Sull’omicidio di Pasolini – Replica a Marco Belpoliti
di Carla Benedetti
Cari amici di Nazione Indiana,
vi scrivo dopo aver letto su questo blog l’articolo “Il corpo insepolto di Pasolini“, dove Marco Belpoliti ci invita in pratica a non parlare più del suo omicidio, su cui giá si sa l’essenziale. È uno strano invito, abbastanza inquietante.
Ma come? Siamo di fronte a un delitto ancora oscuro, di cui a tanti anni di distanza non si conoscono ancora né i responsabili né i moventi, a indagini fin dall’inizio depistate, a probabili connivenze che hanno permesso per così tanto tempo di coprire i colpevoli, ancora impuniti, e un critico letterario, a cui certo non mancano le informazioni né l’intelligenza per ragionare, ci viene a dire che è meglio dimenticare? “Forse è venuto il tempo di seppellire il corpo insepolto di Pasolini … Dimenticare Pasolini per ricordarlo davvero”. Sarebbe come se qualcuno sostenesse che è inutile farsi troppe domande sulla morte di John Kennedy, tanto si sa già quasi tutto. In America sarebbe semplicemente ridicolo. In Italia lo si fa spesso. Ogni volta che sui giornali si torna a parlare dell’omicidio di Pasolini, immancabilmente si alza una voce per dire che è inutile indagare ancora, tanto non c’è nulla da scoprire. Così fanno da anni Nico Naldini (cugino e biografo di Pasolini), Graziella Chiarcossi (erede di Pasolini e moglie di Vincenzo Cerami) e altri. E così fa ora anche Belpoliti su “Nazione indiana” e sulla “Stampa”. Dopo che un senatore imputato di concorso in associazione mafiosa ha annunciato e poi non mostrato un supposto inedito di Petrolio, dopo che Veltroni ha chiesto al ministro Alfano di fare indagini, dopo che un avvocato ha annunciato una nuova testimonianza sulla morte di Pasolini, dopo che la Procura di Roma ha deciso finalmente di riaprire il caso, ecco che qualcuno subito si affretta a buttare acqua sul fuoco. Perché lo fanno? Io sinceramente non lo capisco. A chi o a che cosa potrebbero nuocere ulteriori indagini? Non sta anche a loro a cuore la verità?
Certo, Pasolini era un “poeta” (era ovviamente anche scrittore, e cineasta, ma loro lo chiamano di solito soltanto “poeta’). E con questo? Forse che le indagini su un omicidio possono essere un po’ più approssimative quando la vittima è un “poeta”? Gli assassini non sono ugualmente assassini? E la verità sulla morte di un poeta non è altrettanto sacra della verità sulla morte di un Presidente, o di qualsiasi altro uomo o donna?
Io sono una delle tante persone che vorrebbero si facesse luce su quell’atroce delitto. Nel 2005 la nostra rivista “Il primo amore” lanciò un appello per la riapertura del processo Pasolini. L’appello si può leggere qui. Lo hanno firmato un migliaio di cittadini italiani e stranieri, tra i quali personalità note della cultura come Andrea Camilleri, Bernard Henri-Lévy, Luca Ronconi e molti altri. Tra di loro anche studiosi e biografi di Pasolini, come Enzo Siciliano, ora scomparso. Lo hanno firmato anche alcuni collaboratori di Nazione Indiana. E anche Franco Buffoni di cui ora vedo, con piacere, qui ripreso un articolo di qualche anno fa su Pasolini. Il testo dell’appello non dava alcun adito alla dietrologia complottistica. Semplicemente diceva:
“Noi non sappiamo se a far tacere uno degli artisti più fervidi e una delle voci più scomode e tragiche di questo paese sia stata una decisione politica. Quello che però sappiamo – come lo sa chiunque abbia prestato attenzione alla vicenda – è che la versione blindata della rissa omosessuale tra due persone non sta in piedi. Sappiamo che essa è stata solo una copertura servita a sviare le indagini e a coprire un altro tipo di delitto”.
Chiunque sia informato sulla vicenda, oggi sa che quella versione non regge. Non solo perché lo stesso Pelosi l’ha ritrattata, dopo aver scontato la pena, dichiarando di essersi accusato dell’omicidio di Pasolini perché sotto minaccia. Ma perché già non reggeva per il Tribunale di Primo grado, che infatti condannò il Pelosi “assieme a ignoti”. Invece la storia della rissa omosessuale piace molto a Naldini, a Belpoliti e a qualche altro letterato. La trovano “poetica”. Permette loro di fare molti bei ricami sulla morte sacrificale del poeta, sullo “scandalo dell’omosessualità”. Un poeta omosessuale ucciso mentre cercava di violentare il suo oggetto di desiderio! Un poeta delle lucciole ucciso da una lucciola mutante. E se non fosse vera? A loro non importa, quella storia è troppo bella.
Belpoliti scrive che la verità sulla morte di Pasolini l’ha già scritta Naldini. Egli avrebbe già “spiegato a suo modo, non troppo lontano dal vero, cosa successe quella notte a Ostia”. Come se Naldini fosse stato quella notte all’idroscalo! E che cosa mai racconta Naldini? La solita versione: rissa tra due persone, arricchita però da osservazioni sulla psicologia omosessuale e sui suoi possibili scoppi di violenza. La solita storia, quindi, quella che non convince più, che non convinse nemmeno il Tribunale di primo grado che sentenziò la responsabilità di “ignoti”. Se Naldini, Belpoliti e altri sono così certi che non c’è più nulla da scoprire, perché non ci dicono allora chi erano gli “ignoti” che presero parte all’omicidio di Pasolini? Non ce lo dicono perché ovviamente non lo sanno. Non lo sanno, però sostengono che si sa già tutto.
Come se temessero l’emergere di un’altra verità.
Nell’articolo su “Nazione Indiana”, Belpoliti fa dell’ironia su chi ha dubbi e si pone domande. C’è in effetti nei negazionisti anche la tendenza a irridere chi chiede ulteriori indagini, stravolgendo i loro argomenti in modo da farli apparire come fanatici dietrologi innamorati del complotto. Belpoliti lo fa anche nei confronti di un mio articolo uscito sull'”Espresso” del 31 marzo, che ora si legge anche su “Il primo amore“. Fa persino passare per incontro “notturno” la conversazione che ebbi nel 2003 con il giudice Vincenzo Calia alla Casa delle Letterature di Roma, alla fine di un convegno su Pasolini che si protrasse fino alle dieci di sera e a cui presero parte anche Gianni D’Elia, Gianni Borgna e altri. Perché tanta fretta di mettere in ridicolo chi vorrebbe la verità? Non la vogliono forse anche loro?
Per dimostrare quanto sia assurdo indagare ancora su quell’omicidio, Belpoliti tenta anche di portare una “prova” filologica. Scrive che le fonti di Petrolio (a cui Pasolini stava lavorando al momento della morte) sono note. È vero. Pasolini riprendeva da articoli di giornale, dalle fotocopie del libro Questo è Cefis che gli aveva passato Elvio Fachinelli (quel libro, scritto da qualche nemico di Cefis, e poi ritirato dalla circolazione, ora si può leggere su “Il primo amore“). Quindi Pasolini non sapeva niente di più di ciò che altri già sapevano. Non c’era perciò – conclude Belpoliti – nessuna ragione per ucciderlo. Però omette di dire che quelle sono le fonti del Petrolio edito. Ma nessuno sa cosa ci fosse in quello inedito, negli appunti mancanti del capitolo intitolato “Lampi sull’Eni” (quello annunciato da Dell’Utri), al cui posto resta ora una pagina bianca. Né quindi si può sapere quali ne fossero le “fonti”, né se si trattasse di informazioni ricevute da altri, e che potevano mettere in pericolo la vita dello scrittore. Su quelle non si può dire proprio niente, visto che non le conosciamo. Come può allora Belpoliti sostenere con tanta perentorietà che Pasolini non aveva in mano alcun materiale compromettente?
Vi scrivo dall’Università di Chicago dove arrivano pochissimi giornali italiani. Ho letto perciò l’articolo di Belpoliti solo su “Nazione Indiana” e non nella versione più breve uscita sulla “Stampa”. Non so se ci siano delle differenze sostanziali. Sulle vicende di queste ultime settimane relative al caso Pasolini, oltre al mio, sono usciti anche articoli di Paolo Di Stefano sul “Corriere della sera”, di Gianni D’Elia su “il manifesto”, di Carlo Lucarelli su “Repubblica”, che spiegano, anche con rilievi sul testo di Pasolini, da dove nascano i nuovi inquietanti interrogativi che Belpoliti ha cercato di cancellare in quell’articolo.
Con un cordiale saluto,
Carla Benedetti
Noto soltanto che per l’ennesima volta da quindici anni a questa parte, in questo paese, le discussioni slittano su punti di partenza inesistenti, e sempre proposti dalla medesima parte che nonostante gli scandali, le accuse e anche qualche condanna rimane a quanto pare credibile e degna di essere presa in considerazione. Penso a Dell’Ultri che con il bluff pasoliniano ha centrato il colpo ancor meglio che con quello dei diari del Duce, non solo questa volta si è tirato dietro la politica ma anche buona parte della cultura. Seppellire Pasolini credo che abbia il senso di tornare lucidamente sulle sue opere e certo anche sulla sua morte. Invece quello che mi pare di vedere è solo il trionfo del rimosso. Il rimosso pare essere l’unica cosa in grado di muovere questo paese, non la vergogna o il pudore, ma questa strana forma di senso di colpa e da questo punto di vista Veltroni è molto rappresentativo, e lo dico senza ironia alcuna.
Segnalo, su “La Stampa” di oggi, un intervento di Mario Martone e la replica di Belpoliti:
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/201004articoli/53925girata.asp
Qui si va a finire che ogni interrogativo è complottistico.
Una domanda che porrei è: perché Dell’Utri scatena il mistero del capitolo scomparso di Petrolio? e perché a pochi giorni di distanza l’omofobissimo quotidiano Libero pubblica un inedito di Comisso che difende l’omosessualità di Pasolini? e sarà un caso che assieme al capitolo di Petrolio scomparì un capitolo del Disprezzo, romanzo che tratta del rapporto tra Pasolini e Comisso?
Scusate se commento qui la risposta di Belpoliti a Martone (non è possibile commentarla sul sito de “La Stampa”). Belpoliti invita ad “andare oltre”. Ma non è disumano chiedere di “andare oltre”, di mettere una pietra sopra i crimini di Stato degli anni ’70, dal momento che riguardo a quei fatti non si ha ancora la verità, né è stata fatta giustizia? E’ giusto, in questa situazione, dire semplicemente: scordiamoci il passato e andiamo avanti? Andare dove?
Domattina verranno pubblicate la lettera di Martone e la replica di Belpoliti qui su NI.
Mi sembra che l’articolo della Benedetti centri il punto.
Del resto non posso non esser d’accordo con lei dato che riprende di Belpoliti la stessa frase che avevo criticato nei commenti: Naldini avrebbe “spiegato a suo modo, non troppo lontano dal vero, cosa successe quella notte a Ostia”. Come fa Belpoliti a sapere il vero?
Fa bene Carla Benedetti a chiedere che si indaghi. E’ necessaria molta apertura di pensiero.
Marginalmente, alla Benedetti potrei dire questo.
Sarebbe utile anche non escludere nessuna ipotesi.
Per es., anche a me sembra non possa reggere l’idea di un Pelosi solo che ammazza Pasolini. Ma potrebbe anche essere.
In questo senso, poco importa che il tribunale di primo grado citasse il concorso con ignoti: quello di secondo non lo ha riconosciuto. E anche la ritrattatazione di Pelosi, conta poco, in fatto di credibilità. (Conta invece molto in ambito giudiziario).
Vorrei anche far notare la stranezza della ritrattazione di Pelosi che nessuno considera: Pelosi anche nel dire che altri hanno pestato Pasolini, ha detto di esser passato lui sul suo corpo con la sua auto, determinandone la morte. Mi sfugge il motivo per cui non si voglia considerare questo fatto, di basilare importanza: tutte le notizie su quell’intervista a Pelosi titolano “Non l’ho ucciso io”, e invece Pelosi continua a dire di averlo ucciso lui.
Infine, sul caso Kennedy mi pare che in America si sappia ormai quasi tutto. Due studiosi italiani, impressionati (come me) dal film JFK di Stone, facendo le loro ricerche hanno smentito tutte le prove fornite da Stone. E dopo di loro, molti informatici (servizi mandati in onda negli scorsi anni da Minoli) hanno dimostrato al computer che la traiettoria del proiettile che ha ferito Kennedy (non magica ma perfettamente rettilinea) e il governatore risale fino alla stanza dove stava Oswald, così come quella che l’ha ucciso.
su PPP resta aperta la questione della sua eredità politica ed intellettuale. Chi mai – piango – ne ha seguito la via dolorosa?
Quel che non riesco a condividere affatto, della posizione espressa da Belpoliti, è come si possa ritenere giusto, o anche solo possibile, «andare oltre» l’accertamento della verità per un poeta, uno scrittore, un intellettuale, un uomo che, più che mai in quel suo ultimo scorcio di vita, ha cercato di incarnare, direi, il senso stesso del proprio ruolo in una ricerca disperata della verità nella consapevolezza di vivere in un paese che mentiva a se stesso…
Come si fa ad «andare oltre», se, al di là di ogni altra considerazione (sul valore sacro della verità, ad esempio, cui richiama giustamente Carla Benedetti) era proprio quella pratica (o, sarebbe forse meglio dire, quella tattica) di «andare oltre» a offendere, più che mai, la coscienza di Pasolini…
Per questo, personalmente, ho firmato nel 2005 l’appello del primo amore.
Vorrei approfittare della presenza virtuale di Carla Benedetti per chiederle: è mia disinformazione, o Walter Siti e Silvia De Laude, ossia i curatori di tanti testi di PPP, si sono smarcati dalle rivendicazioni del Primo Amore e tacciono ora sul capitolo di Petrolio? Fosse così, chiederei: perché?
Leggendo l’articolo mi è ventua l’idea di avvicinare la morte di Pasolini a quella di Federico Garcia Lorca, crimine della notte. Sacrificio di un uomo che ha dedicato la sua vita all’arte, nel sangue e nella solitudine sono morti due poeti. Nessuno non puo accettare l’assenza della verità, non si puo accettare il mistero della nascita o della morte senza un filo di luce.
Si parla del destino: Pasolini e Federico Garcia Lorca due ragazzi della male sorte. Preferisco pensare che due poeti sono morti perché hanno fatto dell’arte une parola libera, e che la libertà fa paura a quello vuole
chiudere la bocca. La verità su quello è accaduto sulla spiaggia si farà un cammino, ma ci bisogno tempo, forse siamo ancora troppo vicino degli anni 70 per conoscere la verità.
venuta
Avevo già chiesto lumi all’inizio del dibattito: possibile che la Benedetti non dica una parola (almeno un “non so”) sulla coincidenza dei capitoli mancanti? Cosa dice la netiquette? O che senso ha scrivere un post appositamente per un litblog e poi snobbare il dibattito? non bastava Il Primo Amore o la carta stampata? Riporto di nuovo il brano di Cinzia Fiori, dal Corriere di 13 anni fa:
Naldini nella cronologia della vita di PPP diceva che nel ’52 lo scrittore inizia un pamphlet dal titolo Il disprezzo della provincia ma, aggiunge, non va oltre il primo capitolo. A trovare la continuazione e’ stato W. Siti. “E’ un testo satirico – racconta Siti -, l’unico romanzo dell’epoca in cui i protagonisti non vengono dall’ambiente contadino o sottoproletario. Sono due intellettuali di provincia, uno e’ omosessuale, l’altro etero. Durante una gita a Chioggia, probabilmente ispirata a quella che PPP fece per andare a trovare Comisso, il giovane etero ne combina una grossa, tanto che lo scrittore famoso lo schiaffeggia”. A questo punto pero’, e siamo al settimo capitolo, c’e’ un buco che Siti calcola di un capitolo e mezzo. “Secondo me PPP non l’ha mai scritto. Ma doveva avere in mente un evento grave”.
Caro G.P.
scusa se non ho risposto prima. Mi trovo all’universita’ di Chicago e senza Internet a casa. Vedo solo ora la tua domanda.
A nessuna delle due so dare neanch’io una risposta.
E’ vero che ne’ Walter Siti ne’ Silvia de Laude hanno firmato l’appello per la riapertura del processo. Perche’ non lo so.
Qualche settimana fa Walter Siti, interrogato da un giornalista di “Repubbica” sul capitolo di Petrolio (“Lampi sull’Eni”) che del’Utri dice di aver ritrovato, nega la possibilita’ che questo esista, basandosi sulla struttura di Petrolio, un testo cosi’ lacunoso che e’ difficile dire se manchi o no qualcosa. Per me e’ una strana risposta perche’ evita di spiegare come mai Pasolini in un’altra pagina di “Petrolio” rimandi il lettore proprio a quel capitolo, come se lo avesse gia’ scritto. Di questo dettaglio, compresa la citazione del passo, ho parlato nell’articolo che ho scritto per l’Espresso “Giallo Pasolini”, e che trovi anche sul “Primo amore”.
Nell’edizione Mondadori di “Petrolio”, ne’ Siti ne’ De Laude mettono una riga di commento per spiegare questo strano rinvio di Pasolini a un capitolo rimasto in bianco. Non lo notano nemmeno. Anche questo e’ strano, perche’ la loro edizione e’ molto accurata in tutto il resto.
Sul perche’ di questi comportamenti non so dire nulla. Per me sono inspiegabili.
La seconda domanda, scusa, non la capisco bene. Che cosa intendi per “coincidenza dei capitolo mancanti”? Se ti riferisci al buco che ci sarebbe nel testo satirico del 52, quello non ha niente a che fare con il capitolo mancante di “Petrolio”, scritto negli anni ’70 fino alla data della morte.
Grazie, gentile Carla, che nobilita l’esercizio democratico del blog (facessero così anche altri, come Celati ad es….). Mi aveva colpito la coincidenza del fatto che si lamentasse la scomparsa o almeno la mancanza di un capitolo sia dal “Disprezzo della provincia”, sia da “Petrolio”: vero che tra l’una e l’altra opera corre un ventennio, ma, se gli originali stavano entrambi in casa Pasolini dopo la morte, chi vieta di supporre che la stessa mano abbia rubato i due capitoli? e ipotizzato questo, chiederei appunto a Carla Benedetti se un eventuale, ipotetico ponte si può gettare tra i due capitoli mancanti, un ponte tale da motivare il doppio furto.
per G.P.
sul “Disprezzo della provincia” conosco solo cio’ che Walter Siti ha pubblicato e cio’ che lui ne ha scritto a commento. Non ho nessun elemento per poter dire ,alcunche’.
a Carla
io ne so meno ancora, ma provo a basarmi su quanto detto (virgolettato) da Siti alla Fiori sul Corriere di marzo 1998. Incollo qui sotto:
1- Nico Naldini nella cronologia della vita di Pasolini dice che, nel ’52, lo scrittore inizia un pamphlet dal titolo Il disprezzo della provincia ma, aggiunge, non va oltre il primo capitolo. Lo si trova ordinato sotto quel titolo in una cartellina al Vieusseux.
2- A trovare la continuazione e’ stato Walter Siti. “Apro un’altra cartella apparentemente dedicata ad Amado mio e dopo qualche foglio me ne accorgo: ma questo e’ un romanzo!”. Piu’ che un romanzo e’ lo scheletro di un romanzo, ma importante dal punto di vista biografico, spiega Siti. Pasolini, che deve ogni tanto tornare in Friuli per il processo che lo vede accusato di corruzione di minore, incomincia a guardare a quella terra non piu’ come luogo amato, ma con gli occhi del romano che giudica la provincia. E non mancano rancorose parodie. “E’ un testo satirico – racconta Siti -, interessante, anche perche’ ritrae l’altro lato della vita di Pasolini. E’ infatti l’unico romanzo dell’epoca in cui i protagonisti non vengono dall’ambiente contadino o sottoproletario. Sono due intellettuali di provincia, frustrati e pieni di ambizioni. Uno e’ omosessuale, l’altro etero, ossessionato dal “verme solitario” del sesso.
3- Durante una gita a Chioggia, probabilmente ispirata a quella che Pasolini fece per andare a trovare Comisso, il giovane etero, Biasutti, ne combina una grossa, tanto che lo scrittore famoso lo schiaffeggia”. A questo punto pero’, e siamo al settimo capitolo, c’e’ un buco che Siti calcola di un capitolo e mezzo. “Secondo me Pasolini non l’ha mai scritto. Ma doveva avere in mente un evento grave, visto che la storia riparte in forma epistolare con Biasutti esule a Trieste che scrive all’amico”.
Dunque a stare a Siti, il buco comprende tutto il capitolo ottavo e metà del capitolo nono (o settimo): ciò significa che il testo continua almeno con metà del nono (altrimenti non potrebbe esserci per definizione “buco”).
Domando: su che basi Siti può argomentare che PPP non l’ha scritto, se subito aggiunge che riguarda “un fatto grave”, verosimilmente dunque il clou del testo? Carla, che conosce bene PPP, pensa che sia un modo plausibile di procedere? una sorta di tabù letterario per cui si evita il sacrum- tremendum, da parte di un autore che aveva da poco scritto Amado mio?
Ho guardato nel Meridiano PPP: il buco riguarda proprio il clou o “fatto grave”. Ora, nelle note Siti documenta come PPP nel 1952 abbia passato il manoscritto a Sciascia perché lo pubblicasse: possibile che un autore quasi sconosciuto come PPP allora passasse a un autore-editore conosciuto come Sciascia un romanzo senza il clou? Siti se la cava dicendo che secondo lui il clou non è mai stato scritto…
A proposito di Pasolini penso che sia stato molte volte strumentalizzato
dalla destra e purtroppo non sempre sia stato coerente con le sue tesi.
La sua difesa degli agenti contro gli studenti del 68 è forse l esempio
piu evidente delle sue contraddizioni : i proletari arruolatisi nelle forze
dell ordine una volta ricevuto l ordine di intervenire in piazza
contro dei manifestanti non rappresentano la classe sociale dalla quale
provengono ma il potere politico cui sono sottoposti.
Inoltre Pasolini aveva una visione un po romantica delle borgate
ritenendo che fossero naturalmente immuni dalla influenza
dei modelli repressivi trasmessi dai media, una immunita
da buon selvaggio che ignora la forza dei media.
Che si predichi di andare avanti prescindendo dal suo assassinio
sembra una continuazione di quell uso destrorso di Pasolini
contro le critiche alle stagioni delle stragi di stato.
La verita sull assassinio deve emergere chiunque sia il colpevole
o i colpevoli e l omofobia dominante oggi rende ancora piu necessario
riaprire il processo.
G.P chiede: ‘perché Dell’Utri scatena il mistero del capitolo scomparso di Petrolio?’
E io insieme a lui me lo chiedo e noto: Veltroni parla e solleva interrogativi non solo su Pasolini, dell’Utri parla di Petrolio, oggi su La Repubblica Ciampi ricorda la paura di un possibile colpo di Stato , Ciancimino junior depone da mesi parlando di possibili trattative tra Stato e mafia. Faremo appunto come dopo mani pulite o finalmente vogliamo fare verità sulla storia italiana?
Anch’io sono rimasto colpito da queste curiose coincidenze e dalla sincronicità delle dichiarazioni alla stampa da parte dei soliti noti nomi.
Quella sul colpo di stato paventata da Ciampi è un’ipotesi che mi ha fatto venire i brividi non appena letta, come il ritornello che si ripete da settimane circa una somiglianza tra i fatti del ’92 e quanto sta accadendo di recente di nuovo in Italia (crisi economica, nuova corruzione organizzata, ecc…). La prospettiva inquietante.