diverse cose non chiarite. Ma sul delitto politico dissento. Tutta l’argomentazione di Carla Benedetti per sostenerlo si fonda su un capitolo inedito di Petrolio che, dato che è inedito, e forse non c’è neppure, lei non ha mai letto. Se non è complottismo questo, cos’è? Le fonti ignote di Pasolini sono ignote a tutti, dunque non si può costruire su questo nessuna ipotesi sensata. Ma poiché non esistono solo ragioni razionali, ma, come sappiamo, ci sono anche le ragioni del cuore, cui Pasolini si appellava contro Calvino, forse sarebbe il caso che chi scrive provasse a dar corpo alle proprie visioni al riguardo, a renderle più vere del vero, come Pasolini stesso ci ha insegnato. Davvero è ora di pensare come Pasolini e non a Pasolini. Il resto lo lasciamo a poliziotti e giudici, che facciano il loro mestiere. Lo chiedo anch’io.
@gina
ho detto: faccio uno schema.
E’ quello che ho fatto.
Suggerire, dei casi citati, la visione sinottica.
La sproporzione delle conseguenze, per Cucchi e Marrazzo, rispetto alle responsabilità.
Mettere l’accento su “responsabilità politica” da un lato, e pensiero comune, che suggerisce di espellere, massacrare, cancellare i diritti degli ultimi, ovvero: di tutti quelli che la communis opinio (e governativa) invita a percepire come ‘gli ultimi’. Dai migranti, ai trans.
Questa è la cultura che si esala dal presente.
[en passant – e infine – sottoscrivo Ventroni, parola per parola. Virgole comprese]
@ galbiati,
dopo la risposta articolata di Sara Ventroni e quella sintetica di Belpoliti a proposito del complottismo, postata qui sopra da Biondillo , direi che posso sottrarmi a una replica anche mia che sarebbe una ripetizione di quel che ho detto fin dall’inizio e che ormai mi pare chiarissimo a tutti quelli che vogliano leggere senza pregiudizi
Cara (mi permetto) sara ventroni
quel che dici è da che mondo è mondo. non mi pare che ciò sia una novità, né una particolarità italiana (vivo all’estero, accadeva accade accadrà: il medesimo, e non è che mal comune mezzo gaudio). Resta il fatto che oggi chi vuole sapere sa, che chi vuole vedere vede, alla faccia del mutismo “intellettuale”, alla faccia delle diatribe di comodo o seghementaleggianti (chissene). Che poi si sia in ogni caso in pochi, troppo pochi, questo è un altro paio di maniche.
sulla/con la/grazie alla visione sinottica si aprono mondi, serve solo:) la capacità schizo di mutare i punti di vista, e contemporaneamente quella di concentrare l’attenzione e adeguare la strumentazione.
ma questo lo sai:)
@ sara ventroni
Trovo ottimo il tuoi ultimi commenti.
Comunque non farti illusioni, oggi Pasolini avrebbe difeso le posizioni della Chiesa di Roma. E forse avrebbe simpatizzato per la Lega.
Credo anche che dagli anni ’80 non avrebbe piu’ avuto tutto quello spazio mediatico. Il suo faccione sarebbe stato improponibile. Meglio Faletti.
Una precisazione: quando, nel mio post, cito la banda Izzo-Ghira-Guido responsabile (tra l’altro) del massacro del Circeo, lo faccio solo a titolo di esempio dell’area comune esistente tra la giovane borghesia romana e l’estrema destra. Non ho elementi per suggerire che c’entri con la morte di Pasolini.
Non so, sarà per la mia formazione scientifica, o per altro, ma continuo a non capire perché delle volte si aprano delle discussioni per posizioni che a me appaiono intimamente contraddittorie, ma che vengono da più parti sostenute – a me pare più che altro per un loro fascino poetico che resta alquanto indefinito in termini di incidenza nella realtà.
Qui per es. tutti sostengono e lodano la posizione di Belpoliti, che a me appare sempre più contraddittoria.
Per esempio:
“Sono favorevole alla riapertura delle indagini sulla morte di Pasolini, poiché restano ancora diverse cose non chiarite.”
Ed è quello che sostiene la Benedetti.
Ora, però Belpoliti critica gli scrittori che fanno appelli sulla riapertura del caso Pasolini dicendo che non è tanto quello che dovrebbero fare.
Si decida, è giusto o no fare l’appello che ha fatto Il primo amore anni fa?
Lo scrittore puù avere il ruolo di stimolare una magistratura pigra nel riaprire il caso (anni fa dopo la ritrattazione di Pelosi le indagini non sono state riaperte)?
Ora salta fuori la dichiarazione di Dell’Utri. Farne un caso, chiedere di indagare su quanto dice Dell’Utri mi sembra un modo per stimolare l’azione giudiziaria, che infatti è avvenuta.
Ora, che senso ha dirsi favorevole alla riapertura del caso se poi, subito dopo si afferma che “sul delitto politico dissento. Tutta l’argomentazione di Carla Benedetti per sostenerlo si fonda su un capitolo inedito di Petrolio che, dato che è inedito, e forse non c’è neppure, lei non ha mai letto. Se non è complottismo questo, cos’è?”
Cioè si dà del complottista a chi non fa altro che chiedere appunto la riapertura del caso, e, pare, che in fondo manchino solo dei dettagli da chiarire, per Belpoliti, dato che il delitto non essendo politico è di certo – certo per lui – di matrice sessuale.
Se quindi una persona prende in considerazione
– la sentenza di primo grado che citava il concorso con ignoti
– la ritrattazione di Pelosi, che cita il concorso con ignoti
– la dichiarazione di Dell’Utri che dice quel che dice
e chiede di indagare su tutto questo diventa un complottista?
Continuo a non capire, così come non capisco quale sarebbe la sinistra che si preoccupa solo della morte di Pasolini e trascura di parlare delle morti di giovani in carcere o altro.
Temo che alla fine, alla radice di tutto, ci sia chi voglia tenersi aperta ogni pista e chi dice agli altri quali tenersi chiusa. E a me sembra migliore la prima posizione.
se sei di formazione scientifica non generalizzare :-) cosa vuol dire “Qui per es. tutti sostengono e lodano la posizione di Belpoliti, che a me appare sempre più contraddittoria”?
Io ad esempio NON la sotengo e ancor meno la lodo, ANZI detesto chi dice sempre che c’è benaltro da fare;-) … annuso subito l’imbroglio.
Cosa intendi quindi con TUTTI, gli indiani o anche i commentatori?
la sentenza di primo grado che citava il concorso con ignoti
– la ritrattazione di Pelosi, che cita il concorso con ignoti
– la dichiarazione di Dell’Utri che dice quel che dice
e chiede di indagare su tutto questo diventa un complottista?
maria
i processi non ri riaprono a caso, ci vogliono validi motivi; ora mi chiedo se un manoscritto inedito di pasolini possa essere elemento connesso con la sua morte, mi parrebbe strano dal momento, se ho ben inteso, che nessuno ne conosce il contenuto.
Geo,
non fare domande come Mozzi (così lo citiamo anche qui), sai già la risposta: ho generalizzato.
Quindi QUASI TUTTI.
Non ti considero neanche in queste mie generalizzazioni perché sei la mia preferita, sai bene che ho un debole per te ;-)
@ maria
Io non riaprirei il caso Pasolini. Non mi pare ci siano elementi, almeno stando ad oggi.
Vuoi vedere che non siamo ancora riusciti a storicizzare Berlusconi perche’ il Profeta Pasolini non ha ancora avuto degna sepoltura? I suoi seguaci vogliono sapere perche’ e’ morto e per riscattarci da cosa. Come se una sentenza giudiziaria potesse dare loro tutto questo…
Avevo già chiesto lumi all’inizio del dibattito: possibile che Carla Benedetti non scriva una parola (almeno un “non so”) sulla coincidenza dei capitoli mancanti? Cosa dice la Netiquette e cosa pensa la Redazione? O che senso ha scrivere un post appositamente per un litblog e poi snobbare il dibattito? non bastava Il Primo Amore o la carta stampata? Riporto di nuovo il brano di Cinzia Fiori, dal Corriere di 13 anni fa:
Naldini nella cronologia della vita di PPP diceva che nel ‘52 lo scrittore inizia un pamphlet dal titolo Il disprezzo della provincia ma, aggiunge, non va oltre il primo capitolo. A trovare la continuazione e’ stato W. Siti. “E’ un testo satirico – racconta Siti -, l’unico romanzo dell’epoca in cui i protagonisti non vengono dall’ambiente contadino o sottoproletario. Sono due intellettuali di provincia, uno e’ omosessuale, l’altro etero. Durante una gita a Chioggia, probabilmente ispirata a quella che PPP fece per andare a trovare Comisso, il giovane etero ne combina una grossa, tanto che lo scrittore famoso lo schiaffeggia”. A questo punto pero’, e siamo al settimo capitolo, c’e’ un buco che Siti calcola di un capitolo e mezzo. “Secondo me PPP non l’ha mai scritto. Ma doveva avere in mente un evento grave”.
@ama
infatti, alcuni commenti hanno collegato l’affaire Pasolini a tutti i grandi misteri d’Italia, strategia della tensione, caso mattei, ruolo della cia e tutto il resto, troppo arduo , evidentemente, pensare quel delitto come frutto di una molteplicità di motivi senza mettere in campo una precisa macchinazione di potere, e con quale scopo poi, distruggere delle rivelazioni -prove, alcuni sottintendono pur senza dirlo, ma lasciando in giro il manoscritto?
Capirei di più voler riaprire il processo per conoscere tutti gli assassini, posto che fosse più d’uno, ma la storia d’Italia c’entra poco o meglio c’entra molto, ma non è da svelare, sappiamo tutti come fu trattato Pasolini in vita , quanto fu odiato, perseguitato, sbeffeggiato dalla piccola borghesia che lo detestava perfettamente contraccambiata, e non solo, basti pensare alle pesanti ironie di cui fu oggetto anche da settori della sinistra quando lo scrittore si espresse contro l’aborto e il “conformismo dei progressisti”.
maria
Quoto Lorenzo Galbiati, e aggiungo che i successivi chiarimenti offerti da Belpoliti (in ultimo la lettera a “La Stampa” anticipata qui sopra da Gianni Biondillo) mi lasciano sempre più perplesso. Posso capire l’onesta e chiara posizione di Bortolotti quando dice che la verità storica è più importante della verita giudiziaria: sono due “verità” che hanno lo stesso oggetto e che si distinguono solo per il metodo d’indagine. Capisco molto meno Belpoliti quando:
1) difende e raccomanda la verità poetica, “più vera del vero”, proponendola a reale oggetto dell’attività dell’artista;
2) sostiene che solo la verità poetica ha importanza, mentre la verità fattuale è roba da questurini;
3) sembra affermare che quanto di Pasolini è importante per noi è solo l’opera, non la vita né tanto meno la morte, la quale tutto sommato è solo un fatto di cronaca;
4) poi però (anzi prima) non rinuncia a prendere posizione sulla questione *fattuale* della morte di Pasolini, dichiarando fantasiose e complottistiche tutte le ricostruzioni che esulano dalla tesi del “delitto omosessuale” e lodando la ricostruzione di Naldini, perché poeticamente e (quindi?) fattualmente più convincente.
Mi sembra che i punti 1), 2) e 3) rientrino in una concezione idealistico-crociana del fare artistico, discutibile ma legittima, mentre il punto 4) sia in clamorosa contraddizione con i primi tre.
Ci sono fior di inchieste e documentazioni, libri, film, testimonianze, che ci fanno pensare (temere) che Pasolini abbia subito un agguato, preventivamente organizzato. Ipotesi mai seriamente valutata dalle burocratiche, arretrate e probabilmente anche pregiudiziali forze dell’ordine dell’epoca per la scontata ragione che un reo confesso significa chiudere un faldone e tornare a casa prima la sera in tempo per la partita. Tutto qua. Questa è l’Italia. Questo è quello che possiamo dire. Non possiamo dire con certezza che Pasolini sia stato ucciso perché sapesse qualcosa di molto delicato – io personalmente lo ritengo improbabile anche se possibile – ma non possiamo neppure sbrigare la pratica come si trattasse di antologizzarlo, digerirlo definitivamente, perché così possiamo andare avanti.
La ragione principale per cui questo Paese non sembra uscire dagli incubi degli anni Settanta, è PROPRIO perché non sappiamo cosa è accaduto. E chi crede che bastino le mezze verità, non fa che comportarsi come la procura romana di quel 1975. È per colpa loro, di quel clima intellettuale, che non ne siamo più usciti. Chi chiede la riapertura dell’inchiesta, è come il chirurgo che davanti ad una pessima ricucitura – anche se controvoglia – riapre e ricucisce. Mica perché gli piace: è perché se guarisce bene non si troverà di nuovo il paziente di fronte.
per G.P.
scusa se non ho risposto prima. Mi trovo all’universita’ di Chicago e senza Internet a casa. Vedo solo ora la tua domanda.
A nessuna delle due so dare neanch’io una risposta.
E’ vero che ne’ Walter Siti ne’ Silvia de Laude hanno firmato l’appello per la riapertura del processo. Perche’ non lo so.
Qualche settimana fa Walter Siti, interrogato da un giornalista di “Repubbica” sul capitolo di Petrolio (“Lampi sull’Eni”) che del’Utri dice di aver ritrovato, nega la possibilita’ che questo esista, basandosi sulla struttura di Petrolio, un testo cosi’ lacunoso che e’ difficile dire se manchi o no qualcosa. Per me e’ una strana risposta perche’ evita di spiegare come mai Pasolini in un’altra pagina di “Petrolio” rimandi il lettore proprio a quel capitolo, come se lo avesse gia’ scritto. Di questo dettaglio, compresa la citazione del passo, ho parlato nell’articolo che ho scritto per l’Espresso “Giallo Pasolini”, e che trovi anche sul “Primo amore”.
Nell’edizione Mondadori di “Petrolio”, ne’ Siti ne’ De Laude mettono una riga di commento per spiegare questo strano rinvio di Pasolini a un capitolo rimasto in bianco. Non lo notano nemmeno. Anche questo e’ strano, perche’ la loro edizione e’ molto accurata in tutto il resto.
Sul perche’ di questi comportamenti non so dire nulla. Per me sono inspiegabili.
La seconda domanda, scusa, non la capisco bene. Che cosa intendi per “coincidenza dei capitolo mancanti”? Se ti riferisci al buco che ci sarebbe nel testo satirico del 52, quello non ha niente a che fare con il capitolo mancante di “Petrolio”, scritto negli anni ’70 fino alla data della morte.
Ho letto tutti i commenti, molti li condivido. Vorrei solo aggiungere una cosa.
E ben strano, come ha gia’ scritto Lorenzo Galbiati, che Belpoliti escluda il delitto politico. Se non si conocono ancora le ragioni di quell’oicidio, non si puo’ escludere nessuna ipotesi.
Io stessa, per quanto Belpoliti cerchi di farmi apparire come una che sostiene la tesi del delitto politico, basandomi – secondo lui – sul capitolo inedito, non escludo nessuna ipotesi. Il nostro appello di quattro anni fa lo diceva chiaramente: “Noi non sappiamo se a uccidere Pasolini sia stata una decisione poitica. Ma quel che sappiamo e’ che la versione della rissa omosessuale non regge, e che e’ stata una copertura per nascondere un altro tipo di delitto” (cito a memoria. Il testo si legge sul Primo amore). Di che tipo sia quel delitto e’ ancora tutto da capire.
Non e’ complottismo questo, e’ semplicemente un volere la verita’, innanzitutto la verita’ storica, oltre a quella giudiziaria.
Quanto agli scrittori che, secondo Belpoliti, non si dovrebbero occupare di delitti, questa e’ una sua opinione, che come tale rispetto. Ma mi permetto di dissentire. De Lillo allora non avrebbe dovuto scrivere un libro sul delitto Kennendy? E tutti gli scrittori che scrivono di fatti storici e di gialli irrisolti? Dovrebbe dire la stessa cosa anche a loro, non solo a me.
Carla Benedetti
per G.P.
scusa se non ho risposto prima. Mi trovo all’universita’ di Chicago e senza Internet a casa. Vedo solo ora la tua domanda.
A nessuna delle due so dare neanch’io una risposta.
E’ vero che ne’ Walter Siti ne’ Silvia de Laude hanno firmato l’appello per la riapertura del processo. Perche’ non lo so.
Qualche settimana fa Walter Siti, interrogato da un giornalista di “Repubbica” sul capitolo di Petrolio (“Lampi sull’Eni”) che del’Utri dice di aver ritrovato, nega la possibilita’ che questo esista, basandosi sulla struttura di Petrolio, un testo cosi’ lacunoso che e’ difficile dire se manchi o no qualcosa. Per me e’ una strana risposta perche’ evita di spiegare come mai Pasolini in un’altra pagina di “Petrolio” rimandi il lettore proprio a quel capitolo, come se lo avesse gia’ scritto. Di questo dettaglio, compresa la citazione del passo, ho parlato nell’articolo che ho scritto per l’Espresso “Giallo Pasolini”, e che trovi anche sul “Primo amore”.
Nell’edizione Mondadori di “Petrolio”, ne’ Siti ne’ De Laude mettono una riga di commento per spiegare questo strano rinvio di Pasolini a un capitolo rimasto in bianco. Non lo notano nemmeno. Anche questo e’ strano, perche’ la loro edizione e’ molto accurata in tutto il resto.
Sul perche’ di questi comportamenti non so dire nulla. Per me sono inspiegabili.
La seconda domanda, scusa, non la capisco bene. Che cosa intendi per “coincidenza dei capitolo mancanti”? Se ti riferisci al buco che ci sarebbe nel testo satirico del 52, quello non ha niente a che fare con il capitolo mancante di “Petrolio”, scritto negli anni ’70 fino alla data della morte.
Ho letto tutti i commenti, molti li condivido. Vorrei solo aggiungere una cosa.
E ben strano, come ha gia’ scritto Lorenzo Galbiati, che Belpoliti escluda il delitto politico. Se non si conocono ancora le ragioni di quell’oicidio, non si puo’ escludere nessuna ipotesi.
Io stessa, per quanto Belpoliti cerchi di farmi apparire come una che sostiene la tesi del delitto politico, basandomi – secondo lui – sul capitolo inedito, non escludo nessuna ipotesi. Il nostro appello di quattro anni fa lo diceva chiaramente: “Noi non sappiamo se a uccidere Pasolini sia stata una decisione poitica. Ma quel che sappiamo e’ che la versione della rissa omosessuale non regge, e che e’ stata una copertura per nascondere un altro tipo di delitto” (cito a memoria. Il testo si legge sul Primo amore). Di che tipo sia quel delitto e’ ancora tutto da capire.
Non e’ complottismo questo, e’ semplicemente un volere la verita’, innanzitutto la verita’ storica, oltre a quella giudiziaria.
Quanto agli scrittori che, secondo Belpoliti, non si dovrebbero occupare di delitti, questa e’ una sua opinione, che come tale la rispetto. Ma mi permetto di dissentire. De Lillo allora non avrebbe dovuto scrivere un libro sul delitto Kennendy? E tutti gli scrittori che scrivono di fatti storici e di gialli irrisolti? Dovrebbe dire la stessa cosa anche a loro, non solo a me.
Carla Benedetti
Andrea Cortellessa si riferisce anche alla discussione su Pasolini in un articolo interessante sulla Stampa che magari meriterebbe un post a parte:
http://www3.lastampa.it/libri/sezioni/news/articolo/lstp/186922/
@alcor
lo stato P2ista dei Cefis non era certo e per fortuna “tutto lo stato” e lo scontro in quel momento all’interno dello stato era ad un momento apicale.
inoltre non si trattava di articoli di giornale o capitoli di libri qualsiasi bensì della possibilità che il più noto scrittore e il più efficace articolista del tempo si applicasse ad una materia come quella della P2 al controllo dell’ENI.
Io non so se questa fosse l’intenzione di Pasolini (anzi lo chiedo agli studiosi presenti) ma se da P2ista avessi saputo che tale era non avrei esitato ad indicare agli ambienti giusti il noto scrittore come meritevole di una punizione esemplare.E in quegli anni a Roma per la P2 trovare persone motivate a dare una lezione ad un frocio comunista comportava solo l’imbarazzo della scelta.
Che la questione ENI sia utilizzata ancora oggi,a 48 anni dalla morte di Mattei,come significante del messaggio obliquo e mafioso che Dell’Utri manda agli ex P2isti perché serrino i ranghi nel difenderlo dovrebbe far riflettere sul peso specifico attribuitogli da chi ha gestito il reale potere economico in questo paese.
… ieri carlo capone ha segnalato nel mio blog la puntata di Chi l’ha visto, dove verso la fine ci sono delle novità sulla morte di pasolini.