La (mia) risposta a Giulio Mozzi

di Gianni Biondillo

Carissimo Giulio,
sono stato fuori Milano per circa un mese, con vaghe e sporadiche incursioni su internet. Quindi leggevo le tue domande di straforo, senza mai trovare il tempo di darti una (mia) risposta.
Dici a Helena, in un commento al post di Voltolini: “Helena, mi par di capire dunque che Nazione indiana fa domande come Nazione indiana, ma non è disponibile come Nazione indiana a dare chiarimenti sulle domande stesse.”
Sai, ho come la sensazione che ci sia un errore di comprensione iniziale che falsifichi tutto il tuo ragionamento. Nazione Indiana così come tu la rappresenti, questa specie di ente superiore, di Politburo, di Consiglio di amministrazione iperdirigista, che chiede, risponde, fa e disfà, non esiste. Nazione Indiana è una cosa più complicata. E’ fatta dai suoi redattori, dai suoi lettori, dai suoi commentatori, collaboratori (che spesso sono anche tutte queste cose assieme) con le loro storie, il loro vissuto, il loro personale contributo.
Tashtego o Alcor, Galbiati o Vergé, per fare degli esempi, sono, in qualche modo, pezzi di Nazione Indiana, ne danno una colorazione. Persino l’ultimo dei troll lo è (e pure il decidere se bannarlo o meno).
E anche se – legittimamente- stringessimo il campo ai soli redattori, come ben sai (ne hai fatto parte), esistono fra noi continue discussioni interne, condivise o meno, ma non c’è mai l’unanimità. Quando si pubblica un post come “redazione” si dice che una maggioranza relativa o assoluta di redattori (ma mai unanime, non è mai accaduto) condivide un testo. Ma attenzione: Nazione Indiana non ha mai scritto un testo firmandolo in calce come Nazione Indiana. Fai un giro sui tag di Nazione Indiana e ti accorgerai che abbiamo magari postato come “redazione” pezzi scritti da un singolo redattore, o di qualcun altro. Ma non esistono post firmati da Nazione Indiana. Pure nel Triangolo Nero ci sono singole firme di singoli redattori (e non tutti, tra l’altro), non c’è un generico “Nazione Indiana”.
Vedi, anche nei modi: tu rispondi su Vibrisse con il nick “Vibrisse”. Ed è corretto perché Vibrisse oggettivamente “sei tu”. Può esiste una Vibrisse senza Giulio Mozzi? No. Una Nazione Indiana senza Biondillo o Inglese o Matteoni, o chi vuoi tu? Sì. Andrea Cortellessa infatti, con un apparente eccesso di zelo, risponde nei commenti del tuo blog a Vibrisse, non a Giulio Mozzi. Ma tu non troverai mai un commento a firma Nazione Indiana. Le risposte sono sempre di redattori di Nazione Indiana. Persino il cancellare un commento di un troll diventa una scelta personale, anche quando è condivisa.
Su questo blog, alla voce “Contatti”, chiediamo esplicitamente di inviare materiale a singoli redattori, non alla redazione. Tu non hai ricevuto una email di Nazione Indiana che ti chiedeva di rispondere ad alcune domande. Non era una email “nazioneindiana[at]gmail.com”, era una email di Helena, una redattrice di Nazione Indiana che si è messa in contatto con te. La stessa scelta di Helena è personale. Magari condivisa, ma sua. Magari ad un altro redattore solo l’idea di spedirti il questionario gli faceva venire l’orticaria. Ed infatti non l’ha fatto. Magari era convinto del progetto del questionario, ma non dei nomi coinvolti, magari alcuni di noi non condividono neppure il questionario ma non reputano sia un problema che lo si firmi a nome di redazione perché ne comprendono lo spirito che lo muove, etc. etc. (io, per dire, non ho inviato il questionario a nessuno). Siamo per una indipendenza delle azioni singole e per una “ragionevole” attenzione a quelle collettive, a meno che non ledano la sensibilità di qualcuno al punto da rinunciarci. E’ un equilibrio difficile, spesso farraginoso, che rallenta di molto i movimenti. Perché siamo una redazione orizzontale e non dirigista. Al punto che facciamo a gara a non farci eleggere come presidenti della associazione Mauta, o consiglieri, o chissà cos’altro!
E’ giusto? E’ sbagliato? E’ così. E’ Nazione Indiana. In situazioni di gruppo differenti (che ho vissuto, frequentato o che frequento) mi pongo in modo differente. Ma qui su Nazione Indiana le “regole del gioco” sono queste. Nazione Indiana è un campo che non ha perfettamente definiti i suoi confini, ma che, con una logica fuzzy e non binaria, è comunque evidente ed identificabile. Anche tu, che non sei più redattore di Nazione Indiana, resti comunque un componente di quello che Nazione Indiana è stata e di conseguenza è.
Quindi, dato che tu hai ricevuto un invito da un componente di Nazione Indiana (e non da una “redazione superiore”) a rispondere ad un questionario, trovo curioso che tu non comprenda che i nomi che chiedi ti siano già stati fatti in più di un commento dagli unici che potevano farteli. Cioè da delle persone, non da un’entità. Da Giacomo Sartori, da Piero Sorrentino (due redattori di Nazione Indiana), da Andrea Cortellessa (un lettore di Nazione Indiana).
Nomi, tra l’altro, che può sembrare tu abbia “estorto” dopo una nostra iniziale reticenza ma che su Nazione Indiana in realtà si sono già letti, e non da ora. Non voglio rammentarti le mie polemiche con Berardinelli, Luperini, Di Stefano, etc. (io i nomi e i cognomi li faccio, sempre). Mie. Di un redattore di Nazione Indiana. Ma mica sono stato l’unico, o il primo. I nomi da te richiesti su Nazione Indiana si sono letti già da molti anni. Voglio ricordarti una polemica di sei anni fa, partita da un testo di Tiziano Scarpa (fondatore di Nazione Indiana. E perciò, inevitabilmente, elemento di definizione dell’identità mobile di Nazione Indiana) che qui ti linko, dove io stesso commentai. Non ero ancora un redattore, forse anzi non avevo ancora pubblicato nulla come romanziere, ma come lettore e commentatore, mi sentivo già parte facente di questo progetto in fieri.
I nomi che chiedi, insomma, su Nazione Indiana, ci sono eccome. La risposta l’hai già avuta.
E se neppure questa mia (mia, di Gianni Biondillo, non della fantomatica “redazione”, ma che magari verrà poi condivisa, o meno) “spiegazione” può bastarti, se ancora vuoi una risposta, non mi resta che amichevolmente consigliarti di lasciar perdere. Per dirla con una citazione dei fratelli Coen: “accetta il mistero”.

davvero con amicizia,
Gianni

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44 Commenti

  1. Anch’io sono Nazione Indiana ? naaaaaaaaaaaaaaa..

    .. vado subito a vantarmi con gli amici ^__^..

  2. Caro Mozzi, a me sembra che Gianni ti abbia dato una risposta bella, sincera e sentita.
    Sì, Gianni.
    Gianni Biondillo, sì.
    Sì, lui, chi altri?
    Guarda, io credo proprio di non sbagliare dicendoti che il Gianni che firma la lettera è lo stesso Gianni Biondillo a cui è accreditata.
    No, non credo fosse necessario mettere anche il cognome, no.
    Ti dico che non l’ha fatto perché non ce n’era bisogno.
    E perché ti saluta con amicizia.
    Sarebbe stato poco intonato, ti pare?
    Va bene, riflettici.
    Ma se hai ancora dubbi considera che, sempre per citare i Coen: “Lei è il signor Leboswski, io sono il drugo!”

  3. Nazione Indiana l’ho sentita sempre come una partizione musicale, con molti voci diverse, strumenti musicali diversi, e si crea un’armonia particolare. Onde unite per inventare il mare. Canti diversi nel campo della creazione. Apprezzo molto la libertà che offre il blog, l’impegno nei valori che toccano all’umanità, l’esperienza nel campo lettarario; molto membri fanno la letteratura italiana di qualità (poesia, romanzi, saggi), e la grande gentilezza dei membri o commentatori. Non si sente alterigia.

  4. da ex redattore di nazione indiana non posso che confermare. tutto cio’ che ha scritto gianni è vero. su NI funziona e ha sempre funzionato così. al di là delle domande di giulio, credo proprio che questo pezzo ci voleva per sgombrare il campo da dicerie, leggende metropolitane e di “fuori porta” – in gita e non -; in certo senso, NI è un’entità, quasi un blob (quello del film horror del 58) pensante, e in continua edizione straordinaria. ed è vero che anche gli ex, come me, ne rimangono in qualche modo vicini, se non altro perchè nella redazione ci sono delle persone che in qualche caso sono diventate amiche. ed è anche vero che certi commentatori hanno dato e danno molto di più di alcuni altri che, dall’interno, avrebbero dovuto dare di più, perlomeno perchè membri dell’ “entità.”

  5. Giulio Mozzi quando risponde usando l’account di ‘Vibrisse’ firma sempre il post col proprio nome o la sigla.
    Lo fa per collocarsi nello campo teorico-letterario post autoriale multidimensionale svalvolabile dello spazio-tempo ultrapolisemico?
    No no.
    Lo fa per educazione, lui è Giulio Mozzi e firma giulio, g., giuliomozzi.
    Se invece un documento scaturisce da una redazione è firmato dalla redazione, oppure da un redattore ‘per la redazione’.

    Se una redazione propone delle domande a una persona, e questa persona risponde ponendo delle domande alla redazione intervistante, è buona educazione che sia la redazione a rispondere, e se non riesce a rispondere con una sola voce, può sempre attestare le diverse voci che la compongono. Il ragionamento è semplice: come una redazione riesce a promuovere l’iniziativa dell’intervista, allo stesso modo può organizzarsi per una risposta.

    Quando Giulio Mozzi pone la questione: “[…] mi par di capire dunque che Nazione indiana fa domande come Nazione indiana, ma non è disponibile come Nazione indiana a dare chiarimenti sulle domande stesse.”
    fa notare la mancanza di una condizione che dovrebbe essere semplicemente frutto del buon senso, dell’educazione, del rispetto per l’interlocutore.

  6. Peccato, questa lettera è andata buca, eppure meritava eccome.

    Io la vedo così.
    Meritava sia sul piano dei contenuti sia su quello del tono.

    Nel senso che Gianni ha disvelato le dinamiche interne ed esterne di NI fornendo a tutti le basi per capire come siano scaturite le domande dell’interviste e le risposte a Mozzi prima nei commenti e poi qui.

    Chi ha orecchi per intendere, ha inteso.
    Chi antepone l’uso della forma, la sua forma, all’avere orecchi per intendere, dà a vedere di non intendere pur avendo inteso.
    Perché Mozzi sa come funziona NI, sa che le domande sono state scritte più da alcuni che da altri, sa che gli stessi gli hanno risposto nei commenti fornendo i nomi che richiedeva. Mozzi ha già ottenuto tutte le risposte che chiedeva, e da un pezzo, prima ancora di questa lettera, che Gianni ha scritto – io desumo – più per i lettori che per Mozzi. Semplicemente, Mozzi ha preteso che NI desse le risposte – che lui sa già da un pezzo – con la forma che lui ritiene più opportuna.
    (E ora Barbieri perora la causa di Mozzi).

    Io penso che Gianni abbia fatto un’ottima scelta portando il discorso sul piano umano, perchè dato che i contenuti son chiari a Mozzi e a tutti, perseverare sula questione di forma serve solo a disumanizzare il discorso fino a rendere gli interlocutori sordi l’uno all’altro, e questo è francamente ridicolo se si considera che gli interlocutori non solo si conoscono di persona ma hanno fatto parte della stessa NI.

    Sul piano del contenuto, tutto era già chiaro.
    Sul piano della forma, Mozzi non era disposto a compromessi: o NI rispondeva come voleva lui – con la firma “redazione” – o si perdeva solo tempo. Non c’erano margini di compromesso in questa prova di forza, Mozzi non ne ha lasciati. NI non ha accettato di piegarsi alla richiesta di Mozzi, rivendicando un suo modo di essere, qui espresso da Gianni.
    Però Gianni ha tentato di venire incontro a Mozzi cambiando registro, portando il discorso sul piano umano ed emotivo, tendendogli una mano.
    Per me questo è molto apprezzabile.
    Ma la mano è stata rifiutata.

    Ps approfitto per ringraziare Gianni personalmente per la citazione.

  7. Lorenzo, non possiamo sapere se Giulio abbia rifiutato, come dici tu, la mano tesa. Magari, semplicemente, in questi giorni non è on line. E conoscendolo, data la vita e il lavoro che fa, non mi stupirebbe.

  8. Come Mozzi, anch’io ho una curiosità relativa all’inchiesta, una piccola curiosità che ho espresso diverse volte cicrca la paternità delle domande. Mi è stato detto che erano frutto di un lavoro collettivo, ma darei chisssà cosa per sapere chi è l’autore della frase “come speditivo apprezzamento di massima”. E’ un gioiellino, non è giusto lasciarla orfana.

  9. Galbiati ciao.
    Allora, secondo te io peroro la causa di Mozzi.
    Secondo me invece io peroro la causa di non scrivere cazzate.

    Quando Gianni rivolgendosi a Mozzi scrive:
    “”Vedi, anche nei modi: tu rispondi su Vibrisse con il nick “Vibrisse”. Ed è corretto perché Vibrisse oggettivamente “sei tu”.””
    dice una cosa che non è vera, anzi è vero esattamente il contrario: Mozzi firma sempre col suo nome anagrafico. Vibrisse non è mai un interlocutore, Vibrisse è soltanto il nome del blog.

    Forse per te Galbiati la precisione dei presupposti di un ragionamento non è questione tanto importante. Per me sì, perché penso che se un ragionatore non sa verificare le premesse del proprio ragionamento, difficilmente può arrivare a conclusioni corrette.

  10. Barbieri,
    ovviamente perori la causa di Mozzi non con quella frase ma con il resto che hai scritto.
    Cmq, anche io nel mio blog mi firmo Lorenz ma il blog si chiama pistorius.
    E allora?
    Chi è pistorius, nel mio blog (non dico nel Demian di Hesse)? chi lo gestisce?
    Io, quindi non mi faccio problemi a farmi chiamare pistorius, se capita.
    Il blog è mio, non è collettivo.
    Quindi, Gianni ha scritto una imprecisione, bene, corretta la quale, però, il senso resta immutato: vibrisse è Mozzi.
    Nazione indiana invece è collettivo mentre nei commenti i redattori accedono ognuno a proprio nome – non so se si possa postare un commento come nazione indiana, né del resto si è mai vista la firma nazione indiana negli articoli.

    Per il resto, aggiungo, e chiudo che la richiesta di Mozzi di chiedere una risposta sui nomi dei critici che direbbero che il romanzo italiano è morto, o quel che è, è legittima, ed è pure legittimo chiedere che la risposta provenga dalla redazione – da dove è venuta la domanda.

    Solo che, una volta appurata che la modalità di risposta scelta dagli indiani non è quella di scrivere un articolo a nome redazione per rispondere a Mozzi, io credo che una persona ragionevole e non ossessiva, e che voglia capire e farsi capire, dovrebbe mostrare quel minimo di sensibilità e ragionevolezza da accettare la risposta che in ogni caso gli è stata data a nome delle redazione, anche se non nella forma richiesta. Senza accanirsi puerilmente nascondendosi dietro presunte questioni di forma che in nulla cambiano il contenuto della risposta e che, se reiterate, sembrano forme ansiose-ossessive di chi vorrebbe dettare ad altri le modalità precise con cui dovrebbe comportarsi.

  11. Sto seguendo da un po’ di tempo la questione Mozzi-NI, e sinceramente mi sembra che a volte richieste e attacchi siano pretestuosi. Sarò un pragmatico, ma penso che siano più importanti la comunicazione, l’intenzione comunicativa e il reale scambio dialogico rispetto a una precisione eccessiva che talvolta rappresenta semplicemente una chiusura e una volontà di scontro (ma forse intendo male io).
    Comunque, se proprio vogliamo essere precisi (e in questo caso rispondo ad Andrea Barbieri) per continuare inutili discorsi sul pelo dell’uovo, la firma di Giulio Mozzi su vibrisse non è unica. Vero è che si firma gm, giulio, giulio mozzi, giuliomozzi. Vero è anche che in ogni post appare la menzione data + vibrisse e all’inizio di ogni commento di Mozzi c’è la dicitura “vibrisse dice” (forse per impostazione automatica, non lo so). Quindi, a rigor di logica, entrambe le “interpretazioni” sono corrette. E, ripeto, mi sembrano questioni davvero minime, volte però a mettere in luce ben altri elementi, la cui importanza fatico ad afferrare.

  12. Christian, no. La firma di Mozzi su Vibrisse è unica, la firma è il nome o la sigla in calce al testo, tu confondi la firma con l’intestazione.

    Quindi Gianni non ha scritto una ‘imprecisione’, ma ha scritto l’esatto contrario di ciò che è. Infatti Mozzi firma sempre come Mozzi proprio perché Vibrisse è un account impersonale che può essere usato da chiunque abbia (ieri, oggi, domani) la password.
    Firmando, Mozzi ci fa sapere: sta parlando Giulio Mozzi, se fate una domanda risponderà Giulio Mozzi.
    Identificare il soggetto che risponde (individuale o collettivo) e mantenerlo fermo nel dialogo serve a rendere il discorso comprensibile oltre che essere segno di cortesia.

  13. Scrive Galbiati:
    “Solo che, una volta appurata che la modalità di risposta scelta dagli indiani non è quella di scrivere un articolo a nome redazione […]”

    Forse hai letto frettolosamente le interviste, che iniziano così:
    “abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere.”

    Non so tu, ma se io leggo “abbiamo pensato” ritengo di avere di fronte un testo della redazione (a meno che non sia un singolo indiano che parla come Luigi XIV…).

  14. anche DUE indiani DUE possono dire noi, se si deve procedere su questa stupida strada

    ma questa storia è davvero stucchevole, perché sotto la forma di una lodevole (in sé) acribia io vedo solo un enorme formalismo, che non sa andare al succo, o al cuore del problema

    e anche una curiosa affermazione di sé in quanto migliore, più intellettualmente onesto, più filologicamente attento, più logicamente attrezzato, più scrittore, insomma, nell’ amore della precisione, di tutti gli altri in campo, la comparsa di barbieri poi, che da quando lo conosco ha la vocazione dell’alfiere, ricorda così orribilmente il già visto da provocare conati di noia

    non si potrebbe addivenire a un accordo tra le parti, in modo da ripristinare il buon senso?

  15. Alcor, ho scritto:
    “Identificare il soggetto che risponde (individuale o collettivo) e mantenerlo fermo nel dialogo serve a rendere il discorso comprensibile oltre che essere segno di cortesia.”

    Due indiani sarebbero appunto un soggetto collettivo, e questo soggetto collettivo va mantenuto come interlocutore per rendere il discorso comprensibile e per cortesia.

    Stucchevole sara semmai che un rilievo basato sul buon senso come quello di Mozzi sia oggetto di fraintendimenti e arrampicate sugli specchi degne della mosca umana. Ma va bene, forse il buon senso non è così comune tra voi intellettualoni.

  16. Comunque per fugare ogni dubbio sul fatto che qui prima ci si dà un tanto al metro e poi ci si arrampica sugli specchi: Lagioia, Abruzzese, Voltolini, Bortolotti, Cordelli, Piersanti, Parazzoli, Trevi, Mozzi sono stati intervistati da “redazione”, come risulta dai vari post che hanno per autore la “redazione”.

    Quindi Mozzi è stato intervistato dalla redazione di Nazione Indiana.

  17. Su Mozzi e la querelle formale/sostanziale: se Mozzi non e’ matto (e non pare esserlo ancora diventato), sta parlando una lingua, mentre qui gli si risponde con le mozioni dell’affetto. Aggiungo che il “sentimento popolare” suggerito dalla Janeczek quale risposta a precisa domanda, e’ lo stesso che ha distrutto Luciano Moggi quattro anni fa e che sta venendo mano mano smontato nel processo ordinario a Napoli (l’interrogatorio del colonnello Auricchio e’ talmente ridicolo, quando mirato ai fatti da accertare, che sembra un film di Toto’). E’ l’onda lunga travaglina e repubblichina, giustizialista, che e’ da sempre nelle corde di certa sinistra. Alla quale e’ rimasto solo l’odiato figliastro Vendola.

  18. Caro Gianni,

    leggo questo tuo articolo solo oggi (4 aprile), grazie alla segnalazione di un commentatore che si firma Alfredo. Sono stato molto in giro anch’io, e l’articolo è sfuggito alla mia attenzione.

    Tutte le cose che mi scrivi sono chiare e ragionevoli. Nonché ovvie.

    Almeno una, però, delle cose che mi scrivi, mi pare bizzarra: “Nazione Indiana così come tu la rappresenti, questa specie di ente superiore, di Politburo, di Consiglio di amministrazione iperdirigista, che chiede, risponde, fa e disfà, non esiste”. E chi si è mai immaginato qualcosa del genere? Suvvia, Gianni, non trattarmi da cretino. Ho solo immaginato che Nazione indiana, nel momento in cui mi chiedeva se concordassi con le opinioni di certe persone, non avesse particolari problemi a esplicitare – per chiarezza – quali fossero tali persone.

    Nel momento in cui mi sono accorto che ciò che mi pareva ovvio, ovvio non era, allora mi sono permesso un po’ d’insistenza. E qui mi fermerò; visto che ho finalmente ottenuta una risposta nella stessa sede (un articolo pubblicato in Nazione indiana) nella quale ho posta la domanda. Avrei preferito, lo confesso (soprattutto da uno che dice: “io i nomi e i cognomi li faccio, sempre”) una lista che non si concludesse, dopo tre cognomi, con un “etc.”. Comunque grazie.

    Ti chiedo una precisazione: quando scrivi che “Tashtego o Alcor, Galbiati o Vergé, per fare degli esempi, sono, in qualche modo, pezzi di Nazione Indiana”, sapresti spiegare in quale modo essi sono pezzi di Nazione indiana?

    Ricordo che in un articolo in vibrisse avevo posto a Nazione indiana non una, bensì otto domande. Chi fosse interessato le trova qui.

  19. Lorenzo Galbiati scrive: “Mozzi ha già ottenuto tutte le risposte che chiedeva, e da un pezzo, prima ancora di questa lettera, che Gianni ha scritto – io desumo – più per i lettori che per Mozzi”.

    No, non avevo ottenute tutte le risposte che chiedevo. Non le ho ottenute nemmeno ora. Ed è ovvio che questa lettera sia scritta più per i lettori che per me. E’ innanzitutto per rispetto verso i lettori, che quando si scrive che “certi critici” dicono certe cose, si deve scrivere chi sono questi benedetti critici.

  20. “…né del resto si è mai vista la firma nazione indiana negli articoli” (Galbiati).

    Esempio di articolo scritto da una persona e sottoscritto da tutta Nazione indiana: qui.

  21. Una cosa importante (e poi basta). Sempre Lorenzo Galbiati (qui): “Solo che, una volta appurata che la modalità di risposta scelta dagli indiani non è quella di scrivere un articolo a nome redazione per rispondere a Mozzi, io credo che una persona ragionevole e non ossessiva, e che voglia capire e farsi capire, dovrebbe mostrare quel minimo di sensibilità e ragionevolezza da accettare la risposta che in ogni caso gli è stata data a nome delle redazione, anche se non nella forma richiesta.”

    Lorenzo, mi spiegheresti per quali ragioni “la modalità di risposta scelta dagli indiani non è quella di scrivere un articolo a nome redazione”?

    Ricostruisco: dentro un articolo pubblicato in Nazione indiana mi si fa una domanda. Io rispondo, e nella mia risposta c’è la richiesta di un chiarimento.

    Io credo che una persona ragionevole e non ossessiva, e che voglia capire e farsi capire, dovrebbe mostrare quel minimo di sensibilità e ragionevolezza da fornire il chiarimento. E, visto che il tutto è avvenuto in un articolo pubblicato da “redazione” in Nazione indiana, la sede idonea per fornire il chiarimento (anche per migliorare la qualità dell’inchiesta in corso) è appunto un articolo pubblicato da “redazione” in Naziione indiana.

    [Un paio di settimane fa ho mandato un articolo al supplemento domenicale del quotidiano “Il Sole 24 ore”. L’articolo è stato pubblicato con in calce la dicitura: “Proprietà riservata”. Io ho scritto al giornale dicendo: scusate, ma come vi permettete di scrivere “Proprietà riservata” vostra in calce a un articolo mio? Nel numero successivo del supplemento, un trafiletto spiegava la cosa ai lettori e cortesemente si scusava. Vedi qui. Non ci vuole molto, a fare certe cose].

  22. Caro Mozzi, visto che all’ultima tua fatica nel rispondermi nei commenti all’intervista di Bortolotti non ho risposto (per mancanza di tempo), rispondo su questi tuoi ultimi rivolti a me.

    1. Dici che non hai avuto tutte le risposte. Alla domanda chi fossero i critici innominati ti ha risposto subito su vibrisse Sartori, parlandoti (almeno in parte) al plurale: “pensavamo”. Pensavano a Berardinelli, La Porta, Luperini (ribadito da Sorrentino nei commenti qui su NI) e Cortellessa. Lo hanno capito tutti, leggendo i commenti qui su NI. Te lo ha scritto sopra Biondillo che ti hanno risposto Sartori e Sorrentino. Tu non lo capisci perché non lo vuoi capire… si direbbe che la tua fissazione per le questioni di forma sia diventata un’ossessione che ottunde la tua capacità di comprendere. Succede, quando si è in preda all’ossessività.

    2. Ti hanno dunque risposto dei redattori di NI nei commenti qui e su vibrisse, e ora Biondillo. E’ servito a qualcosa? A nulla. Dici a Biondillo che è tutto ovvio quel che scrive, che hai avuto la risposta in home page, come desideravi e che quindi ti fermi qui con le richieste ma… in verità non ti sei fermato, perché ancora non hai avuto esattamente quel che chiedevi e perchè questa lettera di Biondillo non dice – a te – assolutamente nulla.

    3. Dovevano rispondere con un post che citasse quei critici firmato redazione?
    Potevano, ma non dovevano. Non l’hanno fatto. E a te non sta bene.
    A me le questioni di forma interessano, perchè interessa la correttezza.
    E se vuoi sapere la mia, io non vedo nessun obbligo dei redattori di NI di risponderti nella HP. Al massimo potevano farlo per cortesia. Ma tu non sei stato cortese. Tu hai risposto in modo miserrimo o insolente alle loro domande. Se avessi dedicato un decimo del tempo e dell’energia che hai dedicato poi nei commenti qui – e nei post e commenti del tuo blog – a rispondere all’intervista, i lettori ne avrebbero ricavato molto in termini di piacere di lettura, conoscenza di informazioni, apprezzamento delle argomentazioni… invece…
    Lo hanno capito tutti che non ti interessava rispondere in modo tale che qualche lettore ne fosse arricchito. Si capisce che rispondi per criticare tutto l’operato di NI per questioni di forma. Si capisce da come rispondi all’intervista e da quello che allestisci poi qui e sul tuo blog. E infatti molti lettori si chiedono e ti chiedono cosa ci sia sotto, quale malanimo si nasconda dietro questo atteggiamento. E tu dici nulla, e io ti credo. Però intanto, quel che tu non vedi, è che hai risposto a un’intervista in modo quasi insultante verso l’operato dell’interlocutore. E non avevi nessun obbligo di rispondere. Così come non ha nessun obbligo NI di fornirti i nomi che chiedi, non ce l’ha nemmeno in forma ufficiosa come ha fatto: nei commenti e a nome di qualche redattore.
    Sarebbe utile mettere quei nomi nella domanda? Sì, penso di sì, servirebbe. Così come sarebbe servito se Mozzi avesse risposto con un minimo di rispetto e impegno. Ah già, secondo te, il rispetto si vede nel rispondere con meno parole possibile… tu e Bortolotti avete risposto in ugual modo, solo che lui si è profuso a spiegare l’ovvio mentre tu hai fatto risparmiare tempo ai lettori. Sei tu che dici queste cose, secondo me tristemente spocchiose.
    La verità è che tu non hai detto nulla con le tue risposte irritanti mentre è stato un piacere leggere Bortolotti, per come ha scritto, per le informazioni che ha dato, per il suo modo di argomentare.
    Se penso invece alla tua risposta con la %, alla tua definizione di scrittore, alla citazione della parabola dei talenti
    (quest’ultima secondo te dovrebbe spiegare la tua posizione sulla responsabilità dell’autore nei cfr della società, quando invece secondo me non solo non spiega niente, ma si basa sul presupposto sbagliato che il talento nello scrivere si dovrebbe tradurre in talento nell’incidere sulla vita politica) e… meglio lasciar perdere. Se io non ti “conoscessi” per molto altro che hai scritto, avrei una pessima opinione di te, dopo quell’intervista.

    Quindi, se vogliamo parlare di correttezza:
    – nessun obbligo tuo di rispondere all’intervista.
    – nessun obbligo di NI di rispondere a te, né alla specificazione sui critici né alle tue 8 domande.

    Se vogliamo parlare di cortesia e di opportunità, invece, considero giusto rispondere (in modo serio e approfondito) solo a interviste per cui vale la pena, mentre credo sia sempre sbagliato rispondere in modo sbrigativo e strafottente, a meno che si voglia rispondere per polemizzare: come hai fatto tu. In quest’ultimo caso, però, pretendere poi che l’intervistatore da te criticato si faccia volontariamente coinvolgere in una polemica infinita o in una controintervista mi sembra presuntuoso.

    4. NI che si firma come NI: è solo l’eccezione che conferma la regola, dai, dovevano scrivere redazione anche lì e si sono sbagliati o forse hanno scritto NI perchè erano d’accordo all’unanimità. In ogni caso, a che pro? Biondillo ha spiegato una cosa, la differenza tra redazione e NI, che per me è stata illuminante, e che di certo non viene meno per questo caso.

    5. Lorenzo, mi spiegheresti per quali ragioni “la modalità di risposta scelta dagli indiani non è quella di scrivere un articolo a nome redazione”?

    Mi pare che la lettera di Gianni serva proprio a spiegarti questo.
    Io non conosco le dinamiche interne a NI e ripeto, posto che servirebbe fare i nomi dei critici nella domanda, credo che sarebbe bastato, per il mio concetto di cortesia e opportunità, darti una risposta con un elenco di nomi da parte di un redattore di NI nei commenti a nome di tutta la redazione. E’ quello che anch’io in fondo ho chiesto a NI dicendo che la tua curiosità (termine che non ti è piaciuto) richiedava quanto meno questo per essere placata. A quanto pare, però, NI è un po’ troppo anarchica e decentrata per mettere insieme spesso le opinioni di tutti i redattori. E io, considerato questo, se fossi in te mi chiederei: se è così, e se io da NI ci sono uscito, perché dovrei insistere a dir loro come mi dovrebbero rispondere? non rischio di diventare troppo … è tardi e non mi viene la parola: dico di uno che pretende di dettare i comportamenti degli altri.

    6. Nel tuo caso con Il Sole 24 ore hai perfettamente ragione, ma il caso con NI non mi sembra simile a quello.

    Per il resto, ho impiegato un’ora a scrivere: spero apprezzerai nonostante le mie critiche reiterate alle tue risposte all’intervista e a certi tuoi atteggiamenti internettici. Non ti conosco come persona né come scrittore, ma come blogger e critico e consulente editoriale nel complesso apprezzo quel che fai, e credo – entro certi limiti – di essere piuttosto affine al tuo modo di ragionare (in certo qual modo scientifico) sulle questioni di forma e su altro.

  23. Galbiati, per punti.

    1. Quella di Giacomo Sartori mi sembrò, per il tono, una risposta a titolo personale. Lo scrissi, e non fui smentito (soprattutto, non fui smentito da Giacomo).
    Scrivi: “Tu non lo capisci perché non lo vuoi capire… si direbbe che la tua fissazione per le questioni di forma sia diventata un’ossessione che ottunde la tua capacità di comprendere. Succede, quando si è in preda all’ossessività”. Non si tratta di questioni di forma. Ma, a parte ciò, sapresti dirmi in base a quali tue competenze e in base a quali dati raccolti formuli sul mio conto una diagnosi di questo tipo? O intendevi solo evitare una discussione autentica dando del disturbato mentale alla persona con la quale non vuoi discutere?

    2. Scrivi: “Ti hanno dunque risposto dei redattori di NI nei commenti qui e su vibrisse, e ora Biondillo. E’ servito a qualcosa? A nulla”. Certo: non serve a nulla, se a una domanda posta in una certa sede a un gruppo arrivano risposte sparpagliate e in una varietà di sedi, o addirittura rimandando ad ulteriori sedi dove avrei trovate le mie risposte. Questo non è “rispondere”; questo è “caccia al tesoro”.

    3. Scrivi: “Dovevano rispondere con un post che citasse quei critici firmato redazione? Potevano, ma non dovevano. Non l’hanno fatto. E a te non sta bene”.
    A me sta bene che Gianni Biondillo mi abbia risposto nella stessa sede in cui io ho posta la domanda. Trovo la sua risposta insoddisfacente, ma finalmente è una risposta adeguata alla domanda.

    Scrivi: “Quindi, se vogliamo parlare di correttezza:
    – nessun obbligo tuo di rispondere all’intervista.
    – nessun obbligo di NI di rispondere a te, né alla specificazione sui critici né alle tue 8 domande”.
    Sono d’accordo: nessun obbligo, da parte di Nazione indiana, a rispondermi. Ciò significa che non ho il diritto di domandare?

    Scrivi: “Lo hanno capito tutti che non ti interessava rispondere in modo tale che qualche lettore ne fosse arricchito”.
    Falso due volte. (a) Mi interessava rispondere in modo tale che qualche lettore ne fosse arricchito. (b) Tu non puoi sapere che cosa hanno “capito tutti”. Se m’inganno, e tu puoi saperlo, spiégami come fai.

    Scrivi: “La verità è che tu non hai detto nulla con le tue risposte”.
    Falso. Come ho già scritto qui, spiegando l’ovvio:

    Alla domanda 1 ho risposto: “sta bene”. Non è una risposta tanto diversa da quella data, per esempio, da Trevi. E’ solo più “speditiva”, come richiesto dalla domanda (e più chiara).

    Alla domanda 2 ho risposto che non solo la pubblicazione, ma lo stesso concepimento di “opere di qualità” è danneggiato dalla “industrializzazione crescente”. Non mi sembra una non-risposta. Se avessi scritto dieci pagine lamentando il “genocidio culturale” in corso, sarebbe stato diverso?

    Alla domanda 3 ho risposto dichiarando il mio disinteresse per le pagine culturali. Disinteresse che (presumevo si capisse) deriva dalla loro irrilevanza o, se vogliamo, dalla loro incapacità di “rispecchiare”.

    Alla domanda 4 ho risposto con una percentuale. A nessuno, a quanto pare, è venuto in mente che quella percentuale possa corrispondere alla quota di mercato (ambito narrativa italiana, dati 2008/9) delle imprese editoriali che, secondo me, fanno “un buon lavoro” eccetera. Eppure è così. Ho sommato le quote di mercato (ambito narrativa italiana, dati 2008/9) di Einaudi, Guanda, minimum fax, e di una lunga serie di editori vari e minori che secondo me fanno “un buon lavoro”, e ho ottenuta quella percentuale lì. (Mia elaborazione su dati Demoscopea che, purtroppo, per contratto, non posso pubblicare).

    Alla domanda 5 ho risposto nel modo più piano che si può.

    Alla domanda 6 ho risposto facendo capire che non mi pare sensato invocare aiuti di stato o simili: l’impresa editoriale se la gioca sul mercato, tutto dipende dai comportamenti dei lettori-compratori.

    Alla domanda 7 ho risposto, mi pare, più chiaro che si può: “sì, mi sembra che gli scrittori italiani abbiano modo di dire la loro; no, non mi sembra che abbiano un qualche peso”. C’era altro da dire?

    Alla domanda 8 non ho data, è vero, una risposta in forma di analisi storica, che forse ci stava. Ho risposto solo con una massima morale: “Chi ha avuto in dono un talento, e lo ha seppellito per non farselo portare via, è da licenziare”.

    Alla domanda 9 ho risposto un po’ ellitticamente, è vero. Ma mi pareva che il senso fosse chiaro: al “mondo della politica”, il “mondo della cultura” interessa solo in quanto è strumentalizzabile, in quando una “patina di cultura” porta consenso voti e quant’altro.

    Alla domanda 10 ho risposto con una massima morale: “Mi sembra opportuno non farsi ossessionare dal desiderio di purezza”. E non è una massima da poco, visto che proprio sull’ossessione della purezza si è consumata, per esempio, anni fa (e, ahimè, in buona parte a causa del mio rifiuto all’ossessione della purezza), una crisi e una spaccatura proprio in Nazione indiana.

    Su questo, qualche considerazione di Helena Janeczek si legge qui.

    Tra l’altro, quando mandai a Helena le mie risposte, lei non aveva l’obbligo di pubblicarle. Così come poteva, presumo, riformulare le domande in modo da chiarire ciò che a me non pareva chiaro. Eccetera. Non lo fece. Mi piacerebbe qui citare la sua breve risposta, ma ovviamente non posso citare qui una sua lettera privata. Se lo riterrà opportuno, potrà farlo lei.

    4. Nessuna eccezione conferma la regola. E un articolo non firmato, ad esempio, e che risulti pubblicato da “redazione”, viene sensatamente recepito dal lettore come un articolo sul quale tutto il gruppo, o almeno una parte maggioritaria di esso, “ci sta”.

    5. No: Gianni Biondillo spiega alcune cose in generale sul funzionamento di Nazione indiana. Manca una risposta specifica su questo caso. Ma la faccenda è chiusa, visto che si può agevolmente intendere la risposta di Gianni Biondillo – e io così la intendo – come una risposta a nome del gruppo.

    Scrivi infine: “Sarebbe utile mettere quei nomi nella domanda? Sì, penso di sì, servirebbe”.
    E quindi sei d’accordo con me.

    (No, non credo che il tuo modo di ragionare sia “affine” al mio. Ad esempio, nel mio modo di ragionare non esiste che si diagnostichi un disturbo mentale alla persona con la quale si discute).

  24. Confermo che il tuo modo di agire in questa vicenda è altamente ossessivo; lo dico perché sono fin troppo evidenti delle peculiarità sintomatiche, che in parte ti ho già evidenziato (per es. non avevi ancora capito i nomi dei critici neanche dopo aver letto questa lettera, dove Biondillo ti dice chiaro che su quello ti hanno risposto Sartori e Sorrentino: che ci vuole a capire, per una persona non ossessivamente legata a questioni formali, che i nomi son quelli fatti da Sartori e Sorrentino?).
    Ma questo non significa che ti stia dando dello psicotico o del “disturbato mentale”, come dici tu. Peraltro, penso che quasi tutti i praticanti assidui di blog o internet siano nevrotici.
    Cmq, se ti interessa, su questo e soprattutto sul resto (le tue tristissime risposte all’intervista) ti rispondo domani sera, ora non posso. (Bisogna essere un po’ ossessivi per star dietro alle ossessioni altrui così a lungo, ed evidentemente io lo sono :-)

  25. Galbiati, mi scrivi: “non avevi ancora capito i nomi dei critici neanche dopo aver letto questa lettera…”.
    No, li ho capiti benissimo.

    Mi limito a notare che una risposta sparpagliata in sei commenti (scritti da quattro persone diverse: Janeczek, Sorrentino, Inglese, Sartori) a quattro articoli pubblicati in due distinti blog; comprensivi di rinvii ad articoli pubblicati in altra rivista o scritti sei anni fa da persone che non fanno nemmeno più parte di Nazione indiana (e relativi commenti); be’, è – come scrivevo – più una “caccia al tesoro” che una “risposta chiara”.

    Come ho scritto sopra: A me sta bene che Gianni Biondillo mi abbia risposto nella stessa sede in cui io ho posta la domanda. Trovo la sua risposta insoddisfacente, ma finalmente è una risposta adeguata alla domanda.
    Quindi, su questa domanda, non ho più nulla da domandare.

    Ieri ho risposto al tuo lungo intervento solo perché affermavi delle cose che mi risultano false o impossibili da sapere (e quindi mi interessa sapere come fai a saperle); e perché sono curioso di sapere in base a quali tue competenze e in base a quali dati raccolti hai formulato una diagnosi sul mio conto. Mi risulta che tu sia docente di Scienze naturali. Sei forse iscritto all’ordine dei medici? O a quello degli psicologi?

  26. Scrive Galbiati rivolgendosi a Mozzi:
    “[…] si direbbe che la tua fissazione per le questioni di forma sia diventata un’ossessione che ottunde la tua capacità di comprendere. Succede, quando si è in preda all’ossessività.”

    Anch’io qualche anno fa pensavo che fossero ‘questioni di forma’, e che ci fosse una specie di travaso strano tra il modo di ragionare ossessivo dei personaggi delle sue storie, e il modo in cui Mozzi seziona e critica i discorsi altrui. Lo avevo anche scritto ed equivaleva alla pseudo-diagnosi di ossessività maniacale fatta da Galbiati.
    Ora posso dire che non avevo capito nulla. Il metodo di Mozzi non solo è ragionevole, ma e forse è l’unico per affrontare discorsi che -ho l’impressione- vengono prodotti in modo ipertrofico, e nei quali -questa non è un’impressione- è saltato diciamo così lo ‘statuto della verità’, cioè prescindono dal problema della verità di ciò che si dice – e a volte prescindono addirittura da un minimo criterio di buon senso. So che sono tante le risposte alla domanda ‘che cosa è vero’, ma almeno prendere come base una di quelle risposte sarebbe necessario per produrre discorsi razionali utili a tutti.

    Davanti a discorsi -prodotti ovunque: tg, giornali, commenti di intellettuali, blog eccetera- che mimetizzano una verità e una logicità di facciata, mi pare di grande lucidità fermarsi a guardarli meglio, metterli alla prova, vedere se sono razionali o sgangherati.
    Mozzi lo fa spesso ponendo delle domande che scaturiscono dai discorsi stessi. Una volta pensavo: ma guarda questo che dice di essere interessato più alle buone domande che alle risposte!
    Ma è chiaro: le buone domande sono necessarie a ottenere buone risposte.

    Mi pare che questo lavoro sulle ‘retoriche’ in questo momento tra gli scrittori lo faccia soltanto Mozzi. Vorrei che i suoi colleghi e i commentatori fini intellettuali, invece di incazzarsi, leggessero con calma cercando di capire perché Mozzi resta metodicamente sul discorso, lo seziona, lo mette alla prova.

  27. Dunque, Mozzi, visto che hai rifatto l’apologia delle tue risposte, ecco quel che ne penso io nel dettaglio.

    1. La domanda chiedeva un apprezzamento sulla “nostra” – cioè italiana – letteratura contemporanea; tu hai risposto così: “Quanto alla letteratura contemporanea: sta bene, grazie, come al solito.” Che non significa nulla, perché se la letteratura contemporanea (italiana? non si capisce dalla tua risposta) sta di solito bene, allora significa che anche la letteratura dell’Ottocento o del Settecento o del Seicento ecc. stavano bene, ma se tutte stanno di solito bene non ci sono termini di confronto e quindi non ci sono critieri per stabilire perchè non si possa dire che stanno tutte male.
    Sarebbe poi bello capire cosa voglia dire “stare bene” riferito a una letteratura, in base a cosa lo si capisce, con quali critieri uno lo stabilisce ma immagino sia spiegare l’ovvio per te.

    2. La tua risposta: “Mi sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni, per ovvie ragioni, la pubblicazione presso case editrici caratterizzate da una tendenza verso un’industrializzazione crescente di opere adatte a essere pubblicate da un’editoria caratterizzata da una tendenza verso un’industrializzazione crescente. Nel momento in cui un giovane aspirante autore mi domanda: «Che cosa devo scrivere per essere pubblicato da una casa editrice caratterizzata da una tendenza verso un’industrializzazione crescente?», e alla mia risposta «Scrivi quello che ti pare, e affronta il rischio di non essere pubblicato affatto» reagisce con irritazione, scherno e accuse di mafiosità – in quel momento, mi convinco che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria non solo frena la pubblicazione di opere non adatte a essere pubblicate da un’editoria caratterizzata da una tendenza verso un’industrializzazione crescente, ma ne frena addirittura l’apparizione, e prima ancora il concepimento, e prima ancora il desiderio.”
    Sei volte ripetuto “industrializzazione crescente”, volutamente, per spregio alla locuzione usata nella domanda.
    Argomentazione? Assente. Perché l’industrializzazione crescente tanto ripetuta frena la pubblicazione e il concepimento di opere di qualità?
    Per “ovvie ragioni” dice Mozzi – che ovviamente Mozzi non specifica. Troppa fatica, tanto è tutto ovvio (per chi?).
    Questa volta la risposta contiene una risposta chiara e non contraddittoria ma non la argomenta.
    Se volevi essere chiaro e sintetico bastava dire: sì ne frena sia il concepimento sia la pubblicazione. Ma hai voluto prendere in giro l’intervistatore formulando frasi complesse e con continue reiterazioni, rendendo di difficile comprensione la risposta. Ecco un es. di come rispondere senza curarsi di farsi capire e di argomentare.

    3.”Non so rispondere. Compro ogni giorno due quotidiani: uno è politico, e dell’altro – che è generalista – leggo solo la cronaca. Non compro settimanali.”
    Anche qui il nulla, per lo meno non volutamente. A parte l’introduzione dei concetti, ovviamente non spiegati, di quotidiani politici e generalisti.
    Sfugge ai lettori la differenza, peraltro, come fece notare Tashtego. E anche a me sfugge il significato di quotidiano politico: esiste un quotidiano che parla solo di politica ed esclude TUTTI gli altri argomenti?
    O forse era più giusto dire “quotidiano di partito”?

    4. Ti sembra che la maggior parte delle case editrici italiane facciano un buon lavoro in rapporto alla ricerca di nuovi autori di buon livello e alla promozione a lungo termine di autori e testi di qualità (prosa e/o poesia)?
    No, non «la maggior parte». Solo il 36,25%.

    Questa risposta è emblematica dell’atteggiamento di chi non ambisce primariamente a farsi capire, ad arricchire il lettore.
    E infatti nessuno ha capito, anzi tutti l’hanno preso come una presa in giro. Tutti tranne me, che nel primo commento scrivevo che Mozzi non era ironico. Poi però, per autocorrezione, leggendo gli altri commenti, ho creduto mi fosse sfuggita l’ironia (la presa in giro) delle risposte – spesso io non la noto, l’ironia.
    E quando arriva la spiegazione di questo dato? Nei commenti. A conferma che rispondendo in questo modo non ti sei curato di farti capire: senza dare spiegazione del dato, hai facilitato il fraintendimento.

    5. Credi che il web abbia mutato le modalità di diffusione e di fruizione della nostra letteratura (narrativa e/o poesia) contemporanea? E se sì, in che modo?
    Sì, credo che il web abbia mutato le modalità di diffusione della nostra letteratura; no, non credo che il web abbia mutato le modalità di fruizione della nostra letteratura.
    Il nodo è, come sempre, la promozione e distribuzione. Lavorando bene e sodo nel web un editore può promuovere le proprie pubblicazioni, presso il pubblico dei lettori forti, con investimenti contenuti o addirittura modesti.

    Qui almeno hai cercato di dare un minimo spiegazione: è la prima risposta che risponde e che tenta un minimo di argomentare. Qui hai detto qualcosa.

    6.”Penso che la letteratura, e tra le sue componenti in particolare la poesia, dovrebbe essere sostenuta dai lettori in una forma precisa: mediante l’acquisto di libri.”
    Anche qui non hai volutamente risposto alla domanda, che non verteva sul comprare libri.

    7. Hai risposto dando una definzione di scrittore secondo cui milioni e milioni di italiani lo sono, forse la maggioranza della popolazione, per es. gran parte delle persone che conosco, fino alle mie nipoti più piccole. Hai scritto che per essere scrittori “è irrilevante” che uno abbia pubblicato qualcosa.” Poi, senza renderti conto (suppongo) del paradosso, hai concluso con: “La risposta è dunque: sì, mi sembra che gli scrittori italiani abbiano modo di dire la loro [certo, se è irrilevante se abbiano pubblicato o no possono dirlo scrivendo sulla carta igienica del loro bagno!]; no, non mi sembra che abbiano un qualche peso [certo, anche perchè della maggior parte di loro nessuno sa che sono scrittori!].
    Quindi, a questa domanda hai risposto rendendo senza senso la risposta grazie alla tua definizione di scrittore.

    8. Nella suddetta evidente crisi della nostra democrazia, ti sembra che gli scrittori abbiano delle responsabilità, vale a dire che avrebbero potuto o potrebbero esporsi maggiormente e in quali forme?
    Ogni cittadino è responsabile del governo della città.
    Quanto al resto, vale la parabola dei talenti: chi ha avuto in dono un talento, e lo ha seppellito per non farselo portare via, è da licenziare.

    Qui hai risposto dicendo prima una cosa ovvia (non richiesta) e poi con un oracolo il cui senso è ignoto.
    Dalla risposta che hai dato prima, infatti, al considerarsi scrittore non si associava nessun dono, nessun talento, era anzi irrelevante che uno scrittore fosse bravo, avesse un dono, avesse pubblicato ecc. Contava solo lo scrivere con la volontà di fare letteratura. Quindi di che talento parli qui? Non si sa.
    Supponiamo che lo scrivere sia diventato un talento. Quel talento dovrebbe automaticamente portare gli scrittori più dotati a sentirsi più responsabili di altri della vita politica di un paese? Non potrebbe essere che un bravo scrittore non capisca niente di politica e che quindi non debba esporsi? Non si sa.
    Tutte cose ovvie, immagino, per te, peccato che non si capisca di cosa tu stia parlando, a seguire le regole dell’italiano o i tuoi ragionamenti.

    9. Reputi che ci sia una separazione tra mondo della cultura e mondo politico e, in caso affermativo, pensi che abbia dei precisi effetti?
    Be’, Veltroni e Franceschini hanno pubblicato dei romanzi.

    E quindi?
    Tanto per cambiare, nessuna risposta adeguata alla domanda, e nessuna argomentazione per supportarla.

    10. Anche alla 10 non hai risposto se non con un laconico: “Mi sembra opportuno non farsi ossessionare dal desiderio di purezza.”
    Il resto della risposta infatti è teso a voler dimostrare, senza portare esempi, che Repubblica è razzista e attento alla proprietà quanto il Giornale e Libero. Pare quindi di poter concludere dall’oracolo iniziale che sia normale scrivere per un giornale razzista, perchè non ci si deve far ossessionare dal desiderio di purezza (quali conseguenza avrebbe l’essere ossessionati dalla purezza, oltre al non scrivere per giornali razzista? Non si sa). Ne deduco che non ti faresti problemi a scrivere per una rivista neonazista. Giusto?

    Ecco, questa mia analisi mostra perchè, generalizzando, ho scritto che non ti sei curato di dire qualcosa (non hai quasi mai risposto in modo puntuale, chiaro, comprensibile e adeguato alla domanda), di arricchire il lettore (non hai quasi mai spiegato, argomentato le tue risposte, già così poco puntuali, chiare ecc.).
    Sul fatto che queste cose le abbiano capite tutti, è una generalizzazione mia frutto di una mia impressione. Ok, dir tutti è esagerato, ma così come non posso portare prove io di quel che ha capito la maggioranza dei commentatori, nemmeno tu puoi portare prove che la mia impressione (se la riferiamo alla maggioranza dei commentatori) sia falsa – e tu stesso peraltro hai ammesso che nessuno ha capito il dato percentuale da te fornito in una risposta: come mai? era ovvio per chi? e i giornali politici e generalisti? e se andassimo a rivederci tutti i commenti? e se era tutto così chiaro, com’è che hai speso molte più righe
    nei commenti a spiegare le tue risposte che non nell’intervista stessa?

  28. Vorrei infine far notare alcune cose a Mozzi, e a Barbieri.

    Le questioni di forma sono importanti. Io non critico Mozzi perché le fa.
    Critico, nel caso scaturito dall’intervista. quali questioni fa, e come le fa.

    Ho già scritto, e ripeto: è legittimo chiedere i nomi dei critici. Ma non è un dovere darli. Quindi insistere sul darli come fosse dovuto, e come se fosse dovuto darli in home page a nome della redazione, è un modo di fare sgradevole, come ha scritto il commentatore che ha segnalato questo post a Mozzi (“sgradevole puntigliosità”, se ben ricordo).
    Talmente sgradevole che più di un commentatore, per spiegarsi questo comportamento, crede ci sia sotto acredine personale.
    Io invece ho attribuito questo comportamento a una forma di attaccamento ossessivo (puntigliosità e ossessività son parenti) a certe presunte questioni di forma da rispettare. Ora, caro Mozzi che scrivi che non ci si deve far ossessionare dal desiderio di purezza, ti ho già spiegato che non ti ho scritto una diagnosi sulla tua persona, quindi io non ti devo render conto di nessuno dei miei titoli quando ti dico che il tuo modo di agire su questa questione è ossessivo al punto da ottundere la tua comprensione. Non sono tenuto a mostrarti nessun titolo, mi spiace. Rivendico il diritto mio e di tutti, non solo degli psicologi, di giudicare ossessivo un determinato modo di fare, che nel caso specifico si è palesato più e più volte e che presenta come caratteristiche primarie:
    – la fissazione su un argomento ossia il tornare sempre sopra certi temi o richieste
    – la richiesta reiterata di aspettarsi delle risposte secondo una forma ben definita, dettata dal richiedente, nonostante non via sia oggettivamente nessun obbligo non solo di fornirle in quella forma ma di fornirle in qualsiasi forma
    – la difficoltà a considerare risposte adeguate qualsiasi risposta venga fornita in una forma diversa, difficoltà che può arrivare a non far comprendere il contenuto della risposta perché fornito in un contesto che non si ritiene adeguato [ma su questo Mozzi si contraddice: prima dice nei commenti che non gli è stata ancora fornita risposta, poi quando io gli cito i critici mi dice che sapeva quali fossero, e quindi aveva già ottenuto risposta nel merito, ma reclama ancora di aver dovuto fare una caccia al tesoro. Qual è la verità?]

    LA VERA QUESTIONE, SU CUI VORREI UNA RISPOSTA (DOPO LA QUALE NON ANDRò OLTRE):
    Per concludere, una cosa mi ha colpito, e non fa che rafforzare quanto vado ripetendo.
    Mozzi, secondo l’ultima versione, come ho appena scritto, aveva capito quale fosse la risposta di NI o chi per essa in relazione ai nomi dei critici.
    Quindi aveva avuto la sua risposta nel merito.
    Ora, dopo questa lettera di Biondillo, benché insoddisfacente, Mozzi dice che smette di insistere. Perché? Perchè arriva nella sede che Mozzi reputa adeguata, la home page. Ma cosa è più importante, Mozzi, avere una risposta a nome della redazione di NI che ha firmato l’intervista o avere una risposta in HP, una qualsiasi risposta, firmata da un qualsiasi indiano e senza nessuna spiegazione?
    Fino all’altro ieri avrei giurato che tu avresti accettato solo una risposta a nome della redazione, cosa che io stesso ho caldeggiato, considerandola la cosa più adeguata – pur invocando flessibilità sul contesto in cui poteva apparire. Ora invece scrivi:
    “Ma la faccenda è chiusa, visto che si può agevolmente intendere la risposta di Gianni Biondillo – e io così la intendo – come una risposta a nome del gruppo.”
    Come fai a considerarla una risposta a nome del gruppo se Biondillo ha scritto esplicitamente: “E se neppure questa mia (mia, di Gianni Biondillo, non della fantomatica “redazione”, ma che magari verrà poi condivisa, o meno) spiegazione” può bastarti, se ancora vuoi una risposta, non mi resta che amichevolmente consigliarti di lasciar perdere”????

    Io non ti seguo più.
    Non sei interessato al merito delle questioni che poni, perchè sapevi già la risposta ma sei andato avanti a chiedere.
    Non sei neanche interessato alla forma, perché chiedevi una risposta a nome “redazione” e consideri adeguata una risposta in home page con un qualsiasi contenuto e a titolo personale.
    A cosa sei interessato?
    Si potrebbe pensare ad esser considerato, ad aver visibilità e basta, sai?
    Ma non credo sia così, e quindi?

  29. Scrive Galbiati: “Le questioni di forma sono importanti. Io non critico Mozzi perché le fa.”

    Lorenzo, il mio post del ‘6 Aprile 2010 alle 12:00’ spiega come sembrano questioni di forma, sono invece questioni fondamentali che riguardano lo statuto di verità che viene applicato/disapplicato nei discorsi.
    Oggi, considerando la quantità e qualità dei discorsi prodotti (faccio un solo esempio, la pratica dilagante dello ‘storytelling’* in politica) il lavoro sulle retoriche, che porta a stare puntigliosamente sul testo, è fondamentale.

    *per esempio: http://www.ibs.it/code/9788881129614/salmon-christian/storytelling-fabbrica-delle.html

  30. Caro Barbieri, che si tratti di questioni di forma o sullo statuto di verità del discorso, poco mi importa, non voglio fare qui una disputa nominalistica.
    Mi interessano i dati di fatto, e qui si parla di un caso specifico, su cui aspetto almeno una delucidazione, quella finale che ho chiesto, da parte di Mozzi.
    Quindi al momento non sono disponibile a leggere il tuo link né a parlare del lavoro sulla verità che farebbe Mozzi. Inizia dimostrandomi l’applicazione di questo lavoro alle risposte che ha dato all’intervista che sopra ho commentato una per una, e al suo modo di agire relativo alla richiesta dei nomi dei critici da parte della redazione di NI, poi mutato nella richiesta di un qualsiasi articolo in home page. Poi, se mi convincerai di qualcosa di interessante che io non vedo, ti seguirò sul discorso in generale.

  31. Chiedendo di esplicitare i nomi dei critici Mozzi si aspettava un chiarimento utile non solo all’intervistato, ma a tutti i possibili lettori. E fin qui è questione di semplice buon senso.

    La risposta è stata laboriosa e insoddisfacente. Questo ha fatto emergere alcuni punti deboli, per esempio:
    – c’è una domanda che dà come verificato e disponibile un presupposto che non è stato verificato e non è disponibile (o lo è in modo parziale);
    – c’è una redazione che pretende di parlare mantenendo parte della comunicazione su un livello implicito, un ‘dialetto’ per coloro che già sanno, quando l’intervista formalmente si rivolge a tutti;
    – c’è una redazione (un soggetto collettivo) per organizzare un’intervista, ma la stessa redazione non è in grado di organizzare una risposta.

    Insomma i punti deboli del discorso ci sono: quella rivolta a Mozzi non è una ‘buona’ domanda, mentre il mondo ha bisogno di ‘buone’ domande per ottenere ‘buone’ risposte. Ora quello di Mozzi è un lavoro critico, la critica deve servire a migliorare le cose. Ma quando lo spunto critico viene preso non per migliorarsi, ma per incazzarsi, tutto diventa vano.

  32. Il link è semplicemente la pagina ibs al volume di Christian Salmon “Storytelling. La fabbrica delle storie”.

  33. Va beh, che sarebbe stato meglio scrivere sticazzo di nomi dei critici, lo hanno capito tutti, l’ho capito pure io alla lettura della prima intervista: non mi sembra un gran merito chiedere i nomi. Però mi sembra anche logico che quando si propone un dossier intervistando più autori, si usino sempre le stesse domande: sarebbe illogico modificare le domande, perfezionandole, man mano che le interviste proseguono, perché le risposte non sarebbero più confrontabili.
    Quindi appurato che alcune domande non sono state scritte in modo ineccepibile- stesso discorso per la sequenza delle stesse -una volta partito il dossier il danno non è più correggibile.
    Che poi a domande non ineccepibili debbano seguire risposte di merda, scusa ma non ci sto.
    Primo: se l’intervista è scritta da schifo, io non rispondo.
    Se si vuol polemizzare sulle domande, che lo si faccia in modo chiaro, dando un senso alle risposte e alle polemiche.
    Invece, come mi sembra di aver dimostrato sopra, allo stesso Mozzi, nelle sue risposte, si possono attribuire quel che dici tu, questo (che modifico passando dalle domande alle risposte):

    – c’è in molte sue risposte un presupposto che non è stato verificato e non è disponibile e che viene dato come verificato (o lo è in modo parziale);
    – c’è un intervistato ch pretende di parlare mantenendo parte della comunicazione su un livello implicito, un ‘dialetto’ per coloro che già sanno, quando l’intervistato formalmente si rivolge a tutti; diciamo meglio: l’intervistato tende a non dire quasi nulla nelle sue risposte non rispondendo alle domande o rispondendo in modo ermetico, criptico, con oracoli, poiché dice che spiegare quel che invano cerca di comunicare sarebbe spiegare l’ovvio – con il risultato che non si capisce di cosa stia parlando.

    Quindi?
    Mi vuoi anche spiegare perché Mozzi è soddisfatto di questa risposta data Biondillo a titolo personale e non della redazione dopo aver fatto tutto il casino che ha fatto per avere una risposta della redazione? Dov’è la coerenza, dove lo statuto di verità?

  34. Galbiati, in buon ordine. Rispondo prima a questo.

    1. Anche la domanda non significava nulla.

    2. Le ragioni sono ovvie, e sono sotto gli occhi di tutti. E: non mi pare accettare di usare per la risposta la lingua nella quale la domanda ti viene posta sia un segno di disprezzo.

    3. Mi pare ovvio che “il manifesto” è un quotidiano politico, il “Corriere della sera” è un quotidiano generalista, la “Gazzetta dello sport” è un quotidiano sportivo.

    4. Nessuno ha capito, dici. Be’, bastava prendere alla lettera quello che ho scritto. Non ci voleva tanto.

    5. Non c’è nessuna argomentazione in questa risposta. Solo alcune constatazioni.

    6. Dici, che ricordare la responsabilità del pubblico è un modo per non rispondere?

    7. E’ vero, ho risposto “dando una definzione di scrittore secondo cui milioni e milioni di italiani lo sono”. No, non è una definizione; è un criterio per distinguere chi è scrittore da chi non lo è. Attendo peraltro la descrizione del criterio in uso presso Nazione indiana.
    Poi, confermo: gli scrittori hanno la possibilità di dire la loro. Questo è ancora un Paese decentemente libero.

    8. La parabola dei talenti è un episodio evangelico molto noto, il cui senso mi pare piuttosto chiaro. Su che cosa sia un “talento”, rimando a Wikipedia, qui.
    Io ho la possibilità di pubblicare libri, di pubblicare articoli, di parlare in pubblico, eccetera. Questo è il “talento”.

    9. Ho citato un esempio piuttosto vistoso di strumentalizzazione della cultura e della letteratura.

    10. Il desiderio di purezza mi pare una cosa sana. Esserne ossessionati non mi pare una cosa sana. (Così come il desiderio sessuale mi pare una cosa sana, ma esserne ossessionati non mi pare una cosa sana).

    Poi:

    “Mozzi, secondo l’ultima versione, come ho appena scritto, aveva capito quale fosse la risposta di NI o chi per essa in relazione ai nomi dei critici.
    Quindi aveva avuto la sua risposta nel merito.
    Ora, dopo questa lettera di Biondillo, benché insoddisfacente, Mozzi dice che smette di insistere. Perché? Perchè arriva nella sede che Mozzi reputa adeguata, la home page. Ma cosa è più importante, Mozzi, avere una risposta a nome della redazione di NI che ha firmato l’intervista o avere una risposta in HP, una qualsiasi risposta, firmata da un qualsiasi indiano e senza nessuna spiegazione?”.
    Vedi, il fatto è che io sono una persona ragionevole e non ossessiva, e possiedo quel minimo di sensibilità e ragionevolezza che mi porta capire quando la persona (o il gruppo) con il quale sto parlando ha veramente fatto ciò che era nelle sue possibilità per dare una risposta.

    “A cosa sei interessato?”. Ero interessato, come mi pare di aver detto più volte, che i lettori di Nazione indiana potessero leggere una risposta ragionevolmente attribuibile a Nazione indiana a una domanda di chiarimento che io ho posto a Nazione indiana all’interno di un articolo pubblicato in Nazione indiana. Finché tale risposta era dispersa in commenti sparpagliati tra Nazione indiana e vibrisse, ivi compresi rinvii a ulteriori pubblicazioni eccetera, i lettori di Nazione indiana (che non sono certo obbligati a passare le giornate a frugare nel web) potevano pensare che Nazione indiana non avesse risposto.

    “Non mi sembra un gran merito chiedere i nomi”. Sono d’accordo. C’è forse qualcuno che ha rivendicato il merito di aver chiesto i nomi?

    “Sarebbe illogico modificare le domande, perfezionandole, man mano che le interviste proseguono, perché le risposte non sarebbero più confrontabili.”. Dici che è logico, vista la possibilità di migliorare una cosa, non migliorarla? Dici che è meglio avere venti risposte a cattive domande, che due risposte a buone domande e diciotto risposte a buone domande?

    Infine, Galbieti, scrivi che anch’io tendo “a non dire quasi nulla nelle mie risposte non rispondendo alle domande o rispondendo in modo ermetico, criptico, con oracoli, poiché dico che spiegare quel che invano cerco di comunicare sarebbe spiegare l’ovvio”.
    Credo che il più delle volte basterebbe leggere quello che scrivo.

    Ad esempio, dopo aver letta la mia frase “Mi sembra opportuno non farsi ossessionare dal desiderio di purezza” tu scrivi: “Pare quindi di poter concludere […] che sia normale scrivere per un giornale razzista”, mi pare evidente che semplicemente non prendi in considerazione ciò che io ho scritto. Ovvio, quindi che ti appaia bizzaro e/o oscuro.

    Mi fermo qui. Ho altre sette domande per le quali attendo una risposta da Nazione indiana (o almeno, da qualcuno di Nazione indiana), e sono formulate qui.

  35. Beh, grazie della risposta, Mozzi.
    Avevo detto che non avrei ribattuto, quindi non ribatto sui tanti casi citati e dico solo la mia conclusione.
    Io leggo e considero, e bene, quel che uno scrive (o meglio risponde a una precisa domanda, visto che parliamo di una intervista) e le tue ulteriori precisazioni peggiorano i miei giudizi (espressi sopra: l’ossessività pseudo-formalista, la nonvolontà di capire e farsi capire ecc.) sul tuo modo di aver risposto all’intervista e sul tuo modo di porti nel web con intervistatori e commentatori, nel senso che io ho fatto quello che Barbieri auspica:
    “Vorrei che i suoi colleghi e i commentatori fini intellettuali, invece di incazzarsi, leggessero con calma cercando di capire perché Mozzi resta metodicamente sul discorso, lo seziona, lo mette alla prova” e sono arrivato alla conclusione che in questa operazione ci sia incoerenza, pseudo-metodicità e ambiguità sugli obiettivi cui si vuol giungere, tanto che da tutta questa discussione ne esco con il dubbio, da verificare, sulla tua onestà intellettuale (non sarei onesto a non dirlo).

  36. E quindi rispondo finalmente a questa tua domanda: “e era tutto così chiaro, com’è che hai speso molte più righe nei commenti a spiegare le tue risposte che non nell’intervista stessa?”.

    Perché – ad esempio – se io scrivo che “Mi sembra opportuno non farsi ossessionare dal desiderio di purezza” e tu commenti: “Pare quindi di poter concludere […] che sia normale scrivere per un giornale razzista”, dovrò pur far notare che la tua “conclusione” non ha nulla che fare con ciò che io ho scritto.

    Ecc.

  37. La domanda era:
    Ti sembra opportuno che uno scrittore con convincimenti democratici collabori alle pagine culturali di quotidiani quali “Libero” e il Giornale, caratterizzati da stili giornalistici non consoni a un paese democratico (marcata faziosità dell’informazione, servilismo nei confronti di chi detiene il potere, prese di posizione xenofobe, razziste e omofobe …), e che appoggiano apertamente politiche che portano a un oggettivo deterioramento della democrazia?

    IN SINTESI: è OPPORTUNO CHE UNO SCRITTORE DEMOCRATICO SCRIVA PER GIORNALI ANTIDEMOCRATICI?

    LA TUA RISPOSTA:
    Mi sembra opportuno non farsi ossessionare dal desiderio di purezza.

    E QUINDI? DOVREI CONCLUDERE CHE E’ OPPORTUNO CHE CI SCRIVA O CHE NON CI SCRIVA, DA UNA RISPOSTA DEL GENERE?
    SE UNA PERSONA SANA DI MENTE VUOL TRARRE UNA CONCLUSIONE, PENSA CHE CI SI POSSA SCRIVERCI, TANTO PIU’ CHE IL SEGUITO DELLA TUA NON-RISPOSTA:
    Non mi pare che la «marcata faziosità dell’informazione» sia uno «stile giornalistico non consono a un paese democratico». Ovvero non credo che uno Stato democratico dovrebbe far chiudere i giornali che esibiscono una «marcata faziosità dell’informazione».
    Non mi pare che la «marcata faziosità dell’informazione» sia uno «stile giornalistico» tipico solo di «quotidiani quali Libero e Il Giornale», ovvero di quotidiani attualmente filogovernativi. Non mi sembra che La Repubblica, ad esempio, esibisca uno «stile giornalistico» meno marcato dalla «faziosità dell’informazione»; non mi sembra che La Repubblica, ad esempio, sia meno attenta che Il Giornale agli interessi della proprietà; non mi sembra che La Repubblica vada esente da «xenofobia, razzismo e omofobia» – benché, senza dubbio non prenda apertamente posizioni «xenofobe, razziste e omofobe». Ma nemmeno Libero e Il Giornale lo fanno («Razzista io? Ma si figuri! Che colpa ne ho se gli zingari rubano i bambini?»).

    TENDE AD ALLUNGARE LA LISTA DELLE TESTATE ANTIDEMOCRATICHE.
    QUINDI, UNO CHE LEGGE, E CHE VUOL CAPIRE, CAPISCE

    1. CHE (COME AL SOLITO) NON HAI RISPOSTO ALLA DOMANDA

    2. CHE VISTO QUELLO CHE HAI SCRITTO (E’ OPPORTUNO NON FARSI OSSESSIONARE DAL DESIDERIO DI PUREZZA, E NON IL DESIDERIO DI PUREZZA E’ UNA COSA GIUSTA) E L’ESEMPIO CHE HAI FATTO DI REPUBBLICA, SE UNO INIZIA A NON SCRIVERE PER LIBERO POI DOVREBBE FARLO PER CHISSà QUANTI ALTRI GIORNALI E QUINDI …

    QUESTO CAPISCE UNA PERSONA CHE CERCA DI RICAVARE QUALCOSA DA QUEL CHE SCRIVI. MA E’ TUTTO INUTILE, PERCHè TU NON AMBISCI Nè A CAPIRE Nè A FARTI CAPIRE, COME ORMAI HO …. DECISAMENTE CAPITO.
    AMBISCI SOLO A DEPISTARE L’INTERLOCUTORE, CHI TI FA LE DOMANDE E CHI LEGGE. E POI HAI PURE IL CORAGGIO DI DIRE (CORAGGIO CHE SEMPRE PIù SOMIGLIA ALLA DISONESTà INTELLETTUALE) CHE SPIEGARE QUEL CHE DICI, SEMPRE PRIVO DI ARGOMENTAZIONE E POCO INERENTE ALLA DOMANDA, SAREBBE OVVIO (PER CHI, OLTRE CHE PER TE?), E TU NON TI SPRECHI A SPIEGARE L’OVVIO (PER CHI?), DIMOSTRANDO UN GRANDE DISPREZZO PER I LETTORI.

    (Mi scuso per il maiuscolo, mi son dimenticato di toglierlo)

    Ecc., come dici tu, perchè risponderti anche sul resto sarebbe solo tempo perso, e ne ho perso fin troppo.

  38. Ma il tempo potevi utilizzarlo per leggere con calma invece che per scrivere con foga.

    L’intelligenza può portare sia a rispondere a una domanda, sia a mettere in dubbio la correttezza della domanda.
    Mettiamo che l’intervistato ritenga che la domanda contenga una sola possibilità di risposta, e che quell’unica risposta possibile sia una generalizzazione che non regge il confronto con la pratica, perché schiaccia la complessità delle situazioni in cui la pratica verrà esercitata.

    Faccio un esempio: il testo di Helena sulla sua carriera editoriale ci fa capire, entrando nella complessità delle cose, che lavorare per Mondadori non è necessariamente immorale.

    Allora, torniamo all’intervistato che si trova non a dover ‘rispondere’, ma a dover ‘corrispondere’ all’opinione contenuta in una domanda retorica che ritiene banalizzante. Che cosa puo fare?

    Può rifiutarsi di ‘corrispondere’ e rispondere per ciò che lui ritiene corretto, spiegando quali presupposti della domanda non può far suoi. Che mi pare quello che ha fatto Mozzi.

  39. Direi però, Lorenzo, che quello che doveva essere detto è stato detto. Insistere a che serve? Ognuno trarrà le conclusioni che vuole.

  40. Infatti, Gianni, mi limito a reagire a chi, avendo io scritto fischi, sostiene che io abbia detto fiaschi.

    Ah, ti avevo domandato una cosa, qui, e non mi pare di aver visto risposte:

    “Ti chiedo una precisazione: quando scrivi che ‘Tashtego o Alcor, Galbiati o Vergé, per fare degli esempi, sono, in qualche modo, pezzi di Nazione Indiana’, sapresti spiegare in quale modo essi sono pezzi di Nazione indiana?”

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gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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