La responsabilità dell’autore: Nicola Lagioia
[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi, Ferruccio Parazzoli, Claudio Piersanti, Franco Cordelli, Gherardo Bortolotti, Dario Voltolini, Tommaso Pincio, Alberto Abruzzese, ecco le risposte di Nicola Lagioia]
Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?
Negli ultimi quindici-venti anni c’è stata grande vitalità nella letteratura italiana, il che non implica necessariamente l’eccellenza. Ci sono però stati tentativi (più o meno riusciti, o eroicamente falliti) di scrivere grandi opere, il che dimostra che alcuni di noi credono ancora nella postumità.
A questo punto mi domando chi sono i critici che parlano di “totale mancanza di vitalità”. A chi ci riferiamo, di preciso? Agli impiegati delle rubriche librarie il cui massimo contributo alle patrie lettere si riduce a quattro righine in croce sui supplementi pubblicitari dei quotidiani? Ma quelli con la critica letteraria non hanno più nulla a che fare, il loro mestiere e la loro vita stanno già tutti nella Ballata delle madri di Pasolini. Se al contrario si tratta dei critici che hanno messo davvero la propria vita al servizio della nostra crescita culturale, sono disposto a discutere, e tanto meglio se abbiamo opinioni divergenti. Tuttavia vorrei ricordare che non fu un meteorite caduto dalle parti di Fiesole a generare il Rinascimento, e dunque un intellettuale attivo in ambito letterario – critico o scrittore o editore – che si lamenti dello stato della nostra letteratura non può non allungare mezzo calcagno fino al banco degli imputati, magari anche per uscirne assolto: che cosa ha fatto, lui o lei, per migliorare lo stato delle cose?
Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?
Non mi sembra che la crescente industrializzazione dell’editoria europea abbia impedito, nell’ultimo quindicennio, allo spagnolo d’adozione Roberto Bolaño di scrivere I detective selvaggi e 2666, né a W.G. Sebald di licenziare Austerlitz, né che il liberismo selvaggio capace di condurre gli Stati Uniti nel gorgo della crisi abbia sabotato la qualità delle migliori opere di Don DeLillo o David Foster Wallace. Perdonate la pedanteria degli esempi, ma in un paese controriformato senza Riforma com’è l’Italia, preferisco sempre l’etica dei risultati a quella delle intenzioni. E comunque… so che può sembrare incredibile, ma i veri scrittori possiedono (pressoché intatta) questa capacità di sacrificare tutto alla stesura di un’opera, e sono disposti a stare anni sul libro che hanno deciso di scrivere, riducendo all’osso i propri bisogni, rinunciando a ben più sbrigative fonti di guadagno e di visibilità. Magari, ci scappa anche un grande libro.
Se poi la domanda è: la crescente industrializzazione dell’editoria moltiplica la scrittura e la pubblicazione di libri di merda? peggiora il nostro clima culturale? rende meno gratificante e spesso infrequentabile il mondo intellettuale? La mia risposta è: tre volte sì!
Ti sembra che le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali rispecchino in modo soddisfacente lo stato della nostra letteratura (prosa e poesia), e quali critiche faresti?
Ogni tanto sulle pagine culturali dei quotidiani compaiono pezzi bellissimi, ma si capisce che sono foglie di fico. La media infatti è sconfortante, il che risulta dimostrabile con un elementare procedimento matematico: fate il rapporto tra ciò che conquista visibilità sui grandi organi di informazione e ciò che veramente conta a livello qualitativo. Troverete trenta Fabio Volo per ogni Andrea Zanzotto. La parola d’ordine è: popolarità&pubblicità prima di tutto. Poi, con ciò che sfugge alla rete di questa logica, si riesce a fare di tanto in tanto anche cultura.
La colpa è tuttavia anche nostra quando sui giornali scriviamo articoli inutilmente noiosi, in cui non ci mettiamo mai davvero in gioco, non ci appassioniamo, e soprattutto quando utilizziamo le pagine di un giornale non a beneficio del nostro lettore ideale ma come pretesto per veicolare messaggi incrociati tra addetti ai lavori. Ma per quello basterebbe affidarsi alle mail collettive, no?
Ti sembra che la maggior parte delle case editrici italiane facciano un buon lavoro in rapporto alla ricerca di nuovi autori di buon livello e alla promozione a lungo termine di autori e testi di qualità (prosa e/o poesia)?
Il mio eroe rimane Robert Denöel, il quale, quando si ritrovò tra le mani il brogliaccio di Viaggio al termine della notte, contrasse debiti e si dannò l’anima per dare al libro dello sconosciuto dottor Destouches il risalto che meritava. Non mi sembra che il mondo editoriale trabocchi di persone del genere. Però, si sa, il sogno proibito di ogni scrittore è trovarsi davanti un editore che – per pubblicare l’opera al meglio – rischi e si metta in gioco almeno la metà di quanto ha fatto lui per scriverla. Capisco però che forse è un sogno illegittimo.
Detto questo, l’editoria italiana è in certi ambiti perfino superiore a quella di paesi più culturalmente sviluppati del nostro, ed è insieme generosa e cialtronesca. Da una parte, rappresentiamo il perfetto punto di fusione tra illuminato cosmolitismo e esterofilia: il ventidue/ventitré per cento dei libri che pubblichiamo è tradotto da altre lingue, e quando l’Accademia di Svezia ha lamentato il provincialismo degli scrittori statunitensi avrebbe fatto meglio a puntare il dito contro l’editoria di quel paese (i cui titoli tradotti non superano il 3 per cento). Questo è un nostro punto d’onore. Vengono pubblicati libri di grande qualità, indipendentemente dalla loro vendibilità. Molti vengono pubblicati in perdita. Sull’altro lato della medaglia sta il fatto che le case editrici italiane pubblicano anche un sacco di puttanate, e non così di rado si dannano per promuovere queste ultime, vale a dire opere che gli stessi editor, e gli stessi uffici stampa (spesso anche abbastanza sensibili e colti), considerano di mediocre fattura ma di buona spendibilità. È questo, temo, il vero peccato capitale della nostra editoria. Inutile fare esempi, è sotto gli occhi di tutti.
Credi che il web abbia mutato le modalità di diffusione e di fruizione della nostra letteratura (narrativa e/o poesia) contemporanea? E se sì, in che modo?
Il web, per ora, ha fatto molto bene al dibattito letterario. Con eccessi, attacchi di narcisismo e di megalomania, esibizione delle proprie frustrazioni personali (ma ahimè, soprattutto professionali) in forma di invettiva, risse insensate, è vero, ma il bilancio per adesso mi sembra più che positivo. Prendiamo un’inchiesta come quella che si sta facendo qui: fosse anche solo per motivi di spazio, sarebbe difficile ritrovarla su un grande quotidiano nazionale.
Pensi che la letteratura, o alcune sue componenti, andrebbero sostenute in qualche modo, e in caso affermativo, in quali forme?
Non ne ho idea. Forse sbaglio, mi sono talmente abituato a lavorare dando per scontata l’assenza di sostegni che non ci penso neanche più. Forse, più che gli scrittori, si dovrebbe sostenere un patrimonio come quello delle librerie indipendenti, che rischiano di venire schiacciate dalle grandi catene.
Nella oggettiva e evidente crisi della nostra democrazia (pervasivo controllo politico sui media e sostanziale impunità giuridica di chi detiene il potere, crescenti xenofobia e razzismo …), che ha una risonanza sempre maggiore all’estero, ti sembra che gli scrittori italiani abbiano modo di dire la loro, o abbiano comunque un qualche peso?
Il peso, il vero ruolo che svolge la letteratura in ambito politico e sociale, si misura sulla lunga, a volte sulla lunghissima distanza. Credo che il libro più letto e discusso negli ultimi anni in Italia sia Gomorra di Roberto Saviano. Sarebbe un errore però pretendere di saggiarne l’effetto sull’hic et nunc. Proprio mentre infatti di Gomorra (del libro e del film) parlavano tutti, ci sono state in Italia le ultime elezioni politiche. Durante la campagna elettorale, il co-fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, alla presenza solidale del presidente dello stesso partito, Silvio Berlusconi, ha dichiarato pubblicamente: “Vittorio Mangano è un eroe”. Il che, non ha impedito agli italiani di votarli.
Che cosa voglio dire? Che ci sono più cose tra cielo e terra di quante ne contenga la filosofia degli Orazi di turno. L’età d’oro della cultura tedesca non ha impedito l’ascesa del Terzo Reich. Ma senza quella cultura non sarebbe stato possibile, dopo la Guerra, il vittorioso (e salvifico) rovesciamento della sentenza “dopo Auschwitz non è più possibile la poesia” che l’opera poetica di Paul Celan rese ad esempio possibile. Se dopo un conflitto mondiale in cui i “buoni” hanno vinto sganciando due bombe atomiche non siamo diventati dei totali mostri, è anche per merito di scrittori come Celan.
Nella suddetta evidente crisi della nostra democrazia, ti sembra che gli scrittori abbiano delle responsabilità, vale a dire che avrebbero potuto o potrebbero esporsi maggiormente e in quali forme?
La più importante responsabilità di uno scrittore è scrivere buoni se non ottimi se non eccellenti se non immortali libri. Se poi passiamo dalla parola alla prassi, allora all’intervento sono chiamati tutti, mica solo gli scrittori. Per rimanere alla pagina scritta, credo che un buon libro sia sempre, di per sé, contro il potere, perché usa necessariamente, per sua natura, un linguaggio antitetico rispetto a quello dominante, che oggi per intenderci è il linguaggio pubblicitario, inteso ovviamente in senso lato (il linguaggio politico è quasi sempre pubblicitario, spesso lo è anche quello giornalistico, certe volte lo è quello informale nelle chiacchiere tra intellettuali, nei casi più penosi si infila anche nel privato delle case e nelle camere da letto). È per questo che ritengo che tutta l’opera televisiva di uno come Antonio Ricci sia una fedele espressione del fascismo del mondo dei consumi: usa lo stesso linguaggio. E chi se ne frega se lo fa per criticare Berlusconi o Brunetta: se usi la stessa lingua del tuo nemico dichiarato, sei già lui.
Reputi che ci sia una separazione tra mondo della cultura e mondo politico e, in caso affermativo, pensi che abbia dei precisi effetti?
Il mondo della cultura è sempre più simile, nel suo funzionamento, a quello politico. Cambia la posta in gioco, d’accordo. Però, davvero, la situazione mi crea disagio e malessere, tanto più quando ne divento complice. Sempre più spesso, nelle chiacchiere tra scrittori, critici, giornalisti culturali, funzionari e collaboratori di case editrici, le questioni di carriera e bassa cucina di potere occupano maggiore spazio di quelle più eminentemente letterarie o creative o artistiche o esistenziali o filosofiche o civiche o politiche nel senso più nobile del termine (quante copie ha venduto il tuo libro? hai visto chi è diventato direttore editoriale della casa editrice x o caposervizio cultura del quotidiano y? come pensi di muoverti per quel premio letterario?). E tanto più queste chiacchiere sono o sembrano informali, tanto più il potere invade il loro centro. Persino il cazzo e la fica – da sempre ultimo rifugio delle chiacchiere informali – sono stati estromessi dalle nostre confidenze a beneficio del discorso sul potere e la carriera. È un’atmosfera penosa, connessa credo al processo di industrializzazione di cui si diceva prima, che contagia quasi tutti (direi che addirittura contagia tutti a turno, facendo leva sulle nostre debolezze), e che umilia e fa soffrire chiunque, uomini di successo o meno. Forse, per una semplice questione di sopravvivenza spirituale, etica ed emotiva, disertare a un certo punto diventerà un dovere. Spero ovviamente in un’inversione di tendenza. Ma dipende da noi, non da Berlusconi o Gian Arturo Ferrari.
Ti sembra opportuno che uno scrittore con convincimenti democratici collabori alle pagine culturali di quotidiani quali «Libero» e «il Giornale», caratterizzati da stili giornalistici non consoni a un paese democratico (marcata faziosità dell’informazione, servilismo nei confronti di chi detiene il potere, prese di posizione xenofobe, razziste e omofobe…), e che appoggiano apertamente politiche che portano a un oggettivo deterioramento della democrazia?
Provo un’istintiva repulsione per un quotidiano che, il giorno dopo la morte di Carlo Giuliani, titola in prima pagina “Così il popolo di Seattle ha ottenuto il suo martire”. E provo frustrazione per essere costretto a convivere con chi ritiene che agisca in buona fede un uomo come Vittorio Feltri, il quale, senza mai prendersi la briga di condividere coi suoi lettori le ragioni di un simile rovesciamento, è passato dalla santificazione della magistratura durante Mani Pulite alla sua demonizzazione una stagione dopo.
Non vorrei però che «Libero» e «Il Giornale» diventassero lo scarico di coscienza per le anime belle della sinistra. Pasolini ha veramente vissuto e pensato invano se non provassi la stessa istintiva repulsione per il linguaggio para-pubblicitario che trovo su molti quotidiani di centro e di sinistra. E se pensiamo che il fascismo del linguaggio della società dei consumi (di cui gli organi di informazione di sinistra sono pieni zeppi quanto quelli di destra) sia meno dannoso del fascismo di Berlusconi, allora a mio parere non abbiamo capito molto del tempo in cui stiamo vivendo. Ovviamente – visto che gli italiani sono stati così mediocri da non saper fare da sé – io spero che Berlusconi, per il bene della collettività, sia colpito dalla più incruenta delle malattie invalidanti il tempo necessario per essere spazzato via dall’agone politico. Ma non posso augurare di meno a D’Alema e a Prodi, i quali (fino a pubbliche e umili nonché motivate scuse che credo non arriveranno mai) io considero né più né meno che traditori della patria, visto che, al governo più di una volta negli ultimi 15 anni, non si sono gettati tra le fiamme pur di fare la legge sul conflitto d’interessi. Però, ripeto, questi eventuali fulmini dal cielo non renderebbero giustizia al popolo italiano, di cui facciamo parte tutti, e che si è scelto (molto tempo prima di depositare il proprio voto nelle urne) l’attuale classe dirigente.
Infine, sempre per rimanere ai giornali di sinistra: cosa dire di chi sulla carta si fregia di difendere i diritti dei lavoratori e poi non paga i propri collaboratori senza tra l’altro avvisarli che il loro lavoro sarà privo di corrispettivo, anzi assicurandogli il contrario? Per me questa è una cosa vergognosa e gravissima.
Il compito degli intellettuali, in un contesto del genere, è provare a riscattarsi giorno dopo giorno, attraverso ormai la microfisica dei gesti quotidiani: ogni secondo offre un banco di prova. Il problema è che però in Italia è molto invalsa la regola dell’“armiamoci e partite”. Proverò a fare un esempio che mi pare eloquente.
Pochi mesi fa, un dirigente di un grosso gruppo editoriale mi ha chiesto: “ma perché, tu che disprezzi Berlusconi, hai pubblicato i tuoi due ultimi romanzi con Einaudi?”
A questa legittima domanda, ho risposto quanto segue: a) il 90% degli autori che pubblicano per Einaudi sono antiberlusconiani. Se tutti decidessero di cambiare casa editrice, verrebbe distrutto un importante patrimonio culturale del nostro paese destinato altrimenti a sopravvivere all’attuale presidente del consiglio, il cui decesso fisico avverrà sicuramente entro un lasso di tempo inferiore rispetto a quello che colma la misura tra il giorno di fondazione dell’Einaudi e la primavera del 2010; b) in qualità di scrittore, scrivere un buon romanzo, cercare di scriverne uno ottimo, è uno dei migliori atti antitetici al potere che io mi sento in grado di fare – poco o tanto che questo significhi e valga – e, per ciò che riguarda gli ultimi due libri, l’Einaudi mi è sembrata la casa editrice (tra quelle che hanno mostrato di interessarsi al mio lavoro) che poteva supportarmi meglio.
È il mio pensiero, è ovviamente opinabile, può essere sbagliato. Ma visto che secondo il mio (antiberlusconiano) interlocutore le cose stavano in modo diverso, mi è sorta più che istintiva la domanda: “ma scusa: tu lavori in un grosso gruppo editoriale, e la vendita di un mio romanzo è un granello nella spiaggia rispetto al fatturato che fate girare voi. Di conseguenza: perché non ti batti all’interno del tuo gruppo editoriale affinché i vostri libri cessino di essere venduti nelle librerie della Mondadori?”
Sto ancora aspettando una risposta. La mia impressione è che siamo talmente occupati da ciò che secondo noi dovrebbero fare gli altri da arrivare a dimenticarci di noi stessi. Il che, temo, dimostra che sotto sotto ci consideriamo meno di niente. Così, per concludere, mi piacerebbe che la nostra autostima crescesse quel tanto che basta per far sì che tutti ci sentissimo chiamati in causa.
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“A questo punto mi domando chi sono i critici che parlano di “totale mancanza di vitalità”. A chi ci riferiamo, di preciso?”.
Ah, ecco. Vedo che anche Lagioia (dopo Emanuele Trevi, che avanzava addirittura un dubbio sull’effettiva esistenza di tali critici, qui) ha il mio stesso problema.
A quanto capisco, quella di Lagioia è una domanda retorica il cui significato è: “Ma che importanza hanno (ovvero, CHI sono?) i critici che etc. etc.”. E poi le consiglierei di leggere sotto un testo intitolato “La (mia) risposta a Giulio Mozzi”. Le dico sinceramente, come semplice lettore, che la sua puntigliosità sta diventando davvero sgradevole. Sembra nascondere ben altre questioni, che ignoro e che non mi interessano. Se ci sono ragioni personali, consiglio di risolverle in privato con gli interessati e non di formulare trenta volte lo stesso concetto con una puntigliosità che diventa quasi acrimonia. Se il problema è che le ha dato noia che la sua ironia non sia stata capita (di solito la apprezzo, ma nelle risposte a questa intervista a mio parere è stata solo controproducente e fuori luogo), beh… non ho consigli da darle. Ma le consiglio di evitare di tirare fuori sempre la stessa tiritera, perché non se ne comprende il senso profondo (il senso profondo, non il senso tout court).
Sono per la coerenza. Lagioia non si nasconda dietro un ditino, immettendo nel suo intervento una gran quantità di retorica. Se per lei il male assoluto è condensato nello psiconano, non può assolutamente continuare ad alimentarlo. Se invece crede di più all’opera letteraria relativizzando un pochino l’inquietante ombra del berlusca, continui a scrivere per l’einaudi.
Ho apprezzato particolarmente questo passo:
Per rimanere alla pagina scritta, credo che un buon libro sia sempre, di per sé, contro il potere, perché usa necessariamente, per sua natura, un linguaggio antitetico rispetto a quello dominante, che oggi per intenderci è il linguaggio pubblicitario, inteso ovviamente in senso lato (il linguaggio politico è quasi sempre pubblicitario, spesso lo è anche quello giornalistico, certe volte lo è quello informale nelle chiacchiere tra intellettuali, nei casi più penosi si infila anche nel privato delle case e nelle camere da letto).
Sottoscrivo –
dinosauro ha ragione. Se Lagioia fosse veramente coerente e stanco di tutto quello che gli sta attorno – a partire dalla risma di “critici” che bazzicano le “pagini culturali” della maggior parte dei nostri quotidiani/settimanali – se ne sbatterebbe della visibilità che dà una casa editrice come einaudi, se ne sbatterebbe di vendere più copie (grazie a einaudi), se ne sbatterebbe del prestigio dello struzzo: in sostanza se ne sbatterebbe. Perchè qualcuno non comincia un po’ a sbattersene? Qui tutti in fila a scrivere sulla responsabilità dell’autore e poi tutti che tornano al proprio ovile, succubi del meccanismo (che con grida e urla e fulmini) qui contestano ma che essi stessi poi continuano ad alimentare. Lagioia: se il tuo eroe è Denoel, allora dannati l’anima e contrai debiti pure tu! Autori così tanto responsabili smettetela una buona volta di sputare nel piatto dove mangiate, eddai
caro lagioia,
1) “a) il 90% degli autori che pubblicano per Einaudi sono antiberlusconiani. Se tutti decidessero di cambiare casa editrice, verrebbe distrutto un importante patrimonio culturale del nostro paese destinato altrimenti a sopravvivere all’attuale presidente del consiglio.”
sì, ma intanto si creerebbe un nuovo importante patrimonio culturale del nostro paese che prenderebbe il posto dell’Einaudi, e sarebbe una iniziativa con effetti mediatici e politici considerevoli, sia nel tempo breve, sia in quello della storia italiana, che registrerebbe finalmente un atto di massa di resistenza civile e culturale da parte degli intellettuali italiani – atto che costa infinatamente meno della perdita del lavoro, dell’esilio (si prenda Borgese), del confino o delle bastonate di memoria fascista.
2) “ma scusa: tu lavori in un grosso gruppo editoriale, e la vendita di un mio romanzo è un granello nella spiaggia rispetto al fatturato che fate girare voi. Di conseguenza: perché non ti batti all’interno del tuo gruppo editoriale affinché i vostri libri cessino di essere venduti nelle librerie della Mondadori? Sto ancora aspettando una risposta.”
O bella, perchè fa il tuo stesso ragionamento:
– danneggerebbe la sua casa editrice che ha prestigio, pubblica libri contro il potere come i tuoi, sopravviverà a B.
– perchè alla Mondadori sono molto supportati, ossia nelle loro librerie vendono molto.
“La mia impressione è che siamo talmente occupati da ciò che secondo noi dovrebbero fare gli altri da arrivare a dimenticarci di noi stessi. Il che, temo, dimostra che sotto sotto ci consideriamo meno di niente.”
Appunto, ma in fatto di come combattere B. il discorso vale anche per te.
Caro Lagioia,
intanto complimenti per “Occidente per Principianti” e “Riportando tutto a casa”. Poi ci sarebbe da aggiungere che L. Galbiati nel commento precedente, ha ragione… La mia opinione, dopo la lettura di tutte le risposte di tutti quanti, è che ciascuno, alla fin fine, fa cio’ che crede sia opportuno.
D’istinto direi: W Murgia!, W Bortolotti! Ma poi so bene che con la realtà c’e’ sempre da fare i conti, e che questi, quando quadrano, lo fanno a suon di compromessi. Percio’ la domanda per me si parafrasa cosi’: “quanto sei forte (ovvero: puoi permetterti di prescindere dalle autostrade della distribuzione) e quanto sei coerente nel volerlo dimostrare? (Ad esempio, scegli di non pubblicare per B. E magari anche di non bere Coca Cola come lo zio di un mio amico: la societa’ non e’ fallita, ma lui fila dritto per la sua strada perdendoci il Cuba-Libre…)
Insomma: quanto sei forte? La risposta, a mio parere, dipende anche e soprattutto dalla posizione sociale di chi si interroga. Alla domanda politica: “posso pubblicare su Libero, nonostante…xyz?”, una risposta potrebbe essere questa:
Se proprio non puoi farne a meno, perche’:
1. tieni famiglia,
2. non pubblicheresti mai da nessun’altra parte,
3. sei un esordiente e quindi…,
4. idem come al punto 2, e ti hanno accettato il pezzo per un errore di omonimia,
allora pubblica. Se invece:
1. i quattrini non ti mancano o,
2. sei uno scrittore affermato e puoi prescindere dalla pubblicazione,
3. fai della coerenza un tuo punto d’orgoglio,
allora la scelta si riduce davvero a una questione di buon gusto, dal momento che non c’e’ niente di piu’ ingiusto che fare le parti uguali fra disuguali.
Grazie a ni per la discussione,
(Chiedo scusa per gli accenti… tastiera americana non configurabile).
Quando si sfora nel privato iniziano i problemi di tutti gli…idealisti e non. Dare tempo al tempo e col tempo viene fuori quello che si è. Però alla fine l’Utopia ci è utile. Si spera che ci sia sempre qualcuno meglio di noi.
Scusatemi le banalità.
“Da una parte, rappresentiamo il perfetto punto di fusione tra illuminato cosmolitismo e esterofilia: il ventidue/ventitré per cento dei libri che pubblichiamo è tradotto da altre lingue, e quando l’Accademia di Svezia ha lamentato il provincialismo degli scrittori statunitensi avrebbe fatto meglio a puntare il dito contro l’editoria di quel paese (i cui titoli tradotti non superano il 3 per cento).”
Questa è una informazione del tutto sorprendente.
I provinciali sono gli americani.
Gli americani tradotti sono il 3%.
Gli italiani tradotti il 22%.
Scusate se chiedo conferme, ma…. è vero???
Beh, ma la cosa è risaputa.
Gli Stati Uniti traducono pochissimo dalle altre lingue, di conseguenza importano pochissimo da fuori.
Gli europei continentali, e gli italiani in particolare, traducono molto dall’estero, circa un quinto dei libri pubblicati.
Chiusura eccessiva da una parte, apertura dall’altra…
è il contrario, Lorenzo. Da noi si traduce, negli USA no.
Negli Stati Uniti, complessivamente i libri tradotti da altre lingue sono il 3%. Ho capito bene? La cosa non mi sorprenderebbe!
In Italia comunque traduciamo troppi autori americani. O autori non americani amati dagli americani.
Sì ma allora la risposta di Lagioia non è inerente alla domanda, o quanto meno si concentra sulla ricerca di buoni autori esteri da tradurre.
Si chiede:
Ti sembra che la maggior parte delle case editrici italiane facciano un buon lavoro in rapporto alla ricerca di nuovi autori di buon livello e alla promozione a lungo termine di autori e testi di qualità (prosa e/o poesia)?
Il che fa pensare a cercare nuovi autori italiani da pubblicare, non autori esteri già pubblicati da tradurre in italiano. Poi, per carità, si può intendere anche quello ma è curioso che Lagioia abbia inteso solo quello.
E poi dal seguito della risposta, si evince che è un “punto d’onore” pubblicare tanti libri tradotti, spesso anche poco vendibili, però “le case editrici italiane pubblicano anche un sacco di puttanate, e non così di rado si dannano per promuovere queste ultime, vale a dire opere che gli stessi editor, e gli stessi uffici stampa (spesso anche abbastanza sensibili e colti), considerano di mediocre fattura ma di buona spendibilità.” Ora, poiché parla di editor e uffici stampa sembra che le puttanate siano solo quelle scritte da italiani.
Non può essere invece che, proprio perché si pubblicano molti libri esteri tradotti, si pubblicano molte puttanate estere?
E poi sopra non diceva Lagioia che la letteratura italiana è molto vitale e cerca spesso di scrivere grandi opere?
Mai dimenticando che un’intera generazione di scrittori italiani si e’ formata leggendo opere tradotte dall’americano all’italiese.
Quando si parla di “importante patrimonio culturale” rispetto a Einaudi e a quello che Einaudi ha rappresentato nel panorama letterario italiano del secondo dopoguerra, bisognerà ricordare che il patrimonio non si è creato da solo, dietro c’erano persone che ci lavoravano, alla sua creazione.
Oggi ce li vedreste Calvino, Ginzburg, Vittorini e altri a prendere lo stipendio da Berlusconi? Io poco.
In definitiva, il patrimonio di Einaudi non sono solo i suoi cataloghi, ma anche la memoria delle intelligenze che hanno operato per fare di Einaudi quello che oggi Einaudi è.
Per come la vedo io, se si stimano storia e catalogo Einaudi tanto da considerarli come una “voce” contro un possibile abbandono della stessa, al contempo bisognerebbe chiedersi: e però Calvino che farebbe? E Ginzburg?
Per fortuna traduciamo molti libri americani!
@ sputnik: “Oggi ce li vedreste Calvino, Ginzburg, Vittorini e altri a prendere lo stipendio da Berlusconi? Io poco.”
Io non ce li vedrei proprio, sempre tornando alla coerenza di cui sopra. (Avercene di gente di quel calibro di questi tempi!)
E la cosa che mi fa più incazzare sai cos’è sputnik? che scrittori (bravi) come Lagioia stanno lì all’einaudi perchè non hanno le palle per uscire dal sistema (di merda, parole di Lagioia): certo venderebbero meno, sarebbero meno recensiti (dai critici che sono bandierine al vento?) , i loro libri non avrebbero possibilità di vincere chissà quali premi (ma chi se ne frega viste tutte le ultime polemiche sullo Strega, ad esempio)!
E poi io metterei in grassetto questa frase di Nicola:
“Se poi la domanda è: la crescente industrializzazione dell’editoria moltiplica la scrittura e la pubblicazione di libri di merda? peggiora il nostro clima culturale? rende meno gratificante e spesso infrequentabile il mondo intellettuale? La mia risposta è: tre volte sì!”
Insomma, Einaudi (oggi) è o non è diventata un’industria dell’editoria?
Vogliamo continuare a paragonarla alla Einaudi di Vittorini, di Calvino, della Ginzburg?
Ragazzi, non potete chiedere o aspettarvi eroi. Anche perche’, diciamocelo francamente, con la sinistra allo sfascio (altra bella legnata domenica, eh?) un’uscita dalla “comunita’ stretta” sarebbe un suicidio fine solo a se stesso, adatto ad accontentare i cani sciolti, gli emarginati incattiviti e due/tre estremisti da tastiera. Accontentatevi dei libri, vivete e lasciate vivere.
d’accordo, bene, vengo dalla tua parte Il fu GiuCo… ma allora non mettiamoci qui a parlare giorno dopo giorno dopo giorno di responsabilità dell’autore, uhm. parliamo che ne so di opportunismo dell’autore, incoerenza dell’autore, esibizionismo dell’autore, cose così, che dici? a me sta bene (se non altro temi di discussione del genere sarebbero meno ipocriti… o meglio, più realistici)
A me è piaciuto Lagioia, invece, mi sento di difenderlo – ora sì che starà meglio :-))
Qualcuno dice: “Qui tutti in fila a scrivere sulla responsabilità dell’autore e poi tutti che tornano al proprio ovile, succubi del meccanismo (che con grida e urla e fulmini) qui contestano ma che essi stessi poi continuano ad alimentare.” Attenzione: Lagioia come tutti gli altri è stato sollecitato a scrivere di responsabilità, gli è stato chiesto espressamente da NI – e non è che siano domande comode. Il che mi pare molto diverso dal mettersi a fare lezioni…
Fa un’autocritica severa, su chi scrive e sul mondo della cultura in generale: l’autoreferenzialità del mondo letterario, il carrierismo; gli errori e le responsabilità della sx, e anche della pubblicistica (non solo Libero); chi predica bene e razzola male, non pagando i “precari” (e qui temo che si riferisca al mio caro Manifesto…); ecc.
Poi c’è il discorso su quello che chiama il fascismo dei consumi, attualissimo sulla realtà di oggi, anche se potrebbe sembrare leggermente OT rispetto alla responsabilità degli autori.
Quanto al pubblicare per Einaudi, immagino condivida le ragioni di Helena Janecez: libertà espressiva, cura editoriale e fiducia nell’editing, e anche visibilità in libreria. E qui ognuno ha le sue opinioni, già sappiamo…
Ma il discorso più interessante per me rimane quella sul linguaggio, già citato da Baldrati:
“La più importante responsabilità di uno scrittore è scrivere buoni se non ottimi se non eccellenti se non immortali libri. Se poi passiamo dalla parola alla prassi, allora all’intervento sono chiamati tutti, mica solo gli scrittori. Per rimanere alla pagina scritta, credo che un buon libro sia sempre, di per sé, contro il potere, perché usa necessariamente, per sua natura, un linguaggio antitetico rispetto a quello dominante, che oggi per intenderci è il linguaggio pubblicitario, inteso ovviamente in senso lato (il linguaggio politico è quasi sempre pubblicitario, spesso lo è anche quello giornalistico, certe volte lo è quello informale nelle chiacchiere tra intellettuali…”
Ben detto.
Come segno di coerenza, forse qualcuno si aspetterebbe da parte degli scrittori (quelli affermati, s’intende, già arrivati) la rinuncia a pubblicare per case editrici berlusconiane, a favore di altre più piccole ma meno compromesse. Ma probabilmente ciò non accadrà, almeno non fino a quando non saranno in primis i lettori a vagliare i loro acquisti in base agli stessi criteri. La questione dovrebbe comportare l’apertura di un nuovo dossier, dedicato alla “Responsabilità del lettore”… (non sarebbe una cattiva iniziativa).
Tutto questo anche per dire che sommariamente condivido il discorso, che si compone abbastanza unitario al di là del modello imposto dal questionario, che Lagioia fa a proposito del vero tipo di resistenza che la letteratura può davvero schierare contro i mala tempora che corrono (e come corrono…).
L’invenzione dei linguaggi, delle forme, contro l’unico format.
Spero di leggere presto “Riportando tutto a casa”, che parla della mia città.
In cui, personalmente, io non sono mai riuscita a fare davvero Esperienza, nel senso dichiarato dall’autore in un articolo comparso tempo fa sul Fatto quotidiano e su NI.
Ragione che mi ha portato presto a partire.E’ vero che però, ultimamente, il terreno da quelle parti appare un pò più fertile…
Saluti
Guglielmo, siamo qui da anni a parlarne e le posizioni sono chiare: in NI ritengono che la triade NI – Carmilla – Primo Amore faccia comunque un lavoro di resistenza che le rende leader del web letterario italiota. Dopo di che vengono fuori i questionari come il corrente e le posizioni poco eroiche e vagamente annoiate di molti degli autori.
Credo che a monte ci sia il senso di perdita del “nanny state” rappresentato dalle grandi aggregazioni politiche, religiose ed ideologiche che tiravano fino allo tsunami berlusconiano. Gli io sparuti e impauriti, illivoriti, esclusi, che comunque sentono di valere un’individualita’ degna di voce, si sono gettati in rete, annacquandone lo scopo originario (condivisione di risultati scientifici). La rete e’ diventata una piazza.
Nel guazzabuglio, ognuno rema come puo’ e si fa anche qualcosa di buono, sul campo; ma la discussione sui libri si e’ da tempo spostata sulle “condizioni materiali”. Secondo molti, perche’ siamo in emergenza democratica; secondo altri, perche’ l’estetica dei libri e’ talmente fiacca che l’unica giustificazione possibile al darsi voce e tono e’ la discussione politica.
Se leggiamo le risposte da un punto di vista politico, queste riproducono la spaccatura nel Paese reale: grossomodo meta’ autori si sentono coinvolti e impegnati, mentre l’altra meta’ liquida l’impegno in due righine. Il web leader continua a macinare: contatti, articoli, commenti, un’altra giornata e’ andata, un invito e’ arrivato di qua, una presentazione di la’, un gettoncino cota’, un articoletto quala’.
L’unica domanda sensata da porsi e’: dove sono le opere letterarie? Lagioia dice che ci sono e che gli autori sono tenuti solo a scrivere opere letterarie. Io tutto sommato condivido. Tu?
Nel mondo dei libri in italia occorre lottare contro i sistemi. C’è quello che maniacalmente viene ricondotto a berlusconi e quello delle comunità di critici e scrittori che sono organizzati come una vera casta chiusa che ignora, aldilà del valore letterario, chi non vi appartiene. Le promozioni, le critiche riportate dai giornali a maggiore diffusione, la maggior parte dei premi letterari, per tutti lo strega, sono gli elementi strutturali di una vera e propria consorteria che si guarda allo specchio. Lagioia che erutta vittimismo, scrive su giornali e riviste ad elevata tiratura, è sempre in rai, partecipa a tutti gli eventi cosiddetti letterari, ha pubblicato con varie case editrici è sopravvalutatissimo dai critici della grande tribù. Si dovrebbe, invece, preoccupare, per esempio, perchè non trovano il necessario spazio di visibilità libri appena usciti come lulù delacroix di santacroce ed “S” di brullo. Quello della santacroce è un libro bellissimo, delicato, uno zampillare di fantasia e poesia, uno stimolo forte estetico ed etico. La spiegazione consiste nel fatto che questi come tanti altri bravi scrittori non firmano appelli e manifestini politici, non confondono la cultura con la militanza partitica. Alla base della loro opera c’è il rapporto dialettico tra “creazione” e “ricezione”. Non cercano di fornire strumentalmente e forzatamente l’incipit creativo alle dinamiche sociali e politiche.
Autore come oggetto produttore di opere letterarie ..
..l’umano è altra cosa effettivamente.. bah!
“comunità di critici e scrittori che sono organizzati come una vera casta chiusa che ignora, aldilà del valore letterario, chi non vi appartiene.”
che pallechepallechepalle, continuate così, fatevi del male
(niente di personale dinosauro, oggi mi sei capitato sotto gli occhi tu)
In un altro post si parlava di persone pagate dal governo cinese per intervenire a suo favore nelle discussioni online, detti l’Esercito dei 50 centesimi. Che succeda anche qui nel libero Occidente? Oppure Dinosauro è solo e desolatamente se stesso?
Sascha, capisco la tua difficoltà a comprendere. Desolato lo sono, comunque. Sono sempre me stesso. Nei blog che tu “bazzichi” è vero ci sono tanti prezzolati dal vero potere, quello culturale intendo. Molti dei quali tu adori particolarmente.
@ alcor: è vero, ne abbiamo le palle piene, sul serio. Le palle piene di questo finto schierarsi. Se vuoi cambiare le cose non è sufficiente appendere sul muro il tuo manifesto rivoluzionario, devi anche farti portavoce, scendere in campo, iniziare tu per primo, nel tuo piccolo, a voler cambiare le cose. Purtroppo abbiamo bisogno di eroi, è così. Il fatto è che nessuno è disposto al sacrificio, perchè di sacrifico stiamo parlando. A parole sono tutti bravi, e poi?
@ Il fu GiusCo: “L’unica domanda sensata da porsi e’: dove sono le opere letterarie? Lagioia dice che ci sono e che gli autori sono tenuti solo a scrivere opere letterarie. Io tutto sommato condivido. Tu?”
Opere letterarie, certo se ne sono ma si contano sulle dita di una mano. Autori che sono tenuti a scrivere opere letterarie? Ce ne sono eccome, nascosti e quasi sempre invisibili però! Provate voi di NI (col vostro lavoro di resistenza!) allora a chiamarli in causa e sentire il loro parere su questa benedetta responsabilità degli autori.
Tornando alla questione einaudi, quando si citavano scrittori del calibro di Vittorini (1908), Calvino (1923), Ginzburg (1916) e ci si chiedeva se oggi si farebbero stipendiare da B… beh, andatevi a sentire l’intervento di Monicelli (classe 1915) sui tempi che corrono:
http://www.youtube.com/watch?v=oa1-GoZvhyk
Per Alfredo. Scrivi, rivolgendoti a me: Le dico sinceramente, come semplice lettore, che la sua puntigliosità sta diventando davvero sgradevole. Sembra nascondere ben altre questioni, che ignoro e che non mi interessano. Se ci sono ragioni personali, consiglio di risolverle in privato con gli interessati e non di formulare trenta volte lo stesso concetto con una puntigliosità che diventa quasi acrimonia. Se il problema è che le ha dato noia che la sua ironia non sia stata capita (di solito la apprezzo, ma nelle risposte a questa intervista a mio parere è stata solo controproducente e fuori luogo), beh… non ho consigli da darle. Ma le consiglio di evitare di tirare fuori sempre la stessa tiritera, perché non se ne comprende il senso profondo (il senso profondo, non il senso tout court).
Non c’è nessuna ragione personale da parte mia. E non sto ripetendo sempre lo stesso “concetto”: sto ripetendo pubblicamente la richiesta di un chiarimento circa una domanda che Nazione indiana ha deciso di rivolgermi pubblicamente. Credo che questo chiarimento sia dovuto a me, a tutti gli intervistati, a chi legge Nazione indiana, e anche ad Alfredo. Quantomeno nella forma di riformulazione della domanda (del tipo: Concordi con quei critici – come ad esempio Tizio, Caio, Sempronio, ed altri – che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?
Non ci vuol tanto. E non è certo un danno se una domanda vaga si trasforma in una domanda precisa. (Precisa non perché si danno dei nomi in quanto tali, ma perché citare dei nomi significa citare posizioni critiche precise, argomentate eccetera; sulle quali si può avere un’opinione – o anche non averla, peraltro).
Grande Lagioia, ho apprezzato molto il tuo intervento.
Ma c’è qualcuno che ha il coraggio di non pubblicare per Berlusconi??
E’ vero l’Einaudi sopravviverà a questi tempi ma in futuro che si dirà del caso Saramago??
@ guglielmo
dearest, non mi viene neppure in mente di fare una battaglia contro la cricca dei critici e degli scrittori, se è questo che intendi
perché l’unica cosa che dà davvero fastidio a me e questo noioso, tedioso, stucchevole, molesto, ripetitivo, meschino, gretto, piccino, ristretto, soffocante, oppressivo e soprattutto intervallato e continuo gocciare di questa uggiosissima piaga che è il gemere alla cricca
fosse un grido, almeno uno sobbalzerebbe, ma è un lamento, una nenia, una querimonia insopportabile e castrante
però posso, se vuoi fare una rivoluzione contro la cricca dei dentisti, quella sì
[…] l’intera intervista a Nicola Lagioia su Nazione Indiana Lascia un […]
Contro la cricca dei dentisti sarò in prima fila accanto a te Alcor!
Mostrando i denti!
Partiamo dalla cricca dei politici ..a scendere
@giuliomozzi. A me sembra una questione davvero formale e non sostanziale. Comunque, le faccio io una domanda: l’ha letto il post intitolato “La (mia) risposta a Giulio Mozzi” alla pagina seguente? Mi sembra che sia una risposta pubblica a una sua domanda pubblica. Non trova?
a Dinosauro:il libro di Lagioia è molto bello.’Lulù Delacroix’ parte bene, ma poi diventa molto noioso.
Il libro di Lagioia e’ da leggere.
Letto! E sono in caccia di “Occidente per principianti”, visto che ho dato una sfogliata a “Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoi” e sospetto che fra il primo e il secondo romanzo Lagioia abbia fatto un balzo interstellare, a curvatura massima warp-DeLillo.
Scrittura densa e intelligente, tesa, e soprattutto, il suo, è un libro non normalizzato sulla scrittura comunicativo/giornalistica (attacco al fulmicotone con una frase a sensazionale di max 10 parole, ipotassi al massimo grado, subordinate trasformate in principali, grado zero della descrizione e/o interpretazione, affermazioni apodittiche: stile che per inciso viene adottato anche qui e che, usato consapevolmente o meno, ha comunque una certa valenza politica: quella dell’adesione al format dell’immediatezza). Invece, dalla prima pagina, l’incipit di Lagioia (in testa, la citazione di uno spot televisivo degli anni 80):
“Nella pioggia di messaggi che raggiunse la città l’ultima estate in cui avrei potuto battermi per dimostrare che la famosa mappa di Billy Bones aveva un fondo di verità, il rompicapo contenuto nel precedente articolo di giornale è il testo del più importante spot televisivo mandato in onda in quel periodo, lo stesso in cui Amadeus fece faville alla notte degli Oscar e il mio paese cessò di avere formalmente una religione di Stato. Ma io affrontai l’articolo con il distratto sentimento di superiorità che riservavo ai quotidiani: compresi a malapena che un attore di film western aveva vinto una battaglia elettorale al di là dell’oceano, chiusi le pagine del giornale e passai a leggere L’isola del Tesoro per la terza volta consecutiva.
Già l’anno dopo, non avrei più avuto tempo per i libri: Vincenzo e Giuseppe sarebbero entrati nella mia vita con l’effetto di una tromba d’aria. Ma poi finirono per trascinarmi nel baratro di rimpianti e notti insonni dal quale non sono ancora uscito”.
Insomma, Lagioia è bravo, e meriterebbe di pubblicare per Einaudi sia che B. la diriga o meno.
Grazie, Alfredo. Non avevo visto l’articolo (questo) di Biondillo.
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