Danilo De Marco: L’INSONNIA DELLA TERRA
testo di Erri De Luca
Brasile: L’uomo che esce dal forno
L’umanità ha inventato il grano, il riso, l’orzo. La staffetta innumerevole delle generazioni contadine ha migliorato i semi, li ha resi più fecondi. Nessun potente ha potuto fare a meno dei coltivatori. Li ha oppressi, predati, ma sempre ne ha avuto bisogno.
Oggi qualche imbizzarrita ditta ha messo sotto suo brevetto il grano, il riso, l’orzo. Dicono legalmente di averlo inventato loro. Oggi i potenti fanno in modo che i contadini abbiano bisogno di loro. In questa inversione sta il preciso segno del progresso. Progrediamo verso l’asservimento della terra e dei coltivatori. Perciò siamo oggi tutti senza terra, anche chi ha un campetto ben iscritto a suo nome in un catasto.
Sri Lanka: Le donne del té
Prima la terra ha perso il suo sabato di riposo poi i suoi lavoratori hanno perduto il sonno. Danilo De Marco fotografa l’insonnia della terra, trasmessa dal suolo alle facce di chi ci sta chino sopra. Le loro fattezze sono quelle della terra senza sabati.
Avete voglia di andare dietro a gazzette e notiziari: là passa solo il rumore della storia, il mangiavite che sbatte il mondo come un tappeto. Lontano dagli usci ferrati, dal mazzo delle chiavi che aprono solo a noi, la storia scrive piano addosso ai poveri, con tecnica di acquaforte, a punta d’incisione e bagno di mordente. Scrive le loro facce. Quelle dei ricchi le lascia in bianco, a una salute tiepida, imbottita, le trasforma in visi, che sono facce addomesticate, cartoline da illustrazione, buone per arredarci i rotocalchi.
Sulle facce dei poveri scrive le avventure: il gelo, il vento, gli insetti, l’acqua piovana che straripa e inzuppa, la siccità che sfrega polvere sugli zigomi, mentre agli occhi affiora la malinconia dello stomaco, e ancora; il sole quando pesa come un sacco sulla schiena di chi ci sta sotto. E solo un bracciante può dire: niente di lieve sotto il sole.
Messico: La difesa della terra
La storia ama la pergamena cotica dei poveri e la spiana a pagina. Un tempo anche da noi c’erano facce così. Ecco la curva del polso di chi sa impugnare roncola, zappa, badile, ascia, piccone, il manico delle leve che bussa alla porta per chiedere. Donne, uomini dal chiuso dei recenti premono per spostare il confine del campo. Qui stanno gli ospiti della polvere del suolo, quelli che hanno diritti di scarto, documenti rilasciati da soldati di malavoglia, in lingue diverse dalle loro.
Chi si è inteso con il suo simile e si è associato a lui per conforto, coraggio, convinzione, chi ha pensato che due non è il doppio ma il contrario di uno, la smentita di essere soli, l’esperienza di formare catena, questa persona ha una faccia politica. Povera la pretesa della fotografia che crede di fissare, che presume da sé il diritto dell’inquadratura.
Zanzibar: Le donne delle alghe
Il sorriso è la smorfia che più somiglia allo sbadiglio. Nelle fotografie di Danilo che fruga tra le croste spellate del pianeta, spuntano sorrisi rari, nessuno sbadiglio. Chi è senza terra è insonne. La terra maledice.
Insieme ai brevettatori abusivi di semenze vitali, spuntano i nuovi proprietari delle acque. Sarebbero capaci di esibire un diritto di sfruttamento delle nuvole, della neve.
Senza terra è un primo passaggio, una tappa dell’esproprio. Già si sta in vaste zone dell’Asia senza cielo, scomparso oltre una condensa di gas e di fumo. Crescono bambini che ignorano le stelle. Presto l’aria verrà erogata come la corrente. Chi perde la terra sotto i piedi ha perso.
Ci si dedica all’alpinismo per poter abbracciare di nascosto la superficie perduta, con la scusa di praticare uno sport.
Col suo bianconero illuminato a giorno Danilo anticipa un pianeta svuotato di colori. Mentre scivoleranno i giorni dell’anno 08 di un secolo con data avvicinata di scadenza, il vento gioca a fare mulinelli e cicloni sopra un suolo espropriato. La sua trottola fa rima con la frase di chi disse: “Mia è la terra, stranieri e residenti di passaggio voi siete presso di me” (Levitico/Vaikrà 25,23).
Le foto mostrano il corpo allungato dei lavoratori -dalla terra al cielo.
Il testo poetico di Erri Lucca sape della coscienza.
La parola lavora in noi. Abbiamo perso il cielo, il mare,
la foresta, il prato. “Crescono bambini che ignorano le stelle”
L’acqua all’origine del mondo si muore. In nostra casa, l’acqua
non è più pensata miracolo della natura. E’ un’acqua oggetto.
Il testo e le foto sono i riflessi di una felicità in assenza.
Erri de Luca :-)
Le foto d’altronde mostrano come il corso della storia sia mutato solo esteriormente alle persone raffigurate, coloro che più di ogn’altro conoscono le esigenze della terra. Coloro che da sempre sopportano sul proprio corpo non solo il peso della fatica, ma anche il fardello di un continuo scempio delle loro vite. Un pensiero va a loro.